• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 11 Mag 2017

I criteri di valutazione della giusta causa nelle diverse tipologie di licenziamento.

Modifica pagina

Sara Sammito


La giusta causa per il recesso del contratto di lavoro, la nozione di giustificato motivo soggettivo e oggettivo: analisi degli aspetti giuridici reali e distinzione


1. Il licenziamento: le fonti normative. 2. Definizione di “giusta causa” e le tipologie di licenziamento. La casistica 3. Nozione di giustificato motivo oggettivo e soggettivo e la differenza. 4. Requisiti di adeguamento e proporzionalità nel licenziamento per giusta causa. 5. Conclusioni

  1.Il licenziamento: le fonti normative

La disciplina del licenziamento, prevista nel nostro ordinamento giuridico, richiama all'attenzione una serie di punti essenziali relativamente alle fonti normative che qui è necessario preliminarmente individuare.

In primo luogo, infatti, in tema di fonti normative del licenziamento si richiama da una parte l’importanza dell’art. 1322 c.c. che disciplina il principio di autonomia delle parti nella determinazione del rapporto contrattuale, dall’altra la libera recedibilità di entrambe le parti del contratto di lavoro cosi come statuito all’art. 2118 c.c, ed ancora il principio di libertà negoziale che trova disciplina all’art. 8 della L. 604/1966, sostituito dall’art. 2 della L. 108/1990.

Il suddetto principio di libera recedibilità delle parti non comporta l’esistenza di una motivazione obbligatoria, salvo solo il preavviso, la cui mancanza viene severamente sanzionata da parte del legislatore attraverso il versamento di una indennità sostitutiva quando avviene da parte del datore di lavoro.

Orbene, l’obbligo del preavviso non sussiste qualora una delle parti del contratto, per giusta causa, recede, interrompendo qualsiasi tipo di rapporto lavorativo e fiduciario nell’immediatezza dei fatti.

Così l’art. 2119 c.c. disciplina il licenziamento per giusta causa statuendo che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto, prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità risarcitoria indicata al secondo comma dell’art. 2244 c.c.”

In siffatta ipotesi l’obbligo del preavviso non sussiste se il recesso di una delle parti del contratto si basa su una giusta causa tale da non consentire la prosecuzione, anche solo provvisoria, del rapporto lavorativo.

Quanto appena summenzionato indica ciò che nella realtà troviamo comunemente detto con la definizione di “licenziamento in tronco”, dovuto ad una causa tale da far venir meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e il lavoratore in conseguenza di un fatto che ha minacciato gravemente il rapporto stesso.

L’intento del legislatore per la disciplina del licenziamento per giusta causa è stato principalmente perseguito nella Legge n. 604/1966 che all’art. 1 ha stabilito che “nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo”.

Ciò vuol dire che mentre il lavoratore può dimettersi liberamente, con obbligo di preavviso, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore, anche senza obbligo di preavviso, quindi immediatamente, qualora incorrono delle cause tali da giustificare tale atto ovvero un giustificato motivo, purché la medesima contestazione avvenga nell’immediatezza dei fatti, ovvero in un intervallo di tempo necessario tale da accertare la valenza degli stessi.

Ad ogni modo il legislatore lascia riservata al giudice di merito la valutazione di tutte le circostanze che sono state alla base del licenziamento, anche in riferimento al più o meno lasso di tempo intercorso tra la contestazione degli stessi e la fine del rapporto di lavoro.

Orbene, appare opportuno accennare brevemente la differenza tra ciò che l’art. 2119 c.c. indica per giusta causa -ovvero quel licenziamento che può essere intimato senza preavviso, qualora si verifichi una causa tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro- dalla definizione di giustificato motivo soggettivo posta dalla L. 604/66. Tale ultima nozione di giustificato motivo soggettivo implica che lo stesso debba essere determinato da un inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, da tenere quindi distinto dal giustificato motivo oggettivo e da tutte quelle cause che si riferiscono all’attività produttiva e/o all’organizzazione del luogo ove si svolge la prestazione lavorativa.

2. Definizione di licenziamento per giusta causa e le varie tipologie di licenziamento. La casistica.

La disciplina normativa dettata dal nostro Codice Civile all’art. 2119 regolamenta il recesso per giusta causa in base al quale le parti possono recedere da un contratto prima della scadenza del termine, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

La legge 604 del 15 luglio 1966 affianca la disciplina dettata all’art. 2119 c.c. L’art. 1 della legge enunciata, infatti, stabilisce che “nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento, e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo”.

Ciò posto, quindi, la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del datore di lavoro può essere disposta solo per giusta causa qualora venga posta in essere, da parte del lavoratore, una  trasgressione tanto grave da compromettere l’intero rapporto fiduciario, con la conseguenza che lo stesso può essere risolto immediatamente, allo stato dei fatti, così che deve sussistere la tempestività del provvedimento e la condizione venutasi a creare rende impossibile ogni prosecuzione del rapporto, anche provvisoria. In tal caso è escluso il preavviso.

A differenza di quanto appena detto, il datore di lavoro potrà licenziare il lavoratore per giustificato motivo qualora la trasgressione posta in essere si sostanzia in un inadempimento degli obblighi contrattuali non così grave da giustificare la rottura immediata del rapporto lavorativo.

Le caratteristiche tipiche del licenziamento per giusta causa sono: a) immediatezza della contestazione; b) l’intimazione del licenziamento, c) l’immutabilità dei motivi.

Dottrina e giurisprudenza hanno inteso conformarsi sulla nozione di giusta causa comprendendo tutti quei comportamenti dolosi volti ad un inadempimento ma anche quelli volti a sfiduciare il rapporto lavorativo.

Ebbene, sul punto rilevano le numerose pronunce conformi della Suprema Corte che si sono susseguite negli anni in relazione alla tematica in trattazione, ritenendo di individuare la giusta causa di licenziamento in una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, in particolare dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare sia la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, sia le circostanze e l’intensità con il quale sono stati commessi oltre alla proporzionalità tra la sanzione irrogata e i fatti stessi. (Cass. Civ. n. 6498/2012; Cass. Civ. n. 35/2011; Cass. Civ. n. 15058/2009).

Il fondamento del licenziamento per giusta causa trova il presupposto nella lesione del vincolo fiduciario insito nel rapporto collaborativo tra lavoratore e datore di lavoro e per tali ovvie ragioni la giusta causa va individuata oltre che in relazione alla natura del vincolo contrattuale, anche relativamente alla posizione e alle mansioni del lavoratore svolte all’interno dell’ente, dell’azienda e all’intensità dell’evento.

Inoltre, è legittimo il licenziamento per giusta causa ove vi sia una attenta e dettagliata valutazione di tutte le circostanze del caso, qualora qualsiasi altra sanzione risulti inutile e/o inidonea da applicare al fine di tutelare l’interesse e la figura del posto lavorativo, presso un ente pubblico o privato, ed infine l’impossibilità della prosecuzione del vincolo fiduciario.

La contrattazione collettiva elenca una serie di fatti tipici volti a giustificare il licenziamento giusto, che fino ad oggi ha una valenza esemplificativa e riassuntiva di determinati atteggiamenti che non escludono la sussistenza di ulteriori comportamenti tali da giustificare il licenziamento quale legittimo. In particolare, ad esempio, l’insubordinazione, i comportamenti oltraggiosi e la minacce; il rifiuto di eseguire le prestazioni impartite dal datore di lavoro; gli atteggiamenti scorretti e contrari ai doveri inerenti al tipo di attività e mansione svolta; la violazione dell’ obbligo di riservatezza o di fedeltà; infrazioni disciplinari; l’ abbandono del posto di lavoro; tutti i comportamenti costituente reato.

3Nozione di giustificato motivo oggettivo e soggettivo e la differenza.

Come già accennato il licenziamento per giustificato motivo è inquadrato in una situazione meno grave rispetto al licenziamento per giusta causa, e va distinto in relazione alle nozioni di giustificato motivo oggettivo e soggettivo.

Secondo il disposto della l. 604/66 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ricorre alla presenza di tutti quei fatti inerenti al luogo dello svolgimento dell’attività lavorativa, all’organizzazione del lavoro e al funzionamento di esso, fatti, questi, rimessi alla libera valutazione del datore di lavoro.

Inoltre, la Suprema Corte ha inteso affiancare al licenziamento per giustificato motivo oggettivo la necessità di un riassetto organizzativo del luogo di lavoro attuato ai fini di una più economica gestione e/o al fine di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli.

Il giustificato motivo soggettivo è individuato dall’inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, ovvero da un comportamento posto in essere tale da non essere così grave da poter giustificare la rottura immediata del rapporto lavorativo, ma un inadempimento incompatibile con il tipo di prestazione lavorativa svolta. A differenza del licenziamento per giusta causa entrambe le fattispecie di licenziamento per giustificato motivo richiedono l’obbligo del preavviso.

La Corte di Cassazione ha più volte concordemente ritenuto che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è individuabile nella condotta colposa del lavoratore volta a ledere il rapporto fiduciario intercorrente con il datore (Cass. Civ. N. 21282/2006; Cass. Civi. n. 20232/2010; Cass. Civ. n. 3628/2012).

Si è soliti individuare la correlazione tra il licenziamento per giusta causa da quello per giustificato motivo soggettivo; nessun dubbio sulla natura di entrambi i tipi di licenziamento che sono definiti, appunto, in termini di licenziamenti disciplinari perché il recesso è giustificato da un mero inadempimento da parte del prestatore di lavoro, in rapporto di differenza quantitativa e non qualitativa.

Infatti, mentre la giusta causa si ha quando il lavoratore incorre in un comportamento grave tale da non poter consentire la prosecuzione del rapporto lavorativo, anche provvisoria, e conseguenza è che il datore di lavoro, in tronco e senza obbligo di preavviso, recede dal contratto; il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore ma tale inadempimento non è così grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che in siffatta ipotesi il datore di lavoro ha l’onere di dare il preavviso al lavoratore.

Molto spesso in sede processuale, è possibile per il Giudice di merito applicare la cosiddetta conversione giudiziale di ufficio del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo qualora ai fatti venga attribuita una gravità minore rispetto a quella individuata in precedenza, ma pur sempre giustificanti il licenziamento.

4.Requisiti di adeguatezza e proporzionalità del licenziamento per giusta causa.

Al fine di poter irrogare la sanzione disciplinare più severa è necessaria la presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali tali da non consentire la  prosecuzione del rapporto lavorativo. Occorre pertanto valutare la gravità dei fatti, le circostanze di commissione dei fatti stessi e la proporzione tra la sanzione inflitta e le suddette circostanze.

La proporzionalità e l’adeguatezza sono riferite ad una attività di bilanciamento tra la lesione del rapporto contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro e la sanzione inflitta.

Il suddetto giudizio trova disciplina all’art. 1445 c.c., che valorizza l’importanza dell’inadempimento e ai sensi del quale “il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra”. Ciò vuol dire che l’inadempimento verificatosi deve essere proporzionale alla sanzione inflitta, quindi è necessario che sia un fatto rilevante e dannoso.

La valutazione della gravità dell’inadempimento, così come principalmente affidata al datore di lavoro, in sede procedimentale sarà affidata alla libera discrezionalità del giudice di merio, il quale dovrà giustificare l’applicazione della massima sanzione irrogata, ovvero  la perdita immediata del posto di lavoro da parte del lavoratore, quando il giudizio espresso sull’inadempimento investe la totalità di tutte le circostanze che importano l’intero rapporto di lavoro (Cass. Civ. n. 3477/2012).

La complessa valutazione della gravità dell’infrazione va condotta sulla scorta dell’assenza di cause di giustificazione e sulla base dei seguenti criteri: inesistenza di procedimenti disciplinari pendenti; la posizione del prestatore d’opera all’interno del posto di lavoro; le modalità di commissione del fatto e l’entità del danno provocata al datore.

Il giudizio di proporzionalità va adeguato al dettato normativo di cui all’art. 2119 c.c. e individuato nella disciplina collettiva nazionale esaminando la condotta del lavoratore, in riferimento agli obblighi di lealtà, fedeltà e diligenza. Siffatte ipotesi, sul piano processuale non saranno vincolanti per il giudice di merito, che verificherà a titolo liberamente discrezionale se l’inadempimento e le circostanze siano stati tali da far sembrare legittimo il licenziamento per giusta causa o meno.

5.Conclusione.

All’interno del nostro ordinamento giuridico si trova un rigido sistema di tutele volto soprattutto ai licenziamenti discriminatori e nulli. Se da una parte trova tutela il lavoratore nei suoi diritti al pagamento di una indennità risarcitoria o alla reintegra nel posto di lavoro, dall’altra il regime giuridico analizzato sino ad ora comporta anche una tutela particolare ai datori di lavori di poter procedere nell’immediatezza dei fatti al licenziamento in tronco.

Con l’introduzione del D.lgs. n.23/2015 (decreto attuativo Jobs Act) il lavoratore potrà essere reintegrato nel posto di lavoro nel caso in cui dimostri in giudizio l’insussistenza dei fatti addebitati rispetto ai quali il licenziamento appare quale sanzione sproporzionata. Il decreto Fornero, inoltre, ha introdotto delle sanzioni indennitarie al datore di lavoro qualora il licenziamento sia apparso sproporzionato ai requisiti normativi.

In conclusione l’orientamento di dottrina e giurisprudenza maggioritaria fonda il principio del licenziamento per giusta causa in ossequio al principio di ragionevolezza e proporzionalità, imponendo sempre di verificare se il fatto addebitato sia tale da legittimare la fine del rapporto lavorativo, tenendo conto dell’intenzione del lavoratore, altresì con l’obbligo di motivare le ragioni che hanno indotto a tele decisione.

Riferimenti bibliografici:

  • Giuda al Diritto 2004;
  • Officina del Diritto, Ed. Giuffrè, “Licenziamento prima e dopo la Legge Fornero”
  • Officina del diritto, Ed. Giuffrè, “Jobs Act i licenziamenti e le tutele  crescenti”;
  • Statuto dei diritti del Lavoratore;
  • Rivista del Diritto del Lavoro 2011_2012;
  • “La Cessazione del Rapporto di lavoro”, Pera.