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Pubbl. Mer, 22 Giu 2022

Normativa sismica e prevenzione

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Davide Marino
Università degli Studi di Milano



In questo articolo si ripercorre la storia della normativa antisismica italiana dal basso medioevo fino a oggi per evidenziare come lo strumento legislativo sia servito sempre più nel corso del tempo per attivare politiche di prevenzione finalizzate alla riduzione del rischio sismico. Si mette altresì in luce come questo percorso sia solo all´inizio poiché la difficoltà storica di integrare le acquisizioni scientifiche nelle norme ha determinato un ritardo nella progettazione antisismica del patrimonio edilizio italiano di circa mezzo secolo.


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Seismic regulations and prevention

The paper retraces the history of Italian anti-seismic legislation from the late Middle Ages to today to highlight how the legislative instrument has been increasingly used over time to activate prevention policies aimed at reducing seismic risk. It is also highlighted that this path is only at the beginning since the historical difficulty of integrating new scientific knowledge into the rules has led to a delay in the anti-seismic design of the Italian building stock of about half a century.

Sommario: 1. Premessa; 2. Fino al terremoto del 1908; 2.1. Dal XIII secolo alla fine del XIX secolo; 3. Dopo il terremoto del 1908; 3.1. Fino alla seconda guerra mondiale; 3.2. Dopo la seconda guerra mondiale; 4. “Evoluzione” storica del rapporto tra classificazione sismica e norme tecniche; 5. Il “lungo cammino” della prevenzione sismica in Italia.

 
1. Premessa

Il disastroso terremoto della Calabria meridionale e Messina del 28 dicembre 1908, a causa del quale ci furono circa 80.000 morti, rappresenta un evento chiave per l’impegno dello Stato italiano in materia di prevenzione sismica[1]. Fu proprio a seguito di quel terremoto che ebbe inizio la classificazione sismica[2] del territorio nazionale (r.d. n. 193/1909[3]).

Premesso che storicamente esiste una relazione di causa-effetto tra un terremoto catastrofico e l’emanazione di una legge finalizzata a porre rimedio ai danni provocati dal sisma e/o a prevenire gli effetti di eventi futuri, in questo articolo si intende ripercorrere le tappe principali dell’evoluzione storica della normativa sismica in Italia, con particolare riferimento alle norme relative alla classificazione sismica del territorio nazionale e alle norme tecniche di costruzione in zona sismica,

Partendo dal basso medioevo e prendendo come linea spartiacque proprio il decreto del 1909, l’obiettivo finale è quello di mettere in luce come siano cambiate le politiche di gestione del problema sismico in Italia attraverso l’uso dello strumento legislativo. 

2. Fino al terremoto del 1908

Prima di analizzare lo sviluppo storico delle disposizioni normative, occorre sottolineare che dal punto di vista storiografico il concetto di prevenzione sismica, relativamente recente, è riconducibile al XIX secolo. Per i secoli di epoca precontemporanea è più opportuno fare riferimento al concetto di “rimedio”: gli edifici erano sottoposti a interventi di ricostruzione (ripristino, restauro, consolidamento) per rimediare ai danni subiti durante il terremoto, anche per limitare gli effetti di terremoti futuri. Un obiettivo, peraltro, presente per l’edilizia di pregio (chiese, cattedrali, palazzi, ecc.), ma molto raramente per l’edilizia civile minore, quella abitativa, spesso povera per i materiali e le tecniche costruttive, sia perché mancava il quadro culturale e scientifico del contesto, sia perché, sotto l’aspetto dei principi, era assente il diritto alla sicurezza abitativa.

2.1. Dal XIII secolo alla fine del XIX secolo

Durante l’età medievale raramente prima del Duecento si trovano disposizioni pubbliche finalizzate a regolamentare le fasi della ricostruzione, mentre successivamente è più facile trovare atti che disciplinano l’utilizzo delle macerie, il restauro delle mura della città o delle abitazioni private danneggiate da un terremoto, se a ridosso delle mura pubbliche; o esenzioni fiscali volte a favorire la ricostruzione.

Per il primo progetto di casa antisismica, in senso lato la prima “norma tecnica” in ambito sismico, di cui si ha notizia in Occidente occorre giungere alla seconda metà del XVI secolo: fu realizzato da Pirro Ligorio[4] durante la sequenza sismica che interessò la città di Ferrara fra il 1570 e il 1574. Ligorio, in contrasto con la cultura dell’epoca che attribuiva ai terremoti un’origine soprannaturale alle cui conseguenze l’azione umana non poteva trovare rimedio, e sebbene anch’egli considerasse tali fenomeni ascrivibili a manifestazioni della volontà divina, sentì la necessità di ricondurne l’origine a cause razionali per rimediare agli effetti. La casa di cui disegnò e illustrò i principi costruttivi avrebbe dovuto essere rinforzata nei punti deboli, visti cedere durante il terremoto. Ma la società in cui viveva non era pronta ad accogliere idee così rivoluzionarie, tanto che lo stesso Ligorio, consapevole di precorrete troppo i tempi, si auspicava che quel progetto potesse servire ai suoi posteri[5].

Risale al secolo successivo, la prima disposizione normativa, di cui si è a conoscenza, con la quale vengono imposte nuove modalità di costruzione antisismiche. Venne emanata nel 1627 per la città di Benevento[6], in seguito al terremoto del Gargano. Occorre, però, aspettare oltre mezzo secolo per il primo grande progetto di ricostruzione: fu realizzato dal governo spagnolo dopo il terremoto che colpì la Sicilia orientale nel 1693, a causa del quale ci furono oltre 50.000 morti. La conduzione fortemente verticistica della ricostruzione, guidata dal commissario vicereale duca di Camastra, permise di risolvere numerosi conflitti sociopolitici e di ricostruire decine di città. Nonostante questo, la sicurezza sismica non costituì una priorità e furono create nuove vulnerabilità che rappresentano un problema ancora oggi.

Sul finire del Settecento si devono ricordare i cinque terremoti che devastarono la Calabria e la Sicilia nord orientale tra febbraio e marzo del 1783, a seguito dei quali il governo borbonico adottò una serie di provvedimenti[7] finalizzati a realizzare un vasto progetto di ricostruzione, riuscendovi solo in parte[8]. In particolare, furono emanate norme edilizie[9] innovative sotto l’aspetto della progettazione antisismica[10]. Ma esse furono applicate solo sporadicamente e si presume fossero desuete già alla fine del secolo. Come evidenzia la sismologa storica Emanuela Guidoboni, se tali norme fossero entrate nella cultura edilizia locale, sarebbero state risparmiate molte vite umane nei secoli successivi[11].    

Pochi anni prima dell’unità d’Italia, altri due terremoti segnano la storia sismica della penisola e con essa quella della normativa sismica: il terremoto della Basilicata del 1857 e il terremoto della Valnerina del 1859. Nel primo caso nel Regno delle due Sicilie vennero istituite commissioni edilizie comunali nelle aree più devastate con il compito di adottare nuove regole costruttive e verificarne l’attuazione. Ma la ricostruzione fu lentissima, soprattutto per il disinteresse alla prevenzione sismica mostrato dal governo sabaudo, nel frattempo subentrato ai Borboni[12]. Nel secondo caso il governo pontificio, sotto la guida del riformista Pio IX, predispose nuove regole edilizie e urbanistiche con finalità antisismiche[13], ma i comuni, soprattutto Norcia, si rifiutarono di applicare norme che consideravano una restrizione alla proprietà privata. Anche in questo caso però, a seguito dell’annessione dell’Umbria al Regno d’Italia nel 1861, la gestione della ricostruzione passò presto al governo piemontese, che come ricordato sopra si rivelò poco propenso a considerare la sicurezza sismica una priorità.

L’involuzione nella gestione del problema sismico che si registrò con l’avvento del governo sabaudo, sia per l’entità delle risorse economiche impiegate sia per l’adozione di norme e procedure idonee a fronteggiare l’emergenza sismica e la successiva ricostruzione, si palesò anche durante il terremoto della Liguria occidentale del 1887. Tuttavia, fu a partire da questo evento che le conoscenze scientifiche sui terremoti cominciarono a essere integrate nei processi decisionali di governo.

3. Dopo il terremoto del 1908

Il terremoto della Calabria meridionale e Messina del 1908 costituì una svolta decisiva per la presa di coscienza da parte dello Stato italiano della necessità di agire nella direzione della prevenzione, sebbene il percorso intrapreso da allora fino a oggi non sia stato sempre lineare e privo di contraddizioni. Quella catastrofe diede vita a una coscienza solidaristica nazionale che, grazie anche alle aspre critiche di alcune testate giornalistiche, spinse il governo ad adottare misure innovative.

In particolare, fu avviata la classificazione sismica del territorio nazionale: nel già citato r.d. n. 193/1909 vennero elencati tutti i comuni obbligati al rispetto di specifiche norme tecniche e igieniche predisposte per la riparazione, ricostruzione e nuova costruzione degli edifici danneggiati dal terremoto del 28 dicembre o da terremoti precedenti[14]. Pochi anni dopo, nel 1915, a quell’elenco vennero aggiunte le località colpite dal terremoto della Marsica[15]. Si proseguì in questo modo senza grosse variazioni fino all’inizio degli anni ottanta, con i comuni colpiti da un nuovo terremoto che venivano di volta in volta aggiunti a quelli già classificati.

3.1. Fino alla seconda guerra mondiale

La politica fortemente centralista inaugurata con la ricostruzione di Reggio Calabria e Messina se da un lato produsse negli anni a venire effetti positivi sulla gestione dell’emergenza post sismica e della ricostruzione, dall’altro non mancò di generare anche ricadute negative. È il caso della Garfagnana dopo il terremoto del 1920: come osserva ancora Emanuela Guidoboni[16], l’imposizione di norme costruttive unificate e basate sull’utilizzo del cemento armato[17]fece sì che l’opera di ricostruzione fosse condotta da specialisti esterni, a scapito degli operatori e della cultura edilizia locali[18].          

Pochi anni più tardi, nel 1927, vennero introdotte le categorie sismiche e i comuni colpiti da terremoti furono suddivisi in due differenti categorie «in relazione al loro grado di sismicità, ed alla loro costituzione geologica»[19], con la conseguente applicazione di norme tecniche distinte[20].

Ma con l’avvio della classificazione sismica del territorio nazionale iniziò anche il “fenomeno” della declassificazione, motivato da scelte di opportunismo politico locale, a dispetto delle conoscenze scientifiche. Fra le tante declassificazioni che si sono susseguite nel corso del ventesimo secolo, spicca il caso del comune di Rimini[21]: classificato come sismico con il decreto del 1927, a causa del terremoto del 1916, venne declassificato nel 1938[22] per non ostacolare lo sviluppo turistico dell’area, per poi essere riclassificato come sismico (di seconda categoria) nel 1983[23], sull’onda emotiva dei disastri del Friuli del 1976 e dell’Irpinia-Basilicata del 1980[24].

Il successivo decreto del 1935, oltre alla ormai usuale classificazione sismica e all’introduzione di alcune importanti novità sui criteri di costruzione nelle località sismiche, si rivolse anche alle località non colpite dal terremoto per le quali venne stabilito che nei regolamenti edilizi fosse «resa obbligatoria in qualsiasi opera edilizia l’osservanza delle buone regole dell’arte del costruire, in relazione anche ai materiali e ai sistemi costruttivi adottati nei loro rispettivi territori»[25].

3.2. Dopo la seconda guerra mondiale

La legge del 1962, emanata pochi mesi dopo il terremoto dell’Irpinia, non modificò nella sostanza le prescrizioni tecniche previste nel decreto del 1935, ma stabilì che esse dovessero essere applicate nei «comuni soggetti ad intensi movimenti sismici» e non più esclusivamente a quelli colpiti dal terremoto, come era sempre stato indicato nella normativa dal 1909 fino ad allora[26]. Una previsione normativa che rimase solo sulla carta perché di fatto non cambiò nulla rispetto a prima: le località continuarono a essere classificate solo dopo aver subito un terremoto. Prassi che, come già evidenziato, restò inalterata fino ai primi anni ottanta[27].

A sei anni dal terremoto della Valle del Belice che devastò la Sicilia sud occidentale, il Parlamento italiano approvò la l. n. 64/1974[28], con la quale furono gettate le basi concettuali della normativa sismica attuale[29]. Con la nuova legge vennero definiti alcuni principi generali che riconoscevano l’importanza di integrare nel processo decisionale le conoscenze scientifiche via via acquisite in ambito sismico. In particolare, per le norme tecniche si stabilì che dovessero essere «fissate» e «aggiornate» con «decreti dal Ministero per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno[30]» ogni qualvolta fosse reso necessario dal «progredire delle conoscenze tecniche»; per la classificazione sismica si deliberò che da quel momento alla base di qualunque decisione, sempre adottata con decreto ministeriale, vi dovessero essere «comprovate motivazioni tecniche»[31]. Nel successivo decreto ministeriale del 1975, con cui vennero approvate le nuove norme tecniche, per la prima volta si teneva conto del comportamento dinamico della struttura ai fini della progettazione[32].

Occorre, però, aspettare ancora alcuni anni e altri due terremoti devastanti, Friuli 1976[33] e Irpinia-Basilicata 1980[34], prima che venga portata a compimento la sistematizzazione della zonazione sismica prospettata nel 1974. A questo risultato contribuirono in modo determinante gli studi sui terremoti e i loro effetti realizzati nell’ambito del Progetto finalizzato geodinamica del Centro nazionale delle ricerche[35]. La proposta di riclassificazione sismica che ne scaturì definiva i criteri generali, validi su tutto il territorio nazionale, da utilizzare per l’inserimento dei comuni negli elenchi di classificazione. Essa fu poi recepita con un serie di decreti ministeriali emanati fra il 1979 e il 1984, fra cui il decreto che introduceva la terza zona sismica, in aggiunta alle due già esistenti[36].

La classificazione del territorio nazionale così definita rimase tale fino al 2003. Fu un’altra tragedia sismica, quella avvenuta in Molise nel 2002[37], a dare ulteriore impulso al processo ormai in atto: con l’o.p.c.m. n. 3274/2003[38] per la prima volta tutta la penisola venne classificata sismica e suddivisa in quattro zone a sismicità decrescente[39]. L’ordinanza definiva provvisoriamente[40] i «criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche da parte dello Stato» e le «norme tecniche per le costruzioni nelle medesime zone», demandando alle regioni e alle province autonome il compito di individuare «le zone   sismiche,  la  formazione  e l’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone», come previsto dagli artt. 93 e 94 del d.lgs. n. 112/1998[41]. I criteri generali sono stati poi rivisti e definitivamente approvati con l’o.p.c.m. n. 3519/2006, con la quale venne approvata anche la nuova «mappa di pericolosità sismica di riferimento a scala nazionale»[42].

Le norme tecniche per le costruzioni furono, invece, oggetto di un apposito decreto ministeriale nel 2005[43], così come stabilito dall’art. 52 del t.u. dell’edilizia[44]. Il testo normativo del 2005, la cui piena attuazione è stata prorogata a più riprese per sperimentarne l’applicazione, di fatto non entrò mai in vigore in via definitiva[45], poiché già nel 2008 fu sostituito da nuove norme tecniche (NTC08)[46], rese obbligatorie in seguito al terremoto dell’Aquilano del 2009[47]. Norme poi aggiornate nel 2018 (NTC18)[48], a circa un anno dalla sequenza sismica che ha interessato il Centro Italia tra il 2016 e il 2017.

4. “Evoluzione” storica del rapporto tra classificazione sismica e norme tecniche

Dalla prima “rudimentale”[49] classificazione del 1909 fino all’entrata in vigore delle NTC08, c’è sempre stata corrispondenza tra una zona (o categoria[50]) sismica e le norme tecniche da seguire per la progettazione di una costruzione in quella zona. Quindi, per circa un secolo la classificazione fondata su un numero ridotto di zone, entro le quali venivano inseriti i comuni in base ai relativi confini amministrativi, è stata utilizzata per stabilire le norme tecniche di progetto da osservare, nonché per ottemperare agli obblighi burocratici richiesti per gli interventi edilizi e alle connesse attività di controllo da parte delle autorità incaricate. 

Con l’entrata in vigore delle NTC08 le azioni sismiche[51] di progetto sono state svincolate dall’appartenenza a una determinata zona sismica e correlate direttamente alla mappa di pericolosità sismica[52], come anzidetto approvata con l’o.p.c.m., n. 3519/2006. In questo modo, per ognuno dei circa 11.000 valori puntuali della mappa vengono determinati i parametri dell’azione sismica da impiegare per la progettazione. In pratica le NTC08 sanciscono la fine della classificazione sismica ai fini della progettazione. Oggi essa viene usata dalle regioni come strumento puramente amministrativo per indirizzare i controlli sulle opere di recente costruzione o riadeguate, ai sensi di quanto disposto dalla normativa.

5. Il “lungo cammino” della prevenzione sismica in Italia

La sviluppo storico delle principali disposizioni normative italiane in materia sismica ripercorso in questo articolo ha messo in luce come l’approccio più razionale al fenomeno sismico sia una conquista relativamente recente il cui percorso è soltanto all’inizio. In questa prospettiva, si può affermare che il terremoto del 1908 ha rappresentato un passaggio fondamentale, poiché a partire da quella data il binomio “norme relative alla classificazione sismica e norme tecniche per le costruzioni antisismiche” è stato utilizzato come strumento per la riduzione del rischio sismico.

Ancora a fine Ottocento, infatti, pur essendo note le regole del buon costruire, molteplici fattori ne frenavano l’attuazione. Tra questi, avevano un peso rilevante la carenza di risorse economiche, la necessità di ricostruire in tempi brevi e, non ultimo, il retroterra culturale che portava a subire passivamente le conseguenze del terremoto senza cercare di ridurne gli effetti.

In questo contesto, nei primi decenni di vita la classificazione sismica era finalizzata a ricreare le condizioni sociali ed economiche preesistenti al terremoto, e solo in un secondo momento ha cercato di integrare le nuove elaborazioni teoriche sulla forza e frequenza dei fenomeni attesi, pur con ritardo e risultati alterni. Si è così passati da una classificazione che attraverso la quantificazione degli effetti dei terremoti ha fornito un quadro a posteriori del rischio sismico a una classificazione che ha cercato di definire a priori la pericolosità del fenomeno naturale[53].

Questo processo, avviato in modo deciso dopo il terremoto dell’Irpinia-Basilicata del 1980 e realizzato compiutamente con la sopracitata o.p.c.m. n. 3274/2003, nel quale per la prima volta tutto il territorio italiano è stato classificato come sismico, rappresenta lo sviluppo necessario e basilare per attivare politiche di prevenzione sismica continuative ed efficaci.

Del resto anche in ambito europeo il principio di prevenzione in materia ambientale è stato introdotto nel Trattato CE soltanto nel 1987, con l’entrata in vigore dell’Atto unico europeo[54], a testimonianza di quanto sia recente anche nel diritto sovranazionale l’esigenza da parte dello stesso legislatore, nel caso di specie del legislatore comunitario, di esplicitare questo principio per attribuirgli un ruolo chiave nella definizione delle politiche in materia ambientale[55].

Sulla base di queste premesse non può sorprendere che gran parte del patrimonio edilizio italiano presenti un ritardo di progettazione antisismica di circa cinquant’anni: come visto nel corso del contributo, norme antisismiche in senso moderno sono state introdotte solo a partire dalla metà anni degli settanta del Novecento, quando ormai i tre quarti dell’edilizia residenziale nazionale era già stata costruita. Di fronte a questa situazione ben si comprendono i reiterati appelli degli studiosi e operatori del settore sulla necessità di riqualificare il patrimonio edilizio attraverso una pianificazione strutturale che coinvolga istituzioni e cittadini. Del resto, è altrettanto comprensibile come la mancanza di una cultura diffusa del rischio in generale, e di quello sismico in particolare[56], unita a una visione transgenerazionale inadeguata, porti a sottovalutare la programmazione di una sua riduzione strutturale, considerandola non prioritaria o, comunque, procrastinabile. 


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sull’argomento si veda anche D. MARINO, Il Codice della protezione civile e la prevenzione sismica, in Cammino Diritto, 2021.

[2] Il significato di classificazione sismica è cambiato nel corso del tempo, alla luce degli sviluppi teorici in ambito sismico. In generale, per classificazione sismica si intende l’inserimento dei comuni italiani in elenchi suddivisi per classi (denominate “categorie” o “zone”), a ognuna della quali corrisponde una differente esigenza di progettazione antisismica. Per approfondimenti sullo sviluppo storico di tale significato si rimanda alla lettura dell’intero articolo.

[3] Regio decreto 18 aprile 1909 n. 193. Contenente le norme tecniche ed igieniche obbligatorie per le riparazioni, ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifizi pubblici e privati negli ivi elencati Comuni colpiti dal terremoto del 28 dicembre 1908 o da altri precedenti.

[4] Pirro Ligorio è stato un architetto, storico ed erudito napoletano. Arrivò a Ferrara nel 1568, chiamato alla corte estense come antiquario. 

[5] Queste idee vennero raccolte nel Libro di diversi terremoti, scritto da Ligorio proprio durante la sequenza sismica del 1570-1574.

[6] Da qui il nome di “sistema baraccato alla beneventana”: si tratta di una tecnica costruttiva in muratura mista a legno. Peraltro, occorre evidenziare che in letteratura non vi è consenso unanime sulla data di origine di questa tecnica.

[7] Norme e provvedimenti del 10 marzo 1784 presi nel Regno di Napoli dopo il terremoto calabro-siculo del 1783.

[8] Il progetto avrebbe dovuto essere finanziato attraverso la confisca delle terre della manomorta ecclesiastica, ma fu fortemente osteggiato dalla nobiltà e dal clero, che ne impedirono la compiuta realizzazione.

[9] Istruzioni per la città di Reggio del 20 marzo 1784.

[10] Per un’analisi approfondita del sistema antisismico borbonico si veda N. RUGGIERI, L’ingegneria antisismica nel Regno di Napoli (1734-1799), 2015, Roma.

[11] E. GUIDOBONI, Il valore della memoria. Terremoti e ricostruzioni in Italia nel lungo periodo, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 2017, vol. 96, 436.

[12] Con l’unificazione d’Italia le norme sismiche fino ad allora vigenti vennero rese meno severe in forza del principio “liberi edifici in libera nazione”.

[13] Regolamento della nuova legge edilizia statutaria della città di Norcia del 28 aprile 1860.

[14] I circa 300 comuni elencati nel decreto appartenevano alle tre province della Calabria (Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria) e alla provincia di Messina.

[15] Regio decreto legge 29 aprile 1915, n. 573. Riguardante le norme tecniche ed igieniche da osservarsi per i lavori edifizi nelle località colpite dal terremoto del 13 gennaio 1915.

[16] GUIDOBONI, Il valore della memoria. Terremoti e ricostruzioni in Italia nel lungo periodo cit., 440.

[17] Regio decreto legge 23 settembre 1920, n. 1315. Contenente provvedimenti per il terremoto del 6-7 settembre 1920.

[18] In Garfagnana, c’era una cultura edilizia di tipo tradizionale (i materiali usati erano la pietra e, in minor misura, la muratura e il legno), consolidata da una storia abitativa plurisecolare in aree sismiche di montagna.     

[19] Le categorie (prima e seconda) furono suddivise secondo il criterio della sismicità decrescente.

[20] Regio decreto legge 13 marzo 1927 n. 431. Norme tecniche ed igieniche di edilizia per le località colpite dal terremoto.

[21] Nel corso del Novecento altri provvedimenti di declassificazione riguardarono, ad esempio, i comuni della provincia di Pesaro-Urbino nel 1941, il comune di Vittorio Veneto nel 1947 e molti comuni dell’Appennino campano, compresi nell’area fra il Sannio e l’Irpinia, nel 1962.

[22] Decreto ministeriale 27 luglio 1938-XVI. Cancellazione del comune di Rimini dall'elenco di quelli nei quali è obbligatoria l'osservanza di speciali norme tecniche di edilizia.

[23] Decreto ministeriale 23 luglio 1983. Approvazione delle zone sismiche nella Regione Emilia-Romagna.

[24] A causa di questo il tessuto urbano del comune di Rimini ha un ritardo di progettazione antisismica di circa cinquant’anni.

[25] Regio decreto legge 25 marzo 1935, n. 640. Nuovo testo delle norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti.

[26] Legge 25 Novembre 1962, n. 1684. Provvedimenti per l'edilizia, con particolari prescrizioni per le zone sismiche.

[27] Peraltro, occorre sottolineare che dalla fine della seconda guerra mondiale lo Stato italiano, a differenza di quanto avvenuto fino ad allora e sull’onda della ricostruzione post bellica, cominciò a sovvenzionare in modo rilevante e progressivamente crescente tutti i soggetti danneggiati dal terremoto, sebbene gli esiti siano stati spesso insoddisfacenti, anche a causa del proliferare di fenomeni di speculazione e corruzione.   

[28] Legge 2 febbraio 1974, n. 64. Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche.

[29] Questa legge, che sostituì in toto la l. n. 1684/1962, durante la sua formazione fu condizionata dal processo di decentramento amministrativo in atto, in conseguenza del quale era stato previsto che le competenze in materia urbanistica venissero trasferite dallo Stato alle regioni.

[30] L’introduzione dello strumento del decreto, al posto della legge, sarebbe dovuto servire, almeno nelle intenzioni, a velocizzare l’iter decisionale affinché il dettato normativo fosse sempre in linea con le conoscenze scientifiche in materia sismica più recenti.     

[31] Si deve ricordare che fino al 1974 le norme sulla classificazione e le norme tecniche per le costruzioni erano state perlopiù emanate in coincidenza del verificarsi di un terremoto.

[32] Decreto ministeriale del 3 marzo 1975. Approvazione delle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche.

[33] Quello del Friuli è l’unica catastrofe sismica del ventesimo secolo per il quale sia stata dichiarata la fine della ricostruzione (da parte della Regione Friuli nel 1996): a differenza di altre gestioni post sismiche, con l’istituzione delle regioni avvenuta nel 1970, l’impiego delle risorse pubbliche è stato concordato con i cittadini, i quali hanno potuto incidere anche sulle scelte costruttive e sul tipo di aiuti economici da impiegare.       

[34] Al differenza di quanto avvenuto in Friuli, per la gestione post terremoto del 1980 si può affermare che la ricostruzione antisismica, oggetto di sprechi e malaffare, fu un parziale fallimento.       

[35] Il PFG del CNR è stato un progetto di ricerca multidisciplinare condotto da esperti di geologia strutturale, ingegneria sismica, sismologia e vulcanologia fra il 1976 e il 1981 con lo scopo di valutare e ridurre il rischio sismico e vulcanico in Italia. In particolare, per quel che riguarda il rischio sismico, vennero realizzati il modello strutturale e la carta neotettonica d’Italia, un nuovo catalogo dei terremoti, la prima classificazione sismica del territorio nazionale, oltre a manuali tecnici per le opere di consolidamento sismico delle costruzioni edificate prima della classificazione sismica del territorio nazionale, in quanto più vulnerabili. In sintesi, si crearono i presupposti per una moderna cultura della prevenzione sismica in Italia.

[36] Decreto ministeriale 3 giugno 1981. Classificazione «a bassa sismicità» S = 6 del territorio dei comuni delle regioni Basilicata, Campania e Puglia e classificazione sismica S = 9 del territorio del comune di S. Maria La Carità.

[37] Durante il terremoto soltanto tre edifici crollarono totalmente: fra questi la scuola elementare F. Jovine di San Giuliano di Puglia (CB), il cui crollo provocò la morte di 27 bambini e un’insegnante. Dalle successive indagini giudiziarie emerse che la scuola era stata ampliata e ristrutturata da poco ed era stata riaperta senza il necessario collaudo. La Corte di cassazione ha poi condannato in via definitiva l’allora sindaco in carica a 2 anni e 10 mesi di reclusione nel 2010 e a 5 anni il progettista, il tecnico comunale e i due costruttori nel 2012.

[38] Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274. Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica.

[39] Ancora a metà degli anni settanta del Novecento la percentuale di territorio italiano classificato si attestava attorno al 25%, una decina di anni più tardi al 45%.             

[40] L’ordinanza venne adottata sulla base di quanto disposto dagli artt. 2 co. 1 lett. c) e 5 co. 2 della l. n. 225/1992 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), poi confluita nel d.lgs. n. 1/2018 (Codice della protezione civile), in base ai quali per fronteggiare situazioni di emergenza veniva attribuito al Dipartimento di protezione civile potere di ordinanza «in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico». Sul punto si sono espressi prima la Corte cost. e poi il Tar della Lombardia che hanno messo in forte dubbio la legittimità di tale potere, quand’anche assunto in via provvisoria, in presenza di norme (nel caso di specie l’art. 83 del d.P.R. n. 380/2001) che disciplinano il settore oggetto della deroga applicabili in via ordinaria (cfr. Corte cost. sent. n. 127/1995 e TAR Lombardia sent. n. 96/1998).

[41] Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59.

[42] Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 aprile 2006, n. 3519. Criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone.

[43] Decreto ministeriale 14 settembre 2005. Norme tecniche per le costruzioni.

[44] Nel d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative regolamentari in materia edilizia) è confluita, con lievi modifiche, la l. n. 64/1974.

[45] Durante il periodo transitorio potevano essere utilizzate le disposizioni stabilite in attuazione della l. n. 1086/1971 (Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso e a struttura metallica.) e della l. n. 64/1974 cit.

[46] Decreto ministeriale 14 gennaio 2008. Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni.

[47] Il periodo transitorio di applicazione, inizialmente previsto fino al 30 giugno 2010, venne anticipato al 30 giugno 2009 per rispondere in modo più efficace all’emergenza sismica aquilana (art. 1 bis, d.l. n. 39/2009).

[48] Decreto ministeriale 17 gennaio 2018. Aggiornamento delle «Norme tecniche per le costruzioni».

[49] Dal punto di vista di chi analizza oggi i primi tentativi di classificazione sismica del territorio nazionale, essi potrebbero apparire piuttosto “grezzi”, tenuto conto anche della mole di dati scientifici puntuali sui terremoti di cui già si disponeva. D’altro canto oltre un secolo dopo si può affermare che, nonostante le sempre maggiori conoscenze scientifiche acquisite sui terremoti, il “cammino” della prevenzione sismica in Italia è ancora molto lungo, data la persistente difficoltà di integrare in maniera organica le acquisizioni teoriche nei processi decisionali.  

[50] Secondo la prima denominazione data alle odierne zone nel r.d. n. 431/1927 cit.

[51] Sollecitazioni a cui è sottoposta una struttura durante un terremoto.

[52] La mappa di pericolosità sismica approvata nell’ordinanza è stata rilasciata dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) nel 2004 per supportare le regioni nell’attività di aggiornamento della classificazione sismica. Per la prima volta in Italia venne realizzato un elaborato sismologico sulle base delle richieste dello Stato, attraverso un suo atto ufficiale. Essa è poi servita da prototipo per elaborare il modello di pericolosità sismica MPS04, nell’ambito del progetto condotto dal Dipartimento di protezione civile (DPC) in collaborazione con l’INGV (DPC-INGV S1), portato a compimento nel 2007. Il modello MPS04 ha rappresentato un’innovazione nell’ambito della sismologia applicata alla valutazione e riduzione del rischio sismico: l’approccio probabilistico è stato utilizzato per valutare la pericolosità sismica del territorio nazionale, suddiviso in circa 11.000 valori puntuali e i dati del modello sono serviti come base per il calcolo delle azioni sismiche di progetto, così come disposto dalle NTC08 (in seguito sostituite dalle NTC18).

[53] Per una prima definizione di rischio sismico e pericolosità sismica, concetti talora impropriamente utilizzati l’uno al posto dell’altro a livello mediatico, e non solo, si veda https://ingvterremoti.com/faq/ (ultimo accesso 01/06/2022). 

[54] Nello specifico l’art 130R co. 1 stabiliva che «l’azione della Comunità in materia ambientale ha l’obiettivo di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente», per poi precisare al co. 2 che tale azione «è fondata sui principi dell’azione preventiva e della correzione, anzitutto alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”» e al co. 3 che nel predisporla «la Comunità terrà conto dei dati scientifici e tecnici disponibili».   

[55] Sul punto in generale si veda MARINO, Il Codice della protezione civile e la prevenzione sismica cit., par. 5; per quel che riguarda in particolare le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali sulla nozione di ambiente alla luce delle recenti modifiche apportate agli artt. 9 e 41 della Cost. si veda R. MONTALDO, La tutela costituzionale dell’ambiente nella modifica degli artt. 9 e 41 della Cost.: una riforma opportuna e necessaria?, in Federalismi.it, 2022, n. 13, 187-212; per alcuni spunti dottrinali e giurisprudenziali sul principio di prevenzione si veda G. MANCINI PALAMONI, Il principio di prevenzione, in AmbienteDiritto.it, 2014, 1-15. 

[56] Per approfondimenti sul punto si vedano i contributi di G.M. CALVI, R. NASCIMBENE, Le radici della cultura sono amare, ma il frutto è dolce, in Progettazione Sismica, 2017, n. 2, 5 e di M. CRESIMBENE, F. LA LONGA, Terremoti: tra percezione e realtà, in Terremoti, Comunicazione, Diritto, riflessioni sul processo alla “Commissione Grandi Rischi”, a cura di Amato, Cerase, Galadini, 2015, Milano, 227-244.

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