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Pubbl. Sab, 18 Mar 2017

Passaggio dalla causa in astratto alla causa in concreto: gli effetti sul negozio indiretto e quello in frode alla legge

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Alfonso Cilvani


Il superamento dell´equazione ´tipo legale - causa lecita´ impone una nuova considerazione dei motivi personali nel negozio indiretto e della funzione assolta dall´art. 1344 c.c. nella sistematica civilistica.


Nell’ultimo decennio si è assistito, in seno alla giurisprudenza di legittimità, confortata da una schiera sempre più cospicua di autori, ad un ripensamento del concetto di causa nella struttura contrattuale.

Segnatamente, si è registrato il passaggio da una nozione di causa coincidente con la funzione economica-sociale del contratto ad altra che, disancorandola dal “tipo legale”, ne valorizza la componente concreta.

È importante sottolineare come l’accoglimento della nozione di causa in concreto, quale scopo pratico del contratto, non ha rilevanza meramente teorica, attese le notevoli ripercussioni che ha prodotto sul piano applicativo, con riferimento a diversi istituti e, tra questi, al negozio indiretto e quello in frode alla legge.

Prima di analizzare in che termini abbia inciso su tali figure, è opportuno delineare quale sia la rilevanza attribuitale nella sistematica civilistica e quale l’ubi consistam della stessa, in seguito alla fondamentale pronuncia del 2006 della Corte di Cassazione.

Ebbene, il legislatore, all’art. 1325 c.c. inserisce la causa, accanto all’accordo, l’oggetto e la forma (quando prescritta dalla legge a pena di nullità, in deroga al principio di libertà delle forme), tra gli elementi essenziali del negozio. Tale natura emerge alla luce dell’art. 1418 co.2 c.c. che, nel richiamare l’art. 1325 c.c., sanziona con la più grave forma di invalidità negoziale il contratto che sia sprovvisto di taluno dei requisiti in esso indicati.

È opportuno precisare che si differenziano dai cd. “essentialia negotii” gli elementi accidentali, la cui presenza non è necessaria ai fini della valida formazione del contratto. Tuttavia, come autorevole dottrina ha puntualizzato, occorre procedere ad un’esatta perimetrazione della non essenzialità nella struttura contrattuale di tali elementi: infatti, essa sarebbe confermata con riferimento alla tipologia negoziale in astratto, tuttavia, allorquando le parti, nell’esercizio del potere di libera determinazione del contenuto del contratto ex art. 1322 c.c., vi inseriscono siffatti elementi, questi entrano a far parte del negozio dovendo necessariamente essere valutati anche ai fini della ricostruzione della volontà contrattuale manifestata dalle parti.

Nonostante la centralità della causa, peraltro confermata dall’essere la materia contrattuale informata dal principio causalistico, espresso nell’esigenza che ogni spostamento patrimoniale debba essere sorretto da valida giustificazione causale (“l'autonomia privata è ammessa dall'ordinamento in vista e in dipendenza dello scopo che essa persegue” -Santoro Passarelli), il legislatore non ha fornito alcuna espressa definizione della stessa.

Definita come "oggetto vago e misterioso" i, il silenzio normativo ha consentito il proliferare in dottrina di una pluralità di possibili ricostruzioni dogmatiche (teoria oggettiva, soggettiva, causa in concreto) aventi tutte come nucleo comune l’identificazione della causa come “giustificazione del contratto nei confronti dell’ordinamento giuridico”.

La teoria soggettiva fa coincidere la causa con le motivazioni che hanno spinto le parti alla stipulazione del contratto: è chiaro che, in tal modo, si sovrappone la causa con i motivi personali, tendenzialmente irrilevanti per il diritto, se non nei limiti di operatività dell’art. 1345 c.c. a tenore del quale, quando le parti si sono determinate a concludere un contratto esclusivamente per un motivo illecito, comune ad entrambe, il contratto è illecito e nullo ex art. 1418 co. 2 c.c..

La teoria oggettiva, nota come la teoria della causa in astratto, identifica la stessa nella funzione economica-sociale che quella particolare tipologia contrattuale è idonea a perseguire. La causa diventa da un lato, funzione della operazione negoziale e quindi sintesi degli effetti essenziali; una funzione uguale per tutti i contratti appartenenti al tipo, a prescindere dai motivi individuali, che intanto potrebbero rilevare in quanto si obiettivizzino nel regolamento contrattuale attraverso lo strumento della condizione. Dall'altro, è funzione economica, in quanto il contratto dà un profitto alle parti, e sociale, atteso che ha come parametro di riferimento non l'interesse individuale, ma quello della generalità dei consociati.

Tale concezione riceve la sua migliore formulazione nei contributi di  Bettiii iii: partendo dal presupposto essenziale a tenore del quale così come i diritti soggettivi, anche i poteri di autonomia privata debbono essere esercitati in maniera tale da non contrastare con la funzione sociale cui essi sono in ultima analisi rivolti, l’illustre Autore definisce la causa del contratto come la funzione sociale dell’intero negozio, dei cui elementi essenziali e costitutivi rappresenta la sintesi. 

In definitiva, la causa del contratto si risolverebbe nella funzione socialmente apprezzabile e ricorrente, che quel tipo di contratto è chiamato a svolgere ogni qualvolta si presenti la situazione tipica.

Si tratta di teorica che per lungo tempo ha dominato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sorto sul puntoiv.

Tuttavia, con pronuncia 8 maggio 2006, n. 10490 della Suprema Corte, si è segnato quel passaggio da causa quale funzione economica sociale a causa quale funzione concreta del contratto.

Viene, in altri termini, ricostruita quale "ragione economica individuale", "sintesi degli interessi concreti perseguiti dalle parti" e destinati a realizzarsi mediante la predisposizione di quel peculiare regolamento contrattuale. Dunque, da causa in astratto a causa in concreto, da funzione economica-sociale a funzione economica-individuale che le parti intendono conseguire mediante il ricorso a quella particolare tipologia negoziale.

In particolare, nella suddetta sentenza i giudici di legittimità affermano che "la causa quale elemento essenziale del contratto non deve essere intesa come mera ed astratta funzione economica-sociale del negozio, bensì come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, e cioè come funzione individuale del singolo, specifico contratto, a prescindere dal singolo stereotipo contrattuale astratto, fermo restando che detta sintesi deve riguardare la dinamica contrattuale e non la mera volontà delle parti".

Invero, in letteratura ci si è chiesto se nell'optare per una diversa concezione della causa, la Cassazione abbia davvero dovuto superare un muro altissimo, o se, in realtà, non si sia trattato di strappare un mero velo che vale a coprire una ben diversa realtàv.

Infatti, sebbene è indiscutibile che al momento della redazione del Codice Civile, si sia voluto accogliere la concezione oggettiva pura, come testimoniato dalla Relazione al Codice Civile paragrafo 613, ove si legge che "la causa è la funzione economica sociale che il diritto riconosce ai suoi fini e che sola giustifica la tutela della autonomia privata", lo stesso legislatore nell'inserire norme quali l'art. 1344 c.c. e il 1345 c.c., ha introdotto elementi non in armonia con la nozione oggettiva della causa; ciò, a fronte della necessità di colmare una falla che avrebbe potuto crearsi a seguito della rigida adesione alla concezione della causa come funzione tipica astratta. Infatti, l'art. 1344 c.c.ha avuto da sempre la funzione di superare la confusione tra i piani della causa e del tipo, rendendo possibile ravvisare una causa illecita anche in un negozio tipico.

Ciò nondimeno significa ritorno alla teoria soggettiva e ricerca della volontà delle parti, bensì "la causa resta ancora iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, questa volta, funzione individuale del singolo specifico contratto posto in essere a prescindere dal relativo stereotipo astratto"vi. Come è stato autorevolmente osservato, "l'interesse dei contraenti fuoriesce dalla loro sfera soggettiva, diviene entità autonoma ed obiettivata nel contratto, assoggettandosi conseguentemente alla disciplina complessivamente dettata dall'ordinamento ed alla verifica della meritevolezza degli interessi perseguiti dai contraenti medesimi"vii.

L’affermarsi della causa in concreto ha determinato la distinzione tra causa e tipo legale, da cui scaturigina una conseguenza applicativa di non poco momento: la causa diventa concetto dinamico che cangia e varia al variare degli interessi concreti perseguiti; il tipo legale diventa, invece, concetto statico che descrive la struttura di talune ipotesi contrattuali individuate dal legislatore.

La conseguenza di tale distinzione è che il controllo sulla causa non dovrà essere più condotto sui soli contratti atipici, bensì anche su quelli tipici. La ragione è evidente e si fonda sulla distinzione sopra accennata. Fin quando si riteneva causa del contratto la ragione economica-sociale, si finiva per far coincidere la stessa con il tipo legale, allorché si rinunciava ad un controllo sulla esistenza e liceità, dovendo le stesse presumersi in considerazione del fatto che una tale valutazione era già stata operata a monte dal legislatore in sede di tipizzazione.

Nel contesto attuale, caratterizzato dall’idea della causa in concreto e dunque da una scissione della causa dal tipo legale, non può prescindersi da un controllo anche sui contratti tipici. Accanto a quello sulla meritevolezza di tutela dell’interesse perseguito (l’unico a dover essere condotto sui soli contratti atipici ex art. 1322 co. 2 c.c.), deve eseguirsi un controllo sulla esistenza e sulla liceità della causa.

A norma dell’art. 1418 c.c. la causa può rilevare ai fini della determinazione della nullità del negozio o quando assente o quando illecita ex art. 1343 c.c. ossia contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume: le prime sono quelle non derogabili dalla volontà negoziale privata in quanto finalizzate a tutelare interessi di rilievo pubblico o generale; l’ordine pubblico è generalmente fatto coincidere con i principi giuridici fondamentali posti alla base dell’ordinamento giuridico nazionale e normalmente deducibili dall’assetto costituzionale; il buon costume, invece, è costituito dal complesso dei principi etici costituenti la morale sociale.

Ciò posto, il superamento della concezione astratta della causa in favore di quella concreta, ha fatto sorgere la necessità di procedere ad una nuova valutazione di una pluralità di questioni problematiche emerse nel tempo, connesse alla tematica della causa del contratto. Tra queste quelle afferenti il negozio indiretto e in frode alla legge.

Con la locuzione negozio indiretto si individua quel negozio mediante il quale le parti perseguono un fine ulteriore e diverso da quello tipico del contratto adottatoviii.

Tale risultato può essere conseguito mediante un negozio opportunamente congegnato ovvero attraverso un collegamento tra diversi negozi. In tal caso (ove può parlarsi anche di “procedimento indiretto”), evidente è la sovrapposizione tra negozio indiretto e collegamento negoziale: quest’ultimo fenomeno, di creazione giurisprudenziale, può essere inteso come quella tecnica contrattuale mediante la quale le parti, attraverso la predisposizione di una serie coordinata di atti, perseguono un risultato economico ulteriore e diverso rispetto quello tipico dei singoli negozi predisposti. Esemplificativo della prima ipotesi, è il caso del mandato irrevocabile e senza rendiconto ad alienare un bene, che non produce effetti reali, ma consegue lo stesso risultato economico di una compravenditaix. La seconda ipotesi è ciò che si realizza nel caso in cui x, in presenza di una lite, un soggetto riconosce il pieno diritto dell’altro ad avere una certa somma e costui rinunzia a parte di essa, in tal modo ottenendosi, dal collegamento tra riconoscimento del debito (1988 c.c.) e remissione parziale (art. 1236 c.c.), lo stesso effetto che si sarebbe ottenuto stupulando una transazione.

Affinché possa ricorrere un collegamento in senso tecnico, cui risulterà applicabile il principio simul stabunt simul cadent, è indispensabile ricorrano due requisiti: oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica unitaria, soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore.

Si ritiene, secondo certa impostazione dottrinale, che particolare figura di negozio indiretto sia il negozio fiduciario. Quest’ultimo ricorre quando un soggetto (fiduciante) trasferisce la proprietà di un bene al fiduciario con l’obbligo da parte di quest’ultimo, in forza del pactum fiduciae, di utilizzarlo per la realizzazione di uno scopo particolare e di ritrasferirlo, in un momento successivo, al fiduciante o ad un terzo soggetto. Accanto ad un effetto reale, consistente nel trasferimento del diritto di proprietà del bene, si determina un ulteriore effetto obbligatorio consistente nell’obbligo per il fiduciario di utilizzare il bene in conformità a quanto indicato nel pactum fiduciae e a ritrasferire, in un momento futuro, la proprietà del bene.

In definitiva, nella misura in cui il negozio fiduciario consente la realizzazione di un fine ulteriore, quest’ultimo è considerato particolare ipotesi di negozio indiretto.

Con precipuo riferimento alla causa, ci si è interrogati sul se nel negozio indiretto lo scopo ulteriore perseguito si inserisca nell’ambito dello stesso, delineando una categoria giuridica unitaria o se, invece, situandosi all’esterno del contratto, sia riconducibile ad un motivo individuale estraneo al profilo causale.

Sulla questione è dirimente la nozione di causa che si accoglie. Se si abbraccia quella astratta, la finalità particolare coinciderà con i motivi che hanno indotto i contraenti a stipulare e, dunque, irrilevanti sotto il profilo causale. Tuttavia, alla luce di una valutazione concreta della causa, non può che giungersi alla conclusione che il fine ulteriore qualifichi e permei il negozio per ciò che attiene all’elemento causale.

Pertanto, il giudice sarà tenuto, alla luce delle particolarità del caso concreto, a vagliare l’intera operazione negoziale posta in essere dalle parti: di guisa che laddove la ulteriore finalità perseguita (e dunque la causa) dovesse porsi in diretta violazione di una norma imperativa, dell’ordine pubblico o buon costume, il negozio giuridico dovrà ritenersi nullo per illiceità della causa ai sensi del combinato disposto ex artt. 1418 e 1343 c.c.; viceversa, qualora la violazione della norma imperativa dovesse essere indiretta, la causa sarà illecita ma ai sensi degli artt. 1418 e 1344 c.c..

Il negozio indiretto, infatti, può essere altresì utilizzato dalle parti per il conseguimento (indiretto) di un risultato vietato da norma imperativa, configurandosi la figura del negozio in frode alla legge ex art. 1344 c.c.. Quest’ultimo consiste in un contratto lecito stipulato dalle parti per realizzare un risultato vietato dalla legge. Questo scopo può essere conseguito solo dando vita ad una operazione economica complessa, caratterizzata dal modo in cui i privati costruiscono il regolamento contrattuale non simulatoxi.

Sulla individuazione dei requisiti necessari a qualificare un negozio come in frode alla legge, si sono contrapposte una teoria oggettiva ed una soggettiva.

La teoria oggettiva, valorizzando il dato del perseguimento del fine vietato da norma imperativa, postula la distinzione tra norme materiali e formali: le prime sono quelle in cui la norma vieta il conseguimento di un dato scopo attraverso determinate modalità, con la conseguenza che la frode non sarebbe configurabile essendo le parti libere di realizzarlo attraverso modalità alternative; le seconde, invece, sanzionano il conseguimento di un risultato qualsiasi sia lo strumento adottato e, conseguentemente, solo in riferimento ad esse la frode sarà ipotizzabile.

La teoria soggettiva, invece, richiede da un lato la preordinazione del negozio alla realizzazione di una finalità analoga o equivalente a quella vietata, dall’altro l’intento fraudolento delle parti.

Ciò posto, in che termini la causa quale scopo pratico del contratto avrebbe inciso sul negozio in frode alla legge?

Attenta dottrina ha osservato che il ruolo dell’art. 1344 c.c. sarebbe stato notevolmente depotenziato dalla teoria della causa in concreto. Infatti, nell’originaria visione della causa astratta, l’art. 1344 c.c. costituiva una norma di chiusura del sistema, in quanto unica norma mediante la quale poter comminare la nullità per illiceità della causa a fronte di una fattispecie tipica, essendo in questi casi presunta la liceità della causa nella conformità del contratto al tipo legale.

L’ accoglimento della causa concreta ha invece segnato la distinzione tra causa e tipo legale e, conseguentemente, sarebbe possibile ipotizzare un contratto seppure tipico con causa illecita.

Per tale motivo il supposto depotenziamento del 1344 c.c. deriverebbe dal fatto che, quante volte la causa è illecita, verrebbe ad essere integrato il 1343 c.c. e non più il 1344 c.c..

Si è tuttavia obiettato che, la differenza tra le due figure risiede nella modalità con cui si realizza la violazione della norma di legge, che nel 1344 c.c. è indiretta xii ossia avviene attraverso un procedimento indiretto con l’utilizzo di più negozi collegati ovvero con un negozio indiretto.

Note e riferimenti bibliografici
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V Corriere giuridico n.12 del 2006, p.1723, a cura di Federico Rolfi
VI v. Cassazione Civile, sez. III, n. 10490/2006
VII Corriere giuridico, op. cit., Rolfi, p. 1726.
VIII v. Cassazione Civile n.1214 del 1997; Cassazione Civile n. 19601 del 2004
IX v. Cassazione Civile n. 9837 del 1999
X v. Cassazione Civile n. 8098 del 2006
XI v.Cassazione Civile n. 1523 del 2010; Cassazione Civile n. 24274 del 2006
XII v. Cassazione Civile n. 24769 del 2008
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