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Pubbl. Lun, 18 Lug 2016

L'invalidità della dichiarazione contenente un canone maggiore

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Ilaria Ferrara


La locazione immobiliare registrata e la questione della validità della controdichiarazione non registrata contenente un canone di locazione superiore a quello previsto nel contratto registrato.


1. Definizione

Ai sensi dell'art. 1571 c.c. la locazione è quel contratto con il quale una parte, detta locatore, si obbliga a far godere all'altra (conduttore) una cosa mobile o immobile per un periodo di tempo, dietro il pagamento di un determinato corrispettivo.

Dall'entrata in vigore della L. 431/1998, sulla disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo, sussiste un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale relativamente all'interpretazione dell'art. 13 della predetta legge. Infatti, la norma in parola sanziona con la nullità "ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato". Nella prassi accade che, contestualmente alla stipulazione e alla registrazione  di un contratto di locazione, viene raggiunto un accordo cristallizzato in una controdichiarazione non registrata, ove le parti convengono un corrispettivo più elevato rispetto a quello formalmente indicato nel contratto registrato, dunque, la questione di rilevanza esegetica riguarda la possibilità di ricondurre tale pattuizione, non registrata, alla disciplina ex art. 13.

2. Questione

Sulla norma in questione si contrappongono due indirizzi interpretativi opposti, il primo dei quali nega la nullità della controdichiarazione e il secondo orientato all'invalidità dell'accordo stesso. 

2.1. Il primo orientamento giurisprudenziale

Fin dal 2003 diverse pronunce della Corte di Cassazione[1], che hanno contribuito a formare l'orientamento maggioritario, hanno escluso che l'art. 13 della L. 431/1998 prevedesse la nullità dell'accordo, contemporaneo, ulteriore e non registrato, relativo ad un canone locatizio più elevato e questo sulla base di diversi argomenti. In primo luogo, secondo tale orientamento, la mancata registrazione del contratto di locazione, nella prospettiva della L. 431/1998, non ne determina la nullità, in quanto quale requisito di validità del contratto è richiesta la forma scritta (rectius: successivamente alla pronuncia del 2003 che ha aperto il filone di tale giurisprudenza la L. 311/2004, art. 1 co. 346, ha previsto quale requisito di validità anche la registrazione del contratto). In secondo luogo, sostiene questa giurisprudenza, la simulazione parziale dell'ammontare del corrispettivo non configura un contrasto tra due diversi canoni, in quanto in conformità con la disciplina dettata in materia di simulazione ciò che rileva è il canone effettivamente voluto dalle parti e, quindi, risultante dalla "controdichiarazione" stipulata contestualmente al contratto originario. In ogni caso qualora la simulazione parziale dell'importo della locazione comportasse la violazione di un obbligo tributario, tale irregolarità non può essere innalzata a norma imperativa e non può pertanto dare origine a una nullità civilistica.

2.2. L'orientamento giurisprudenziale difforme

Il secondo orientamento ermeneutico, recente, trova la propria fonte in una pronuncia della Corte di Cassazione del 2014[2]. I giudici di legittimità hanno statuito in senso diametralmente opposto rispetto all’orientamento maggioritario, infatti, la Corte ha trasmesso il ricorso alla Prima Sezione ai fini dell’assegnazione alle Sezioni Unite, rilevata la portata di tale contrasto giurisprudenziale. Questo ultimo orientamento ha confutato il primo sulla scorta di rilevanti argomentazioni. Infatti, secondo gli ermellini non è condivisibile l’opinione secondo cui, con la L. 311/2004, la norma tributaria è stata elevata a “norma imperativa”, la cui violazione comporta la nullità del contratto ex art. 1418 c.c.. In verità tale principio è immanente nell’ordinamento in quanto già la L. 431/1998 tutela, non l’interesse del contraente debole dalla modifica di condizioni contrattuali, bensì l’interesse generale a contrastare il fenomeno dell’elusione e dell’evasione fiscale. D’altronde, quando a un accordo originario, scritto e registrato, si accompagna un’ulteriore pattuizione maggiorativa del canone, con la finalità di dissimulare il suo reale importo, lo “scopo pratico” perseguito dalle parti deve essere considerato in contrasto con la finalità “antielusiva” dell’art. 13. Dunque, è proprio l’analisi della causa in concreto dell’assetto negoziale complessivo che consente di concludere per la nullità, per violazione di norme imperative, dell’accordo sul reale corrispettivo della locazione. In ogni caso, viene in considerazione anche l’istituto dell’abuso del diritto, talché la struttura complessiva negoziale predisposta dai contraenti deve essere valutata anche alla stregua di tale principio antielusivo. In conclusione, secondo questa giurisprudenza, l’accordo locatizio raggiunto dalle parti per realizzare una finalità elusiva o di evasione fiscale non può ritenersi lecito, neanche in caso di registrazione tardiva.

3. L’intervento delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, interrogate sull’evidente contrasto giurisprudenziale, sono intervenute con la sentenza n. 18213 del 2015[3]. L’approdo delle Sezioni Unite abbraccia una soluzione che propende per la “nullità” della pattuizione a latere di un maggiore canone di locazione rispetto a quello indicato nel contratto regolarmente registrato. In primo luogo, per la Suprema Corte, contratto simulato e contratto dissimulato non devono essere considerati come due negozi materialmente separati, bensì come una manifestazione “morfologicamente e strutturalmente unitaria”. Ciò posto, il procedimento di simulazione si sostanzia nella stipula di un unico contratto di locazione, registrato e valido, al quale accede, in funzione sostitutiva e/o interpretativa, la controdichiarazione con la quale il locatore prevede di esigere un maggior canone. L’art. 13, co. 1, L. 431/1998, testualmente dispone la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quella risultante dal contratto scritto e registrato, dunque, secondo le Sezioni Unite, la ratio legis è quella di sanzionare con la nullità la illegittima sostituzione di clausole che prevedono un prezzo in luogo di un altro e non quella di punire la mancata registrazione del contratto in sé, ragion per cui la clausola inserita, in via interpretativa, successivamente, attraverso la controdichiarazione deve considerarsi nulla ex lege, per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 13, co. 1, L. 431/1998, con conseguente perdurante validità di quella sostituenda, dunque di quella che appare, e dell’intero contratto.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte di Cassazione Civile 16089/2003, 19568/2004 e 8230/2010 (allegate in calce).

[2] Corte di Cassazione Civile n. 34/2014.

[3] Sezioni Unite di Corte di Cassazione del 17 settembre 2015, n. 18213 (allegata).