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Pubbl. Lun, 4 Dic 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

La remissione in termini e la richiesta di un procedimento speciale del contumace incolpevole

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Concetta Bottino


Nei procedimenti penali iniziati prima dell’entrata in vigore della L. 67 del 2014, che ha eliminato l’istituto della contumacia, le SS.UU. con sent. n. 52274 del 2016 hanno affermato che l’imputato rimesso nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado può chiedere al giudice di appello di essere ammesso ad un rito alternativo.


Sommario: 1. Premessa; 2. L’istituto della contumacia: un destino scontato; 3. Una scelta “logica’’; 4. Segue: il diritto al giudizio abbreviato; 5. …ma procedimento “illogico’’.

1. Premessa

Era prevedibile che in un regime transitorio[1] controverso[2], relativo ai procedimenti penali iniziati prima dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67 che ha eliminato l’istituto della contumacia in luogo dell’istituto dell’assenza, le Sezioni unite della Corte di cassazione, a fronte di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, affermassero che l’imputato rimesso nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, per omessa conoscenza del procedimento, ai sensi dell’art. 175 comma 2 c.p.p. applicabile ai procedimenti in corso a norma dell’art. 15 bis della  citata novella, può chiedere al giudice di appello di essere ammesso ad un rito alternativo (nella specie il giudizio abbreviato).

Il principio di diritto è stato enunciato, di recente, con sentenza delle Sezioni unite (la n. 52274/2016) a seguito di ordinanza di rinvio della Seconda Sezione Penale di Cassazione n. 23161/2016 che, per comporre una spinosa controversia, affida ad esse la questione: “Se la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado ai sensi dell’art 175, comma 2, cod. proc. pen., legittimi la richiesta al giudice di appello per la rimessione nel termine per l’ammissione ad un rito alternativo al dibattimento (art. 175 comma 2, nel testo antecedente alla novella 67/2014)’’.

2. L’istituto della contumacia: un destino scontato

La premessa suggerisce una necessaria escursione nelle ragioni che hanno indotto all’eliminazione del noto istituto, la cui incerta norma transitoria, conseguenza di ciò, desta, appunto, più di qualche perplessità.

Come è noto la contumacia[3] – istituto “sconosciuto’’ agli altri ordinamenti europei[4] – consiste nello status processuale dell’imputato che, benché regolarmente citato, non è presente in udienza senza aver manifestato una rinuncia a comparire e nonostante non sussista un legittimo impedimento[5].

La sua disciplina è stata aspramente e incessantemente criticata dagli Organismi Internazionali poichè non tutelava adeguatamente i diritti dell’imputato ed impediva altresì, un corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Pertanto, al nostro Paese sono state comminate numerose condanne che hanno costituito, poi, i parametri “guida’’ delle due successive riforme legislative del 2005 e del 2014[6].

L’istituto, infatti, per un verso, risultava lesivo del fondamentale diritto dell’imputato a partecipare al processo a proprio carico[7]; per altro verso, non garantiva ai condannati in contumacia un rimedio effettivo in grado di reintegrarli pienamente nel loro diritto di difesa[8].

Già nel lontano 1975 il Comitato dei Ministri del consiglio d’Europa indicò, con la risoluzione n. 11[9], le regole minime da rispettare nel processo contumaciale.

In realtà, il primo fondamentale intervento della Corte Europea, in tema di giudizio contumaciale, si è avuto all’epoca del codice Rocco (che disciplinava tale procedimento nei “giudizi speciali”, unitamente al giudizio direttissimo e a quello per decreto) con la sentenza Colozza c. Italia (del 12 febbraio del 1985[10]). In quella occasione la Corte, analizzando il sistema di notificazione allora vigente per gli irreperibili, fondato sulla “presunzione di conoscenza’’ (= conoscenza legale) dell’atto depositato in cancelleria, affermò che il diritto dell’imputato a partecipare al proprio processo non è assoluto – non potendo egli paralizzare il processo né compromettere l’economia processuale –, per cui ne “salvò’’ la disciplina, ma ravvisò una violazione della Convenzione nella mancanza nel nostro ordinamento di una misura che potesse controbilanciare i diritti dell’accusato, consentendo a costui di ottenere, una volta venuto a conoscenza del procedimento, una nuova pronuncia di merito, senza condizionarla alla prova – che ricadeva sull’imputato stesso –  di dimostrare che non stesse cercando di eludere la giustizia.

 Analoghi rilievi, in sede sovranazionale – in tema di giudizio contumaciale –, sono stati riproposti, successivamente, in altre numerose pronunce[11]. Si è ribadito, cioè, che il diritto di difesa è inviolabile, esplicandosi compiutamente nel principio di formazione della prova in contraddittorio.

Più incisivamente, si è sottolineato l’esigenza che vi sia una conoscenza effettiva e non ipotetica del processo da parte dell’imputato per poter desumere una rinuncia ufficiale[12]: che la possibilità di partecipare al processo è espressione primaria del diritto di difesa ed autodifesa dell’imputato il quale, quindi, può decidere di rinunciarvi solo a patto che sia effettivamente a conoscenza del processo e, comunque, mediante un atto non equivoco  che non pare poter essere ridotto alla mera assenza dal processo; altresì, che risulta inadeguato l’istituto “riparatorio’’ italiano, giacché la restituzione in termini, ex art. 175 c.p.p.[13], nella sua vecchia formulazione, non garantiva “al ricorrente con un sufficiente grado di certezza, la possibilità d’essere presente e di difendersi nel corso di un nuovo processo”.

In sostanza la Corte Europea ha dichiarato in modo perentorio sia la violazione dei principi del giusto processo, sia un “problema strutturale legato al cattivo funzionamento della legislazione e della pratica interna” con l’invito al Governo italiano di mettere in atto le misure necessarie per rendere operante “il diritto delle persone condannate in contumacia ad ottenere che una giurisdizione statuisca di nuovo, dopo averle sentite (…) sul merito delle accuse”.

Ebbene, se è incontestabile che la Corte europea sia il “giudice dei casi, sicché non è sempre agevole ricavare un principio di diritto[14]’’, da questa pronuncia emerge un significato chiaro ed inequivocabile, considerato, peraltro, indiscutibile il contrasto della disciplina con la nostra Costituzione e con i diritti che il nostro ordinamento, “democratico’’ e garantista, professa.

La centralità dell’argomento ha conteso i vari rimedi messi in campo dal nostro Paese a seguito delle numerose condanne; ma lo sforzo, pur tangibile, è risultato inadeguato; perciò si è ricorso ad un calvario legislativo dall’esito scontato che ha eliminato, con la novella del 2014, il criticato istituto[15].

3. Una scelta “logica’’

La premessa è di ausilio all’analisi della sentenza; va ricordato, infatti, in via preliminare, che il quesito sottoposto alle Sezioni unite è sorto dal momento che l’imputato, contumace “incolpevole’’ in primo grado, conosciuta la sentenza di condanna – emessa nella vigenza della vecchia disciplina – ha chiesto la restituzione nel termine per impugnare la sentenza, nonché l’ammissione al rito abbreviato, prima al giudice dell’esecuzione, poi, a quello d’appello. Sennonché accolta, da entrambi, la richiesta dell’ammissione nei termini per impugnare la sentenza, è respinta quella relativa al rito abbreviato, poiché, come specificato dalla Corte d’appello, la restituzione nei termini non consentirebbe “di esercitare attività (quale l’accesso al rito alternativo) precluse dall’esaurimento della fase precedente’’.

Il ricorso per Cassazione offre a questa l’opportunità di rimediare a divergenti orientamenti giurisprudenziali ed a contrastanti interpretazioni che hanno giustificato l’intervento delle Sezioni unite che, in sintesi, si vedrà, hanno deciso che la rimessione in termini dovesse poter valere anche per la richiesta del rito alternativo.

Invero, un primo orientamento[16], fondandosi sull’interpretazione letterale della norma, non ritiene consequenziale le due facoltà, rimarcando il carattere autonomo della seconda richiesta. A sostegno, si evidenzia la diversità dei presupposti, perché l’onere di prova delle due disposizioni grava su soggetti diversi: per il comma 2[17] dell’art. 175, inerente alla restituzione in termini per impugnare la sentenza contumaciale – che, quindi, si basa su una presunzione “iuris tantum’’ di non conoscenza del procedimento da parte dell’imputato –, spetta al giudice competente il compito di accertare se l’accusato abbia avuto, effettivamente, conoscenza di un’azione giudiziaria a suo carico, per verificare se la rinuncia a comparire in processo o a proporre impugnazione fosse stata volontaria; al contrario, il 1[18] comma dell’art. 175, inerente ai termini stabiliti a pena di decadenza, e, quindi, anche la richiesta di ammissione ai riti alternativi, prevede, che nella domanda per la domanda di restituzione in termini sia l’imputato a dimostrare che non ha potuto osservare il termine per caso fortuito o forza maggiore. 

 Eppure appare evidente, da subito, la dipendenza e la consequenzialità, sebbene “negata’’, delle due disposizioni: la sentenza di primo grado è irrevocabile, sicchè è preclusa qualsiasi attività all’imputato senza l’impugnazione della stessa.

L’altro orientamento giurisprudenziale[19] – meno drastico ed in maggiore sintonia con le numerose pronunce della corte costituzionale[20] – è stato avvalorato, seppur con qualche precisazioni, dalle Sezioni unite, le quali “pur condividendo la diversità dei presupposti legittimanti le rispettive situazioni del 1* e del 2* comma dell' art. 175 c.p.p. e pur ritenendo che i termini per le richieste dei riti alternativi rientrino nella  prima disposizione con l'effetto della decadenza se presentate fuori termine, tuttavia considerano sostanzialmente elusivo il diniego di ammissione del rito quando non si considera l'ipotesi in cui la richiesta sia stata "impedita" dalla mancata conoscenza del processo’’[21].

Non poteva essere altrimenti: è legittimo che nelle ipotesi in cui un soggetto sia incolpevolmente incorso nella decadenza dal poter richiedere il rito abbreviato – poiché ignaro del processo già svolto e concluso nei suoi confronti –, il dato formale del limite, che ne impedisce l’esercizio, deve cedere di fronte al dato sostanziale della necessaria tutela dei diritti dell’imputato ed in particolare del diritto di difesa.

Del resto, la richiesta di riti alternativi è sicura espressione di tale diritto e deve essere accolta tutte le volte in cui l’imputato, per cause indipendenti dalla sua volontà, non l’abbia potuta proporre nei tempi e nei modi previsti dal codice di procedura penale; e nel novero di tali situazioni è doveroso e giusto ricomprendere quella relativa al contumace involontario, perché il primo risvolto processuale del diritto di difesa è quello di concedere all’accusato la possibilità di scegliere come difendersi, e cioè, se preferire un rito alternativo a fronte dell’iter ordinario. , il cui presupposto è la “conoscenza del processo’’.

Se così non fosse, la situazione lederebbe (= violerebbe) anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché un simile “potere’’, riconosciuto a qualsiasi imputato che si appresta ad essere processato,  non è similmente concesso ad un soggetto che ha conoscenza del processo a suo carico, solo dopo che esso sia stato celebrato: in termini apparentemente diversi le situazioni sono analoghe.

Osservare il processo dal punto di vista del contumace, infatti, è un terreno vividamente fertile per coltivare la tutela dei diritti fondamentali della persona nel processo, nella prospettiva di elidere o comunque di attenuare gli squilibri di garanzie.

A tal proposito, appare logico che, se la Repubblica, a norma del comma 2 dell’art. 3 Cost., “deve eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana’’, in questa vicenda gli impedimenti da rimuovere sono: l’incolpevole non conoscenza del procedimento dell’imputato e l’impossibilità di una totale reintegrazione nei diritti facenti capo allo stesso.

Ulteriore considerazione riguarda il principio del tempus regit actum, che, se dovesse ritenersi operante in questa situazione, impedirebbe il verificarsi della soluzione offerta dalle Sezioni unite; nel diritto processuale, infatti, per quel principio ogni atto è regolato dalla legge del tempo in cui si verifica la situazione.

Il problematico principio[22] sembra essere accantonato nella pronuncia che si commenta, dal momento che la Cassazione si muove con una sentenza “additiva’’, nella quale, accertato il carattere involontario della contumacia, giustamente neutralizza il processo già celebrato, rendendone inefficaci gli effetti, essendo l’imputato rimesso nel tempo dell’atto richiesto: l’impugnazione della sentenza lo rimette in termini ai fini del giudizio al quale appartiene anche la scelta dell’iter che egli ritiene più opportuno, non essendosi potuto applicare alla vicenda – ed a quelli analoghi – la disciplina della novella del 2014[23].

4. Segue: il diritto al giudizio abbreviato

Ebbene, ragionando sull’ammissione ai riti alternativi per il contumace incolpevole, appare maggiormente avvalorata la scelta operata dalle Sezioni unite in relazione al giudizio abbreviato.

Invero, chiarita la loro “natura’’, questo rito rappresenta concretamente la massima esplicazione del diritto di difesa dell’imputato perché è l’unico “giudizio’’ nella sua esclusiva disponibilità. Non a caso, piuttosto che un procedimento speciale[24], l’istituto rappresenta un “atto dovuto[25]’’: un diritto inalienabile a favore dell’imputato[26], il quale, posta la decisione del pubblico ministero di esercitare l’azione penale, potrà scegliere di “percorrere la strada’’ più breve, e cioè deflativa del dibattimento, per assicurarsi la riduzione di un terzo[27] della pena irrogata in caso di condanna.

D’altronde, è lo stesso codice di rito ad avvalorare questa considerazione: l’art. 405 c.p.p.[28], nella scelta della modalità di esercizio dell’azione penale, non lo contempla, a differenza degli altri.

Sicchè, una disparità di trattamento non risponderebbe alle esigenze di omogeneità del sistema. Si vuole confermare, cioè, che se la scelta del rito è subordinata esclusivamente alla volontà dell’imputato, per conseguenza logica, questa deve essere garantita necessariamente a chiunque si appresta a subire un processo; nella evenienza, cioè, l’accusato diventa il dominus del procedimento: è lui a scegliere il “suo destino[29]’’.

Perciò, è doveroso riservare questa scelta anche all’imputato contumace incolpevole. Nessuno lo può sostituire per questa importante decisione. 

Pertanto, la sua differenziazione e la sua “unicità’’, nel codice di rito, non sono certamente un caso.

D’altro canto, la premialità che caratterizza il “giudizio’’, ovvero, lo sconto di pena, bilancia, soprattutto in questo caso, il vulnus[30] difensivo: in virtù del suo consenso, e, della rinuncia al “contraddittorio per la prova’’[31], la decisione di merito si fonderà su un giudizio allo stato degli atti, che utilizza, almeno tendenzialmente[32], i risultati delle indagini preliminari compiute, in questo caso, esclusivamente dal pubblico ministero, in mancanza, per ovvie ragioni, delle investigazioni difensive. Non è in dubbio, dunque, che se il “contumace’’ ha subito un pregiudizio a lui non imputabile, negargli l’ammissione al procedimento non avrebbe razionale giustificazione.

Ancora. Una riflessione merita di essere spesa sulle ragioni che avrebbero dovuto indurre l’ordinamento, a monte, a prevedere questa scelta.

Come è noto, il rito premiale determina benefici economici[33] alla giustizia. Per una scelta strategica, dunque, sarebbe stato opportuno che il legislatore avesse accordato, all’imputato contumace involontario, il rito ogni qualvolta ne avesse fatto richiesta: rimesso in termini per impugnare la sentenza, il giudizio abbreviato è l’unico modo per recuperare, nel nuovo procedimento, il “tempo perso” in primo grado.

5. …ma procedimento “illogico’’

Per gli intenti perseguiti – alla luce delle considerazioni fin qui esposte – la soluzione indicata dalle Sezioni unite è apprezzabile; non altrettanto, il modus operandi prescelto.

In altri termini, se è ineccepibile la decisione di rimessione in termini per la richiesta al rito abbreviato al contumace incolpevole in modo da garantire i medesimi poteri “decisionali’’ a tutti gli imputati, l’iter indicato nel caso di specie legittima qualche perplessità.

Invero, si è affermato sostanzialmente, richiamando il principio della non retrocessione, che, accolta la richiesta di rito abbreviato, il giudizio debba essere celebrato in grado di appello e con le regole dello stesso, anche in tema di ammissione probatoria, ricorrendo all’art. 603, commi 3-4[34].

Ebbene, la scelta di improntare lo svolgimento del rito abbreviato sulle disposizioni della fase dibattimentale di secondo grado, a discapito di quelle proprie, è sicuramente legittimo, essendo l’appello una fase cartolare e certamente compatibile con la disciplina del giudizio abbreviato; ma non vi è dubbio che da questa soluzione ad esserne compromessa è la conseguenza logica della premessa (l’ammissione al giudizio abbreviato) poiché, in virtù della previsione di cui all’art. 598 c.p.p., sarebbe stato più congeniale che la celebrazione del rito si fosse realizzata applicando direttamente le disposizioni che lo regolano.

In sostanza, così come prospettato, “il giudice di appello, ammesso il rito, applica le disposizioni sul dibattimento in appello, naturalmente compatibile con la struttura di un giudizio allo stato degli atti, e dà luogo a rinnovazione istruttoria solo se ricorre il presupposto dell’assoluta necessità[35]’’. Nelle modalità indicate, dunque, si richiama un articolo non dettato né per il giudizio abbreviato, e più in generale, nemmeno per i riti alternativi.

La scelta, d’altronde, non può giustificarsi neanche con l’interpretazione estensiva della norma, sia perché manca l’elemento di “necessità’’, avendo ogni rito alternativo una propria e corposa disciplina, sia perché difetta di un quid indispensabile per la “comparazione’’, giacché, l’estraneità al giudizio abbreviato dell’articolo richiamato è evidente già dalla rubrica della norma: “Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale’’.

Risulta poi configurarsi un’incompatibilità fisiologica, e dunque, ineliminabile tra il “processo contumaciale in primo grado’’ e la celebrazione del giudizio abbreviato in appello, se non per riconoscere il suo “effetto premiale’’, ovvero, la riduzione della pena di 1/3 irrogata in caso di condanna.

In forza del silenzio della pronuncia, infatti, bisogna desumere che il giudizio abbreviato si svolgerà sulla scorta del fascicolo del dibattimento[36], ovvero, su prove formate – in virtù della contumacia dell’imputato – solo dall’accusa. Pertanto, il rito si fonderà su un fascicolo “anomalo[37]’’.

Del resto, il dibattimento non può celebrarsi compiutamente senza il principio del contraddittorio, costituzionalmente garantito ai sensi dell’art. 111 Cost., e necessario corollario del diritto di difesa.

Inutile, dunque, il rimando delle Sezioni unite ai riti alternativi dell’oblazione[38] e del “patteggiamento[39]’’, che respinti in primo grado, possono essere accolti e decisi in questa fase.

La comparazione non regge perché gli istituti appena citati per gli effetti che producono, è utile sottolinearlo, sono mere applicazione di pene, diversamente dall’abbreviato.

Invero, l’oblazione[40] consiste in una pena pecuniaria, mentre la ratio del “patteggiamento[41]’’, sebbene riguardi una condanna penale, è completamente diversa dal procedimento “che è stato richiesto’’, non prevedendo un accertamento giurisdizionale sulla responsabilità che, viceversa, è imprescindibile per il giudizio abbreviato[42].

Pertanto, esclusa la similitudine, se non per l’appartenenza al medesimo “genus’’ dei procedimenti speciali, la compatibilità del giudizio abbreviato in appello non può fondarsi sul richiamo agli altri due riti.

Né tantomeno è pertinente come giustificazione il rinvio alla sentenza Wajib[43], se non per riconoscere al contumace, in questa fase, la riduzione della pena prevista dall’istituto prescelto.

Si consideri che, tra l’altro, se l’ultimo rimando fosse stato logico sarebbe stato ravvisabile un errore, a monte, della Corte di appello di Brescia.

Ed invero, se l’essenza dell’abbreviato consistesse solo con la riduzione di della pena – avvalorando, dunque, la pertinenza al rinvio contestato – allora, alla luce della legge Carotti, e dalla sentenza appena richiamata, il giudice di appello avrebbe dovuto consentire, senza indugi, all’imputato contumace incolpevole il giudizio abbreviato, trattandosi, appunto, di una fattispecie analoga.

Le Sezioni unite si sono mosse pertanto su un delicato equilibrio tra il diritto di difesa e la normativa “transitoria’’; è agevole allora la conclusione che, con questa sentenza “additiva’’, per salvaguardare il diritto di difesa hanno ipotizzato – rimettendo l’imputato in termini anche per la richiesta di un rito alternativo – una nuova ipotesi di giudizio abbreviato in appello.

Sebbene siano apprezzabili gli intenti, però, non può non sottolinearsi che la disciplina prospettata per quanto legittima è incoerente al rito stesso altresì, “considerata l’anomalia’’, una tipologia consona solo per riconoscere il suo “effetto premiale’’.

In ogni caso, per lo scopo perseguito, una scelta sicuramente ammirevole e soprattutto conforme ad un sistema che si professa garantista.

 

Note e riferimenti bibliografici
[1] Nella legge n. 67 del 2014 mancava la disciplina di un regime transitorio. Pertanto, di fronte ad uno scenario ricco di incertezze interpretative e posizioni contrastanti, fu emanata successivamente una legge che “riparasse’’ tale mancanza. Per una panoramica sul regime transitorio: Cfr. la Relazione redatta dal massimario della Corte di Cassazione a cura, per la parte che riguarda il processo in absentia, di P. Silvestri, p. 59 ss.; R. MAGI, Quale regime transitorio per le modifiche in tema di contumacia e irreperibilità, in Quest. giust., 2014.
[2] Il legislatore definisce le nuove norme “transitorie”, però tale termine pare dovuto ad una svista dogmatica. Sulla differenza tra norme “transitorie” e “intertemporali” si veda, per tutti, O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, Milano, 1999, p. 91 ss; Cfr anche F. Giunchedi, Finalmente (seppur con qualche riserva) la disciplina “transitoria” per il rito degli irreperibili, in www.quotidianogiuridico.it.
[3] Sottolinea A. Quatrale, Il processo penale in contumacia, in Progetto Innocenti Italia, Bergamo, p. 1 che la contumacia dell’imputato consiste nella sua consapevole, volontaria ed ingiustificata mancata comparizione all’udienza preliminare. La mancata comparizione è consapevole quando l’imputato ha avuto effettiva conoscenza della sua vocatio in ius; è volontaria quando non sussiste una sua assoluta impossibilità a comparire, ed è ingiustificata quando, pur sussistendo una tale impossibilità, egli non l’ha dedotta.
[4] Nel processo penale Inglese, ad esempio, non trova uno spazio significativo il diritto all’assenza dell’imputato ed è previsto, in taluni casi, l’arresto della persona pur di farla comparire davanti al giudice. Nel sistema Americano, invece, esiste la previsione costituzionale del diritto alla presenza nel processo alla quale si può rinunziare ma con espressa, cosciente e volontaria manifestazione di intenti. Cfr  A. De Caro, Processo in absentia e sospensione. Una primissima lettura della legge n. 67 del 2014, in Arch. Pen., n. 3, 2014, p. 2 ss.  Nel sistema Francese, invece, per i délites di minore gravità è possibile il giudizio in contumacia, ma la sentenza diviene esecutiva solo dopo la notifica all’imputato che può proporre opposizione; in questo caso si ha la caducazione della sentenza ed inizia un nuovo giudizio. Per i reati più gravi (i crimes), invece, è previsto il procedimento in contumacia che segue i binari di un procedimento sommario, senza spazi difensivi significativi e meramente cartolare, ma sottoposto alla condizione che se il condannato si presenta o viene catturato, prima che la pena sia estinta per prescrizione, la sentenza perde efficacia e si regredisce all’inizio del processo che procederà con tutte le garanzie difensive. L’istituto, noto come “purgazione della contumacia”, ha radici antiche (caratterizzava, in modo pressoché identico, il codice primo di procedura penale italiano unitario del 1865). A tal proposito, nella sentenza Krombach c. Francia del 13.2.2001 la Corte europea ne ravvisa il contrasto con gli artt. 6 § 1 e 2 della CEDU e 2 del Prot. Add. 7: “La Corte stima che la purgazione della contumacia, che permette all’accusato di essere rigiudicato non può essere assimilata ad una via di ricorso nel senso ordinario del termine” e che “obbligare un accusato a costituirsi prigioniero per beneficiare del diritto ad essere rigiudicato non è conforme ai dettami dell’art.6 CEDU”. Nel sistema processuale Francese, dunque, la condanna del contumace ha una efficacia meramente simbolica. Nell’ordinamento tedesco, l’imputato è obbligato a presenziare al processo e può essere catturato per questa specifica finalità. Ciononostante sarà sempre possibile procedere in assenza dell’imputato quando il giudice ritiene che essa sia legata ad una strategia tendente alla paralisi del processo. Nell’ordinamento portoghese, con il nuovo codice del 1987, si è proceduto ad una modifica del giudizio contumaciale, tradizionalmente ispirato al modello francese, valorizzando il principio della personalità della difesa: tranne limitate eccezioni, essenzialmente legate al consenso dell’imputato in caso di suo grave e perdurante impedimento a comparire, il giudizio non può avere luogo senza la sua presenza. Nell’ordinamento spagnolo, infine, la regola generale impone la necessaria sospensione del procedimento in assenza dell’imputato.
[5] Si distingue concettualmente dall’assenza in quanto in quest’ultima ipotesi l’imputato manifesta la rinuncia a partecipare al processo.
[6] Vedasi G. Ubertis, Contraddittorio e difesa nella giurisprudenza europea dei diritti dell’uomo: riflessi sull'ordinamento italiano, in Cass. pen., 2005, p. 1094 ss; L. Filippi, Rito contumaciale: quale “equo processo”, in Cass. pen., 2005, p. 219 ss; . G. Ubertis, L'adeguamento italiano alle condanne europee per violazione dell'equità processuale, in Giur. Eur. e proc. pen. ita., a cura di Balsamo, Kostoris, Torino, 2008, 109 ss.
[7] Le prove, dunque, rappresentano il terreno elettivo per esaltare le caratteristiche del contraddittorio; non a caso, l’art. 111 Cost. al comma 4 afferma che: “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”. Del resto, la scelta di fondo è stata quella di fare del contraddittorio “l’elemento nucleare’’ della giurisdizione. Pertanto, prende forma la concezione dinamica del diritto di difesa: essa “consiste nel difendersi provando’’. Cfr C. Conti, Giusto processo, (dir. proc. pen.), in Enc. dir., 2002, p. 629 ss.; G. Giostra, Contraddittorio (principio del) dir. proc. pen., in Enc. Giur. Trec., VIII, Roma, 2001, p. 2 – p.4.; G. Vassalli, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv, it. dir. proc. pen., 1968, 3 ss. In relazione al diritto di diritto di difesa, nell’accezione di “autodifesa’’ (art. 24, comma, 2; 111 Cost. e art. 6 CEDU) si veda in argomento: D. Negri, L’imputato presente al processo. Una ricostruzione sistematica, Torino, 2014, p. 127 ss.; A. Mangiaracina, Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Torino, 2010, p. 1 ss.; P. Moscarini, Una riforma da tempo necessaria: l’abolizione della contumacia penale e la sospensione del processo contro l’imputato irreperibile, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014, p. 232.; E. A. A. Dei-Cas, Il procedimento penale nei confronti di imputati irreperibili tra giurisprudenza della Corte europea e normativa interna, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale, cit., p. 189 ss.
[8] Si vedano sul punto le numerose lacune del processo contumaciale segnalate da G. Ubertis, Sistema multilivello dei diritti fondamentali e prospettiva abolizionista del processo contumaciale, in Giur. Cost., 2009, p. 193 ss.
[9]  “1. Nessuno può essere sottoposto a giudizio se non è stato in precedenza raggiunto effettivamente da una citazione (…) 8. La persona giudicata in sua assenza deve disporre, quando non è stata citata regolarmente, di un mezzo di gravame per far accertare la nullità del giudizio’’ Riportato da L. Filippi, Rito contumaciale: quale “equo processo”, cit, p. 2195 ss.
[10] In tale pronuncia la Corte, analizzando le garanzie dell’equo processo poste dall’art.6 della Convenzione ha affermato che “ancorché tra queste non figuri espressamente il diritto dell’imputato ad essere presente al proprio processo, tale facoltà va desunta dall’oggetto e dallo scopo dell’art.6 CEDU esaminato nel suo insieme. Invero, i diritti riconosciuti dai commi c) d) ed e) del § 3 ad ogni imputato di “difendersi personalmente” “di interrogare e far interrogare i testimoni” e di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza” risulterebbero inattuabili senza garantire la sua presenza al processo”.
[11] Tra le decisioni degne di maggior nota vi sono sicuramente le sentenze: Somogyi c. Italia del 18.5.2004, Kimmel c. Italia del 2.9.2004, Sejdovic c. Italia del 10.11 2004.
[12] Come evidenzia, giustamente, G. Lattanzi, Spunti critici sulla disciplina del processo contumaciale, in Leg. Pen., 2004, p. 598 “il contraddittorio è imperfetto se l’imputato rimane contumace, ma è inesistente se questo non ha avuto conoscenza dell’atto introduttivo del giudizio o addirittura …… non ha avuto neppure conoscenza dell’accusa”.
[13] Per un’analisi dettagliata della disciplina si rinvia al paragrafo successivo.
[14] In questi termini intervento di E. Selvaggi, Il giudizio in contumacia, in Corte Suprema di Cassazione, Roma, 2010.
[15] C. Conti-P. Tonini, Il tramonto della contumacia, l'alba radiosa della sospensione e le nubi dell'assenza “consapevole”, in Dir. pen. proc., 2014, p. 509, sottolineano come l’eliminazione del procedimento contumaciale costituisce “l’epilogo di una delle scelte centrali del sistema processuale misto’’.
[16] Sez. 5, n. 32960 del 16/06/2015, Samir, Rv. 264550; Sez. 4, n. 11141 del 4/02/2015, Marku, Rv. 26270.; Sez. 1, n. 39248 del 16/07/2014, Quku, non mass.; Sez. 6, n. 34076 del 12/06/2013, Petrolo, non mass.; Sez. 1, n. 29479 del 23/10/2012, Vangjelaj, Rv. 256447. Analogamente, Cass., Sez. VI, 31/01/2013, Basile, in Mass. Uff., n. 255149; nella stesa direzione cfr. Id., Sez. IV, 7/01/2014, R., ivi, n. 421106; Id., Sez. III, 21/01/2014, L.A., ivi, n. 5920.
[17] In argomento si vedano: M. Cassano-E. Calvanese, Giudizio in contumacia e restituzione nel termine, Milano, 2008, p. 63 ss.; P. Moscarini, La contumacia, cit., pp. 435 ss.; C. Papagno, Contumacia e processo equo, Milano, 2010, p. 143 ss.
[18] Per una disamina dettagliata dei problemi relativi all’articolo in parola si veda C. Conti-P. Tonini, Il tramonto della contumacia, l'alba radiosa della sospensione e le nubi dell'assenza “consapevole’’, cit, p. 512.
[19] Si vedano: Sez. 3, n. 14956 del 3/12/2014, C., Rv. 263047; Sez. 3, n. 39898 del 24/06/2014, G., Rv. 260416; Sez. 1, n. 27160 del 16/04/2013, Voli, Rv. 256703; Sez. 2, n. 858 del 22/12/2011, Gharsalli, Rv. 251774.
[20] Si richiamano, in proposito, perché ispirate da una medesima ratio, le sentenze della Costituzione: n. 265 del 1994; n. 530 del 1995; n. 333 del 2009; n. 237 del 2012, che hanno riconosciuto all’imputato la facoltà di far richiesta di applicazione di pena, oblazione, rito abbreviato, a seguito di nuove contestazioni in dibattimento, trattandosi di accuse delle quali egli era venuto a conoscenza quando il termine per proporre le richieste in questione era già scaduto senza sua colpa.
[21] Così, G. Riccio, Restituzione in termini e “abbreviato’’ del contumace, in Giur. Pen., p. 3.
[22] Come è stato efficacemente sostenuto da G. Riccio, Restituzione in termini e “abbreviato’’ del contumace, cit. p. 4 si tratta di un problema dogmatico, ovvero, bisogna stabilire se i principii del tempus regit actum e/o della “non retrocessione del processo’’ «possano ritenersi inamovibili tabù, tali da compromettere il corretto esercizio di un diritto della persona».
[23] Secondo la nuova disciplina, l’art. 604 c.p.p. prevede che, «nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’articolo 420 ter o dell’articolo 420 quater, il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza e disporre il rinvio degli atti al giudice di primo grado». Inoltre, la seconda parte del medesimo articolo statuisce anche che il giudice di appello deve annullare la sentenza e disporre la restituzione degli atti al giudice di primo grado «qualora l’imputato provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del processo di primo grado». Con l’esplicita precisazione per cui si applica l’art. 489, comma 2, c.p.p. ovvero l’imputato può richiedere un rito alternativo. Il legislatore, poi, ha introdotto la nuova impugnazione straordinaria della rescissione del giudicato, esperibile nei confronti delle sentenze irrevocabili di condanna (o proscioglimento con cui sia stata applicata una misura di sicurezza).   Alla luce di ciò, in maniera chiara e senza equivoci si sarebbe compreso, da subito, il da farsi per il caso in esame, nonché per tutti quelli analoghi. In tema di processo in absentia e giudizio d’appello si veda, per tutti, G. Santalucia, Il procedimento in absentia e il giudizio di appello, in AA. VV., Le nuove norme sulla giustizia penale, cit., p. 295 ss.; Cfr. S. Chimichi, Art. 625 ter, cit., p. 322.; Cfr. A. De Caro, Processo in absentia e sospensione. Una primissima lettura della legge n. 67 del 2014, cit., p. 23.
[24] In dottrina si afferma che l’espressione “procedimenti speciali’’ sia «un linguaggio infelice» così, V. Maffeo, Giudizio abbreviato, in Enc. Giur. Trecc., Roma, 2004, p. 2; Altresì, G. Riccio, Procedimenti speciali, in Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di G. Conso e V. Grevi, Padova, 1994, p. 489 ss. «una formula che tradisce la reale dimensione giudiziale di questi riti» (anche qui vorrei scrivere qualche parola in più e vorrei consultarlo).; Analogamente, D. Siracusano- A. Dalia-A. Galati- E. Zappalà, Manuale di diritto processuale penale, Milano, 1991, p. 162. E’ meno feroce la critica di S. Giambruno, Il giudizio abbreviato, Padova, 1997, p. 3 «la formula non deve impressionare più di tanto. Infatti, la portata della distinzione concettuale tra “procedimento’’ e “processo’’ non viene certo intaccata e continua a valere nche per l’ipotesi in cui il processo si snodi o si concluda in maniera diversa da quella ordinaria. Tuttavia, (..) si sarebbe potuto parlare di riti speciali dato che sostanzialmente si trattava di indicare procedure diverse da quella ordinaria».
[25] Il giudizio abbreviato non è più una mera aspettativa dell’imputato, ma, dalla legge n. 479 del 1999, cd. legge Carotti, è divenuto un diritto: “l’imputato lo chiede, l’imputato lo ottiene’’. Viceversa, nel 19888 il rito era subordinato «dal consenso dell’imputato che fu tradotto nei termini di una condizione necessaria ma non sufficiente, a cui doveva seguire quello del pubblico ministero che, quale titolare del monopolistico dell’azione penale, non poteva essere estromesso da una scelta che incideva sui modi con cui l’azione si sarebbe svolta (...), nonché una valutazione giudiziale di decidibilità allo stato degli atti». Criteri, questi ultimi due, eliminati dalla legge predetta. Inoltre, dalla stessa «è stata prevista una nuova modalità all’accesso al rito mediante richiesta condizionata ad integrazione probatoria, oltre alla possibilità di arricchire la piattaforma probatoria e di procedere alla modificazione dell’imputazione; si è aperto il giudizio abbreviato ai reati punibili con l’ergastolo». Per una ricostruzione cronologica dettagliata e minuziosa si rinvia a V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, Napoli, 2016 p. 13 ss. Così come si presentava prima della riforma del 1999, infatti, la richiesta al rito era disincentivata perché alla difesa non gli veniva riconosciuto un diritto alla prova pieno: «in specie il difensore non ha la possibilità di presentare prove a discarico, il che è un disincentivo notevolissimo alla utilizzazione del rito abbreviato» era, dunque, costretto a ricorrere al dibattimento. Così, G. Illuminati, I procedimenti a conclusione anticipata e speciali nel nuovo codice di procedura penale, in Pol. Dir., 1990, n.2 p. 270 in V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, cit., p. 11.  Analogamente, D. Siracusano, Per una revisione del giudizio abbreviato, in Cass. pen., 1994, p. 474 in V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, cit., p. 11.
[26] In giurisprudenza, sulla natura personalissima dell’atto, Cfr, Cass., sez. VI, 13 marzo 1997, n. 8851, Capizzi, in C.E.D. Cass., n. 209116; ancora, Cfr. Cass. sez. VI, 11 aprile 2011, n. 27853, Mombelli, in C.E.D. Cass., n. 220906. Tuttavia, a seguito di orientamenti contrastanti circa la natura del silenzio dell’imputato presente in udienza, a fronte della richiesta di giudizio abbreviato dal difensore sprovvisto di procura speciale (l’orientamento che esclude la ritualità: Cfr. Cass. sez. I, 1 marzo 2006, n. 9249, Drizia ed altro, in C.E.D. Cass., n. 233581; Cass. sez. I, 2 aprile 1995, n. 3622, Fodde, in C.E.D. Cass., n. 201494; Cass., sez. III, 16 novembre 1990, n. 16510, Scagnoli, in C.E.D. Cass., n. 186106.  Viceversa, per l’orientamento a favore: Cfr. Cass., sez. III, 19 giugno 2007, n. 33822, Marasco, in C.E.D. Cass., n. 237413; Cass., sez. VI, 11 aprile 2001, n. 27853, Mombelli, in C.E.D. Cass., n. 220906; Cass., sez. VI, 13 marzo 1997, n. 8851, Capizzi, in C.E.D. Cass., n. 209116) la Cass., sez. un., 31 gennaio 2008, n. 9977, Morini, in Dir. pen. proc., 2009, 52, ha stabilito, interpretando la locuzione “è espressa’’ di cui al comma 3, dell’art. 438 c.p.p., sinonimo di “è manifesta’’, che tale richiesta può provenire anche dal suo difensore pur sprovvisto di procura speciale se confortato dalla presenza dell’imputato in udienza, seppur in silenzio.
[27] Impropriamente si definisce il giudizio abbreviato “premiale’’, alla stregua del “patteggiamento’’. In realtà, tale definizione appare pertinente per il secondo, non altresì, per il primo. La pertinenza nasce dal momento che, nel patteggiamento non c’è un accertamento giurisdizionale sulla colpevolezza dell’imputato, e dunque, la riduzione di pena (fino ad 1/3) denota, appunto, una premialità. Non può dirsi, invece, per l’abbreviato che non può prescindere da ciò, la cui caratteristica, appena richiamata, è solo eventuale, potendo l’imputato, a seguito dell’accertamento, essere assolto.
[28] Come si diceva, il presupposto per richiedere il giudizio abbreviato è l’esercizio dell’azione penale del pubblico ministero. Pertanto, il primo momento utile è in udienza preliminare. Ciò, tuttavia, non è pacifico poiché nulla esclude che la richiesta sia ammissibile anche se presentata prima della data fissata per l’udienza preliminare, non essendoci, nel codice di rito, norme che «prevedano esplicitamente un termine a partire dal quale sia possibile chiedere l’accesso al rito». Così, E. Aprile, Giudico unico e processo penale, Milano, 2000, p. 143. Viceversa, V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, cit., p. 18 sottolinea, giustamente, che «eliminato il consenso del pubblico ministero come presupposto di ammissibilità, la proposizione della richiesta in cancelleria potrebbe comportare un’incompleta discovery, (..) non potendo essa inibire agli atti delle eventuali indagini suppletive. (..) Sembra allora che l’attuale assetto sia indicativo della volontà di impedire la proposizione anticipata della richiesta».
[29] Analogo diritto è precluso all’imputato contumace incolpevole, poiché ignaro di un procedimento a suo carico.
[30] Si consideri che, in passato, nonostante l’art. 358 c.p.p, secondo cui il pubblico ministero era obbligato a indagare in favore dell'imputato, si rese necessario introdurre le investigazioni difensive nell’indagine preliminare per ovviare ad una prassi distorta.
[31]  Il principio del contraddittorio nella formazione della prova si esplica in maniera vigorosa nel metodo dell’esame incrociato “assurto a strumento emblematico del cambiamento, specialmente agli occhi di chi da sempre si trovava immerso in un sistema che conosceva il monopolio assoluto del giudice nella escussione delle prove e di estraneamento totale delle parti dalla prova’’. Esso, che si esprime tradizionalmente nel noto brocardo audiatur et altera pars, presuppone una contrapposizione dialettica tra accusa e difesa, dinnanzi ad un giudice terzo e imparziale: una garanzia tale da assicurare alle parti la stessa possibilità di incidere sul convincimento del giudice prima che questo assumi la sua decisione. In altre parole, il principio si realizza con la partecipazione contemporanea e contrapposta di tutte le parti al processo, obbligando il giudice ad ascoltarle prima di emettere la sua decisione. La parità delle parti implica la “reciprocità” di diritti in ordine alla formazione della prova, ossia eguale possibilità di accesso alle prove o alle fonti di prova. Si è dunque di fronte ad un principio che, in ambito processuale, “non verte soltanto sull’oggetto da provare (res iudicanda), bensì anche sulle attività intese a provarlo (iudicum)’’. Così inteso, sebbene già nel codice cd. Rocco il dibattimento era imperniato formalmente sul contraddittorio, solamente nel codice vigente, “consacrato’’ con la legge costituzionale del 1999, si sostanzia in quello che è stato efficacemente definito come il contraddittorio per la prova. Va rilevato, infatti, che la differenza sostanziale tra il sistema inquisitorio e quello accusatorio risiede nel metodo di accertamento dei fatti, che nel primo caso si incentra sulla figura del giudice istruttore congeniale per un contraddittorio sulla prova, mentre nella seconda ipotesi si fonda sul confronto dialettico tra accusa e difesa davanti ad un giudice ignaro di ciò che è avvenuto ante iudicium che è presupposto indefettibile affinché possa esplicarsi un contraddittorio per la prova.  La struttura processuale del codice abrogato presupponeva un contraddittorio che aveva ad oggetto prove già formate nella fase dell’istruzione, antecedente al dibattimento, espressione, dunque, di un contraddittorio sulla prova. Generalmente, infatti, vi è una naturale repulsione dei sistemi autoritari verso modelli processuali che “comportino una equiparazione dell’Autorità (inquirente) all’individuo (inquisito), posti dialetticamente a confronto’’.  Il sistema processuale vigente, invece, espressione di un contraddittorio per la prova, prevede una virgin mind del giudice dibattimentale sicché la prova si forma progressivamente in dibattimento, con una partecipazione attiva delle parti. Oggi, tale principio è racchiuso nell’art. 111 Cost.: “giusto processo’’. Cfr. G. Frigo, Art. 498 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, V, Torino, 1991 , p. 222.; Cfr. C. Conti, Giusto processo, (dir. proc. pen.) in Enc. dir., 2002, p. 629 ss. Cfr. G. Giostra, Contraddittorio (principio del) dir. proc. pen., in Enc. Giur. Trec., VIII, Roma, 2001, p. 2.; Cfr. O. Mazza, Contradittorio (principio del), in Enc. Dir., Milano, 2014, p. 248. Cfr. E. Randazzo, Insidie e strategie dell’esame incrociato, Milano, 2012, p. 1. D. Siracusano, Vecchi schemi e nuovi modelli per l’attuazione di un processo di parti, in Leg. pen., 1989, p. 87.
[32] Il materiale istruttorio su cui verterà il giudizio abbreviato è “proporzionale alla fase di richiesta del rito’’. La domanda, infatti, può essere avanzata, salvo casi eccezionali, fino al termine dell’udienza preliminare. Per un’analisi dettagliata sulla richiesta di giudizio abbreviato si rinvia a V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all'evoluzione del giudizio abbreviato, Napoli, 2016.
[33] Sebbene G. Riccio, Restituzione in termini e “abbreviato’’ del contumace, cit., p. 1 sottolinea che l’originaria filosofia dei riti premiali, e in particolar modo del giudizio abbreviato, fondata sul rapporto costo-benefici e, dunque sulla convinzione che essi avrebbero fatto fronte ai "ragionevoli tempi" del processo ed  all’effettività della giurisdizione, è tramontata a causa dell'inarrestabile indirizzo giurisprudenziale che ha eroso quel rapporto, modificando, tra l’altro, “il giudizio abbreviato con una assillante frequenza’’. Su quest’ultimo punto si suggerisce la lettura integrale di V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all'evoluzione del giudizio abbreviato, Napoli, 2016.
[34] Le Sezioni unite per le modalità indicate richiamano due disposizioni in caso di integrazione probatoria precisamente l’art. 603, comma 3 e il comma 4, c.p.p. Il comma 3 dispone che “la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria (i poteri di suppletivi di iniziativa probatoria spettano al giudice di appello, potendo le parti solo sollecitarli. Cfr ex multis, Sez. V, n. 11908 del 23 novembre 2015, Rallo, Rv. 266158.). Il comma 4 (abrogato dall’art. 11, comma 2, della l. 28 aprile 2014, n. 67) prevede che “Il giudice dispone, altresì, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'imputato, contumace in primo grado, ne fa richiesta e prova di non essere potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore o per non avere avuto conoscenza del decreto di citazione, sempre che in tal caso il fatto non sia dovuto a sua colpa, ovvero, quando l'atto di citazione per il giudizio di primo grado è stato notificato mediante consegna al difensore nei casi previsti dagli articoli 159, 161 comma 4 e 169, non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento’’.
[35] V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, cit., p. 169.
[36] In verità, dal silenzio della pronuncia potrebbe desumersi che il giudizio abbreviato si debba svolgere con le modalità consuete, ovvero, utilizzando gli atti delle indagini preliminari. Questa interpretazione, tuttavia, non pare essere avvalorata dalla scelta delle Sezioni unite di improntare lo svolgimento del giudizio sulle disposizioni del secondo grado di giudizio a discapito delle disposizioni proprie del rito. Questa decisione, seppure discutibile, denota, plausibilmente, l’intenzione di dare continuità agli elementi probatori raccolti nel dibattimento celebrato in primo grado.
[37] Se la scelta fosse ricaduta sul materiale istruttorio delle indagini preliminari, le Sezioni unite l’avrebbero certamente espresso. Nel silenzio, avvalorando una scelta cronologica, bisogna desumere che il giudizio abbreviato si svolgerà sul fascicolo del dibattimento.
[38] Per l’oblazione l’art. 604 comma 7 c.p.p. prevede che “quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione, il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento, fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute. Se il pagamento avviene nel termine, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento’’.
[39] In ordine all’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., l’art. 448 c.p.p. stabilisce che, in caso di dissenso o di rigetto della richiesta, possa essere accordata anche dal giudice d’appello.
[40] «L’applicazione di pena su richiesta delle parti o patteggiamento è un’ipotesi di definizione anticipata del procedimento penale, mediante sentenza – equiparata ad una pronuncia di condanna – con cui il giudice, verificata la corretta qualificazione giuridica del fatto, anche sotto il profilo delle circostanze, sine iudicio, ratifica l’accordo intervenuto tra imputato e magistrato del pubblico ministero su una pena, che deve essere contenuta entro i limiti normativamente predeterminati, dopo averne valutata la congruità». Così, A. A. Dalia-M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2016, p. 661; Cfr. G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2016, p. 600 ss. Cfr. A. Scalfati- A. Bernasconi-A. De Caro-A. Furgiuele-M. Menna-C. Pasini-N. Triggiani-C. Valentini, Manuale di diritto processuale penale, Torino, 2015, p. 643 ss. Cfr. P. Tonini, Lineamenti di Diritto processuale penale, Torino, 2016, p. 437 ss. Per un’analisi dettagliata dell’istituto si rinvia alle lettura di M. Maniscalco, Il patteggiamento, Torino, 2006 e L. Cremonesi, Il patteggiamento nel processo penale, Padova, 2005.
[41]«L’oblazione consiste nel pagamento di una somma di danaro e comporta, per effetto, l’estinzione del reato dichiarata dal giudice. L’oblazione è consentita per i reati contravvenzionali, sia che la legge fissi la sola pena dell’ammenda sia che preveda la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda». Così, A. A. Dalia-M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, cit., p. 672 ss.; Cfr. G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, Compendio di procedura penale, cit., p. 602 ss.; Cfr. A. Scalfati- A. Bernasconi-A. De Caro-A. Furgiuele-M. Menna-C. Pasini-N. Triggiani-C. Valentini, Manuale di diritto processuale penale, cit., p. 656 ss.; Cfr. P. Tonini, Lineamenti di Diritto processuale penale, cit., p.
[42] Per un esame completo dell’istituto cfr. V. Maffeo, Giudizio abbreviato, cit., p. 1 ss.; Cfr. V. Maffeo, Il giudizio abbreviato, Napoli, 2004, p. 1 ss. Cfr. A. A. Dalia-M. Ferraioli, Manuale di diritto processuale penale, cit., p. 681 ss.; Cfr. A. Scalfati- A. Bernasconi-A. De Caro-A. Furgiuele-M. Menna-C. Pasini-N. Triggiani-C. Valentini, Manuale di diritto processuale penale, cit., p. 631 ss.; Cfr. P. Tonini, Lineamenti di Diritto processuale penale, cit., p. 431 ss.
[43]  Nella sent. N. 44711 del 27/10/2004, Wajib, Rv. 229176 le Sezioni Unite hanno affermato che, in caso di reiterato rigetto della richiesta di rito abbreviato, l’eventuale sentenza di condanna potesse essere appellata, mediante uno specifico motivo di gravame, per l’eventuale profilo di illegalità della pena inflitta. Conseguentemente il giudice d’appello, una volta accertato l’errore, deve riconoscere la diminuente di cui all’art. 442. Comma 2 c.p.p. Soluzione ribadita anche con Cass. pen., sez. VI, sent. 27/03/2013 n° 14454. Con questa sentenza la Corte ha statuito che l’adozione di un erroneo provvedimento di inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato pregiudica la legalità del procedimento di quantificazione della pena principale qualora si sia pervenuti ad una sentenza di condanna; ciò significa che il riconoscimento dell’errore, al momento della chiusura del dibattimento di primo grado o nel giudizio di impugnazione, impone al giudice di riconoscere all’imputato la riduzione di un terzo della pena. Non c’è una fattispecie analoga al nostro caso in esame a cui fare fede, nemmeno Cass. pen., sez. VI,  27 marzo 2013 (ud. 15 marzo 2013), n. 14454 secondo cui: “Il giudice che all’esito del dibattimento – di primo grado o di appello – ritenendo erronea una precedente declaratoria di inammissibilità o di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato riconosca all’imputato il diritto ad ottenere la riduzione della pena, ex art. 442 c.p.p., può legittimamente utilizzare le prove assunte nel giudizio ordinario’’ perché si ricadrebbe nel circolo vizioso abbondantemente esposto nell’analisi suddetta, non essendoci stato il contraddittorio nella formazione della prova.