Il diritto e le fonti di internet
Modifica paginaBreve ricognizione su come disciplinare la intricata rete di vicende della realtà virtuale.
Diritto ad internet: accesso a internet e fonti di disciplina
Ove si esamini internet sul piano giuridico, occorre comprendere se esso vada trattato secondo le coordinate attraverso cui si è provveduto a regolamentare altri strumenti, con cui è possibile manifestare il proprio pensiero (stampa, televisione) o se le peculiarità di questa “realtà-non realtà” richieda un’impostazione totalmente o parzialmente diversa.
Questa preliminare e apparentemente contraddittoria affermazione deriva dalla particolare natura di una realtà che è profondamente diversa dai rapporti concretamente localizzabili in un territorio.
Il diritto di internet si salda con l’esigenza di disciplinare il contratto di connettività, attraverso cui in concreto si fornisce l’accesso alla rete telematica ai vari utenti. L’oggetto di tale contratto può identificarsi nelle informazioni, che provengono da internet. La strumentazione giuridica consueta può essere poco adatta alla realtà virtuale. Si pongono al giurista problemi di non facile soluzione. Le relazioni già disciplinate, ove si sviluppino in internet, devono essere attentamente esaminate per pervenire a una disciplina soddisfacente, attraverso la riscrittura da parte dell’interprete delle regole preesistenti o l’adozione di nuove regole.
Pertanto, Internet nasce all'interno di relazioni già regolamentate, ma ha caratteristiche tali per cui le modifica e le trasforma. Internet, infatti, ha una dimensione transnazionale, è delocalizzato, non ha territorio. Gli ordinamenti giuridici nazionali, che sono essenzialmente territoriali, entrano dunque facilmente in crisi, nell’ipotesi in cui occorra disciplinare ed, eventualmente, sanzionare una condotta collocabile all’interno della rete telematica. Assumono rilievo determinati diritti di libertà, quale quello di espressione del pensiero, l’ordine pubblico, il buon costume, la tutela di minori. Si tratta di concetti pregnanti, i quali hanno, tuttavia, delle differenti caratterizzazioni nei vari ordinamenti statali e in un’ipotetica scala gerarchica la collocazione di tali valori può variare anche sensibilmente. Pertanto, ove un problema giuridico, afferente ad esempio al buon costume, collocabile a livello situazionale in internet, dovesse essere affrontato nell’ottica del diritto statale, le conclusioni potrebbero essere assai diversificate, secondo la normativa da applicare, potendosi giungere ad applicazione di princìpi totalmente diversi anche per la medesima questione, perché il valore “buon costume” è percepito in modo differenziato, secondo che venga in considerazione uno Stato oppure un altro.
La tematica dei diritti umani è strettamente connessa a Internet, ma sappiamo, per esempio, che i diritti delle donne sono fortemente misconosciuti nel mondo islamico, con la conseguente difficoltà nella risoluzione di correlative questioni giuridiche che sorgano su internet, in merito a tali argomenti. Ove ci si affidi solo alla strumentazione dei diritti nazionale e del diritto internazionale.
In termini generali, appare chiaro che l’evoluzione tecnologica debba essere usata per promuovere i diritti umani e non per pervenire a una svolta, in base a cui chi gestisce le nozioni e gli strumenti tecnico-informatici, per attuare una governance della rete, debba esercitare un controllo di matrice tecnocratica.
Il problema di disciplina si collega all’a-centralità e a-territorialità di internet, oltre che alla specificità del linguaggio informatico, basato su algoritmi. Questo ha generato l’idea che sia assai difficile elaborare statuizioni, contenenti norme per internet, proprio per l’incompatibilità fra il linguaggio tecnico-informatico e quello giuridico. Appare più condivisibile l’idea che il linguaggio giuridico possa evolvere, adattandosi alla realtà informatica. Il processo di globalizzazione comprende anche l’unificazione dei saperi, secondo il paradigma del progresso tecnico. Secondo Rodotà, "la dimensione istituzionale, la dimensione giuridica è tutt'altro che estranea già in questa fase iniziale, formativa, alla questione di "quali regole per Internet. Ma se noi torniamo di nuovo alle discussioni degli anni settanta, troviamo un altro motivo ricorrente. Allora erano consuete, abituali nella discussione libri e scritti che avevano nel titolo la formula, l'espressione "la morte della privacy". Tornano di nuovo, con riferimento a Internet, con riferimento al servizio on-line, le formule "la morte della privacy". Il rischio esiste, ma forse c'è da tenere conto del fatto che così come nella prima fase di decollo di queste nuove tecnologie, la privacy è uscita fortemente trasformata e per molti versi rafforzata, così oggi si offre una ulteriore opportunità di riflessione su questo tema.
Terzo ritorno di temi del passato: faccio qui un riferimento alla situazione italiana. Molti dei presenti ricordano che, a metà degli anni sessanta e nella prima parte degli anni settanta, la liberalizzazione nel settore delle televisioni e delle radio, fece nascere una generosa illusione di una libertà conquistata per cui sarebbe stato possibile a tutti ampliare le possibilità di comunicazione e di dialogo proprio attraverso televisioni libere, radio libere e per questo si affermava che questa libertà sarebbe stata tanto maggiore quanto minore fosse stata invece la regolazione pubblica. Noi conosciamo in Italia l'esito di questa vicenda; questa illusione generosa si è spenta in breve tempo, proprio l'assenza di un quadro di regole istituzionali ha favorito il prevalere di pure logiche di mercato.
Le televisioni libere sono diventate oggetto di attenzione dei grandi gruppi e questa illusione di libertà è stata riassorbita nelle grandi strutture di tipo oligopolistico. I digital libertarians, coloro i quali affermano che la rete è il luogo di una infinita libertà, che non deve essere in alcun modo limitata perché altrimenti correrebbe il rischio di essere compressa e negata, dovrebbero forse tenere d'occhio queste esperienze del passato: la libertà ha sempre bisogno di un quadro istituzionale non che la protegga, ma che consenta ad essa di rimanere al riparo dai molti attacchi che alla libertà possono essere portati anche senza una volontà censoria. E nel momento in cui Internet evolve come grandi luogo di interessi economici, tendenza che non può e sarebbe sbagliato contrastare, dobbiamo però tenere conto della necessità di salvaguardare in rete i diritti e le dinamiche della libertà.
Non è un caso che da anni si parli e si invochi un information bill of rights, che si parli di una "carta di diritti dell'informazione" che poi concretamente, almeno nel quadro e nello spazio dell'Unione Europea comincia a tradursi in atti significativi e certamente alla fine di quest'anno si avrà una novità senza precedenti: la creazione di uno spazio giuridico europeo dove la tutela della privacy e tramite essa la tutela di libertà fondamentali dei cittadini avrà probabilmente il grado più intenso che si conosca al mondo.
Oppure si ponga mente al fatto che Internet attraversa gli stati, che lo fa istantaneamente e che non necessariamente parte o
arriva in un punto fermo, perché può raggiungere mezzi in movimento quali aerei, treni o automobili, per capire quali e quanti problemi di giurisdizione e di competenza possono porsi all'interprete”. (tratto dal convegno "Internet e privacy - quali regole?")
Un quesito che si può esaminare è se la matrice di internet, nonostante le peculiarità del fenomeno, sia quella stessa di radio e televisione. In ogni caso, la normativa giuridica può anche scaturire da un linguaggio, che si adatti alla realtà informatica, con conseguente evoluzione delle modalità di espressione delle varie regolamentazioni. Per evitare una serie di incomprensioni linguistiche, basterà che i soggetti coinvolti concordino sulla definizione dei loro oggetti di discussione, e che l'idea di questi coincida. L’importante è che si assicuri il valore di trasparenza e buona fede.
Il linguaggio dev’essere strumentale rispetto a fini essenzialmente comunicativi e può assumere una forma compatibile con la caratterizzazione di internet, in cui le informazioni sono illimitate e immateriali.
Esistono in internet regole di galateo, prive di sanzione che nascono dall'autoregolamentazione (c.d. Netiquette, o AUP, Acceptable Use Policies, che configurano usi accettabili e usi sconvenienti). Vi è una tendenza all’autogoverno. La priorità è sempre evitare la tecnocrazia, nel senso di una deriva monopolista od oligopolista, con conseguente penalizzazione per il consumatore e per l’utente non tecnico e non conoscitore della realtà telematica, privo delle risorse economiche e di competenza per poter pervenire a una sufficiente possibilità di autotutela nel mondo informatico.
Internet deve servire a valorizzare i nuovi diritti, di cui si avverte la presenza con i cambiamenti sociali. La cittadinanza si può sostanziare pienamente se si consente l’accesso alle reti telematiche. E’ palese come un’interpretazione evolutiva della nostra Costituzione porti a inserire fra i diritti inviolabili quello dell’accesso a internet. E’ stato anche proposto una disegno di legge costituzionale, che introduca l’accesso a internet come “diritto sociale”, attraverso l’introduzione di un art. 34 bis della Costituzione[1], in modo che da qualsiasi parte del territorio nazionale sia consentito di navigare in internet, attraverso un opportuna impostazione della lunghezza di banda. La qualificazione del diritto di accesso a internet come diritto sociale piuttosto che come libertà consente di attribuire al beneficiario l’attitudine a ottenere l’effettività di tale diritto, nel senso che è consequenziale l’obbligo dello Stato di attivarsi per promuovere il medesimo diritto di accesso, ove la situazione di partenza sia lesiva dell’uguaglianza sostanziale, per il fatto che l’accesso sia consentito a una parte limitata dei consociati.
Il diritto sociale di accesso a internet andrà agganciato a un divieto di discriminazione, nel senso di una realizzazione della regola di uguaglianza. Internet è un “metaterritorio” senza confini; oggetto di tutela devono essere gli utenti, in specie quelli con minore competenza tecnica. Lo Stato può assumere una funzione propulsiva per arginare l’analfabetismo informatico e la mancanza di infrastrutture, che impediscono il libero accesso alla rete (digital divide), in modo da favorire il sorgere di un’effettiva cultura digitale. Internet nasce in ambito militare, in un settore di riservatezza e segretezza, in cui può presumersi l’assenza di regole fisse, e, in certo senso, l’anarchia, come emancipazione dall’autorità generale, ma l’espansione illimitata di tale mezzo richiede una disciplina, che prevenga e combatta la discriminazione, disciplina che la categoria-Stato non ha gli strumenti per fornire. Ove si intenda configurare in qualche modo la natura giuridica di internet, si potrebbe adoperare la categoria delle “res communis omnium”.
Nel momento in cui si adopera l’espressione “diritto di internet”, occorre riflettere sulla circostanza che internet non ha una personalità giuridica e non può essere proprietario di beni o servizi, in quanto si tratta di una struttura logica, oltre che un paradigma culturale, difficilmente incapsulabile nel giuridico. Tale struttura ha bisogno di una governance democratica, che imposti un quadro regolatore, dato dalle disposizioni di diritto internazionale, cui si uniformino le politiche nazionali, per favorire la multilateralità e la trasparenza, anche per evitare che responsabili della Rete surrettiziamente precludano la libera manifestazione del pensiero.
Occorre convenire sul fatto che il diritto di accesso a Internet deve collocarsi fra i diritti inviolabili dell’uomo aventi natura sociale (ma il profilo è controverso), per evitare discriminazioni sotto il profilo dell’uguaglianza, in modo di poter consentire a tutti, almeno nei punti di partenza, il medesimo tasso di partecipazione potenziale alla vita politica ed esercizio dei diritti che possono essere attuati on line. Il fenomeno della criminalità informatica non può considerarsi un ostacolo alla tesi dell’inclusione del diritto di accesso a internet fra i diritti inviolabili dell’uomo, aventi carattere sociale, in quanto nella realtà fisica esistono i diritti sociali, nonostante la presenza di criminalità. Pertanto, discriminare sotto questo aspetto fra realtà virtuale e realtà fisica appare un paralogismo.
In Italia, la Legge Stanca del 9 gennaio 2004 riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione ed ai relativi servizi, compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici. L’art. 1 della Legge fonda il diritto di accesso ad Internet sul principio di eguaglianza ex art. 3 della Costituzione, qualificandolo come uno strumento di realizzazione dell’eguaglianza sostanziale dei cittadini.
La pervasiva diffusione di internet ha determinato un cambiamento radicale del contesto sociale. Ciò influisce anche nell’ambito giuridico, in rapporto alla problematica della legge applicabile alle relazioni, svolgentisi su internet. Occorre favorire la possibilità di dare a tutti l’accesso alla realtà digitale, nel cui contesto si realizza pienamente la cittadinanza. La tesi della fruizione di internet come diritto di accesso è stata contestata. E’ possibile si creino dei problemi esegetici per il Giudice costituzionale, in rapporto a eventuali omissioni legislative, concernenti il diritto in parola. Lo stesso Legislatore statale potrebbe trovarsi in difficoltà. Pur se internet e l’accesso a esso non sono menzionati in Costituzione non può negarsi che un’oculata interpretazione della stessa porti in via evolutiva alla tutela di tale posizione soggettiva, senza che ciò implichi uno straripamento dell’interprete. L’art 21 ha una struttura flessibile ed elastica e ben si può adattare alle novità della rivoluzione digitale, con una equiparazione, nei limiti del possibile, fra libertà on line e off line.
Peraltro, per esigenze di maggior chiarezza, come sopra rilevato, si è proposto l’inserimento di questa disciplina in modo esplicito nel testo costituzionale, secondo uno schema simile a quello, per cui lo Stato è obbligato a garantire l’istruzione ai cittadini. Lo Stato dovrà promuovere l’accesso a internet e astenersi da condotte che limitino il medesimo a specifiche categorie di cittadini. Il mezzo attraverso cui esercitare la propria facoltà di partecipare alla cittadinanza digitale si collega in modo stretto alla partecipazione effettiva.
Queste diverse ricostruzioni considerano il diritto a internet una integrazione della libertà di espressione. Si argomenta nel senso che la libertà di espressione non comporta in automatico il diritto all’utilizzo dei correlativi mezzi, sia pure in un’ottica di massimo pluralismo e parità di trattamento.
Si può affermare che Internet sia una dimensione senza territorio o un “meta-territorio”, dotato di una struttura logica, che consente delle connessioni ed è suscettibile di essere regolamentato dal diritto internazionale. Può dirsi fin dall’inizio che due buoni strumenti e metodi per la disciplina, eventualmente in collegamento fra essi, sono l’autoregolamentazione e l’elaborazione di convenzioni internazionali. Le legislazioni statali non sono proficuamente utilizzabili, se non in funzione sussidiaria, per il caratteriale a-territoriale della rete e, in ogni caso, possono essere facilmente aggirate, per la difficoltà di utilizzo dello strumento della legge formale per le transazioni telematiche.
L’essenza transnazionale di internet rende, pertanto, inefficace lo strumento della legislazione statale e i criteri di collegamento offerti dal diritto internazionale privato non possono risolvere situazioni a volte parecchio complicate, in particolare per gli sviluppi quantitativi del commercio elettronico..
Non può ritenersi che un ambito di portata così ampia possa non essere in qualche maniera regolato dal diritto, in quanto si perverrebbe a un’assoluta anarchia, con conseguente penalizzazione del soggetto più debole nelle transazioni. Nonostante ciò, si sono avanzate tesi di tale tipo, come sopra accennato, anche in rapporto alle’origine della Rete internet in ambito militare. Peraltro, bisogna considerare che la Rete ha subìto una metamorfosi rispetto alla sua struttura iniziale, sia per l’aspetto qualitativo, sia per l’enorme accrescimento delle sue dimensioni. Da ciò la necessità di regole tecniche e amministrative, cui occorre aderire, per poter fruire di internet, con l’avvertimento che le conseguenze giuridiche di quanto accade in Rete sempre più coinvolgono anche soggetti che non hanno utilizzato il medesimo tout court o nella specifica situazione.
Il problema fondamentale, che ci si deve porre, è comprendere appieno quali siano le fonti da cui possa scaturire la disciplina applicabile alle questioni giuridiche pertinenti gli spazi virtuali. E’ necessario un superamento dell’opaca costruzione piramidale della gerarchia delle fonti e l’aggregazione tra fonti del diritto di matrice statale, le quali possono continuare a esprimere una propria funzione, sia pure in misura limitata, e fonti di diritto internazionale e comunitario.
Lex mercatoria e lex informatica
E’ noto come, in consonanza con la c.d. “globalizzazione”, lo Stato sia divenuto inadeguato a risolvere i problemi giuridici, attraverso le fonti di diritto conosciute. Si comprende che la questione acquisisce maggior pregnanza nell’ipotesi di transazioni giuridico economiche, eseguite via internet: infatti, in circostanze di questo tipo, i confini territoriali diventano volatili e si annichiliscono. Occorre aggregare le indicazioni provenienti dal diritto internazionale e i criteri di collegamento del diritto internazionale privato,.
Partendo dall’intuibile considerazione che appare difficile e arduo individuare quale disciplina applicare a scambi e relazioni giuridiche, che avvengono in un contesto virtuale, in cui manca uno spazio fisicamente percepibile, appare chiaro che un ruolo di primo piano hanno le Convenzioni internazionali. Assume rilievo, proprio per la progressiva perdita d’importanza della legge formale, la c.d. “lex mercatoria”, la quale si caratterizza per essere spontaneamente creata dalla società di mercanti, e adesso dalla società tecnocratica, per disciplinare i rapporti giuridici fra i medesimi. Tale categoria controversa e talvolta identificata con un diritto flessibile che si sovrappone a quello maggiormente rigido di matrice statale e acquisisce risalto, in particolare per la materia contrattualistica, per lo scambio e produzione di ricchezza, che avvengono tramite internet, Sul piano storico, nel Medioevo, in un sistema economico in cui il soggetto attivo era il commerciante, la lex mercatoria attecchisce in quanto il commerciante distributore sceglie cosa e quanto vendere ed effettua valutazioni di mercato in ordine alla produzione. Il diritto regolante i rapporti fra commercianti prende, appunto, il nome di “lex mercatoria”. Questa espressione ha un senso anche nel nostro tempo. Una nuova lex mercatoria assume importanza oggi, proprio per i contratti afferenti al mondo informatico. Non si tratta di un diritto espresso da una classe politica, ma dai mercanti, adesso dai tecnocrati. Le consuetudini commerciali (informatiche) assumono un ruolo primario e vengono spesso recepite dall’autorità politica in un processo inverso, rispetto a quello in cui l’autorità statale e politica emana le leggi e le categorie economiche vi si conformano. La nuova lex mercatoria è universale, in quanto trascende il territorio dei singoli Stati e, pertanto, almeno su un piano speculativo e teorico, si tratta di un sistema compatibile con la globalizzazione e con il centro di questa, ossia la tecnologia informatica.
L’universalità della lex mercatoria si presenta logicamente compatibile con il carattere diffuso e a-territoriale di internet. L’autorità politica provvede a riordinare i precetti consuetudinari dei tecnocrati. Questa disciplina può trascendere i rapporti interni tra imprenditori, e coinvolgere imprenditori e consumatori. Nel diritto informatico l’idea della statualità soccombe di fronte a questi meccanismi giuridici. Il potere di creare norme vincolanti declina e prende il sopravvento la tecnocrazia, nel senso che chi all’interno della realtà informatica ha una posizione dominante sul piano economico in certo qual modo ha preminenza nella creazione dei precetti giuridici.. L’asserzione secondo cui il diritto è un’entità creata dallo Stato cade, quando ci si trovi dinanzi alla contrattualistica, effettuata tramite internet e spesso lo Stato ingloba e traduce in atti normativi formali, consuetudini provenienti dalla prassi consolidatasi nell’ambito di internet e informatico in generale, con il conseguente innescarsi di un processo inverso, rispetto a quello che parte dalla emanazione della legge statale e sua applicazione nell’ambito contrattualistico. In questo caso la “consuetudine informatica” viene incorporata nel testo legislativo.
Il momento commerciale è presente nella produzione industriale e nella realtà informatica e per questo l’antica categoria della lex mercatoria può attecchire nell’era informatica, rinascendo , sia pure con gli opportuni adattamenti.
Le controversie sono spesso decise tramite arbitrati e ci si emancipa dall’Autorità giudiziaria statale. I lodi arbitrali assumono importanza in questo contesto, per la formazione di orientamenti, attraverso cui risolvere successive controversie.
Occorre trovare stabilità dove può regnare l’anarchia. Proprio internet ha una natura anarchica, nel momento in cui nasce, mancando una gestione “centralizzata” del fenomeno (cfr. "Dichiarazione di indipendenza del Cyberspazio"[2] di John Perry). Appare plausibile, per quanto sopra esposto, la avvenuta, spontanea creazione di una nuova “lex mercatoria” (alias lex informatica), collegata ai flussi giuridici del mondo informatico. Vanno tenuti fermi, peraltro, i principi generali che regolano i conflitti di competenza, l'effettivo diritto di accesso alla giustizia di chi, dopo aver concluso una transazione tramite internet, avverta il bisogno di tutelare una pretesa, che ritenga essersi cristallizzata,
Orbene, detto altrimenti, non potrà certo negarsi in ambito informatico e nelle transazioni via internet la valenza di princìpi universali, come quelli di matrice romanistica concernenti l’onere della prova, o l’applicazione di clausole generali come la buona fede o il principio del neminem laedere.
Pertanto, l’autorità politica cede il passo a quella dell’e-commerce, e in tal modo, almeno tendenzialmente, si perviene a una regolamentazione del diritto di internet, che presenti margini di flessibilità e apertura sufficientemente ampi, anche a seguito della pretermissione della categoria “territorio” in tale ambito.
La lex “informatica-mercatoria” non può considerarsi come tale da comprendere ogni aspetto della disciplina attinente a quanto viene realizzato giuridicamente tramite internet, in quanto esercitano un ruolo di primo piano anche le convenzioni internazionali in materia.
Si è asserito precedentemente che il c.d. “spazio virtuale” elimina la categoria fisica del territorio. Il meccanismo di tale pretermissione può essere compreso in modo più esauriente se si riflette sui rapporti fra spazio virtuale e internet. Quest’ultimo ha un substrato fisico. Si aggiunga come vada considerata la presenza di un substrato informativo, a seguito della enorme massa di informazioni presenti in rete, e di un substrato logico, in relazione alla configurabilità di un codice informatico. Questa coesistenza va tenuta in considerazione, quando si esamini la contrattazione telematica, in un ambito in cui lo spazio virtuale in cui essa avviene rappresenta un’esemplificazione di una pluralità possibile di spazi virtuali.
Lo spazio virtuale è frammentato e tende a moltiplicarsi e i problemi giuridici connessi a esso vanno affrontati con strumenti flessibili. Il codice informatico ha valore di legge e, per tale ragione, l’ideatore del codice ha un potere “tecnocratico”, che ridonda nel giuridico. Secondo il codice che si adoperi, può essere più o meno agevole l’individuazione del contraente on line. La lex informatica è norma tecnica regolatrice dello spazio virtuale. Il codice è un linguaggio e, poiché esistono molteplici codici informatici, esistono altrettanti spazi virtuali e tale codice viene definito come “lex informatica”, in riferimento alla sua attitudine a regolamentare tali spazi. Pertanto, la risposta al problema dell’ individuazione delle fonti attraverso cui disciplinare i problemi giuridici del mondo virtuale viene talora individuata nella c.d.“lex informatica”, che presenta il rischio di assumere uno stampo fortemente autoritario. Proprio quest’ultima caratteristica fa sorgere talune obiezioni, collegate al processo formativo delle suddette regole tecniche, di cui è composta la presunta categoria della lex informatica nel senso che le medesime sorgono al di fuori di qualsivoglia controllo democratico e ciò lede i princìpi di uguaglianza.
L’accettazione della suddetta nozione di lex informatica, la quale, in definitiva, sarebbe una seconda lex mercatoria, è, pertanto, controversa. Nel diritto informatico, i criteri per collegare un territorio o luogo a un caso concreto vanno riscritti.
E’ stato posto il problema dell’individuazione della fonte normativa che debba regolare questa imponente gamma di fenomeni giuridici e ci si è domandati se debba trattarsi di una fonte di matrice negoziale o autoritativa, ma forse l’aggregazione fra i due criteri appare maggiormente persuasiva.
E’ stato proposto (IRTI) di effettuare accordi interstatuali che fissino in una determinata posizione terrestre le realtà giuridiche virtuali (questa è un’applicazione della categoria del c.d. “diritto artificiale”), in modo da convertire un fenomeno virtuale in un fenomeno giuridico territorialmente localizzabile, anche al fine di individuare l’Autorità giudiziaria competente.
Sia la tesi del normativismo puro, attraverso la creazione di un diritto artificiale e di una rielaborazione logica dei criteri di collegamento internazionalprivatistici, per situare nello spazio ciò che avviene in ambito virtuale, sia la tesi dello sviluppo di una seconda lex mercatoria, alias “lex informatica”, presentano degli inconvenienti, in rapporto, nel primo caso, alle difficoltà di realizzazione concreta e, nel secondo, alla possibilità di una tecnocrazia con spinta autoritativa e pretermissione dei processi decisionali tipici della realtà democratica.
Un mix fra regolamentazione autoritativa e disciplina convenzionale appare un criterio relativamente affidabile per la risoluzione dei problemi collegati alla disciplina delle realtà giuridiche del mondo virtuale. L’architettura della rete influisce sul processo formativo dei contratti, creando delle procedure atipiche, e introducendo problemi riguardo all’individuazione del contraente. Questi processi interessano in particolare il “commercio elettronico”. A tal proposito la Commissione delle Nazioni unite per il diritto del commercio internazionale nel 1996 ha elaborato una legge guida per il commercio elettronico, con commento articolo per articolo. Vi è la rielaborazione logica di taluni istituti, quali la forma del contratto, la firma-sottoscrizione, per adattare i medesimi al contesto dematerializzato. Per esempio la forma scritta viene rispettata, purché l’informazione sia accessibile anche per utilizzi successivi pure nell’ipotesi in cui manchi il supporto cartaceo, in cui l’informazione sia rinvenibile. La dichiarazione di volontà ha effetti giuridici anche se è dematerializzata.
Note e riferimenti bibliografici
[1] http://www.art34bis.it/; Il fenomento internet è stato esaminato sotto diverse angolazioni; per un inquadramento dellae varie problematiche cfr. M. CAMMARATA, Quali leggi per il “territorio Internet”?, 19-06-1997, in http://www.interlex.it/regole/mcmeta1.htm ; N. DI NARDO – A.M. ZOCCHI, Internet. Storia, tecnica, sociologia, Torino, 1999;Y. BENKLER, in The Wealth of Networks. How social production transforms Markets and Freedom, Yale University Press, 2006. ;A.D. MURRAY, The Regulation of Cyberspace. Control in the Online Environment, Roultedge, 2007, p. 75; L.A. BYGRAVE – J. BING, Internet Governance: Infrastructure and Institutions, Oxford, 2009,
[2] Governments of the Industrial World, you weary giants of flesh and steel, I come from Cyberspace, the new home of Mind. On behalf of the future, I ask you of the past to leave us alone. You are not welcome among us. You have no sovereignty where we gather.
We have no elected government, nor are we likely to have one, so I address you with no greater authority than that with which liberty itself always speaks. I declare the global social space we are building to be naturally independent of the tyrannies you seek to impose on us. You have no moral right to rule us nor do you possess any methods of enforcement we have true reason to fear.
Governments derive their just powers from the consent of the governed. You have neither solicited nor received ours. We did not invite you. You do not know us, nor do you know our world. Cyberspace does not lie within your borders. Do not think that you can build it, as though it were a public construction project. You cannot. It is an act of nature and it grows itself through our collective actions.
You have not engaged in our great and gathering conversation, nor did you create the wealth of our marketplaces. You do not know our culture, our ethics, or the unwritten codes that already provide our society more order than could be obtained by any of your impositions.
You claim there are problems among us that you need to solve. You use this claim as an excuse to invade our precincts. Many of these problems don't exist. Where there are real conflicts, where there are wrongs, we will identify them and address them by our means. We are forming our own Social Contract . This governance will arise according to the conditions of our world, not yours. Our world is different.
Cyberspace consists of transactions, relationships, and thought itself, arrayed like a standing wave in the web of our communications. Ours is a world that is both everywhere and nowhere, but it is not where bodies live.
We are creating a world that all may enter without privilege or prejudice accorded by race, economic power, military force, or station of birth.
We are creating a world where anyone, anywhere may express his or her beliefs, no matter how singular, without fear of being coerced into silence or conformity.
Your legal concepts of property, expression, identity, movement, and context do not apply to us. They are all based on matter, and there is no matter here.
Our identities have no bodies, so, unlike you, we cannot obtain order by physical coercion. We believe that from ethics, enlightened self-interest, and the commonweal, our governance will emerge . Our identities may be distributed across many of your jurisdictions. The only law that all our constituent cultures would generally recognize is the Golden Rule. We hope we will be able to build our particular solutions on that basis. But we cannot accept the solutions you are attempting to impose.
In the United States, you have today created a law, the Telecommunications Reform Act, which repudiates your own Constitution and insults the dreams of Jefferson, Washington, Mill, Madison, DeToqueville, and Brandeis. These dreams must now be born anew in us.
You are terrified of your own children, since they are natives in a world where you will always be immigrants. Because you fear them, you entrust your bureaucracies with the parental responsibilities you are too cowardly to confront yourselves. In our world, all the sentiments and expressions of humanity, from the debasing to the angelic, are parts of a seamless whole, the global conversation of bits. We cannot separate the air that chokes from the air upon which wings beat.
In China, Germany, France, Russia, Singapore, Italy and the United States, you are trying to ward off the virus of liberty by erecting guard posts at the frontiers of Cyberspace. These may keep out the contagion for a small time, but they will not work in a world that will soon be blanketed in bit-bearing media.
Your increasingly obsolete information industries would perpetuate themselves by proposing laws, in America and elsewhere, that claim to own speech itself throughout the world. These laws would declare ideas to be another industrial product, no more noble than pig iron. In our world, whatever the human mind may create can be reproduced and distributed infinitely at no cost. The global conveyance of thought no longer requires your factories to accomplish.
These increasingly hostile and colonial measures place us in the same position as those previous lovers of freedom and self-determination who had to reject the authorities of distant, uninformed powers. We must declare our virtual selves immune to your sovereignty, even as we continue to consent to your rule over our bodies. We will spread ourselves across the Planet so that no one can arrest our thoughts.
We will create a civilization of the Mind in Cyberspace. May it be more humane and fair than the world your governments have made before.
Davos, Switzerland - February 8, 1996
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