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Pubbl. Gio, 9 Nov 2017

Diffamazione, diritto di cronaca e ammissibilità del reato in forma omissiva

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Claudia Promutico


La configurabilità della diffamazione in forma omissiva: analisi della fattispecie.


Sommario: 1. Il reato di diffamazione e l'aggravante di cui all'art. 595, comma 3, c.p.; 2. L'esimente del diritto di cronaca; 3. La diffamazione in forma omissiva: l'art.57 c.p.

1. Il reato di diffamazione e l'aggravante di cui all'art.595, comma3, c.p.

Il reato di diffamazione è previsto dall’art. 595 c.p. e punisce chiunque comunicando con più persone offende l’altrui reputazione. Gli elementi costitutivi della norma incriminatrice, dal punto di vista oggettivo, sono: la comunicazione con più persone, l’assenza della persona offesa e l’offesa all’altrui reputazione. La norma de qua è, infatti, posta a presidio della reputazione, intesa come senso della dignità personale nell’opinione degli altri. La caratteristica che distingue la diffamazione dall’ingiuria, altro delitto contro l’onore, disciplinato dall’art.594 c.p. (oggi illecito civile), è l’assenza della persona offesa. L’assenza non deve essere intesa in senso fisico, ma come impossibilità dell’offeso di percepire l’offesa.

L’art.595, comma 3, c.p. prevede che qualora il delitto sia commesso con il mezzo della stampa la pena è aumentata in virtù della maggiore potenzialità offensiva del mezzo adoperato sia dal punto di vista spaziale sia dal punto di vista temporale. Relativamente al momento consumativo, il reato di diffamazione a mezzo stampa si consuma nel momento della pubblicazione dell’articolo diffamatorio ovvero nel momento in cui lo stesso viene percepito da parte del pubblico.

Per quanto concerne il concetto di stampa è definito all’art. 1 della legge n.47 del 1958 e ricomprende le “riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”. Sulla base di tale definizione la Corte di Cassazione ha escluso la punibilità del  direttore  di  un  giornale  online  ex art. 57 c.p., sulla base della diversità strutturale tra il concetto di stampa di cui all’art.1 della legge n.47 del 1958 e internet, in quanto la prima presuppone una riproduzione tipografica che il secondo non può realizzare. La Suprema Corte ha, pertanto, concluso per l’inammissibilità della punibilità del direttore della rivista online in base all’art. 57 c.p., poiché contrastante con il principio di tassatività e con il divieto di analogia di cui all’art.25, comma 2, della Costituzione (Cass. Pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 35511).

2. L'esimente del diritto di cronaca

Nell’ambito dei reati commessi con il mezzo della stampa assume particolare rilevanza l’esimente del diritto di cronaca, ossia il diritto di raccontare fatti di interesse per la società. Il diritto di cronaca è costituzionalmente garantito dall’art. 21, il quale tutela la libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione; in tale ambito è riconosciuta e garantita la libertà di stampa, quale mezzo di manifestazione del pensiero.

Il diritto di cronaca rientra nell’ambito della scriminante dell’esercizio del diritto di cui all’art. 51 c.p. che trova il suo fondamento nel principio di non contraddizione in base al quale l’ordinamento giuridico non può ad un tempo vietare e consentire un medesimo fatto.

Il diritto di cronaca presenta due diversi profili contenutistici: quello individualistico e quello funzionalistico. Il primo rappresenta la garanzia del singolo dalla possibilità di manifestare il proprio pensiero, il secondo rappresenta lo strumento di partecipazione alla vita democratica della comunità. Il diritto di cronaca è, peraltro, connotato da limiti interni ed esterni. I limiti esterni sono enucleati dall’art. 21 della Costituzione che pone come limite quello del buon costume, vietando espressamente le pubblicazioni che possano lederlo. In merito ai limiti interni la Suprema Corte di Cassazione li ha ravvisati nei principi di verità, continenza e pertinenza della notizia.

Il principio di verità comporta che i fatti narrati corrispondano ai fatti accaduti. Pertanto, un fatto che potrebbe determinare una lesione dell’altrui reputazione può essere divulgato solo nel caso in cui sia interesse della comunità conoscerlo. La collettività, infatti, non può avere interesse a conoscere notizie prive di fondamento. Ne consegue che il giornalista per essere scriminato deve in ogni caso accertare l’autenticità della notizia e controllare l’attendibilità della sua fonte.

Il secondo limite è rappresentato dalla continenza che richiede la corretta esposizione dei fatti in modo tale da non pregiudicare l’altrui reputazione.

L’ultimo limite è, invece, rappresentato dal principio di pertinenza che impone che i fatti narrati siano rilevanti per l’opinione pubblica. Tale principio deve contemperarsi anche con altre e diverse esigenze costituzionalmente garantite quali il diritto alla riservatezza che, tuttavia, deve cedere di fronte all’interesse pubblico alla conoscenza di comportamenti concernenti la vita privata dei soggetti coinvolti.

Alla luce di quanto esposto, dunque, si rileva che il diritto di cronaca non esime il giornalista dal rispetto dell’altrui reputazione e riservatezza e prevede un’intromissione nella vita privata dei singoli soggetti solo nel caso in cui queste informazioni possano essere di pubblico interesse.

3. La diffamazione in forma omissiva: l'art.57 c.p.

Il delitto di diffamazione di cui all’art. 595 c.p. presuppone una condotta attiva del soggetto autore dell’articolo diffamatorio, il delitto de quo però può essere realizzato anche in forma omissiva, in ossequio a quanto previsto dall’art. 57 c.p. L’art. 57 c.p. disciplina, invero, la responsabilità del direttore della testata giornalistica per omesso controllo sul contenuto dell’articolo diffamatorio, configurando in tal modo una forma di responsabilità omissiva. Antecedentemente alla modifica apportata dalla legge del 1958, n.127, l’art. 57 c.p., era tradizionalmente annoverato tra le forme di responsabilità oggettiva previste dal codice penale, in quanto il direttore della testata giornalistica era sempre responsabile per il solo fatto della qualifica ricoperta, configurando in tal modo una responsabilità da posizione.

Com’è noto, nel nostro ordinamento non è ammissibile alcuna forma di responsabilità oggettiva, poiché per la configurabilità dell’illecito penale deve essere ravvisabile un coefficiente soggettivo di responsabilità rappresentato almeno dalla colpa, affinché la norma incriminatrice sia compatibile con l’art. 27 della Costituzione. Tale assunto è stato affermato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 3 del 1956 con la quale la Corte ha espressamente rilevato l’incompatibilità dell’art. 57 c.p. con quanto previsto dalla Costituzione all’art. 27, auspicando l’intervento del legislatore. Quest’ultimo è intervenuto con la legge n. 127 del 1958 che ha riscritto l’art. 57 c.p. in modo compatibile con il principio di personalità della responsabilità penale. Ad oggi, infatti, la condotta del direttore della testata giornalistica risulta punibile “a titolo di colpa”, pertanto, non rappresenta più un’ipotesi di responsabilità oggettiva e comporta, ai fini della punibilità, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della colpa. In capo al direttore della testata giornalistica grava un obbligo di controllo sul contenuto dell’articolo, che trova la sua fonte nella posizione di garanzia allo stesso riconosciuta ex art. 40, comma 2, c.p. 

Pertanto, risulta di primaria importanza stabilire il contenuto ed i limiti dell’obbligo di controllo al fine di valutare la diligenza che può richiedersi al soggetto attivo della fattispecie delittuosa. La delimitazione del contenuto dell’obbligo di controllo costituisce operazione preliminare all’individuazione dell’imputazione colposa. Ne consegue che il direttore della testata giornalistica è responsabile in virtù del preminente ruolo da lui svolto che si esplica in particolare nel potere di censura esercitato sul contenuto degli articoli e in quello di sostituzione degli stessi. In altri termini, il direttore della testata giornalistica deve porre in essere i comportamenti necessari ad impedire il verificarsi dell’evento. Il direttore sarà penalmente responsabile del reato di diffamazione nel caso in cui l’evento, pur non essendo stato da lui voluto, non si sarebbe verificato se egli avesse impiegato la dovuta diligenza nel vagliare gli scritti destinati alla pubblicazione.

Peraltro, il reato di cui all’art. 57 c.p. è legato da un nesso di accessorietà necessaria al delitto commesso dall’autore della pubblicazione, in quanto in assenza del reato posto in essere dall’autore dell’articolo diffamatorio non può configurarsi alcuna responsabilità ex art. 57 c.p. del direttore della testata giornalistica. Invero, laddove il direttore della testata giornalistica abbia partecipato al delitto posto in essere dall’autore della pubblicazione, egli risponderà a titolo di concorso nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p. Dunque la responsabilità del direttore per non aver impedito la pubblicazione dell’articolo diffamatorio e conseguentemente del reato ad esso connesso è differente rispetto a quella a titolo di concorso che può sussistere se ed in quanto siano ravvisabili tutti gli elementi concorrenti a norma dell’art. 110 c.p.

In conclusione, il delitto di diffamazione in astratto concepito in forma commissiva può essere realizzato anche in forma omissiva ad opera del direttore della testata giornalista il quale qualora ometta di porre in essere il controllo necessario al fine di impedire l’evento potrà essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 57 c.p.