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Pubbl. Lun, 20 Mar 2017

Il danno cagionato da animale domestico

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Giuseppe Mainas


Qualora l´animale domestico lasciato libero venga investito da un’autovettura, il padrone sarebbe responsabile degli eventuali danni recati al mezzo di circolazione stradale. Commento a Cassazione Civile, n. 4202 del 17.02.2017.


Il fatto 

Il cane lasciato libero ed investito da un’automobile comporta la responsabilità in capo al padrone. Quest’ultimo sarà da ritenersi responsabile degli eventuali danni recati alla vettura, ciò è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4202/2017, confermando le decisioni prese dai giudici di primo grado e di appello, che avevano riconosciuto ad un conducente il risarcimento del danno subito dalla propria autovettura in seguito allo scontro con un quadrupede.

Nei precedenti gradi di giudizio era stato dimostrato come il conducente dell’autovettura avesse mantenuto un limite di velocità tale da poter permettere al suo mezzo di essere arrestato in tempo, infatti, la dinamica dell’incidente e i danni riportati evidenziavano proprio, come con tutta probabilità fosse stato l’animale domestico a sbucare improvvisamente.

Dopo aver concluso questa breve disamina generale è opportuno analizzare la tematica nello specifico, esaminando i vari gradi di giudizio che hanno preceduto l’ arresto giurisprudenziale in oggetto ed infine valutare i principi ermeneutici enunciati nella stessa.

In primo grado

La C. s.r.l. convenne in giudizio il signor G. M., dinnanzi al Giudice di pace di Montorio al Vomano, chiedendo il risarcimento dei danni riportati dall’automobile di sua proprietà a causa dello scontro con il quadrupede di proprietà del convenuto, sbucato all’improvviso sulla strada statale dove era di passaggio l’automobilista alla guida del proprio mezzo. Il Giudice di pace accolse la domanda disattendendo le tesi del convenuto che negava esservi alcuna responsabilità.

Il secondo grado

Il signor G.M. decise di appellarsi, ed il Tribunale di Teramo con sentenza dell’11 ottobre 2013, ha rigettato lo stesso ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Il Tribunale ha evidenziato come la ricostruzione dei fatti portava ad affermare che non vi fosse alcuna responsabilità imputabile al conducente dell’autovettura, responsabilità da porre invece integralmente a carico del M., custode dell’animale fuggito.

Non era stato provato, infatti, che il conducente procedesse ad una velocità tale da non poter avere il tempo per poter arrestare in tempo il mezzo, mentre era più che probabile dai fatti emersi ed in considerazione dell’entità dei danni riportati dalla vettura, che il cane fosse sbucato all’improvviso provenendo dalla parte destra della carreggiata, com’era confermato anche dalla presenza di accessi laterali, sebbene sterrati. Il convenuto (G.M.), quindi, non aveva superato la presunzione di cui all’art. 2052 c.c.; né poteva essere censurata la sentenza del Giudice di pace per aver dichiarato il convenuto decaduto dalla prova per testi, premesso che la testimonianza dedotta era del tutto inutile, in quanto avente ad oggetto soltanto il valore del cane e non evidenziava alcun fatto suscettibile di valutazione in sede probatoria.

Il ricorso per Cassazione

Posto ciò, G.M. decide di proporre ricorso contro il Tribunale di Teramo con un atto fondato sostanzialmente su cinque motivi:

PRIMO MOTIVO: in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in merito ad un punto decisivo della controversia.
A parere della difesa del ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nella ricostruzione della dinamica dell’incidente e nell’attribuzione della responsabilità in capo al M.

Tale motivazione, addotta a difesa del convenuto, si è dimostrata non corrispondere al vero poiché la correttezza del comportamento di guida del conducente dell’autovettura sarebbe stata dedotta dall’interrogatorio formale del medesimo; sarebbe invece errata la ricostruzione del M., in quanto, il cane proveniva da destra, mentre sarebbe stata trascurata la deposizione del vigile urbano che aveva negato l’esistenza di accessi laterali alla strada in questione.

SECONDO MOTIVO: in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 228-232 c.p.c., veniva messo in rilievo come il Tribunale avesse utilizzato in favore della società attrice, ai fini della ricostruzione del sinistro, la deposizione resa dal conducente della vettura in sede di interrogatorio formale.

TERZO MOTIVO: in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2054, primo comma, e 2052 c.c., nonché vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Rileva il ricorrente che nel caso di incidente tra un veicolo ed un animale devono farsi riferimento alle due disposizioni normative suindicate, per cui l’accertamento della colpa di una parte non implica il superamento della presunzione a carico dell’altra. Il Tribunale, invece, avrebbe sancito la prevalenza di una presunzione rispetto all’altra.

QUARTO MOTIVO: in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2054, secondo comma, e 2052 c.c., nonché vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia.

Osserva il ricorrente che nella specie si sarebbe dovuta applicare anche la presunzione di cui al secondo comma dell’art. 2054 c.c. e che la sentenza non avrebbe fornito una prova attendibile, poiché la motivazione è palesemente contraddittoria in ordine alla deposizione sull’esistenza di accessi laterali sulla strada, circostanza da escludere in base alle prove documentali e testimoniali assunte.

I principi enunciati dalla Corte nelle sentenze 9 gennaio 2002, n. 200, e 7 marzo 2016, n. 4373, secondo cui in caso di urto tra un autoveicolo ed un animale concorrono la presunzione di responsabilità del proprietario o utilizzatore dell’animale e la presunzione di colpa a carico del conducente del veicolo, non giovano in alcun modo al ricorrente, posto che la sentenza impugnata ne ha sancito in concreto l’inapplicabilità in forza del positivo accertamento delle rispettive responsabilità.
Ciò premesso, occorre aggiungere che è reale la doglianza secondo cui il Tribunale si sarebbe basato, nella ricostruzione dei fatti, unicamente sulla deposizione resa in sede di interrogatorio formale da parte del legale rappresentante la società attrice (con ciò violando gli artt. 228-232 c.p.c.), dato che la ricostruzione in fatto è più ampia e i motivi a sostegno della medesima sono differenti e tra loro connessi in modo del tutto logico (1.posizione del cane 2.punto d’urto 3.presenza di accessi laterali ecc).

QUINTO MOTIVO: in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 250 c.p.c., dell’art. 104 delle norme di attuazione del medesimo codice, nonché vizio di motivazione.

La doglianza, in questo caso, investe il profilo della mancata assunzione della prove testimoniale, a seguito della declaratoria di decadenza, ritenuta ininfluente ai fini della decisione. La prova doveva invece essere ammessa, premesso che il ricorrente aveva proposto domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni a lui derivati dalla morte del quadrupede di sua proprietà. Il motivo è stato dichiarato inammissibile per difetto di interesse del ricorrente.
Come già evidenziato dal Tribunale in precedenza, una volta che è appurato che la responsabilità è da porre integralmente a carico del proprietario del cane, non ha alcuna rilevanza stabilire il valore dell’animale rimasto senza vita a seguito dell’urto, dato che la domanda riconvenzionale per danni non poteva comunque essere accolta in alcun modo.

Per le ordini di ragioni suesposte, il ricorso, è stato rigettato,. ma non occorre provvedere per quanto riguarda le spese, dato la C. s.r.l. non ha depositato un vero e proprio atto di controricorso.
Ricapitolando brevemente quanto enunciato dalla sentenza in oggetto, è facilmente rinvenibile come il codice civile stabilisca che il proprietario di un animale sia responsabile dei danni causati dallo stesso, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che venga provato il caso fortuito. Il legislatore considera fonte di una vera e propria responsabilità oggettiva la condotta del padrone del cane, in quanto la stessa, prescinde dalla sua malafede o da qualsiasi colpa.

Le condotte dell’animale, dunque, non volute o non preventivabili dal proprietario ricadono sempre in capo allo stesso, a meno che sia intervenuto un fattore impossibile da impedire, anche mediante la massima diligenza. Da ciò deriva che se un cane attraversa la strada all’improvviso, sfuggendo al padrone o strattonando il guinzaglio, la colpa non è mai del conducente.

Nel caso de quo la Cassazione ritiene che non si debbano applicare le norme sugli incidenti stradali tra le automobili, ovvero, quelle norme che stabiliscono una presunzione di pari responsabilità tra conducenti nell’ipotesi in cui nessuno dei due riesce a fornire la prova della propria guida prudente e la prova dell’altrui colpa. Quando ad essere investito è l’animale il padrone ne risponde, in quanto, su di lui grava l’onere di impedire danni a terzi.

Posto ciò andrebbe analizzata un ulteriore caso estremamente attinente a quello appena trattato: nel caso in cui sbucasse da un momento all’ altro una persona e non un animale, in mezzo alla strada e l’ autovettura lo investisse, causandone ad esempio delle lesioni gravi o addirittura la morte dello stesso,  il conducente potrebbe essere incolpato per omicidio colposo?

Vi è chi ha sostenuto l' assenza di responsabilità dell' automobilista proprio sulla base del principio di affidamento. Si è affermato infatti che ciascun attore della circolazione stradale è tenuto a rispettare le regole ma pretende anche che gli altri facciano altrettanto, dunque si affida alla diligenza del loro comportamento. Nell'ipotesi in cui un soggetto agisca imprudentemente tradisce questo principio, sicchè appare iniquo che chi abbia interagito con costui sia sottoposto ad una eventuale sanzione penale.

Questa impostazione non è accolta dalla giurisprudenza, la quale, ritiene che il principio di affidamento possa trovare cittadinanza nel nostro ordinamento solo in casi eccezionali. Sarebbe pura utopia il sol immaginare che chiunque si metta al volante sia prudente e diligente, perchè chiunque ha un minimo di esperienza alla guida sà perfettamente che occorre stare estremamente attenti poichè il guidatore imprudente e distratto è dietro l' angolo.

Posto ciò, l' automobilista deve essere in grado di considerare la possibilità di condotte imprudenti da parte dei pedoni e deve essere in grado di neutralizzare tempestivamente (in primis, regolando la velocità dell' automobile). Naturalmente ciò non vuol dire predicarne la sanzionabilità in ogni caso, altrimenti si sfocerebbe in una assurda ed impensabile responsabilità di posizione. Vi sono condotte talmente abnormi ed eccezionali da parte dei pedoni tali da rendere inesigibile una condotta diversa da parte dell' automobilista.

Naturalmente l’ipotesi dell’ omicidio doloso non trova cittadinanza in tal caso, poiché, si parla di un evento provocato da negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline; qualora venisse provato che la condotta del conducente è stata mossa dall’ intento di provocare la morte o le lesioni della vittima tale argomentazione non avrebbe ragione di esistere.

Il conducente dell' automobile, dunque,ne risponderebbe solo nel caso in cui tenesse una condotta tale, da violare la ratio della norma stessa che è appunto finalizzata ad evitare l’ evento. Ad esempio nel caso in cui investisse una persona dopo avere violato il limite di velocità, proprio perché la ratio della norma che fissa un determinato limite oltre il quale non è possibile andare, è proprio quello di evitare eventuali incidenti, lesioni o nel peggiore dei casi la morte delle persone. Il conducente, quindi, che rispetta il limite di velocità e non viola nessun altra regola finalizzata ad evitare l’ evento (ad esempio sarebbe ugualmente responsabile qualora rispettasse il limite di velocità ma avesse abusato di sostanze alcoliche o tossiche), non è penalmente sanzionabile poiché ha rispettato tutte le regole poste in essere dal legislatore.

Conclusioni

Occorre fare un breve cenno riguardo alla rilevanza del soggetto offeso in materia di lavoro. I giudici hanno appositamente lasciato spazi angusti, proprio per evitare la responsabilità dei datori di lavori quando gli incidenti verificatisi a danno degli operai siano dovuti al mancato rispetto delle norma anti-infortunistiche, sia ad un comportamento imprudente dei lavoratori stessi. Anche in questo caso si ritiene che l'imprudenza dell'offeso non possa essere utilizzata come un comodo alibi per neutralizzare l'efficienza causale della mancata predisposizione di strutture sicure. Ne consegue che potrà escludersi la responsabilità solo se il comportamento dell'offeso sia caratterizzato da una abnormità tale per cui il sinistro verificatosi in capo allo stesso sia imputabile esclusivamente al suo gesto.