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Pubbl. Lun, 22 Feb 2016

Negata la sessualità in carcere.

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Veronica Manca


La Cassazione “boccia” la richiesta di permesso premio al detenuto per vivere l’intimità con la moglie. Nota a Cass. Pen., Sez. I, Ud. del 29 settembre 2015, (dep. 12 gennaio 2016), n. 882.


Lo scorso settembre la prima sezione della Cassazione ha emanato una curiosa ed interessante sentenza in relazione al caso di un detenuto a cui era stato negato il permesso di necessità, ai sensi dell’art. 30, co. 2 ord. pen., per potersi recare presso la casa di accoglienza “Piccoli Passi”, sita in Padova, per incontrare la moglie e vivere l’intimità matrimoniale.

Il detenuto, al momento delle richiesta, stava scontando una pena detentiva superiore ad anni 24 per la commissione di numerosi reati, tra cui associazione per delinquere, omicidio ed estorsione ed altri ancora, aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203/1991 -  ovverosia il ricorso al metodo mafioso -, con un fine pena previsto per ottobre 2034.

La situazione “criminale” del detenuto, così come fotografata in sentenza di condanna, gli precludeva l’accesso a qualsivoglia beneficio penitenziario, tra cui anche la possibilità di usufruire di permessi premio ai sensi del primo comma dell’art. 30 ord. pen.: come è noto, infatti,  l’ammissione positiva ai permessi premio è subordinata, in primis, ai limiti di pena previsti dalla norma ed, in secondo luogo, dalla valutazione positiva della buona condotta tenuta dal detenuto in espiazione di pena, rientrando infatti tale misura all’interno del trattamento rieducativo che – almeno – potenzialmente dovrebbe attuarsi in carcere. Il detenuto, attesa la gravità dei reati commessi e l’ammontare complessivo di pena da scontare, non rientrava nelle categorie previste dalla norma: per di più, alcuni reati per cui era stato condannato (id est: art. 416 bis c.p.) vengono ricompresi nella disciplina ex art. 4 bis ord. pen., la quale – come è noto – limita fortemente l’accesso ai benefici penitenziari. Il detenuto, infatti, avrebbe potuto accedere alle misure premiali solamente – secondo quanto stabilisce l’art. 30 ter ord. pen. – dopo aver scontato almeno metà della pena, e, comunque, non oltre i dieci anni.

Dalla motivazione della sentenza emerge come il detenuto non avesse ancora maturato i requisiti per accedere al permesso premio: ciononostante, la difesa del detenuto chiedeva la concessione del permesso ex art. 30, co. 3 ord. pen., ossia il permesso motivato da esigenze familiari di particolari gravità per consentire al proprio assistito di “consumare” il matrimonio con la moglie ed avere con lei rapporti intimi. Sosteneva inoltre un profilo di illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui preclude a quei detenuti – che ancora non abbiano maturato i requisiti di accesso ai permessi premio - l’esercizio della propria libertà sessuale e la gestione della vita familiare, in relazione agli artt. 2,3, 27, 29, 117 Cost. e 2, 8 CEDU.

La Cassazione ha respinto le istanze difensive, argomentando come una simile richiesta non possa essere considerata un’esigenza di particolare gravità ai sensi dell’art. 30, co. 3 ord. pen., atteso come per tale espressione si intenda – per pacifica giurisprudenza[1] – situazioni di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente “e, solo eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità”: i giudici hanno ritenuto, inoltre, che la libertà sessuale del detenuto non sia priva di tutela e, per l’effetto, ha cassato qualsiasi dubbio riguardo alla legittimità costituzionale della norma, dal momento in cui esiste comunque la possibilità di esercitare tali esigenze all’interno dei permessi premio standard[2].

Secondo la Corte, quindi, esigenze di sicurezza pubblica – gravità dei reati commessi, pena complessiva da scontare – giustificano il diniego del permesso di vivere l’intimità della moglie – o meglio di “consumare” il matrimonio, celebrato con rito civile nel 2009  in carcere e, mai vissuto a pieno. L’unica possibilità per il detenuto di vivere la propria intimità rimane ancora l’art. 30, co. 1 ord. pen., a cui potrà accedere solamente nel 2020, in ragione dell’espiazione di dieci anni di pena e in presenza di una positiva condotta di detenzione. Sempre che per il 2020, il detenuto o il coniuge non scelgano l’annullamento del matrimonio per mancata consumazione.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Cfr. Cass. pen., sez. I, 26 novembre 2008, n. 48165.
[2] Rientra, infatti, “nella discrezionalità propria del legislatore la limitazione della possibilità di concedere ai condannati e agli internati il permesso cosiddetto di necessità, previsto dall'art. 30 legge n. 354 del 1975, ai soli casi di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente e, solo eccezionalmente, per eventi familiari dì particolare gravità, in adesione alla struttura e finalità dell'istituto che non costituisce un beneficio premiale, supponente una soglia minima di pena già espiata e la positiva valutazione della condotta in carcere, bensì una misura concedibile a qualsivoglia condannato proprio per il suo carattere emergenziale ed eccezionale e, quindi, coerentemente limitata a situazioni la cui gravità si ponga in termini di irreparabilità attuale (morte di un familiare o dì un convivente) o concretamente probabile (imminente pericolo di vita degli stessi), o sia comunque connotata dall'incombere di eventi familiari particolarmente pregiudizievoli”. Cfr. Cass. pen. , sez. I, 29 settembre 2016, n. 882.