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Pubbl. Mer, 8 Mar 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

Il cardinale Eugenio Pacelli e la tutela dei diritti fondamentali della persona umana tra silenzio formale e operosità

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Eleonora Iozzia


Santa Sede, Secondo conflitto mondiale, Nazismo.


SOMMARIO: 1.L’ascesa al soglio pontificio di Pio XII; 2. Il papa della pace; 3. Operazione Orchestra Nera; 4. Il papa non silenzioso; 5. Scomunicare Hitler; 6. L’imparzialità di Pio XII; 7. L’impegno della Santa Sede nei confronti degli ebrei; 8. Il silenzio di Pio XII; 9. Il papa era a conoscenza della "soluzione finale"? 10. Gli ebrei romani e l’impegno del papa; 11. L’episcopato tedesco di fronte alla Shoah; 12. Il radiomessaggio natalizio del 1941; 13. Il radiomessaggio natalizio del 1942 e la reazione nazista; 14. La Chiesa e la tutela dei diritti fondamentali della persona umana.

PREFAZIONE

Eugenio Pacelli è oggi comunemente noto come il papa più discusso del '900, l'uomo chiamato a guidare la Chiesa cattolica negli anni terribili della seconda guerra mondiale, ma soprattutto è ricordato come il "papa dei silenzi" per non essersi opposto con una pubblica denuncia allo sterminio degli ebrei. L’accusa più grave che si è mossa al pontefice è, infatti, di non aver mai pronunciato un discorso pubblico in cui condannasse il nazismo e le atrocità di cui si rendeva autore. La memoria di una tra le più importanti personalità del XX secolo è stata oscurata con la creazione una vera e propria "leggenda nera". Pio XII è stato, infatti, dipinto come collaboratore nazista e pontefice algido e avaro, colpevole di un silenzio inescusabile dinanzi alla vicenda che vedeva protagonisti gli ebrei, perseguitati e uccisi dai nazisti. Oggi, la storiografia è divisa tra apologeti e critici di Pio XII, in particolare per ciò che riguarda il suo atteggiamento nei confronti della persecuzione antiebraica,la Shoah. Una divisione che si traduce nell’impegno degli uni a sostenere che Pio XII abbia fatto ciò che poteva e doveva fare, cui si contrappongono gli altri per negare che sia stato così. Si assiste, perciò, a due processi in parallelo in cui all’ "assoluzione" ad opera dei primi corrisponde immancabilmente la "condanna" da parte dei secondi.

Ritengo opportuno precisare che con questo lavoro non si aspira a prendere parte a tale discussione, aggiungendo un nuovo anello a una catena già lunga. Meno che mai si intende svolgere un ruolo di mediatore tra le parti, proponendo una sorta di via mediata tra le tesi contrapposte, nelle vesti di giudice o di osservatore spassionato. Altra, infatti è l’ambizione di chi scrive: il problema non è stabilire ciò che il papa avrebbe potuto fare e non ha fatto,o di sostenere che egli ha fatto ciò che doveva perché non poteva fare altrimenti,ma di determinare in primo luogo ciò che egli ha fatto alla luce del contesto nel quale lui e i suoi collaboratori hanno potuto operare. E’ solo su questa base, infatti, che si può formulare un giudizio storico, valutare, cioè, quali sono state le conseguenze degli atteggiamenti adottati e delle scelte compiute sul corso degli avvenimenti. Con tale lavoro si vuole ricostruire la personalità dell’uomo chiamato a vestire i panni di Pietro negli anni più tragici della storia dell’umanità.

1. L’ASCESA AL SOGLIO PONTIFICIO DI PIO XII

Alla morte di Pio XI, in Vaticano, ci accese il dibattito se il successore di Pietro dovesse essere un uomo diplomatico o irruente e combattivo come il precedente. La Chiesa, in quel momento, aveva indubbiamente bisogno di una persona saggia, che sapesse, altresì, come muoversi sulla scena politica. Il dibattito venne, così, risolto in favore di Eugenio Pacelli, " il diplomatico con maggiore esperienza e più brillante nella piazza[1]".

Pacelli vantava un’ambia esperienza nel campo della diplomazia: nel 1911 fu nominato sottosegretario, nel 1914 segretario agli Affari Straordinari di Stato, successivamente fu nominato nunzio a Monaco e a Berlino e infine dal 1920 al 1938 segretario di Stato.

Il Conclave del 1939 fu un evento di cruciale importanza internazionale in un periodo in cui si profilava il conflitto tra le grandi potenze. Pio XI aveva preso posizione contro il regime in Germania con l’enciclica Mit brennender Sorge del 1937 e al momento della sua morte i rapporti con l’Italia fascista erano piuttosto critici .

Pio XI durante il suo pontificato manifestò in diverse occasioni il suo apprezzamento per il cardinale Pacelli, apprezzamento accompagnato da frasi che lasciavano intendere che Pacelli, se fosse salito al soglio pontificio, sarebbe stato un eccellente papa [2]. Subito dopo la morte di papa Ratti, la stampa tedesca aveva intrapreso una campagna per evitare l’elezione di Pacelli, il quale, evidentemente, non poteva essere considerato un "amico" degli esponenti del regime. Il giornale nazista "Das Reich", pochi giorni prima del Conclave, aveva scritto: "Pio XI era un mezzo ebreo, poiché sua madre era una giudea olandese, ma il cardinale Pacelli è interamente ebreo[3]" .Il 3 marzo del 1939 il "Berliner Morgenpost" fa osservare che "l’elezione di Pacelli non è accolta favorevolmente in Germania, perché egli è sempre stato ostile al nazionalsocialismo"

Il Conclave del 1939 rappresenta il più breve della storia. Secondo alcune indiscrezioni, il cardinale Pacelli ottenne 35 voti al primo scrutinio e 48 al secondo, e al terzo scrutinio ottenne la maggioranza necessaria per diventare papa.

Alle ore 17:27 dalla Cappella Sistina si levò una fumata bianca. In tutta Roma, e poi in tutto il mondo, le campane suonarono a festa. In quel momento al cardinale Pacelli venne eletto Papa. Si sarebbe chiamato Pio, come il papa Pio IX, sotto il cui regno era nato sessantatre anni prima; come il papa Pio X con cui era cominciata la sua carriera ecclesiastica; e infine come Pio XI, che per lui era stato un padre e modello luminoso[4].

L’elezione di Pacelli fu accolta con entusiasmo da ogni Paese europeo, eccetto che dalla Germania nazista, che, infatti, in occasione della sua incoronazione, non inviò alcun rappresentante politico, tuttavia l'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Diego von Bergen, fece recapitare le congratulazioni di Hitler e di tutto il governo del Reich. Si comprende, dunque, come la nomina di Eugenio Pacelli a pontefice non sia stata ben vista dal regime nazista.

2. IL PAPA DELLA PACE

Pio XII,nel momento in cui iniziava il suo pontificato,considerava il problema delle relazioni fra Stato e Chiesa in Germania come centrale per la Santa Sede .Lo disse esplicitamente ai cardinali tedeschi dopo il conclave: "Il problema tedesco è per me il più importante. Intendo riservarmene la trattazione" .

Nonostante le mancate congratulazioni da parte di Hitler, Pacelli decise lo stesso di scrivere al Fuhrer. Del resto il protocollo esigeva che ogni nuovo pontefice comunicasse la propria elezione ai capi di Stato di tutte le nazioni con cui la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche. Successivamente il pontefice assunse alcune iniziative per tentare di avviare un processo di distensione.

Pio XII, infatti, non riprese i rilievi critici mossi al suo predecessore. Si mostrò fin dall’inizio orientato a tentare la strada della pacificazione:"Il mondo deve vedere che noi abbiamo tentato di tutto per vivere in pace con la Germania".

Pacelli amava la Germania, e provava una profonda stima per il popolo tedesco, ciò risulta confermato dalla composizione dell’entourage del pontefice, formato quasi completamente da persone di personalità tedesca, tra i quali va menzionata la consigliera del pontefice, suor Pascalina. L’amore che provava per quel popolo gli faceva continuamente tornare alla memoria gli anni trascorsi a Monaco e a Berlino, che considerava gli anni migliori della sua vita. Perciò lo faceva tanto più soffrire- riporta suor Pascalina- l’ "infausto sviluppo degli eventi in Germania,avendo sempre sotto gli occhi i tentativi di Hitler di trasformare quel popolo che lui così a lungo aveva avuto modo di conoscere,apprezzare e amare". Tre giorni dopo che Pio XII ebbe ricevuto il triregno, l’esercito tedesco marciava verso la Cecoslovacchia allo scopo di riannettere "le antiche terre imperiali di Boemia e Moravia".Preoccupato dall’avanzata di Hitler, il governo della Cecoslovacchia fu pronto a cedere i territori rivendicati dalla Germania. A partire da quel momento il dittatore in camicia bruna rivolse lo sguardo alla Polonia,con la quale c’erano, ormai da diversi anni, forti conflitti. Hitler, incontrando il suo stato maggiore il 22 agosto del 1939 spiegò il suo piano rispetto alla Polonia, dicendo in quell’occasione:"Ho solo paura che all’ultimo momento qualche canaglia mi proponga un piano di mediazione[5]". Ci fu, infatti chi, a Roma,si impegnò in tutti i modi per cercare una mediazione. Intanto la Polonia si era alleata con l’Inghilterra e la Francia contro un’eventuale aggressione tedesca, mentre la Germania aveva stretto un patto tedesco con la Russia che prevedeva la comune spartizione della Polonia.Il pretesto iniziale era la restituzione della città di Danzica alla Germania e la realizzazione di un corridoio terrestre per raggiungere i territori tedeschi “separati” dal Reich .

Il papa - era il 24 agosto- si trovava a Castel Gandolfo quando venne a conoscenza dei pieni tedeschi e dell’assenso russo. Egli decise,allora,di parlare alla Radio Vaticana che divenne – e lo sarà sempre più negli anni a seguire- la voce del papa nel mondo. Una frase di quel discorso è passata alla storia: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra».

A entrambi i Paesi il 31 agosto pervenne un estremo appello del papa: "Sua Santità supplica, in nome di Dio, i governi della Germania e della Polonia di fare di tutto per evitare qualsiasi incidente e di astenersi dal prendere qualsiasi misura capace di aggravare l’attuale tensione". Nuovamente sembrò aprirsi qualche spiraglio di speranza.

Ma il papa non fu ascoltato. La guerra della Germania contro la Polonia iniziò all’alba del 1 settembre del 1939. La Seconda Guerra Mondiale iniziò, dunque, con una puntualità sorprendente: l’avevano, infatti, già prevista vent’anni prima alcuni dei protagonisti del Trattato di Versailles.

Pio XII desiderava che l’Italia rimanesse neutrale non soltanto per risparmiare lutti e rovine alla sua nazione, ma anche perché la Santa Sede potesse continuare a svolgere la sua attività, senza trovarsi accerchiata e chiusa tra Paesi in guerra. Mentre le truppe del Reich marciavano sulla Polonia, l’Italia aveva ribadito il proprio non interventismo, e Pio XII fece di tutto affinché questo atteggiamento non mutasse.

Ben presto arrivarono in Vaticano le prime notizie sulle brutalità commesse dai nazisti nei territori occupati. Pio XII, in quella situazione, non poteva non mantenersi neutrale per non perdere, in futuro, l’opportunità di fare da mediatore, ma non poteva né tacere né negare la propria solidarietà al Paese invaso.

I tentativi del papa di pervenire alla pace erano tutti falliti.

Il papa aveva cercato di impedire che la guerra scoppiasse,e quando era scoppiata aveva provato a fermarla, cercando, altresì, nel 1940, di mantenere l’Italia neutrale. Il 10 giugno del 1940 l’Italia entra in guerra. Il papa si ritrovava sconfitto. La sola cosa che gli restava da fare adesso era di impegnarsi a rendere più umana la tragedia che si stava svolgendo.

3. OPERAZIONE ORCHESTRA NERA

L'accusa di filo-nazismo mossa a papa Pacelli decade soprattutto a seguito della verità emersa dagli archivi vaticani, secondo cui papa Pio XII avrebbe dato il proprio appoggio al tentativo di rovesciare Hitler. Si tratta di un’operazione messa in atto da alcuni ufficiali tedeschi tra il novembre del 1939 e il febbraio del 1940, i quali presero contatto con il Vaticano per chiedere al papa di fare da tramite tra i congiurati e il governo inglese. Si trattava di ufficiali ostili alla dittatura hitleriana, che volevano instaurare un governo democratico in Germania ridando l’indipendenza ai Paesi occupati dal regime nazista. L’operazione, chiamata “Orchestra nera”, come nere erano le toghe dei preti tedeschi, non fu portata a termine; i congiurati ci riprovarono qualche anno più tardi, nel 1944. Il capo della resistenza tedesca fu il generale Ludwig Beck, che Pacelli aveva conosciuto bene durante gli anni trascorsi presso la nunziatura di Monaco.

Il coinvolgimento del papa in un’operazione di questo tipo era pericolosissimo: se fosse trapelata la partecipazione di Pacelli, le conseguenze sarebbero ricadute sui cattolici tedeschi. Il complotto venne organizzato da Hans Oster, un agente dei servizi segreti di Berlino, che era in contatto con alcuni ufficiali dell’ "Abwehr", il controspionaggio delle forze armate tedesche. Oster scelse come contatto con il Vaticano un avvocato cattolico bavarese ,Josef Muller, anch’egli già ben conosciuto dall’allora cardinale Pacelli. Il progetto prevedeva che Pio XII,attraverso il rappresentante del governo inglese in Vaticano,d’Arcy d’Osborn,si mettesse in contatto con il primo ministro inglese e cercasse le garanzie richieste .Il papa si consultò con Leiber e con Kaas,ma decise di lasciare completamente all’oscuro la Segreteria di Stato. Dopo appena un giorno di riflessione,il 6 novembre del 1939, il pontefice fece sapere a Muller di essere disponibile a fare "tutto quello che poteva" e incaricava padre Leiber di mantenere i contatti[6]. Il diplomatico inglese,d’Arcy Osborne, incontrò privatamente il papa, che segretamente gli confidò di aver appreso da fonti attendibili su una prossima violenta offensiva tedesca a ovest,che avrebbe potuto anche non verificarsi se i capi militari del complotto fossero riusciti a rovesciare Hitler. Nella nota indirizzata al governo inglese,Osborne scriveva:"Pacelli desiderava passarmi la notizia per pura informazione. Non desiderava minimamente appoggiarla o raccomandarla. Dopo aver ascoltato i miei commenti sulla notizia che aveva ricevuto e mi aveva passato, disse che forse, dopotutto, non valeva la pena portare avanti la cosa,e inoltre mi chiese di considerare la sua comunicazione come se non fosse stata fatta .Tuttavia declinai prontamente, dicendo che rifiutavo di farmi scaricare addosso le responsabilità della coscienza di Sua Santità[7]". Nel dispaccio dell’ambasciatore britannico traspare un certo distacco del pontefice. Con la sua azione e questi contatti, il papa era infatti venuto meno al tradizionale atteggiamento della Santa Sede. L’insistenza del papa sulla segretezza era motivata dal fatto che egli sapeva dell’esistenza di spie naziste in Vaticano[8]. Il 6 febbraio Pio XII convocò nuovamente d’Arcy Osborne in gran segreto. Nella nota spedita il giorno successivo, il diplomatico scriveva che il papa era stato nuovamente avvicinato dai cospiratori, che nel complotto era coinvolto un noto generale tedesco e che l’offensiva a ovest di Hitler era stata posticipata a causa del tempo troppo rigido. Il complotto – va ricordato – prevedeva di deporre Hitler per portarlo davanti a un tribunale, non la sua eliminazione fisica (progetto al quale difficilmente il papa avrebbe potuto aderire), non venne messo in atto.

E’ passata alla storia una celebre frase di Pio XII: "Nulla abbiamo lasciato di intentato"; inizialmente questa frase non è stata compresa, ma oggi, a seguito di tutti gli studi sull’argomento, si comprende il senso profondo di quelle parole: il papa aveva partecipato addirittura ad un complotto contro Hitler, questo nella speranza di mettere fine alle atrocità commesse dal regime. Se il Fuhrer ne fosse venuto a conoscenza , è probabile che si sarebbe vendicato crudelmente sulla Chiesa cattolica in Germania.

Qualche anno dopo,il 20 luglio del 1944,a Rastemburg, nella Prussia orientale, avvenne il più importante attentato contro la vita di Hitler. Si tratta di un episodio che se avesse avuto esito positivo avrebbe cambiato probabilmente il corso della storia, risparmiando migliaia di vite umane. Il complotto fu portato avanti da un gruppo di ufficiali della Wehrmacht, decisi a riscattare l'immagine dell'esercito: l'unico modo era uccidere il Fuhrer. Tale operazione fu chiamata "Valkiria"; e prevedeva che, in caso di una sommossa, il controllo della situazione interna fosse garantito dall'esercito. Inoltre il colonnello Von Stauffenberg sosteneva che, dopo l'eliminazione di Hitler, fosse il generale Beck (che era capo di Stato maggiore dell'esercito fino al 1939, poi dimissionario) a prendere il potere, il quale avrebbe intrapreso una serie di trattative per far uscire il paese dalla guerra. L’occasione propizia per agire si presentò quando il colonnello Von Stauffenberg venne convocato dal Fuhrer nella "tana del lupo", insieme ad altri ufficiali,la mattina del 20 luglio. Von Stauffenberg arrivato all’aeroporto di Rastenburg, accompagnato da W. Von Haeften e H. Stieff, si diresse al quartier generale del Fuhrer portando con sé una borsa nella quale erano state depositate due cariche di esplosivo. Von Stauffenberg una volta arrivato nel bunker, prese la valigia con gli esplosivi ed entrò in uno spogliatoio, dove collegò i due detonatori a una delle cariche esplosive,senza però attivare anche l’altra, che invece tolse dalla borsa. In ogni caso all’ora stabilita Von Stauffenberg entrò nella baracca dove si teneva l’incontro e consegnò la borsa a Freyend,dicendogli di collocarla vicino al Fuhrer .Freyend la poggiò ai piedi del tavolo a pochi metri di distanza da Hitler. Dopo pochi minuti il colonnello Von Stauffenberg lasciò la sala dando l’impressione di aver dimenticato qualcosa. Alle 12:40 ci fu l’esplosione. I due ufficiali pensavano che Hitler fosse stato colpito mortalmente: infatti, mentre lasciavano la "tana del lupo" avendo visto, su una barella, un ferito coperto con l’impermeabile del Fuhrer, ne dedussero che egli fosse morto. Purtroppo quella stessa sera i congiurati scoprirono la verità : Hitler era uscito solo leggermente ferito dall’attentato e la sera stessa aveva parlato alla radio.

Nella tarda serata appariva chiaro che il colpo di Stato era fallito.[9]

Quella stessa notte alcuni reparti dell’esercito al comando del generale Fromm circondarono la Bendlerstrasse, la occuparono e arrestarono gli ufficiali congiurati, molti dei quali neppure portavano armi. Per i capi della rivolta fu invece immediatamente emessa sentenza di morte,prontamente eseguita nel cortile interno al palazzo.

L'attentato, oltre a non causare il colpo di Stato, inasprì il clima di controllo che la Gestapo e gli altri organi di polizia, avevano sulla popolazione. Oltre 5000 tedeschi furono giustiziati (o costretti ad ammazzarsi come Rommel) dal tribunale del giudice Reisler, fino al febbraio 1945.

4. IL PAPA NON SILENZIOSO

Nel momento in cui Eugenio Pacelli diventava papa era un aperto critico di Hitler e del nazismo. La sua prima enciclica, Summi Pontificatus, implorava la pace e rigettava il nazismo. Pubblicata solo poche settimane dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale,la Summi Pontificatus afferma che nella Chiesa cattolica "non esiste più greco e giudeo,circonciso e incirconciso": un chiaro rigetto dell’antisemitismo nazista. Come tale essa fu ampiamente riconosciuta soprattutto nella Germania nazista."Questa enciclica" scriveva il capo Gestapo, Heinrich Muller, "è diretta esclusivamente contro la Germania, sia contro l’ideologia sia riguardo alla disputa tedesco-polacca. E’ fuori discussione quanto pericolosa essa sia per le nostre relazioni estere come pure per i nostri affari interni[10]". Aerei alleati lanciarono 88.000 copie dell’enciclica su vari territori della Germania nel tentativo di risollevare i sentimenti antinazisti.

Per tutta la Seconda guerra mondiale papa Pio XII parlò in favore degli ebrei. Quando apprese delle atrocità naziste in Polonia, egli esortò i vescovi europei a fare tutto ciò che fosse in loro potere per salvare gli ebrei e le altre vittime della persecuzione nazista.

Il 19 gennaio del 1940, su istruzione del papa, la Radio Vaticana e il quotidiano vaticano, L’Osservatore Romano, rivelarono al mondo le spaventose crudeltà dell’incivile tirannia che i nazisti stavano infliggendo agli ebrei e ai cattolici polacchi[11]. La settimana successiva,il "Jewish Advocate" di Boston riferì della trasmissione radiofonica vaticana,lodandone la "chiara denuncia delle atrocità tedesche nella Polonia nazista,dichiarando che esse costituivano un affronto alla coscienza morale dell’umanità[12]".

Nel marzo del 1940,Pio XII ricevette in udienza privata il ministro degli Esteri tedesco, Von Ribbentrop,il solo nazista ai vertici del partito ad aver visitato il Vaticano .In quell’occasione il ministro accusò il pontefice di essersi schierato con gli Alleati, mentre Pio XII iniziò a leggere un foglio nel quale aveva annotato tutte le atrocità che il partito aveva commesso."Con parole roventi rivolte a Ribbentrop " riportò il New York Times il 14 marzo,Pio XII"è corso in difesa degli ebrei di Germania e Polonia[13]".

Nel giugno del 1942 ,egli parlò contro la deportazione di massa di ebrei della Francia occupata dai nazisti. Ancora,ordinò al nunzio apostolico a Parigi di protestare dinanzi al presidente della Francia di Vichy,maresciallo Henri Petain,contro " gli arresti inumani e le deportazioni di ebrei dalla zona della Francia occupata alla Slesia e a zone della Russia".

Il London Times del 1° ottobre del 1942 lodò esplicitamente Pio XII per la sua condanna del nazismo e per il suo appoggio pubblico alle vittime ebraiche del terrore nazista. I discorsi natalizi di Pio XII, trasmessi a milioni di persone nel mondo attraverso la Radio Vaticana, affrontavano il tema del terrore del nazista,e della “vicinanza” alle vittime ebraiche.

Ogni anno, infatti, il papa approfittava della ricorrenza del Natale per diffondere un radiomessaggio in cui, oltre a pronunciare parole di speranza, faceva il bilancio dell'attività svolta, offrendo spunti di riflessione e proposte concrete per l'avvento della pace. Tuttavia, nel messaggio natalizio del 1942 il pontefice si spinse oltre prendendo una precisa posizione anti-nazista. Il radiomessaggio papale del Natale 1942 fu, infatti, accolto con aperta ostilità dalle potenze dell’Asse, in particolare dalla Germania, e con ostentata freddezza da parte degli Alleati. La parte del radiomessaggio che maggiormente attirò l’attenzione dei politici e della diplomazia fu l’ultima, in cui il Papa trattò della guerra in corso denunciandone le atrocità e, in particolare, la deportazione-sterminio degli ebrei. Dalle fonti esaminate appare con certezza che il papa era «soggettivamente» convinto di aver denunciato al mondo ciò che stava accadendo agli ebrei nei territori sottoposti all’autorità tedesca, di aver parlato «forte» contro gli orrori della guerra e, in particolare, contro i crimini nazisti.

All’epoca,comunque, si pensava che la condanna del papa contro i nazisti avrebbe portato a violente ritorsioni. Anche il critico papale Rolf Hochhuth ha ammesso che Hitler prese in considerazione l’idea di invadere il Vaticano[14]. Lo stesso Hitler dichiarò pubblicamente di volere entrare in Vaticano e di rapire il pontefice. Pio XII nonostante fosse a conoscenza dei piani nazisti per rapirlo non fece mai un passo indietro, era pronto anche ad essere eventualmente deportato in un campo di concentramento. E’ noto, infatti, che a un certo punto Hitler progettò di rapire il papa e di imprigionarlo in Alta Sassonia. Il rabbino Dalin riferisce "Abbiamo le minute di un incontro del 26 luglio del 1943, durante il quale Hitler parlò apertamente di invadere il Vaticano. Ernst Von Weizsacker , ambasciatore tedesco in Vaticano,ha scritto di aver sentito di un piano di Hitler per rapire Pio XII e di aver regolarmente avvertito i responsabili vaticani di non provocare Berlino[15]". L’ambasciatore nazista in Italia,Rudolf Rahn, ha anche descritto uno dei complotti di Hitler per il rapimento,e i suoi tentativi ,insieme ad altri diplomatici nazisti ,di scongiurarlo. Così ,ancora,il generale Karl Otto Wolf, capo delle SS in Italia alla fine della guerra, ha testimoniato di aver ricevuto ordini da Hitler nel 1943 "di occupare al più presto possibile il Vaticano, di catturare gli archivi e i tesori artistici, che hanno un valore inestimabile, e di trasferire il papa ,insieme alla Curia, per la loro protezione, in modo che non cadessero nelle mani degli Alleati ed esercitassero un’influenza politica". Wolff tentò nel dicembre del 1943 di dissuadere Hitler dal progetto.

5. SCOMUNICARE HITLER

Il comportamento di Pio XII è stato, però, contraddittorio, in quanto nonostante la perseveranza delle sue critiche nei confronti del nazismo, non ha mai scomunicato Hitler né i membri del suo entourage. La scelta di Pio XII di non scomunicare Hitler fu dettata dalla necessità di prudenza. Il papa doveva agire con cautela senza mettere in pericolo la vita dei cattolici, e nello stesso tempo era consapevole di dover soppesare le sue parole, soprattutto considerando il fatto che migliaia di ebrei erano nascosti in Vaticano.

Il segretario generale del World Jewish Congress scrisse a don Sturzo affinché suggerisse al papa di scomunicare Hitler. Ma nello stesso tempo Sturzo riteneva che la scomunica fosse un’arma da usare con considerevole attenzione,e così argomentava: "Temo che Hitler risponderebbe alla scomunica uccidendo un maggior numero di persone,a cominciare dagli ebrei[16]". Gli scrittori e gli studiosi che hanno studiato la psicologia di Hitler condividono il punto di vista di Sturzo, ritenendo che ogni provocazione da parte del papa avrebbe avuto come effetto una rappresaglia violenta,la perdita di molte più vite ebraiche (specialmente di coloro che all’epoca erano sotto la protezione della Chiesa) e un’intensificarsi della persecuzione nazista dei cattolici[17]. Scomunicare Hitler sarebbe stato un gesto puramente simbolico, e avrebbe probabilmente causato un aumento delle persecuzioni.

Molti all’epoca temevano che la scomunica papale di Hitler avrebbe incitato il Fuhrer a scagliarsi contro la Chiesa e contro gli ebrei in forma ancora più violenta. Questa è una tesi sostenuta da molti ebrei sopravvissuti all’Olocausto come Marcus Melchior,ex rabbino capo di Danimarca, il quale ha affermato che "è un errore pensare che Pio XII potesse avere una qualsivoglia influenza sulla mente di quel pazzo. Se il papa avesse parlato chiaramente,Hitler avrebbe probabilmente massacrato più di sei milioni di ebrei e forse dieci volte dieci milioni di cattolici,se avesse avuto il potere di farlo[18]". La scomunica di Hitler avrebbe probabilmente avuto delle conseguenze tragiche sia nei confronti dei cattolici sia nei confronti degli ebrei. La reazione del Fuhrer sarebbe stata il massacro di centinaia di migliaia di vittime innocenti..

Papa Pio XII era consapevole che le sue parole non avrebbero fermato l’Olocausto .Egli le misurò in modo da non mettere a rischio le vite che poteva salvare.

6. L’IMPARZIALITA’ DI PIO XII

Con il conflitto ormai avviato,il papa non poté più fare molto. Aveva imparato dal suo predecessore Benedetto XV che nei periodi di guerra l’imparzialità è indispensabile affinché la Santa Sede abbia la possibilità di aiutare tutte le vittime del conflitto[19].

Pio XII non giunse mai, durante la guerra, a prendere esplicita posizione contro il nazismo con una scomunica ufficiale. Pio XII aveva avuto una grande scuola, che gli aveva dato modo di collaborare con Benedetto XV durante la Prima Guerra Mondiale. Rispetto al suo predecessore, fu, però, più cauto relativamente al proporre piani per la pace. Era consapevole dell’inutilità di proporre trattati di qualsiasi genere a Hitler. I tentativi di proporre la pace che erano stati fatti da Benedetto XV e da Pacelli,durante i suoi primi mesi nella nunziatura di Monaco, non avevano portato a nulla. Pertanto Pio XII, in occasione del secondo conflitto mondiale, non si illuse di poter proporre la pace a Hitler .

Pio XII sapeva anche, e probabilmente la “scuola” di Benedetto XV era stata assai istruttiva su questo, che ogni volta che il papa deplorava una singola azione di guerra, questo suo messaggio veniva utilizzato dalla parte opposta a fini propagandistici .Era dunque meglio – così decise - rammaricarsi delle azioni di guerra in generale senza entrare nel particolare.

L’azione di Benedetto XV durante la Prima Guerra Mondiale non si era però esaurita nel tentativo di proporre la pace alle parti in conflitto. L’azione più importante, infatti, fu quella che svolse a favore delle persone sofferenti – civili,perseguitati e non,ma anche soldati. Ecco perché Pio XII – sempre sull’esempio del suo predecessore - fin da subito si impegnò a dare prova di imparzialità che gli rendesse possibile offrire un sostegno,un conforto,a tutti i sofferenti. In un discorso pubblico papa Pacelli giustificò la sua posizione: «Il dovere stesso di questo Nostro ufficio non Ci permette di chiudere gli occhi, quando, precisamente per la salute delle anime, sorgono nuovi e incommensurabili pericoli; quando sulla Europa cristiana si allunga ogni giorno più minacciosa e più vicina l'ombra sinistra dei nemici di Dio».

Nella sua posizione “pubblica”, nei suoi messaggi scritti e nei suoi numerosi interventi proclamati a voce, il pontefice mantenne un equilibrio ed una imparzialità “formale” che scandalizzò abbastanza. Nonostante ciò Pio XII non fu "il papa di Hitler", il fatto che il pontefice fosse amico dei tedeschi non significa che fosse amico anche dei nazisti. Indubbiamente la sua avversione contro il regime fu totale, anche se non lo dimostrò pubblicamente.

Suor Pascalina Lehnert, la religiosa che si occupava da sempre di Eugenio Pacelli, ha raccontato sotto giuramento che già nel 1929, Pacelli, lasciando Berlino per Roma dove sarebbe stato creato cardinale e nominato segretario di Stato, si dimostrava tormentato per il futuro del popolo tedesco. Dalle carte dell'Archivio segreto del Vaticano emerge anche la prudenza del cardinale-segretario di Stato Pacelli verso il regime di Hitler. Il futuro Pio XII correggeva molto scrupolosamente tutti i discorsi che il nunzio apostolico a Berlino ,monsignor Orsenigo, doveva pronunciare alla presenza di Hitler. Dalle bozze che monsignor Cesare Orsenigo inviava a Roma per l'approvazione, il segretario di Stato Pacelli, con l'autorità di Pio XI, cassava tutte le frasi che potevano apparire accondiscendenti verso il führer.

Anche la bozza del discorso per il Capodanno del 1936, fu cassata dal cardinale Pacelli. Qui il monsignor Orsenigo definiva Hitler "Duce del popolo tedesco" aggiungendo: "Noi facciamo voti che il tenace programma di Vostra Eccellenza per diminuire sempre più il numero di coloro che, a causa della grave crisi che ancora incombe sull'umanità, sono costretti a rimanere involontariamente inerti, si realizzi ampiamente, totalmente!". Nella risposta, che Pacelli inviò al nunzio utilizzando un codice cifrato, si ordinava di "annullare" le parole "Duce del popolo tedesco" e di "sopprimere" l'intero periodo elogiativo dell'attività del Fuhrer. Anche in occasione del ricevimento per il compleanno di Hitler, il cardinal Pacelli inviò al suo nunzio severe direttive sul comportamento da assumere, prima fra tutti il divieto assoluto di un intervento pubblico durante il ricevimento. Divenuto pontefice della Chiesa di Roma, Pacelli era così preoccupato per le sorti del popolo tedesco, che tentò addirittura di esorcizzare Hitler a distanza, perché convinto che fosse posseduto dal demonio. Questa notizia è stata confermata dal gesuita tedesco Peter Gumpel, che segue la causa di beatificazione di papa Pacelli.

7. L’IMPEGNO DELLA SANTA SEDE NEI CONFRONTI DEGLI EBREI

Il pontificato di Pio XII coincise con uno degli eventi storici più gravi e significativi del XX secolo: l’Olocausto. Con tale espressione si indica ciò che nel gergo nazista rappresentava la "soluzione finale della questione ebraica", e più esattamente ci si riferisce alla persecuzione che colpì milioni di persone,in un periodo compreso tra il 1933 (anno in cui Hitler divenne Cancelliere della Germania), e il 1945 ( anno della fine della guerra).

Nel 1933 ebbe inizio una vera e propria campagna di boicottaggio delle attività commerciali gestite da ebrei. Nel giro di pochi mesi vennero promulgati diversi decreti - in totale più di 400 - che prevedevano l'esclusione degli ebrei dall'insegnamento, dalle forze armate, dalla magistratura e dalle attività culturali. I bambini ebrei vennero allontanati dalle scuole e venne istituito il numero chiuso nelle università. Vennero proibiti i matrimoni misti, per la salvaguardia della razza ariana.

La situazione peggiorò a partire dal marzo 1938,in seguito all'annessione dell'Austria alla Germania,in quell’occasione altri 185.000 ebrei entrarono a far parte del Reich. I nazisti ritennero la situazione intollerabile,perciò programmarono un'emigrazione forzata degli ebrei. La notte [20]tra il 9 e il 10 novembre 1938 si scatenò in tutta la Germania la furia antisemita contro i negozi e le sinagoghe ebraiche. Quella notte furono attaccati e distrutti centinaia di negozi, uffici e abitazioni di ebrei,sinagoghe e quasi duecento persone furono uccise.

Appare opportuno sottolineare che l’antisemitismo in quegli anni era tollerato. Infatti, non provocò inizialmente alcuno scandalo il fatto che nel 1938 il Governo della Polonia avesse deciso, in un lasso di tempo estremamente breve, di togliere la cittadinanza polacca agli ebrei che non erano tornati da almeno cinque anni in patria. Nel Terzo Reich questo provvedimento rese apolidi 17000 persone. I nazisti – che fin dall’inizio avevano dichiarato il loro antisemitismo – portarono alle frontiere polacche con treni e camion quei 17000 ebrei che avevano appena perso la cittadinanza,ma la Polonia aveva ormai chiuso – per loro – la frontiera[21]. Rispetto agli ebrei perseguitati e deportati nei territori occupati dal Reich, l’azione svolta in loro favore dalla diplomazia della Santa Sede si mosse soprattutto in direzione dei Governi dei Paesi alleati alla Germania,dove esisteva una significativa maggioranza cattolica e un episcopato "combattivo". [22] In una Nota della Segreteria di Stato del 1° aprile del 1943 si legge: "Per evitare la deportazione in massa degli ebrei,che si verifica attualmente in molti Paesi europei, la Santa Sede ha interessato il nunzio d’Italia,l’interessato di Affari in Slovacchia,e l’incaricato della Santa Sede in Croazia". Il papa, utilizzando i canali della diplomazia vaticana, fece di tutto affinché quei Governi che erano in contatto con la Santa Sede si impegnassero a favore degli ebrei. Inoltre, il papa ripetutamente esortò l’episcopato locale, principalmente quello tedesco, a denunciare con forza gli orrori e le atrocità commesse dai nazisti contro gli ebrei. Gli interventi pontifici presso quei Governi erano finalizzati principalmente a difendere gli ebrei e a garantire l’indissolubilità dei matrimoni misti,facendo riferimento ai Concordati stipulati con quegli Stati.

All’indomani dell’occupazione della Polonia, la Germania aveva replicato alla Santa Sede, che chiedeva l’applicazione del Concordato tedesco ai territori polacchi "inglobati" nel Reich,che esso non poteva essere applicato fuori dalla Germania.La verità era che neppure in territorio tedesco esso era rispettato.

Gli archivi del Ministero degli Esteri del Reich attestano periodici interventi del nunzio Orsenigo riguardanti gli ebrei [23]. Ma i rapporti da questi inviati alla Segreteria di Stato evidenziano le difficoltà di dialogo con il Reich. Uno di questi,del 19 ottobre del 1942,dice: "Nonostante le previsioni,ho tentato di parlare al ministro degli Affari Esteri,ma come sempre,specie quando si tratta di non ariani,mi fu risposto ‘non c’è nulla da fare" [24]. Il nunzio Orsenigo sottolinea che ogni incartamento riguardante gli ebrei "viene sistematicamente o respinto i violato". Nelle parole dei diplomatici vaticani si coglie un senso di impotenza e di sconforto a questo riguardo. L’attività diplomatica svolta dalla Santa Sede in favore degli ebrei non fu però ,come a volte si dice, totalmente inutile o inefficace. A volte essa riuscì a "rallentare" le operazioni di deportazione o, quando non potè fare diversamente, a escluderne talune categorie di soggetti.

In Slovacchia la Santa Sede intervenne presso il capo di Stato (che era il sacerdote J. Tiso) perché fossero sospese le operazioni di deportazione degli ebrei di quel Paese,che fino a quel momento avevano interessato 80000 ebrei slovacchi.

In una Nota inviata il 5 maggio del 1943 dalla Segreteria di Stato si deploravano tutte le disposizioni governative le quali - in aperto contrasto con i principi cattolici che non fanno distinzioni di razza - colpivano "gravemente degli uomini nei loro naturali diritti per il semplice fatto che appartengono ad una determinata stirpe". Tale protesta in questo caso ebbe qualche effetto positivo.

La Santa Sede intervenne anche presso il Governo croato, dal quale invece ottenne poco. Il visitatore apostolico in Croazia fece sapere in Vaticano che il presidente A.Pavelic ,"prima dell’attuale ordine agli ebrei di presentarsi agli uffici della Pubblica Sicurezza,lo aveva assicurato di ‘rispettare’ gli ebrei cattolici o uniti in matrimonio con cattolici". Pavelic inoltre, in quanto cattolico,era meticolosamente controllato dai nazisti.

Circa gli ebrei residenti in territorio francese occupato dagli italiani,il nunzio era stato rassicurato dai responsabili militari che essi non sarebbero stati consegnati alle autorità tedesche. E di fatto si fece di tutto per limitare la deportazione degli ebrei da questi territori.

La Santa Sede agì anche per salvare gli ebrei in Ungheria,nonostante l’assiduo interessamento del nunzio mons. Rotta,con risultati limitati. Dopo l’occupazione nazista di questo Paese,che era uno Stato-satellite del Reich,nel marzo del 1944 iniziarono le deportazioni degli ebrei ungheresi verso la Polonia.

Nel giugno, il papa si rivolse con lettera personale direttamente all’ammiraglio N. Horthy pregandolo "di mettere in opera ogni possibile mezzo affinché in questa nobile e cavalleresca nazione non si estendano né si aggravino le sofferenze,già così aspre,sopportate da tanti infelici a causa della loro nazionalità o della loro razza […]. Egli inoltre chiese che anche l’episcopato di adoperasse per alleviare le sofferenze degli ebrei. Il Governo,per timore di una pubblica protesta dei vescovi,acconsentì a risparmiare dalla deportazione i soli ebrei cattolici.

8. IL SILENZIO DI PIO XII

All’origine della mancata esplicita denuncia delle deportazioni degli ebrei ci sarebbe quanto accaduto in Olanda nel 1942. In seguito all’invasione tedesca del 1940, in Olanda erano entrate in vigore le leggi razziali .Per i primi due anni le discriminazioni avevano riguardato l’estromissione degli ebrei dalle carriere pubbliche,dalle scuole e dagli uffici. Nel 1942 ebbe inizio la persecuzione vera e propria con deportazioni,torture e omicidi. Il 10 luglio,i vescovi cattolici e i capi delle comunità protestanti inviarono al Reichskommisar Arthur Seyss-Inquart un telegramma nel quale protestavano per il trattamento riservato agli ebrei. Il commissario del Reich rispose dicendo che avrebbe risparmiato gli ebrei cattolici,a patto che fosse dimostrata la loro appartenenza alle comunità ecclesiali prima del gennaio del 1941. La concessione implicava che le Chiese evitassero in futuro ogni intervento in quella materia. Luterani e calvinisti accettarono. Viceversa,l’arcivescovo cattolico di Utrecht,Johannes de Jong, nella sua lettere pastorale del 26 luglio del 1942 ricordò "il triste destino degli ebrei (…) ,le deportazioni di uomini,donne e bambini innocenti" , pregando per "il popolo di Israele,costretto a subire un tale martirio e persecuzione". L’appello della comunità cristiana suscitò un’impressione enorme. Si trattava di una condanna esplicita della persecuzione degli ebrei, una denuncia chiara e decisa, anche se non menzionava gli aguzzini nazisti. In risposta il commissario del Reich ordinò che fossero rastrellati anche i cattolici olandesi di origine ebraica, come "ritorsione contro la lettera pastorale del 26 luglio". Il commissario dichiarò: "Se il clero cattolico non vuole prendersi la pena di trattare con noi, siamo costretti da parte nostra a considerare i cattolici di puro sangue ebraico come i nostri peggiori avversari,e quindi a deportarli al più presto in Oriente". Secondo alcuni studiosi[25], la vera causa della rappresaglia nazista in Olanda non sarebbe stata tanto la lettura della lettera pastorale,quanto piuttosto il fatto che in quella lettera fossero menzionati esplicitamente il telegramma di protesta e soprattutto la promessa fatta dal commissario tedesco di risparmiare gli ebrei cristiani.

Si può affermare che,dopo la ferma presa di posizione espressa nella lettera pastorale,la persecuzione abbia colpito ancora più duramente gli ebrei. Il papa apprese quanto accaduto dai giornali. Racconta suor Pascalina: "Tornato dall’udienza – erano già le tredici,l’ora del pranzo – il Santo Padre ,prima ancora di andare nella stanza da pranzo,venne in cucina con due grandi fogli scritti a mano e disse:”Voglio bruciare questi fogli. E’ la mia protesta contro la spaventosa persecuzione antiebraica. Stasera sarebbe dovuta comparire sull’Osservatore Romano. Ma se una lettera dei vescovi olandesi è costata l’uccisione di quarantamila vite umane, la mia protesta ne costerebbe forse duecentomila. Perciò è meglio non parlare in forma ufficiale e fare silenzio,come ho fatto finora,tutto ciò che è umanamente possibile per questa povera gente”. “Santo Padre”, mi permisi di obiettare , “non è un peccato bruciare ciò che lei ha preparato? Potrebbe forse essere utile un giorno”. “Anch’io ho pensato a questo”, rispose Pio XII ,“ma se come sempre si sente dire,i nazisti penetrano qui dentro e trovano questi fogli - e la mia protesta ha un tono ben più aspro di quella olandese – che cosa avverrà dei cattolici e degli ebrei in mano alla potenza tedesca? No,è meglio evitarlo”.Il Santo Padre attese finchè i due grandi fogli non furono completamente bruciati e solo allora uscì dalla cucina"[26]. La religiosa, che ha steso queste memorie subito dopo la morte di papa Pacelli, ha confermato il suo racconto sotto giuramento durante la deposizione agli atti del processo canonico. Questa preziosa testimonianza costituisce una prova importantissima a difesa di Pio XII. Dimostra che il silenzio di Pio XII nei confronti della persecuzione ebraica è stato dettato da esigenze di prudenza. Il papa non voleva che altri innocenti pagassero con il sangue per qualche sua "bella parola"[27].

Per Hitler gli ebrei rappresentavano “il primo nemico mondiale”, come continuavano a declamare le pubblicazioni naziste. L’annientamento degli ebrei era uno dei principali scopi bellici di Hitler,uno scopo che portava avanti con rinnovato e brutale cinismo dopo ogni protesta.

Oggi si torna a parlare di un Pio XII che non fece tutto il possibile per denunciare la persecuzione nazista nei confronti degli ebrei. Secondo alcuni, questo silenzio lo avrebbe in qualche modo reso complice della tragedia dell’Olocausto. Al pontefice è stato rimproverato di non aver rivelato al mondo il terribile segreto del genocidio ebraico da parte nazista; di non aver mai alzato severamente la voce contro “il mito della razza pura, che ha portato vergognosamente a consumare la più gigantesca opera criminale del Novecento, il simbolo eloquente dell'inciviltà che, secondo i calcoli fatti al processo di Norimberga, contò il massacro criminale di 5.700.000 tra ebrei (ma anche zingari, omosessuali, malati di mente).

La questione dei silenzi della Chiesa sulle atrocità subite dagli ebrei è tra le più spinose e imbarazzanti per la Chiesa di Roma. Essa, da una parte, investe la coscienza dei credenti e, dall'altra, è soggetta alle più svariate reticenze e strumentalizzazioni di parte.
Il dibattito storiografico sui "silenzi" di Pio XII è da sempre molto attivo.

La posizione ufficiale del Vaticano sul problema scagiona ovviamente papa Pacelli; altre posizioni fanno notare che il pontefice intervenne sulla questione indirettamente, ovvero attraverso i nunzi e i vescovi locali, salvaguardando l'imparzialità della Santa Sede; altri ancora sostengono che gli interventi pontifici siano stati inadeguati e insufficienti rispetto alla drammaticità della situazione.

Il 30 aprile del 1943 Pio XII scrisse al vescovo di Berlino,mons. Von Preysing,riferendosi a quanto stava accadendo: "Ciò che da molto tempo giunge ai nostri orecchi circa queste atrocità […] ci paralizza e ci dà i brividi. Per questo lasciamo alla discrezione degli Ordinari del luogo [i vescovi] di ponderare se e in quale misura incorrere nei rischi di pressioni e rappresaglie nel caso di dichiarazioni e di altre circostanze dettate dal prolungarsi della guerra e dai suoi effetti psicologici,qualora si decidesse di mettere da parte il principio guida dell’ ad malora mala vitanda [per evitare mali peggiori].E’ questo uno dei motivi per cui noi stessi ci tratteniamo nelle nostre dichiarazioni".[28] Pio XII era sicuramente a conoscenza sia delle vessazioni contro gli ebrei, sia dei piani nazisti sulla "soluzione finale" a danno degli ebrei. Una delle prime comunicazioni che arrivarono in Vaticano è datata 23 novembre 1940: monsignor Mario Besson, vescovo di Losanna, Friburgo e Ginevra, tramite il nunzio pontificio in Svizzera, l'arcivescovo Filippo Bernardini ,inviò una lettera a Pio XII esprimendo profonda preoccupazione per le gravi condizioni di migliaia di prigionieri, tra cui ebrei, deportati in campi di concentramento nella Francia sud-occidentale. In questo resoconto sollecitò un appello pubblico da parte del papa contro le persecuzioni e una difesa più attiva, da parte cattolica, dei diritti di tutte le vittime. Anche monsignor Konrad von Preysing, vescovo di Berlino, scrisse a Pio XII, il 17 gennaio 1941, annotando che «Sua Santità è certamente informata sulla situazione degli ebrei in Germania e nei Paesi limitrofi. Vorrei dire che sia da parte cattolica che da parte protestante mi è stato chiesto se la Santa Sede non possa fare qualcosa a questo riguardo, diffondendo un appello in favore di questi sfortunati ».

Il cardinale scrisse più volte al papa. Il 6 marzo 1943, ad esempio, von Preysing chiese a Pio XII di cercare di salvare gli ebrei berlinesi che erano prossimi alla deportazione; la quale, come affermò lui stesso, li avrebbe portati a morte certa: «La nuova ondata di deportazioni degli ebrei, iniziata appena prima dell'1 marzo, colpisce aspramente e particolarmente noi, qui a Berlino. Diverse migliaia di persone sono coinvolte. Sua Santità ha fatto allusione al loro probabile destino nel suo messaggio radiofonico di Natale. Tra i deportati vi sono pure molti cattolici. Non è possibile a Sua Santità intervenire nuovamente per i molti sfortunati innocenti? Per molti è l'ultima speranza ed è il desiderio profondo di tutte le persone per bene ». Il nunzio in Romania, l'arcivescovo Andrea Cassalo, oltre ad informare il Vaticano sulle leggi anti-ebraiche approvate nel Paese, fece appello direttamente al maresciallo Ion Antonescu affinché limitasse le deportazioni pianificate per l'estate del 1942. Addirittura, nella primavera del 1943, si recò nella Transistria, visitando uno dei principali campi di sterminio degli ebrei del periodo. Monsignor Cassulo fu ricevuto dal cardinale Magione e dal papa nell'autunno del 1942.

La preoccupazione principale del pontefice,che fu poi il motivo per cui egli non denunciò pubblicamente gli orrori dell’odio nazista, trova la propria ragion d’essere nel fatto che egli temeva per le sorti dei cattolici. Pio XII temeva che una volta terminata la "soluzione finale" che aveva come vittime innocenti gli ebrei,sarebbe cominciata una nuova fase,che avrebbe visto entrare in scena i cattolici,le nuove vittime del nazismo. Questa fu la ragione principale che frenò l’intenzione di Pio XII di scomunicare Hitler e denunciare al mondo intero le atrocità di cui si rendevano autori i rappresentanti del partito nazista.

9. IL PAPA ERA A CONOSCENZA DELLA "SOLUZIONE FINALE " ?

Altro problema discusso dagli storici è se Pio XII fosse a conoscenza o meno di ciò che stava realmente accadendo in quegli anni nei campi di concentramento e,in particolare, della "soluzione finale" decisa in gran segreto dai capi nazisti nel 1942. Dalle fonti risulta che il papa non sapesse molto: egli sapeva che moltissimi ebrei, senza colpa alcuna e solo a motivo della loro stirpe, venivano trucidati dai nazisti in vario modo. Ma egli non sapeva nulla del genocidio in atto né della "soluzione finale"; fino al 1944 in Vaticano si ignorava perfino l’esistenza di Auschwitz.

Secondo le parole di padre Leiber,che era stato segretario particolare del papa," Pio XII aveva ignorato sia la ‘soluzione finale’ sia l’alto numero,6 milioni,di vittime tra gli ebrei. In Vaticano infatti sino alla fine della guerra,si era parlato di due milioni". Quale fosse,poi,il piano dei nazisti riguardo agli ebrei deportati era per tutti a quell’epoca un vero enigma.

Nel marzo del 1942 l’incaricato della Santa Sede in Cecoslovacchia,mons. G. Burzio, affermava che la deportazione di 80000 ebrei "equivaleva per gran parte di loro a una morte sicura"[29].

Ci si interroga, altresì, cosa sapessero gli Alleati sulla "soluzione finale",certamente più del papa. Sono note le foto e i filmati che fecero gli Alleati quando arrivarono nei campi. Almeno dalla fine del 1944 essi sapevano dell’esistenza dei campi di sterminio e avevano informazioni relative alle loro caratteristiche,poiché gli inglesi avevano scattato foto aeree del campo di Auschwitz. Nell’estate di quell’anno due evasi dal campo di concentramento di Auschwitz erano riusciti a consegnare agli Alleati delle descrizioni dettagliate e delle mappe. La cosa che sconvolge è che, nonostante la consapevolezza delle pratiche che venivano messe in atto in queste strutture, non ci fu mai nessuna azione da parte degli Alleati finalizzata a liberare questo campo,o anche solo a bombardare le camere a gas o la linea ferroviaria che portava al campo. Sembra che non era ancora tecnicamente possibile effettuare bombardamenti di precisione e,inoltre,i campi di sterminio erano troppo lontani dalle basi dei bombardieri americani e britannici,così che non divennero mai un loro obiettivo. Ci si può chiedere, inoltre,se i bombardamenti sarebbero veramente serviti a qualcosa;ma è comunque interessante notare che non c’è molta propaganda contro gli Alleati in merito a questo. Viene tacitamente dato per scontato che essi – che pure disponevano di aerei,controspionaggio,mezzi per intercettare informazioni ecc. – non avessero saputo di questa terribile realtà.

10. GLI EBREI ROMANI E L’IMPEGNO DEL PAPA

Le deportazioni naziste degli ebrei d’Italia iniziarono il 16 ottobre del 1943,esattamente cinque settimane dopo che l’esercito tedesco ebbe occupato Roma e affidato alle SS le questioni relative alla sicurezza. Ciò che Pio XII fece o non fece in favore degli ebrei romani durante e immediatamente dopo la razzia dell’ottobre del 1943,e durante tutta l’occupazione nazista della città ,rimane fonte di disputa.

Fra gli studiosi dell’Olocausto vi è stata la tendenza ad accettare acriticamente la tesi dei detrattori di Pio XII, secondo cui il papa sapeva in anticipo dell’imminente razzia nazista degli ebrei romani. Secondo molti, infatti, il papa aveva l’obbligo morale di informare gli ebrei e di dar loro il tempo di fuggire.

All’inizio dell’ottobre del 1943,Pio XII si rivolse alle chiese e ai conventi di tutta Italia chiedendo di dare rifugio agli ebrei. A Roma, centocinquantacinque monasteri ospitarono circa cinquemila ebrei durante l’occupazione tedesca,sfidando i fascisti e i nazisti. Non meno di tremila ebrei trovarono rifugio a Castel Gandolfo,residenza estiva del papa. Sessanta ebrei vissero per nove mesi all’università dei gesuiti,la Gregoriana,e molti furono ospitati nelle cantine del Pontificio Istituto Biblico. Lo stesso Pio XII diede rifugio nelle mura vaticane a Roma a centinaia di ebrei senzatetto.

La maggiore autorità sulla razzia nazista degli ebrei romani nell’ottobre del 1943 – egli stesso sopravvissuto al raid – è Michael Tagliacozzo , un ebreo italiano studioso dell’Olocausto,che oggi vive in Israele. Tagliacozzo elogia l’impegno di Pio XII nei confronti degli ebrei; tempo fa in un’intervista dichiarò: "Io so che molti criticano papa Pacelli. Ho sul mio tavolo in Israele una cartella intitolata Calunnie contro Pio XII , ma il mio giudizio non può che essere positivo .Papa Pacelli fu il solo che intervenne per impedire la deportazione degli ebrei il 16 ottobre del 1943,ed egli ha fatto moltissimo per nascondere e salvare migliaia di noi".[30]

I cattolici italiani cercarono di salvare la vita degli ebrei fornendo rifugio,carte d’identità false e altri documenti. Molti di questi cattolici furono arrestati dai nazisti e non pochi furono uccisi. Moltissime furono le famiglie che,pur sapendo di rischiare l’uccisione, accolsero ebrei in casa. Durante l’occupazione nazista di Roma, tremila ebrei trovarono rifugio nella residenza estiva del papa a Castel Gandolfo,di ciò gli ebrei furono profondamente grati a Pio XII. Va anche ricordato che tale opera di salvataggio degli ebrei romani creò non poche tensioni nei rapporti tra Santa Sede e occupati tedeschi, i quali non erano certamente ignari – come fu dichiarato da alcuni gerarchi nazisti al processo di Norimberga – dell’aiuto che la Santa Sede prestava a questi ricercati.

Il papa in un’udienza del 27 dicembre del 1943 al p. G. Martegani,a quel tempo direttore della rivista Civiltà cattolica, lamentandosi delle perquisizioni operate nella notte tra il 21 e il 22 dicembre dai nazisti, disse che ormai "non faceva più affidamento nella sicurezza dei rifugi ecclesiastici" [31],e che in ogni caso occorreva essere più prudenti nell’affrontare la questione dei "rifugiati", per non spingere i tedeschi ad azioni generalizzate di perquisizione negli istituti religiosi e nei palazzi di proprietà della Santa Sede.

Nel 1944,dopo la liberazione di Roma ma prima della fine della guerra,Pio XII disse a un gruppo di ebrei romani venuti a ringraziarlo della sua protezione: "Per secoli gli ebrei sono stati ingiustamente trattati e disprezzato. E’ tempo che siano trattati con giustizia e umanità, Dio lo vuole e la Chiesa lo vuole .San Paolo ci dice che gli ebrei sono nostri fratelli. Essi devono essere accolti anche come nostri amici".[32]

11. L’EPISCOPATO TEDESCO DI FRONTE ALLA SHOAH

Un’analisi particolare merita l’atteggiamento assunto dall’episcopato tedesco rispetto alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei nel corso della guerra.

Lo scoppio della guerra aveva causato un progressivo aggravamento della condizione degli ebrei tedeschi. Nel 1941 fu imposto a tutti gli ebrei di età superiore ai sei anni di indossare in pubblico un segno distintivo; il 23 ottobre fu definitivamente sospesa l’emigrazione dalla Germania (l’ultimo treno di ebrei si mosse da Berlino la sera precedente), e il 24 si diede inizio alle operazioni di deportazione sistematica degli ebrei tedeschi verso est.

Ancora una volta, e con maggiore drammaticità e urgenza, la questione di un intervento pubblico in loro difesa fu posta all’episcopato da voci eminenti del cattolicesimo tedesco. E ancora una volta si preferì occuparsi della tutela dei propri fedeli e dell’azione pastorale della Chiesa. In quegli anni all’interno dell’episcopato tedesco dominava una forte reticenza a parlare degli ebrei in pubblico, e questo comportamento trova conferma in diversi memoriali che vennero presentati dall’episcopato al Governo del Reich, i quali non conservano traccia di riferimenti espliciti agli ebrei.

In realtà ci fu un tentativo dell’episcopato tedesco a difesa dei coniugi "ebrei" sposati con non-ebrei (soprattutto cattolici), che sarebbero stati pesantemente colpiti da una legge, che si diceva di imminente pubblicazione. Si trattava di una legge riguardante lo scioglimento dei matrimoni misti, per il quali,in assenza di una decisione in questo senso dei coniugi, era stabilito un intervento di autorità, anche per ciò che riguardava l’assegnazione degli eventuali figli: per il coniuge "non ariano" e per i figli ad esso assegnati veniva prevista la deportazione. Nel novembre del 1942, su sollecitazione di autorevoli membri dell’episcopato, Bertram ne scrisse ai ministri della Giustizia e degli Interni e degli Affari Ecclesiastici del Reich. La sua protesta, e la conseguente richiesta di sospendere ogni provvedimento del genere, è decisa e articolata. E’ condotta in nome dei principi di umanità e dei fondamentali diritti di vita che vanno riconosciuti anche agli appartenenti ad altre razze, e insieme richiamandosi ai diritti e alle concezioni morali dei cattolici e di tutti i cristiani, che con tali misure sarebbero "feriti nel modo più grave", mentre essi devono poter vivere secondo le loro sacre persuasioni di fede:le migliaia di persone colpite da tali provvedimenti non potrebbero capire un silenzio dei vescovi in merito[33]. Il nodo centrale del problema storico posto dall’atteggiamento assunto dalla Chiesa, in particolare quella tedesca, di fronte alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei è da individuarsi nel groviglio di condizionamenti molteplici che lo determinarono, non riconducibili né alla pressione esercitata dal terrore poliziesco, né al timore di aggravare le sofferenze delle vittime.

Quando, con le ordinanze del 1° settembre del 1941, a tutti gli ebrei di età superiore ai sei anni fu imposto di indossare nei luoghi pubblici la stella di David, come contrassegno che mirava a condannarli all’emarginazione e al disprezzo, da più parti fu avanzata ai vescovi la richiesta di emanare ai parroci e ai fedeli un’istruzione pastorale per ricordare i doveri di carità reciproca e di fratellanza cristiana, che evitassero quanto meno incidenti ed episodi di intolleranza e di discriminazioni. L’episcopato tedesco si trovò nell’estrema difficoltà di non riuscire a opporsi con una pubblica denuncia a quanto stava accadendo nei confronti degli ebrei.

Scrivendo a Pio XII, nel giugno del 1942, mons. Grober, arcivescovo di Friburgo, era stato categorico nel riconoscere che l’antisemitismo dei nazisti aveva come scopo la distruzione fisica degli ebrei. Grober sostenne iniziative di soccorso a favore degli ebrei,nonostante ciò nei suoi interventi pubblici non esitò a riproporre concetti tipici del tradizionale antiebraismo cristiano che in quel contesto non potevano non suonare giustificativi quanto meno di atteggiamenti di passività e di indifferenze per le discriminazioni e deportazioni in corso. Così nella lettera pastorale del marzo del 1941 egli ripetè la tradizionale accusa agli ebrei di essere responsabili della morte di Cristo,aggiungendo che "la maledizione degli ebrei verso se stessi. In una predica del 31 dicembre del 1943,riprendendo concetti già espressi anni prima, ribadì la contrapposizione tra cristianesimo ed ebraismo: "Come lo stesso Cristo si è posto rispetto all’ebraismo contemporaneo lo provano le sue lotte con i farisei e gli scribi e la croce del Golgota.La storia degli apostoli attesta chiaramente che l’odio degli ebrei ha perseguitato i cristiani alle origini del cristianesimo,o meglio che esso percorre in una forma fanatica l’intera storia della Chiesa".[34]

Mons. Berning, vescovo di Osnabruck, affermò nelle sue annotazioni del 5 febbraio del 1942: "Sussiste evidentemente il piano di distruggere completamente gli ebrei". La frase è eloquente, e non lascia adito ad altre interpretazioni,anche se è molto probabile che non tutto ciò che si sapeva nelle alte sfere della Chiesa tedesca sulla persecuzione degli ebrei abbia trovato una precisa e articolata registrazione scritta, per la prudenza e la reticenza con cui un tale tema continuava ad essere trattato. I fatti stessi segnalati da mons. Berning in queste medesime annotazioni impedivano, se guardati spassionatamente, di esprimersi in termini meramente ipotetici. Le domande con cui Berning chiudeva queste annotazioni esplicitano con chiarezza il drammatico dilemma che si poneva di fronte ai vescovi:"Che cosa può succedere?Possono i vescovi levare pubblica accusa dal pulpito contro tutto ciò?"[35].

Sarebbe un errore sostenere che i vescovi non sapessero nulla di preciso o sapessero poco o troppo poco. Tutto ciò che era stato visto compiersi di persecuzioni e violenze, ciò che si era saputo da testimoni oculari e da informazioni dirette di condizioni disumane di vita e di uccisioni di massa, tutto ciò insomma che aveva fatto parte della comune esperienza e che era stato correttamente letto come parte di un piano per sterminare gli ebrei,non poteva restare cancellato d’un tratto.

Il 30 agosto del 1943 una lunga dettagliata lettera di un ebreo di Cracovia,che illustrava con ampi particolari,parte frutto di esperienza diretta,parte attinti da resoconti altrui,lo sterminio in corso nel Governatorato generale,giunse nelle mani del cardinale Bertram. La testimonianza era agghiacciante e suonava come un durissimo atto di accusa contro la Chiesa tedesca, i cristiani e l’intera società tedesca. Restano sconosciute le reazioni di Bertram. Ma non lascia dubbi sulla sua piena consapevolezza che le deportazioni degli ebrei avevano avuto e avevano come esito lo sterminio ciò che egli scrisse in una lettera del 29 gennaio del 1944 indirizzata ai ministri degli Interi,degli Affari Ecclesiastici e della Giustizia,minacciati con una serie di misure amministrative di venir coinvolti nelle leggi e nelle disposizioni riguardanti gli ebrei: "Tutte queste misure mirano chiaramente a una [loro] separazione alla fine della quale incombe lo sterminio".

Quel rarefarsi, dunque, tra gli atti vescovili, di note e testi sugli ebrei,la loro persecuzione e il loro sterminio,non attesta di per sé la mancanza di conoscenza, ma sembra corrispondere piuttosto a una sorta di allibito silenzio,a uno sconcerto profondo e un’impossibilità interiore di prendere atto della situazione e dire perciò,ai propri fedeli e a tutti,quelle parole che ad alcuni sembrava dovessero essere pronunciate[36].

12. IL RADIOMESSAGGIO NATALIZIO DEL 1941

Dall’ottobre del 1939 fino al giugno del 1943, Pio XII non pubblicò nessuna enciclica. Il papa utilizzò i radiomessaggi natalizi per svolgere il suo ministero di pace e per rivolgere la sua parola ai fedeli. Particolarmente significativi risultano i radiomessaggi del 1941 e del 1942 per l’organicità dei temi trattati e anche per l’importanza dei temi svolti.

Nel radiomessaggio del 1941 Pio XII aveva condannato con forza la guerra, iniziata nel 1939 con l’aggressione nazista alla "cattolica" Polonia. Una guerra che, diceva il papa, devasta "terre e case per estese ragioni e [getta] milioni di uomini e le loro famiglie nell’infelicità, nella miseria e nella morte"[37]. In quel messaggio di pace il pontefice condannava, fra l’altro, anche le rovinose distruzioni della guerra aerea, che "rovescia su grandi e popolose città, su centri e vasti territori industriali" il suo carico di morte. Pio XII concludeva il suo messaggio natalizio sottolineando ancora una volta l’atteggiamento "imparziale" della Santa Sede nei confronti del conflitto in atto, non intendendo essa parteggiare per nessuna delle parti in lotta.

Tale atteggiamento, come è noto, ispirò sino alla fine della guerra le posizioni della Santa Sede verso i belligeranti e fu all’origine di alcune incomprensioni tra il papa e chi gli chiedeva (ora gli Alleati,ora le potenze dell’Asse) di intervenire per condannare o denunciare pubblicamente vere,e a volte anche presunte,violazioni del diritto internazionale. "Noi amiamo – disse Pio XII – con uguale affetto tutti i popoli senza nessuna distinzione; e per evitare anche solo l’apparenza di essere mossi da uno spirito di parte, ci siamo imposti il massimo riserbo;ma le disposizioni contro la Chiesa e gli scopi che esse perseguono, sono tali da sentirci obbligati in nome della verità a pronunziare una parola,anche perché non ne nasca,per disavventura,smarrimento tra i fedeli". Qui il papa fa riferimento (senza però citare la nazione incriminata) alla persecuzione religiosa in Germania,che la guerra, anziché mitigare, aveva al contrario reso più devastante per la Chiesa: "Ci riesce inspiegabile come in alcune regioni disposizioni molteplici attraversino la via al messaggio della fede cristiana,mentre concedono ampio e libero passo a una propaganda che la combatte" [38]. Il papa evitò accuratamente, come fece anche successivamente, di entrare nello specifico dei problemi politico-militari agitati dai belligeranti in quel momento, sebbene le sue simpatie non andassero certamente in direzione dei nazisti. Compito del papa – ripeteva Pio XII – è quello di esortare gli uomini alla pace e consolare, "con l’assistenza morale e spirituale di Nostri rappresentanti o con l’obolo dei nostri sussidi, l’ingente numero di profughi,di espatriati,di emigrati anche tra i ‘non ariani’"[39].

13. IL RADIOMESSAGGIO DEL ‘42 E LA REAZIONE NAZISTA

Il radiomessaggio del 1942 si pone in continuità con quello dell’anno precedente: il papa continua con la sua "catechesi" per la pacificazione tra gli Stati, indicando anche criteri per la rifondazione di un nuovo ordine interno delle nazioni, basato sulla legge morale e naturale e non più su pericolose dottrine nazionalistiche.

Pio XII andava elaborando, anno dopo anno, il suo progetto sul futuro assetto sociale post-bellico, una sorta di base comune su cui porre le fondamenta di un consorzio umano che fosse in grado di respingere i pericoli sociali e ideologici che avevano portato al conflitto.

Il radiomessaggio natalizio di Pio XII del 1942 è tra gli atti più significativi e allo stesso tempo più controversi del pontificato di Pio XII. Esso, al tempo in cui fu pronunciato, ebbe una grande eco in tutti i continenti e fu ascoltato e apprezzato anche fuori dal mondo cattolico: quotidiani e periodici di diverso orientamento culturale e politico ne riportarono ampi stralci e commenti, il più delle volte benevoli. Diversa fu invece l'accoglienza che riservarono al messaggio papale i Governi e il mondo della diplomazia: esso fu accolto con aperta ostilità dalle potenze dell'Asse e con ostentata freddezza da quelle Alleate, in particolare dagli inglesi.

Esso, in realtà, rispondeva al desiderio vivissimo – sentito in quel tempo da milioni di persone appartenenti a entrambi gli schieramenti in lotta – di ascoltare parole di pace, di credere che un nuovo ordine mondiale basato sulla giustizia e sul diritto fosse non solo auspicabile, ma anzi possibile e necessario nell’interesse di tutta l’umanità. Per costruire tale "nuovo ordine" era perciò necessario, diceva il papa, prepararsi a "gestire" il futuro (cioè il dopoguerra) evitando di commettere gli errori del recente passato, come fu, per esempio, quello di imporre ai vinti nel 1918 trattati di pace punitivi.

La parte più attesa del radiomessaggio del 1942 era quella riguardante la denuncia della guerra e dei suoi orrori. Nei testi pubblicati a stampa era così indicata:"Considerazioni sulla guerra mondiale e sul rinnovamento della società".

Il messaggio, com’è noto, era insolitamente lungo e fu interamente pronunciato dal papa la mattina della vigilia di Natale ai microfoni della Radio Vaticana. Il suo stile letterario è difficile e in alcune parti persino involuto, tanto che la sua traduzione in altre lingue incontrò alcune difficoltà.

Nell’ultima parte il papa afferma che la vera causa di "questa guerra mondiale" è di carattere morale. Gli uomini, e tra questi molti cattolici, si sono allontanati dai fondamenti certi che regolano le convivenze nazionali e internazionali e hanno abbandonato la via del bene e della giustizia per inseguire vani sogni di gloria e di potenza: "Ciò che in tempo di pace giaceva compromesso, al rompere della guerra scoppiò in una triste serie di azioni,contrastanti con lo spirito umano e cristiano. Le convenzioni internazionali per rendere meno disumana la guerra, limitandola ai combattenti, per regolare le norme dell’occupazione e della prigionia dei vinti, rimasero lettera morta in vari luoghi, e chi mai vede la fine di questo progressivo peggioramento?". Come si vede, nel suo discorso il papa non esamina le motivazioni o le cause di ordine politico e militare che diedero origine all’immane conflitto; non indica né denuncia responsabilità precise, che pure ci furono, come del resto non lo aveva fatto nei suoi precedenti messaggi: infatti,in tal modo si sarebbe schierato con una delle due parti in lotta e ciò sarebbe stato in aperto contrasto con il principio, sempre osservato,di imparzialità. Ciò non significa però che Pio XII non comprendesse le vere motivazioni "politiche" che stavano alla base di quel conflitto e che fosse indifferente agli esiti della guerra. Egli, in realtà, temeva una vittoria di Hitler, almeno quanto la temevano gli Alleati; anzi sapeva che una vittoria del dittatore tedesco avrebbe fortemente compromesso il futuro del cattolicesimo non soltanto in Germania,ma anche in Europa.

Il 18 febbraio del 1943 il giornale svizzero Basler Nachrichten commentando il radiomessaggio natalizio di Pio XII scriveva: "Una cosa è certa: se tutti gli interventi di Pio XII probabilmente saranno dimenticati, questo messaggio natalizio al contrario sopravvivrà ".

Effettivamente nessun altro discorso di papa Pacelli ebbe a quel tempo un eco così grande nel mondo come questo. Esso fu ascoltato, letto e compreso in modo diverso a seconda della sensibilità,della cultura e soprattutto dell’ideologia politica di chi lo recepiva.

Le misure prese dal Governo tedesco nei confronti del messaggio natalizio di Pio XII furono severe: esso fu classificato "sovversivo" e contrario agli interessi nazionali della Germania,per tale motivo ne venne vietata la divulgazione in Germania e nei territori del Reich. La stampa tedesca non riportò nessun passo del messaggio pontificio,ma la sua divulgazione nei territori del Reich fu considerata come un "crimine contro la sicurezza dello Stato, passibile di pena di morte". Mons. Orsenigo nel suo Rapporto cercò di minimizzare l’accaduto, come se si trattasse di un incidente diplomatico di poco conto: chi lo leggeva capiva bene,però, che le parole del papa avevano fatto centro e che gli ambienti governativi e diplomatici tedeschi erano irritati con la Santa Sede. I dirigenti del Reich, infatti,interpretarono il radiomessaggio come un attacco frontale contro il nazismo. Certamente ad essi non era sfuggito il riferimento che il papa faceva nel suo discorso alla persecuzione e al massacro degli ebrei,né tanto meno il fatto che,denunciando tale massacro,egli aveva apertamente "ripudiato il nuovo ordine europeo del nazionalsocialismo",come recita un rapporto dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich del 22 gennaio del 1943. Sempre secondo tale Rapporto,il discorso del papa si presentava come "un lungo attacco a tutto ciò che rappresentiamo": "Dio guarda a tutti i popoli e a tutte le razze come se fossero meritevoli della stessa considerazione. E’ chiaro che parla a nome degli ebrei [… ]. Qui egli,virtualmente,accusa il popolo tedesco di ingiustizia nei riguardi degli ebrei e si fa portavoce dei crimini di guerra ebre"[40].

Il Governo del Reich non rimase inattivo e considerò una provocazione aperta il contenuto del messaggio del papa:il ministro degli Esteri, J. Von Ribbentrop, incaricò l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede di comunicare a Pio XII il suo pensiero: "da alcuni sintomi parrebbe – dice il comunicato – che il Vaticano sia disposto ad abbandonare il suo normale atteggiamento di neutralità e a prendere posizioni contro la Germania.Sta a voi informarlo che in tal caso la Germania non è priva di mezzi di rappresaglia". Secondo l’ambasciatore la reazione del papa alla proposta tedesca fu serena e ferma: "Pacelli – egli scrisse – non è più sensibile alle minacce di quanto non lo siamo noi".

La testimonianza del diplomatico attesta la fermezza e la consapevolezza del papa di fronte alle minacce del Governo del Reich.

Nonostante il divieto posto dall’autorità tedesca alla divulgazione del radiomessaggio papale ,esso cominciò a circolare clandestinamente, non soltanto all’interno del mondo cattolico, ma anche in quello protestante. La Chiesa e la Gerarchia cattolica tedesca avevano fatto preparare una sintesi del radiomessaggio natalizio da distribuire clandestinamente a ecclesiastici e a dirigenti dei movimenti cattolici.

E’ emblematica la vicenda di un radiotelegrafista ,che in quel tempo lavorava presso il quartier generale della Wehrmacht, il quale venuto a conoscenza del radiomessaggio natalizio ne fece una copia per sé. Successivamente a causa di un controllo di routine gli venne trovata quella copia,e perciò fu accusato di complottare contro la sicurezza dello Stato. Al giornalista che gli chiedeva il motivo per cui aveva corso un rischio così grande rispose semplicemente: "Ho corso quel rischio perché a quell’epoca le parole di Pio XII mi sembravano potessero incoraggiare coloro che proteggevano le popolazioni più minacciate dai nazisti,in particolare gli ebrei" [41].

14. LA CHIESA E LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI

E’ importante notare la posizione assunta dal pontefice circa la tutela dei diritti umani della persona.

Oggi la Chiesa cattolica - in particolare il Magistero papale - manifesta un protagonismo molto accentuato proprio in materia di diritti umani, di diritti fondamentali. Negli ultimi pontificati, gli interventi dei pontefici dedicati alla questione dei diritti si sono ripetuti, sono stati sempre più frequenti e vi è persino qualcuno che ritiene che la Chiesa cattolica costituisca oggi la più importante “agenzia” che, a livello planetario, si occupa della tutela, della garanzia dei diritti umani, richiamando non solo singoli Stati in cui i diritti umani sono violati alla loro osservanza, ma richiamando anche gli organismi internazionali – in primo luogo le Nazioni Unite – ad una pratica dei diritti umani più incisiva e più forte. Dunque, c'è effettivamente un protagonismo della Chiesa cattolica in materia di diritti umani e credo che per capire questo protagonismo, per cercare di rendersi conto delle ragioni e delle modalità con cui avviene, occorra porsi in una prospettiva storica. Il percorso che la Chiesa cattolica ha assunto nei confronti dei diritti umani è un percorso molto lungo.

Nel XX° nel corso delle due guerre mondiali sono nati movimenti e regimi autoritari, che si muovevano verso il totalitarismo. Ora, questi regimi e questi movimenti hanno una caratteristica che credo vada messa in rilievo, cioè sono regimi e movimenti che pongono come criterio organizzatore della vita collettiva non l'individuo ma delle entità collettive: la Nazione, lo Stato, la Razza, la Classe. Sono le entità collettive, non i singoli, che costituiscono il criterio in base al quale occorre organizzare la convivenza civile. Ciò che è assoluto non è la tutela di sfere di autonomia di singoli, assoluto è l'interesse o la promozione di queste entità collettive, la Nazione, appunto, la Razza e così via.

Vi è una contraddizione tra questi regimi ed i diritti umani, proprio perché questi diritti sono diritti dei singoli, degli individui; i diritti dei singoli, degli individui vengono considerati subordinati, inferiori alle entità collettive che nei regimi autoritari e totalitari hanno un valore assoluto: la Nazione, lo Stato per il fascismo, la Razza per il nazismo, la Classe per il comunismo sovietico. Questi sono gli assoluti da cui discende tutta la configurazione dello stato, non la tutela dei singoli. Ed è perciò evidente che vi è qui una convergenza tra una tradizione dell'intransigentismo cattolico, diffidente verso i diritti politici e civili, e questi movimenti e regimi. La Chiesa comprende che ciò che occorre tutelare è la persona.

Nel radio-messaggio natalizio del 1944 il papa affermava: "La Chiesa ha la missione di annunziare al mondo, bramoso di migliori e più perfette forme di democrazie ,il messaggio più alto e più necessario che possa esservi: la dignità dell'uomo, la vocazione alla figliolanza di Dio. Il mistero del Santo Natale proclama questa inviolabile dignità umana con un vigore ed una autorità inappellabile che trascende infinitamente quella a cui potrebbero giungere tutte le possibili dichiarazioni dei diritti dell'uomo".

Nel 1944 ormai si era prossimi alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Dunque è evidente la testimonianza di questo brano: la dignità umana è garantita dal fatto che l'uomo è persona, cioè è costruita ad immagine e somiglianza di Dio.

Pio XII, come dimostra il radiomessaggio del ’44, era sensibile alla tutela dei diritti umani. Ma ciò che colpisce è il suo silenzio sulla Dichiarazione del '48. D'altra parte, nel dicembre del 1948 le Nazioni Unite proclamano la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo per fornire appunto una piattaforma di organizzazione democratica della convivenza civile che avrebbe dovuto impedire il ripetersi degli orrori dei totalitarismi, delle tragedie della seconda guerra mondiale.

Il silenzio di Pio XII è dipeso non tanto da disaccordi sui contenuti dei diritti umani, quanto sul fatto che tali diritti non hanno un (esplicito) fondamento teista. E’ interessante notare l’atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti della Dichiarazione Universale del '48. Infatti, già da tempo essa aveva difeso i diritti umani contro i vari totalitarismi del XX secolo, e non va dimenticato, inoltre, che - diversamente da quella dell'89 - la Dichiarazione Universale include anche i cosiddetti diritti di "seconda generazione", ossia quelli riguardanti l'aspetto economico-sociale che coinvolge e impegna la collettività, mostrando così (almeno implicitamente) di riconoscere la relazionalità dell'uomo. Questi diritti di seconda generazione sono stati sollecitati principalmente dai movimenti socialisti e comunisti, che hanno messo in luce che le libertà civili non possono essere esercitate in assenza di adeguate condizioni di vita materiale, ma tali diritti sono stati anche prontamente sostenuti dal pensiero cattolico, che non a caso oggi difende la cosiddetta "indivisibilità" dei diritti dell'uomo.

Il silenzio di Pio XII sarebbe quindi dipeso non nella contrarietà ai contenuti della Dichiarazione universale, ma dal fatto "che tale documento non fa riferimento alla fondazione teista di tali diritti, cioè alla matrice religiosa della dignità dell'uomo". Tale aspetto, a sua volta, è conseguenza forse più del peculiare "contesto politico del dopoguerra", unito forse all'ardente desiderio di non creare inutili divisioni e di giungere ad una base minima comune valida per tutti, che non da un reale intendimento a sostenere tale negazione. Resta comunque che la "mancanza" del fondamento (teista) dei diritti umani costituisce una grave difficoltà, dal momento che "senza la formulazione esplicita del fondamento, i diritti dell'uomo possono arrivare facilmente a una perdita di validità e all'erosione del loro valore perché senza un'antropologia positiva di supporto ... si rischia di far perdere loro universalità e incondizionalità".

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[14] R. J. RYCHLAK, Hitler,the war and the pope,cit,p.264
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[17] D. DALIN,La leggenda nera del papa di Hitler,cit.,p.129
[18] P. LAPIDE,Three popes and the Jews,Hawthorn books ,New York,1967,p. 266
[19] A.VON TEUFFENBACH,Pio XII, Edizioni art, Roma, 2008, p.167
[20] La notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 è comunemente nota come la “Notte dei Cristalli”
[21] P.LONGERICH,Politik der Vernichtung:eine Gesamtdarstellung der nationalsozialistischen Judenverfolgung,Munchern,1998.p. 197
[22] G.SALE,Hitler,la Santa Sede e gli ebrei,cit , p. 192
[23] MICCOLI,I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano, 2000, p.84
[24] ADSS,vol. VIII ,p. 687
[25] MICCOLI, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, bit ,pp.337-431
[26] P. LEHNERT, Ich durfte Ihm Dienen: Erinnerungen an Papst Pius XII,pp. 148-149
[27] M. HESEMANN,Pio XII:il papa che si oppose a Hitler,Edizioni Paoline,Milano,2009,p.243
[28] M. HESEMANN,Pio XII:il papa che si oppose a Hitler, cit,p.239
[29] ADSS,vol. VIII,p. 453
[30] Jewish Historian Praises Pius XII’s Wartime Conduct ,Zenit,26 ottobre 2000
[31] ACC,Diario delle consulte,27 dicembre 1943
[32] D. DALIN, Pius XII and the Jews, cit. ,p.36
[33] G. MICCOLI,I silenzi e i dilemmi di Pio XII,cit,p. 345
[34] Superfluo,credo,rilevare che frasi come questa erano del tutto ovvie nell’insegnamento cristiano .La questione sta nel fatto che venissero tranquillamente ripetute in quel contesto,senza comprendere il significato che quelle parole potevano assumere in un contesto così tragico. Indizio questo di come nel profondo ci si sentisse "non responsabili" e in qualche modo "non coinvolti" in quelle persecuzioni,di come quelle persecuzioni non apparissero un fatto eccezionale,tale da distaccarsi da quanto era finora accaduto e stava accadendo.
[35] Berning registrava nei suoi appunti l’interruzione totale delle notizie da certe località dove gli ebrei erano stati concentrati,l’altissima mortalità di altre,la scomparsa di interi convogli,le fucilazioni di massa.
[36] L’insistenza a parlare pubblicamente, variamente motivata da parte delle persone e dei gruppi coinvolti nell’opera di soccorso agli ebrei o comunque attenti alle loro sorti,si concentra in quei mesi dell’estate del 1943 soprattutto sulla difesa dei matrimoni misti e dei c.d. "Mischlinge",dei figli e dei discendenti di tali unioni .E’ una sorta di appello a salvare il salvabile,ma anche il richiamo ad una questione che i vescovi non potevano non sentire di loro specifica competenza,perché riguardava sovente cattolici e matrimoni cattolici;né manca del resto la sollecitazione a denunciare insieme le violenze e le atrocità commesse contro gli ebrei in generale.
[37] Messaggio natalizio del Santo Padre Pio XII a tutti i popoli per una pace giusta e duratura, in Civ. Catt. , 1942 I p. 82
[38] Messaggio natalizio del Santo Padre Pio XII a tutti i popoli per una pace giusta e duratura, in Civ. Catt,1942,I,p. 90
[39] Allocuzione natalizia del Santo Padre al Sacro Collegio e alla Prelatura romana,in Civ. Catt., 1942 I 9
[40] Citato in A. RHODES, Il Vaticano e le dittature:1922-1945,Milano,p.283
[41] Les soldat allemand puni pour avoir diffusè le message de Pie XII, in La Croix, 21 mars 2012