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Pubbl. Mer, 15 Giu 2016

Impugnazione del lodo arbitrale per violazione delle norme di diritto sostanziale: la pronuncia delle Sezioni Unite

Arianna Landolfi


Le Sezioni Unite sciolgono l’annosa questione in merito all’impugnabilità del lodo per violazione di diritto, nel caso in cui le partinulla abbiano previsto in tal senso nella clausola compromissoria stipulata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 40/2006, ma applicata in un momento posteriore a quest’ultimo


Sommario: 1. La questione proposta dinanzi alle Sezioni Unite; 2. Il contrasto giurisprudenziale prima della sentenza 9284 del 2016; 3. L’interpretazione delle Sezioni Unite

Sommario: 1. La questione proposta dinanzi alle Sezioni Unite; 2. Il contrasto giurisprudenziale prima della sentenza 9284 del 2016; 3. L’interpretazione delle Sezioni Unite


Con una recente sentenza (SS.UU. n. 9284/2016), la Cassazione ha risolto il contrasto relativo all’applicabilità della nuova disciplina dell’art. 829, comma 3 c.p.c. alle convenzioni d'arbitrato stipulate anteriormente al d.lgs. 40/2006, qualora il procedimento arbitrale in cui sia stato pronunciato il lodo oggetto d’impugnazione sia stato avviato in una data posteriore all’entrata in vigore del suddetto decreto.

1. La questione proposta dinanzi alle Sezioni Unite

Il caso esaminato dalle Sezioni Unite verteva sul rigetto da parte della Corte di Appello di Messina dell’impugnazione, proposta dal Comune di Taormina, del lodo arbitrale con cui era stata decisa la controversia insorta tra il Comune e il Centro assistenziale di riposo e riabilitazione Villa Regina. In particolare, il Comune lamentava la nullità del lodo arbitrale poiché adottato in violazione delle norme di diritto sostanziale applicabili alla controversia. La Corte di Appello di Messina rigettava l’impugnazione poiché la richiesta di arbitrato, scaturente da una clausola compromissoria stipulata il 22 dicembre 2004, era stata avanzata in un momento posteriore al d.lgs. 40/2006, entrato in vigore il 2 marzo 2006. Quest’ultimo ha riformato la disciplina in materia di arbitrato, ed in particolare l’art. 829 c.p.c., il cui nuovo terzo comma stabilisce che per l’impugnazione del lodo per errores in judicando è necessaria l’espressa previsione in tal senso nella convenzione d’arbitrato disciplinante il giudizio arbitrale in cui viene pronunciato il lodo.

Ebbene, nella clausola compromissoria stipulata tra il Comune e il Centro assistenziale, nulla era stato previsto espressamente ai fini dell’impugnazione del lodo per inosservanza delle norme di diritto sostanziale.

A parere della Corte di Appello la nuova previsione risultava applicabile, ai sensi della disciplina transitoria prevista dall’art. 27 del decreto summenzionato, a tutti i procedimenti arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina, indipendentemente dal momento di stipula della convenzione d’arbitrato.

La questione appariva, pertanto, particolarmente rilevante, in considerazione della sostanziale differenza prevista dalle versioni dell’art. 829 ante e post riforma.

Nella prima, la nullità del lodo arbitrale per violazione delle norme di diritto poteva essere sempre pronunciata, salvo espressa esclusione da parte delle parti nella clausola compromissoria, con cui esse avessero autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. Ai sensi del precedente art. 829, comma 2 c.p.c. il silenzio delle parti veniva pertanto interpretato in senso positivo, permettendo di poter impugnare il lodo anche in caso di contrasto con le norme di diritto sostanziale.

La nuova versione dell’art. 829, comma 3, c.p.c., introdotta mediante l’art 24 del d.lgs. 40/2006, considera, al contrario, il silenzio delle parti in senso negativo, precludendo l’impugnazione per violazione del diritto sostanziale salvo “se espressamente disposta dalle parti o dalla legge”.

2. Il contrasto giurisprudenziale prima della sentenza 9284 del 2016

Anteriormente alla sentenza delle Sezioni Unite, le Sezioni semplici della Cassazione si erano già pronunciate su tale questione, adottando distinti orientamenti.

Una parte della giurisprudenza di legittimità riteneva di dover interpretare l’art 829, c. 3 c.p.c. e l’art. 27 del d.lgs. 40/2006 tenendo in considerazione il principio di irretroattività della legge e gli artt. 3 e 24 della Costituzione, con conseguente possibilità d’impugnazione dei lodi arbitrali per violazione di legge anche dopo l’entrata in vigore del decreto di riforma, qualora il lodo fosse stato emesso sulla base di una convenzione arbitrale stipulata ante riforma (in tal senso Cass. sez. I, 18 giugno 2014, n. 13898, Cass. sez. I, 28 ottobre 2015, n. 22007). Ciò in quanto un’estensione della nuova disciplina anche nei confronti di quelle parti che, inconsapevolmente, nulla avevano previsto in merito alla possibilità di impugnare il lodo per errores in judicando (senza esserne pregiudicate secondo la normativa vigente al momento della stipula della convenzione di arbitrato, avendo il silenzio un effetto positivo- espansivo e non preclusivo) avrebbe comportato l’applicazione di una disciplina ben più rigorosa e limitativa.

Un distinto orientamento si basava su un’interpretazione puramente letterale dell’art. 27 d.lgs. 40/2006, la cui previsione appare cristallina nello stabilire che l’applicazione del nuovo testo dell’art. 829 c.p.c. deve essere effettuata in relazione a tutti i procedimenti arbitrali nei quali la domanda di arbitrato sia stata proposta successivamente all’entrata in vigore del d. lgs. 40/2006, pur se riferita ad una clausola compromissoria stipulata in data anteriore a quest’ultimo (così Cass. sez. VI, 17 settembre 2013, n. 21205, e Cass. sez. I, 25 settembre 2015, n.19075).

3. L’interpretazione delle Sezioni Unite

La soluzione formulata dalle Sezioni Unite risulta incentrata su un’interpretazione letterale dell’articolo 829 c.p.c., attribuendo rilievo non tanto al silenzio delle parti e alla portata dello stesso ante e post  riforma, bensì al concetto di “legge” che dispone espressamente l’impugnazione per violazione del diritto sostanziale.

Le Sezioni Unite si interrogano infatti su quale sia la “legge” a cui fa riferimento il testo riformato, ai sensi della quale sarebbe tuttora ammissibile l’impugnazione per violazione di norme di diritto sostanziale.

Ebbene, ai sensi della Corte, la suddetta legge deve essere caratterizzata dai seguenti requisiti:

  • essere una disposizione di legge diversa dal nuovo art. 829, comma 3 c.p.c.;
  • essere una legge che disciplini la convenzione di arbitrato, in cui sono stabiliti i limiti dell’impugnabilità del lodo;
  • essere una legge vigente al momento della stipula della convenzione di arbitrato.

La Cassazione ribadisce infatti che il silenzio delle parti, costituente di per sé un comportamento neutro ed ambiguo, è suscettibile di produrre solo quegli effetti che gli vengono attribuiti dalla legge preesistente; la legge posteriore può privare di effetti una determinata convenzione arbitrale stipulata nel regime anteriore, ma non è possibile che modifichi altresì la portata del silenzio tenuto dalle parti nella stipula della convenzione, attribuendogli un significato distinto rispetto a quello preesistente e conosciuto dalle parti.

Pertanto, il significato del silenzio delle parti al momento della stipula della clausola arbitrale deve essere stabilito sulla base della legge vigente al momento di tale stipula, a nulla rilevando la modifica sopravvenuta della disciplina in  materia di arbitrato. Di conseguenza, il regime normativo a cui far riferimento per l’impugnabilità del lodo nel caso di errores in judicando, derivante da un giudizio arbitrale disciplinato da una convenzione d’arbitrato antecedente al 2 marzo 2006, è quella prevista dal vecchio art. 829, comma 2 c.p.c.

Alla luce delle suddette conclusioni, la Corte ha accolto il ricorso, poichè la clausola compromissoria era stata stipulata precedentemente alla riforma del 2006, cassando la sentenza con rinvio, sulla base del seguente principio di diritto: “in applicazione della disciplina transitoria dettata dall’art. 27 d.lgs. n. 40 del 2006, l’art. 829, comma 3 c.p.c. , come riformulato dall’art. 24 d.lgs. n. 40 del 2006, si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829, comma 3 c.p.c. rinvia, per stabilire se è permessa l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d’arbitrato”.