Il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa alla luce del d.d.l costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati
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Vincenzo Telaro

Il saggio si concentra sul disegno di legge riguardante la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, con l´obiettivo di determinare se il passaggio da una funzione all´altra sarà ancora consentito in futuro.
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The transition from the prosecuting function to the judging function in the constitutional bill on the separation of carrers
The essay focuses on the bill concerning the separation of the careers between judges and prosecutors, with the aim of determining whether the transition from one function to the other will still be allowed in the future.Sommario: 1. Un’introduzione alla questione: il futuro del “mutamento di funzioni” dei magistrati; 2. Il d.d.l. costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati in pillole; 3. Il passaggio dalla funzione requirente a giudicante e viceversa: cronistoria di un’accesa questione; 4. Considerazioni conclusive. Gli eventuali limiti al cambio di funzioni nel d.d.l. costituzionale e le possibili prospettive costituzionali future: dal dato letterale al diritto costituzionale.
1. Un’introduzione alla questione: il futuro del “mutamento di funzione” dei magistrati
Il d.d.l. costituzionale che introduce la c.d. separazione della carriera, ossia A.C. n. 1917 b e A.S. n. 1353, ha dato luogo a un vivace dibattito fin dalla sua presentazione in Parlamento[1].
Tra i tanti temi che appaiono meritevoli di approfondimento, vi è quello di verificare se in futuro, quantomeno ai magistrati già in servizio, sarà ancora permessa la possibilità di effettuare il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante o viceversa[2].
La questione è di notevole importanza, soprattutto per i magistrati di recente nomina, perché, una volta operata la scelta di una funzione, magari perché “costretti” ad accettare un ruolo poiché collocati negli ultimi posti della graduatoria, rischierebbero di non poter più cambiare ruolo per tutto l’arco temporale della carriera. Il rischio, tra l’altro, è quasi realtà, in quanto il disegno di legge costituzionale in questione è già stato approvato in seconda deliberazione alla Camera dei Deputati, il 18 settembre 2025, e in prima deliberazione al Senato della Repubblica, in data 22 luglio 2025. Di conseguenza, in base al procedimento di revisione costituzionale disciplinato dall’art. 138 della Costituzione, risulterà sufficiente un’ulteriore espressione sul testo normativo da parte del Senato, a cui potrà eventualmente seguire il previsto referendum[3].
Prima di procedere oltre, tuttavia, si ritiene opportuno avvertire che nel lavoro non si prenderà posizione sull’opportunità o meno di approvare la riforma o sugli eventuali vantaggi o svantaggi che potrebbero derivarne, rinviando sul punto alle considerazioni svolte da chi ha molta più esperienza rispetto a chi qui scrive sia nella Magistratura che nell’Accademia e nella politica.
È sufficiente qui evidenziare, molto sinteticamente, che le tesi in campo sono due: la prima ritiene necessaria la riforma per adeguare il dettato costituzionale al modello accusatorio del processo penale accolto nel nostro ordinamento con il codice di rito del 1989[4] e completare il percorso avviato con la riforma del 1999, che ha novellato l’art. 111 Cost., riguardante il “giusto processo” e, quindi, la parità delle armi tra accusa e difesa innanzi a un giudice terzo e imparziale[5][6]; la seconda, invece, ritiene che il PM, dovendo raccogliere anche elementi a favore dell’indagato – come previsto dall’art. 358 c.p.p.– non è tecnicamente una vera e propria parte del processo contrapposta alla difesa, che accusa solamente, ma una figura che agisce per la ricerca della verità a tutela dello Stato. Di conseguenza, non può essere separato dalla figura del giudice, perché entrambi concorrono all’effettivo accertamento dei fatti e, dunque, la riforma sarebbe contraria all’impostazione di fondo accolta dal Costituente del ’48[7].
Le due tesi, tuttavia, sembrano trovare un punto di incontro nella risalente sentenza n. 37 del 2000 della Corte costituzionale[8], la quale, esprimendosi sull’ammissibilità di una richiesta di referendum abrogativo riguardante le disposizioni dell’ordinamento giudiziario concernenti il mutamento delle funzioni, ha affermato quanto segue: «La Costituzione […] pur considerando la magistratura come un unico “ordine”, soggetto ai poteri dell’unico Consiglio superiore […], non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti […]». In altri termini, quindi, la separazione delle carriere non è né contraria a Costituzione, ma nemmeno costituzionalmente imposta.
Ciò posto, come detto, l’obiettivo del lavoro è diverso: valutare se a livello giuridico ci saranno ancora le condizioni per il cambio di funzioni (o di carriera, se si preferisce) se detto d.d.l. verrà approvato e se supererà, come detto, l’eventuale referendum.
Nel presente contributo, dunque, dapprima, si effettuerà una disamina delle disposizioni del disegno di legge di revisione della Costituzione, al fine di comprendere il quadro normativo che scaturirà e sulla base del quale si dovrà fornire la risposta alla domanda che ci si è posti. In seguito, l’analisi si soffermerà specificamente sul mutamento delle funzioni e sull’eventuale possibilità che tale cambiamento possa ancora essere concesso ai magistrati ordinari in servizio e a quelli che saranno nominati in futuro.
2. Il d.d.l. costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati in pillole
Il d.d.l. costituzionale A.C. n. 1917 b e A.S. n. 1353 recante «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare», come già detto, pone il dubbio se sarà ancora consentito, quantomeno ai magistrati in servizio, il passaggio delle funzioni da pubblico ministero a giudice e viceversa[9].
Per rispondere all’interrogativo, preliminarmente, appare opportuno esaminare sinteticamente le principali novità previste dal testo normativo rispetto al vigente dettato costituzionale[10].
In particolare, il d.d.l. in questione prevede di riformare la Costituzione sia sottolineando che la carriera dei giudici deve essere tenuta distinta da quella dei pubblici ministeri sia con riguardo all’organo di governo autonomo della magistratura.
Si occupano di evidenziare che le carriere della magistratura inquirente e di quella giudicante devono essere tenute distinte e separate gli artt. 2, 3 e 5 dell’articolato normativo del disegno di legge. In tali disposizioni, infatti, si interviene sugli artt. 102, 104, primo comma e 106, terzo comma, Cost. e, in sintesi, si afferma: a) che le norme sull’ordinamento giudiziario «disciplinano […] le distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti»; b) che «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente»; c) che possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione per meriti insigni anche i «magistrati appartenenti alla magistratura requirente con almeno quindici anni di esercizio delle funzioni».
Al riguardo, è possibile notare che le prime sopracitate modifiche sub a) e b), appaiono meramente rafforzative di un concetto che già è possibile ricavare dal contesto complessivo in cui si inserisce la riforma e, in particolare, dalla circostanza che, come si vedrà, vi saranno due Consigli Superiori della Magistratura (CSM) in luogo dell’unico organo di autogoverno attualmente previsto. Nonostante ciò, tali rafforzativi appaiono necessari, perché, chiarendo che la magistratura requirente, al pari di quella giudicante, continuerà ad essere disciplinata dalle norme sull’ordinamento giudiziario e farà ancora parte dell’ordine giudiziario in modo autonomo e indipendente da ogni altro Potere dello Stato, riescono a dare risposta, almeno dal punto di vista normativo, a chi teme che la riforma possa comportare un assoggettamento del pubblico ministero al Governo[11]. Non è detto, tuttavia, che, nelle dinamiche di funzionamento concreto dell’assetto che deriverà dalla riforma, tale pericolo sia del tutto escluso.
Per quanto concerne la modifica sub c), ai nostri fini la disposizione appare degna di specifico rilievo. Si prevede, infatti, un’espressa ipotesi di passaggio di funzioni dalla magistratura requirente a quella giudicante per i PM che si siano distinti per meriti insigni e che abbiano maturato almeno quindici anni di esercizio delle funzioni. La norma pare trovare la sua ragione nel fatto che, in base al testo di quello che sarà il nuovo testo dell’art. 106, comma terzo, Cost., la chiamata all’ufficio di consiglieri di cassazione avverrà su designazione del CSM giudicante, quindi, diverso da quello che governa i pubblici ministeri, che potrebbero essere sfavoriti di fronte ad un potere esercitato sostanzialmente dai colleghi giudici.
Procedendo con l’esame della riforma, gli artt. 1, 3, 4, 6 del disegno di legge oggetto d’esame trattano dei nuovi organi di autogoverno della magistratura.
In particolare, si prevede la formazione di due Consigli Superiori, quello della Magistratura requirente e quello della Magistratura giudicante, che avranno funzioni in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati.
Ai sensi degli artt. 1 e 3 del d.d.l. – che modificano gli artt. 87, decimo comma, e 104, commi secondo e ss., Cost. – entrambi i Consigli Superiori saranno presieduti dal Presidente della Repubblica, i membri dureranno in carica quattro anni e non saranno immediatamente rieleggibili. Secondo la lettera della modifica proposta, «Ne fanno parte di diritto, […] il primo presidente [nel CSM giudicante n.d.a] e il procuratore generale della Corte di cassazione [nel CSM requirente n.d.a]. Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e di avvocati con almeno quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge». Nelle medesime norme, inoltre, si dispone che «Ciascun Consiglio elegge il proprio vicepresidente tra i componenti designati mediante sorteggio dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune» e che «I componenti non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale».
Come è possibile notare, una prima importante novità si avrà in materia di giurisdizione disciplinare, attualmente attribuita al CSM, che ad oggi emette decisioni impugnabili innanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione[12]. Con la riforma, invece, in base all’art. 4 del d.d.l., che modifica l’art. 105 Cost., essa viene attribuita ad un nuovo organo, l’Alta Corte disciplinare, che deciderà sia in prima istanza sia come giudice dell’impugnazione, anche per motivi di merito, «senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata».
L’Alta Corte sarà «composta da quindici giudici, tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. L’Alta Corte elegge il presidente tra i giudici nominati dal Presidente della Repubblica o estratti a sorte dall’elenco compilato dal Parlamento in seduta comune». I membri dell’Alta Corte dureranno in carica quattro anni, non rinnovabili e, anche in questo caso, l’ufficio sarà incompatibile con il contemporaneo svolgimento di altre importanti funzioni: membro del Governo, del Parlamento italiano o europeo, di un Consiglio regionale, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge.
Sempre in materia, nell’ultimo comma del futuro art. 105, si prevede che «La legge determina gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni, indica la composizione dei collegi, stabilisce le forme del procedimento disciplinare e le norme necessarie per il funzionamento dell’Alta Corte e assicura che i magistrati giudicanti o requirenti siano rappresentati nel collegio».
Ebbene, senza voler scendere nel dettaglio, poiché si fuoriuscirebbe dall’oggetto del presente studio, bisogna evidenziare che l’attribuzione della giurisdizione disciplinare all’Alta Corte non è una novità del momento, poiché in passato sono state presentante altre proposte legislative che disponevano in termini simili[13]. Tale attribuzione di giurisdizione, tuttavia, dovrà coniugarsi con quanto previsto agli artt. 107, comma primo e 111, comma settimo, della Costituzione.
All’art. 107, primo comma, Cost., infatti, è sancito che «I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso». Come chiarito dalla Corte costituzionale[14], nella disposizione si fa riferimento ad un procedimento di natura amministrativa che può comportare il trasferimento del magistrato a prescindere dalla commissione dell’illecito disciplinare, come nei casi di c.d. incompatibilità ambientale, derivante da causa oggettive e, quindi, incolpevoli[15]. È facile notare, però, che, dal punto di vista sostanziale, la linea di demarcazione col provvedimento disciplinare è molto sottile e conseguentemente labile diventa la distinzione tra la competenza dei due CSM e quella dell’Alta Corte.
All’art. 111, settimo comma, Cost., invece, si legge che «Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge». Sul punto si è visto che, in base alla riforma, l’Alta Corte avrà giurisdizione disciplinare di merito sia in primo grado, che in sede di impugnazione. Ciò, tuttavia, non sembra escludere il ricorso in Cassazione per motivi di legittimità così come sancito nel citato articolo 111 Cost., anche perché non verrà meno la natura giurisdizionale del procedimento[16], al più, a differenza di quanto accade nel diritto vigente, sul gravame non si esprimeranno più solo ed esclusivamente le sezioni unite.
Ulteriore importante novità è quella della scelta per sorteggio dei componenti dei due Consigli Superiori e dell’Alta Corte. Si tratterà certamente di un sorteggio “temperato” per quanto riguarda la quota laica di spettanza parlamentare, poiché l’estrazione non riguarderà tutti i soggetti che possiedono i requisiti previsti nella norma per essere eletti, ma soltanto coloro i quali saranno inseriti in un elenco precompilato. Per quanto concerne, invece, la componente togata, le modalità del sorteggio sono demandate alle future previsioni di legge e, quindi, potrà decidersi se effettuarlo in forma pura oppure temperato, ad esempio, con riferimento ad una cerchia ristretta di nominativi precedentemente eletti dall’Ordine Giudiziario, una sorta di elezioni “primarie”.
Sul punto si discute se tale sistema porrà fine al c.d. sistema delle correnti, che tanto scalpore aveva destato in occasione del caso “Palamara”[17], ma un esame approfondito della questione richiederebbe uno scritto a sé, perché occorrerebbe verificare, da un lato, se il sorteggio non favorisca politiche “clientelari” o quantomeno amicali del sorteggiato e, dall’altro, se sia veramente la giusta cura alle derive passate del correntismo. Sarebbe necessario, quindi, uno studio che fornisca una visione completa dei fatti spiacevoli del passato causati dalle correnti, l’analisi della loro natura giuridica e del regime di funzionamento, una disamina, anche comparata, della prassi riguardante le istituzioni composte mediante sorteggio già in funzione o presenti in passato e la lettura dei principali argomenti a favore o a sfavore avanzati in proposito nel dibattito giuridico.
Ciò che si può evidenziare in questa sede è soltanto che il sistema del sorteggio non è una novità dei nostri giorni e pare rappresentare l’unica alternativa al sistema elettivo presente in modo preponderante nelle democrazie occidentali[18].
Veniva utilizzato già nell’Antica Atene, dove, ad esempio, i membri del Consiglio dei Cinquecento (Boulé) e delle Magistrature venivano scelti per sorteggio puro o sorteggio misto ad elezioni. Tuttavia, al pari di tutti coloro che presentavano i requisiti per rivestire cariche pubbliche, risultavano anche sottoposti alla c.d. procedura di docimasia, introdotta probabilmente da Solone, che consisteva in un esame preventivo sulle loro qualità civiche e morali. In aggiunta, qualora uno di essi fosse stato ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato, il popolo avrebbe potuto allontanarlo dalla Città-Stato con l’istituto dell’ostracismo[19].
In chiave comparata, invece, nel diritto attuale è, ad esempio, adoperato per la formazione delle giurie popolari americane[20].
Con riguardo all’ordinamento italiano, il sorteggio trova vigenza per la scelta dei membri delle istituzioni di garanzia e di alcuni organi collegiali che svolgono funzioni consultive o giurisdizionali in modo indipendente e imparziale[21].
A mero titolo d’esempio, è previsto per la designazione dei sedici giudici aggregati che integrano la composizione della Corte costituzionale nei giudizi di accusa promossi contro il Presidente della Repubblica, i quali sono estratti a sorte da un elenco di cittadini che godono dei requisiti di eleggibilità a Senatore, compilato dal Parlamento ogni nove anni, mediante elezione; è il metodo disposto dall’art. 7 della l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, per la costituzione del c.d. Tribunali dei Ministri competente a giudicare i reati ministeriali; è utilizzato per la scelta dei giudici popolari che dovranno affiancare i magistrati togati nelle Corti d’Assise di primo grado e d’appello[22].
Ciò posto, il disegno di legge qui esaminato si chiude con l’art. 8, che sancisce una norma transitoria in cui si afferma: «Le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare sono adeguate alle disposizioni della presente legge costituzionale entro un anno dalla data della sua entrata in vigore. 2. Fino alla data di entrata in vigore delle leggi di cui al comma 1 continuano a osservarsi, nelle materie ivi indicate, le norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale».
Si tratta di una previsione molto importante per vari motivi: si impedisce alla Corte costituzionale di dichiarare incostituzionali tutte le disposizioni dell’ordinamento giudiziario e della legislazione connessa incompatibili col nuovo assetto già a partire dall’indomani dell’entrata in vigore della riforma, creando così un vuoto normativo; si permette al legislatore di continuare a “contrattare” gli aspetti più dibattuti della questione con la società civile e, in particolare, con la Magistratura; ci si riserva di lasciare, si permetta il termine, “dormiente” il dettato costituzionale qualora gli equilibri politici dovessero mutare.
Tanto rumore per nulla? Può darsi! Quasi tutto pare essere rimesso alla discrezionalità del legislatore futuro[23].
3. Il passaggio dalla funzione requirente a giudicante e viceversa: cronistoria di un’accesa questione
Le funzioni di giudice e pubblico ministero sono state da sempre destinatarie di un trattamento giuridico diverso.
Dopo l’Unità d’Italia i magistrati venivano nominati dal Re, così come previsto dagli artt. 68 e 69 dello Statuto Albertino, talvolta dopo aver superato un concorso pubblico, ancorché tale modalità non risultava essere l’unica via d’accesso alla magistratura. Tuttavia, mentre i giudici già al tempo godevano di un notevole margine d’indipendenza dalla politica, i pubblici ministeri erano considerati a tutti gli effetti dei funzionari pubblici legati da un rapporto di dipendenza con il Potere esecutivo[24].
Come, infatti, scriveva Santi Romano nel 1946: «Nonostante la sua autonomia, il potere giudiziario si ricollega al potere esecutivo, oltre che per mezzo del capo dello Stato, […], e dei ministri, specialmente del ministro della giustizia, anche per mezzo di un apposito ufficio, cioè del pubblico ministero. Tale ufficio è affidato a funzionari che appartengono all’ordine giudiziario, ma rappresenta, nell’esercizio delle sue funzioni, il potere esecutivo sotto la direzione del ministro della giustizia. Esso veglia all’esecuzione delle leggi, sia rendendosi attore nei processi penali e anche in taluni civili, sia difendendo in vari altri modi presso l’autorità giudiziaria l’interesse e l’ordine pubblico»[25]
Numerosi nel corso del tempo furono i tentativi di garantire maggiore indipendenza all’ordine giudiziario, come è accaduto in occasione delle riforme Orlando del 1907-1908 con cui fu istituito il Consiglio Superiore della Magistratura, fu introdotto il principio dell’inamovibilità assoluta e ci fu una forte riorganizzazione del potere disciplinare e quando, nel 1909, fu creata l’Associazione Generale fra i Magistrati d’Italia, ma l’indipendenza della Magistratura dai Poteri legislativo ed esecutivo si ebbe soltanto con l’entrata in vigore della Costituzione[26].
Anche in sede costituzionale, però, permangono alcune differenze tra i giudici e i pubblici ministeri, nonostante entrambi, come detto, risultino indipendenti dagli altri Poteri. Difatti, mentre i giudici sono soggetti soltanto alla legge, i pubblici ministeri godono meramente delle garanzie stabilite dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Per tale motivo, i pubblici ministeri sono inseriti in un ufficio organizzato gerarchicamente, con a capo il procuratore capo, il quale detta le direttive a cui i componenti dell’ufficio devono attenersi. I giudici, invece, sono del tutto indipendenti anche all’interno dell’organo giudiziario, quindi, sia dai presidenti di collegio, di sezione e dell’ufficio a cui appartengono, che dalle istanze giurisdizionali superiori alla propria, financo della Cassazione[27].
Ciò premesso, il cambio delle funzioni, sebbene sulla carta considerato eccezionale, fu largamente consentito e adoperato già in epoca liberale. Tale atteggiamento di apertura fu mantenuto con la riforma dell’ordinamento giudiziario del 1941, avvenuta con R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 che ha disciplinato il passaggio delle funzioni fino al d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, con cui, invece, è stata ristretta molto tale possibilità. Il passaggio, infine, è stato reso maggiormente più complicato con la novella del citato d.lgs. n. 160/2006 avvenuta con l. 17 giugno 2022, n. 71[28].
In particolare, nella versione originaria del R.D. n. 12/1941, all’art. 190, si prevedeva che il mutamento delle funzioni poteva essere disposto dal Ministro di Grazia e Giustizia a domanda dell’interessato o per esigenze di servizio e che «Durante la permanenza nel medesimo grado, il passaggio dalle funzioni requirenti alle giudicanti [era] consentito soltanto per ragioni di salute debitamente accertate o, in via eccezionale, per gravi e giustificati motivi; ed il passaggio dalle funzioni giudicanti alle requirenti [era] ammesso soltanto a favore di chi ha speciali attitudini alle funzioni del pubblico ministero». La norma poi fu ulteriormente modificata nel 1988[29] in senso ancora più permissivo, nonostante ci si trovasse nel medesimo periodo di approvazione del nuovo codice di procedura penale basato sul modello prevalentemente accusatorio, poiché il passaggio fu consentito a domanda dell’interessato a patto che il CSM, previo parere del Consiglio giudiziario, accertasse la sussistenza delle attitudini alla nuova funzione.
L’evoluzione della materia in senso restrittivo, come anticipato, si ebbe soltanto con il citato d.lgs. n. 160/2006, che ha disposto l’abrogazione dell’art. 190 cit., e ha sancito un’apposita disciplina all’art. 13, che è stato a sua volta modificato nel corso degli anni.
In un primo tempo, infatti, il passaggio era permesso trascorsi tre anni dall’assunzione delle funzioni dopo il prescritto tirocinio e previa frequenza di un periodo di formazione presso la Scuola Superiore della Magistratura.
In seguito, con la modifica dell’art. 13 avvenuta con l. 30 luglio 2007, n. 111, è stato disposto che «Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Al momento della novella, inoltre, tale passaggio poteva essere effettuato per un massimo di quattro volte nel corso della carriera. Il legislatore, tuttavia, data la restrizione, al comma 4 dell’art. 13, ha temperato il rigore della previsione sancendo quanto segue: «[il] divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro».
Come si è anticipato, infine, con l. n. 71/2022, quanto previsto dall’art. 13 è stato ulteriormente reso più complicato poiché, il passaggio, ferma restando la sussistenza dei requisiti “territoriali” già previsti con la modifica del 2007, è attualmente concesso per una sola volta durante l’intera carriera «entro il termine di sei anni dal maturare per la prima volta della legittimazione al tramutamento previsto dall’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Oltre il termine temporale di cui al secondo periodo è consentito, per una sola volta, il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, quando l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali, nonché il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro».
L’art. 12 della l. n. 71/2022, tuttavia, a tutela dei magistrati già in servizio, sancisce: «I magistrati che prima della data di entrata in vigore della disposizione […] hanno effettuato almeno un passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, o viceversa, possono effettuare un solo ulteriore mutamento delle medesime funzioni […], a condizione che non abbiano già effettuato quattro mutamenti di funzione».
Ebbene, come è possibile notare, la questione ha preoccupato molto il legislatore negli ultimi anni, soprattutto a partire dal 2006. Tuttavia, occorre interrogarsi se tale passaggio rappresenti o meno un falso problema. In merito, gli ultimi dati statistici disponibili, elaborati dal CSM, ci rappresentano la seguente situazione: di 9048 magistrati assunti tra l’anno 1965 e il 2017, hanno effettuato un solo cambio di funzione da requirente a giudicante e viceversa soltanto in 1950; due cambi in 908; più di due cambi in 306[30].
In termini percentuali, dunque, hanno operato: un solo passaggio il 21,55%; due passaggi il 10,03%; più di due passaggi il 3,38%. Ciò significa, che le ultime riforme, volte a permettere un solo cambio di funzione da requirente a giudicante e viceversa, hanno avuto l’intento di eliminare il residuo 10% di magistrati che in passato ha optato per tale facoltà almeno due volte.
In un’ottica di economia legislativa, di conseguenza, visti i numeri, certamente gli interventi legislativi volte a rendere più difficile il cambio di funzione sembrano aver avuto dei risvolti pratici di poco conto. Diverse, invece, sono le considerazioni da operare in merito all’attuale riforma costituzionale, perché bisogna considerare che l’intento del legislatore in questo caso – a torto o ragione non importa – non è quello di incidere specificamente sul mutamento delle funzioni, ma è quello di delineare un nuovo modello di ordinamento giudiziario, diverso rispetto a quello immaginato dal Costituente del ’48, in cui l’eventuale divieto di passaggio si inserisce in un progetto normativo ben più ampio, in cui i giudici e i PM hanno carriere con un regime giuridico diverso e sono autogovernati separatamente ciascuno dal proprio CSM.
Sembra, dunque, che la riforma sia motivata da ragioni di natura culturale, a prescindere degli effetti pratici che essa potrà avere sulla specifica questione del passaggio delle funzioni, anche perché altrimenti sarebbe bastato probabilmente un ulteriore intervento normativo a livello primario, vietando il cambio quantomeno per il futuro. L’idea di revisionare la Costituzione, invece, ha un obiettivo diverso, più ampio. Si tratta chiaramente di uno scopo lecito, condivisibile o meno non importa, che è sintomo di onestà intellettuale del legislatore che interviene a livello di sistema e non con puntuali “operazioni chirurgiche” sul dettato normativo, a patto che tale volontà riformatrice si accompagni a un proficuo dibattito con il restante mondo istituzionale, in primo luogo con la Magistratura, ma anche con il ceto forense e con l’Accademia.
4. Considerazioni conclusive. Gli eventuali limiti al cambio di funzioni nel d.d.l. costituzionale e le possibili prospettive costituzionali future: dal dato letterale al diritto costituzionale
Nel corso della trattazione sono state esaminate le principali novità del d.d.l. costituzionale sulla c.d. separazione delle carriere e le modifiche normative che hanno riguardato nel corso del tempo il passaggio delle funzioni da pubblico ministero a giudice e viceversa. Tutto ciò è stato effettuato con lo scopo di rispondere al seguente interrogativo: sarà ancora possibile in futuro per i magistrati attualmente in servizio e per quelli che lo diverranno il mutamento delle funzioni alla luce della citata riforma costituzionale?
Ebbene, dalla lettura del testo della riforma costituzionale, si evince che il legislatore, pur separando le carriere, non si espone fino a sancire un espresso divieto al passaggio dalla funzione requirente a giudicante o viceversa.
Di conseguenza, sembra che gli attuali magistrati che hanno partecipato ad un unico concorso pubblico in magistratura potrebbero essere ammessi in futuro ad operare almeno un cambio, senza che l’eventuale norma dell’ordinamento giudiziario che lo preveda possa essere tacciata di incostituzionalità. Ciò potrebbe essere molto utile, oltre che sorretto da ragioni di giustizia sostanziale, soprattutto per i neo magistrati posizionati in basso nella graduatoria del concorso, “costretti” in prima battuta a fare il pubblico ministero o il giudice.
La riforma, infatti, dispone carriere separate tra P.M. e giudici, da intendersi con un regime giuridico in parte differente, ma non vieta di passare da una funzione all’altra mutando volontariamente il trattamento a cui si è sottoposti.
Certo, bisognerà probabilmente regolare l’equipollenza tra le due professionalità, serviranno bravi tecnici, ma si tratterà di una concessione lecita e, per quello che si dirà in seguito, anche dovuta!
In altri termini, il legislatore, ad esempio, potrà operare come ha già fatto quando ha ridotto il numero di possibilità per effettuare il cambio da quattro a una con l’apposita norma di cui all’art. 12 della l. n. 71/2022, in cui, a tutela dei magistrati già in servizio, sancisce: «I magistrati che prima della data di entrata in vigore della disposizione […] hanno effettuato almeno un passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, o viceversa, possono effettuare un solo ulteriore mutamento delle medesime funzioni […], a condizione che non abbiano già effettuato quattro mutamenti di funzione».
Ciò posto, come anticipato, permettere il mutamento delle funzioni ai magistrati in servizio oltre che una scelta possibile, rappresenta una facoltà dovuta.
In primo luogo, perché, in assenza di espressa disposizione contraria, la legge dispone soltanto per il futuro e, quindi, anche qualora il legislatore non volesse modificare l’ordinamento prevedendo un’apposita norma come quella di cui al citato art. 12, l. n. 71/2022, il passaggio delle funzioni sarà consentito alle condizioni già fissate prima dell’entrata in vigore della novella costituzionale.
In secondo luogo, qualora il legislatore volesse prevedere uno specifico divieto assoluto in tal senso nelle norme sull’ordinamento giudiziario – agendo soprattutto sulla base dell’art. 8 del d.d.l di revisione costituzionale, in cui, come detto, è sancito che «Le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare sono adeguate alle disposizioni della presente legge costituzionale entro un anno dalla data della sua entrata in vigore […]» – la previsione potrebbe essere ritenuta sospetta di incostituzionalità con riguardo ai magistrati in servizio o, comunque, per quelli che vinceranno il concorso alle condizioni normative di rango primarie allo stato vigenti.
Ciò perché, detto eventuale divieto, causerebbe la violazione di un diritto quesito dal magistrato all’atto della nomina, che avviene subito dopo il positivo superamento del concorso e l’approvazione della graduatoria. Il concorso vinto, infatti, è quello unico in magistratura e, fino a prova contraria, i magistrati italiani sono sia giudici che pubblici ministeri. Ciò significa che il diritto a mutare la funzione risulta acquisito nella sfera giuridica di ciascun magistrato una volta che le condizioni del bando si verificano, essendosi concluse tutte le previste fasi amministrative volte all’emanazione del decreto ministeriale di nomina[31].
In particolare, il divieto al passaggio sancito anche per i magistrati ordinari in servizio risulterebbe incostituzionale perché lesivo di tutte quelle norme costituzionali che tutelano i lavoratori e che reputano il lavoro come una delle principali attività in cui si esplica la personalità dell’individuo. In altri termini, violerebbe gli artt. 2 e 4 della Costituzione. In aggiunta, profili di contrasto potrebbero verificarsi anche con l’art. 3 Cost., perché vi sarebbero magistrati assunti con lo stesso decreto ministeriale di nomina trattati diversamente, a seconda che abbiano chiesto il passaggio di funzione prima o dopo l’entrata in vigore dell’ipotetico divieto: ai primi concesso; ai secondi negato.
Di conseguenza, l’eventuale divieto al passaggio potrebbe essere posto nel nulla da parte della Corte costituzionale.
Ciò posto, a sostegno della tesi che tale facoltà non potrà essere vietata, vi è anche la circostanza che la riforma non prevede che i magistrati italiani vengano necessariamente assunti dopo aver superato appositamente un concorso per pubblico ministero oppure un concorso per giudice; almeno, in base alla Costituzione, sia attuale che post-riforma, il concorso può rimanere unico come in passato, ossia i candidati potranno partecipare al classico “Concorso pubblico per n. X posti a Magistrato Ordinario”. Infatti, l’art. 106, primo comma, Cost., in cui è sancito che «Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso». rimarrà immutato, a differenza di quanto, invece, proposto nel progetto di legge A.S. n. 504, sempre riguardante la separazione delle carriere, presentato in parallelo a quello approvato dai sostenitori della riforma, che, però, attualmente non ha avuto seguito[32].
Quanto detto, tra l’altro, potrebbe permettere anche ai futuri magistrati almeno un cambio di funzione come a quelli già in servizio, salvo che per loro venga sancito un divieto in tal senso prima del superamento del concorso e della conseguente nomina.
A quest’ultimo proposito, però, bisogna sottolineare che l’art. 106, primo comma Cost., pur non impedendo il concorso separato, non impone quello unico. Questo significa che il legislatore futuro, sulla base del citato art. 8 del d.d.l di riforma costituzionale, risulterà libero di prevedere diversamente, bandendo un concorso per ciascuna funzione, senza incontrare alcun limite normativo disposto al riguardo.
In quest’ultimo caso, con molta probabilità, la questione del mutamento delle funzioni sarà del tutto esclusa per i nuovi magistrati.
Il concorso separato, tuttavia, potrebbe causare molti problemi. Il concorso in magistratura, infatti, è una delle selezioni più rigide esistenti nel panorama nazionale dei concorsi pubblici. L’esperienza insegna che, di solito, il numero dei candidati dichiarati vincitori è inferiore al numero dei posti messi a bando e questo è sintomo che la commissione non è riuscita a trovare abbastanza candidati all’altezza del ruolo per coprire tutti i posti a disposizione[33]. Dividere, dunque, il concorso per funzione, significherebbe che la già residua platea di candidati potenzialmente idonei dovrà con molta probabilità scegliere se partecipare alla selezione per diventare pubblico ministero oppure a quella per giudice, riducendosi così ancor di più la possibilità di coprire integralmente i posti. Ciò perché, da un lato, diminuirebbe il numero di posti a disposizione; dall’altro, perché occorre tenere in considerazione il fatto che chi partecipa per una funzione, perde magari in quella in cui si cimenta, pur avendo la possibilità di vincere l’altra.
In aggiunta, il concorso separato comporterebbe costi elevati per lo Stato: sarebbe necessaria una doppia commissione; il personale amministrativo e di vigilanza dovrebbe essere raddoppiato; i due CSM e i relativi amministrativi vedrebbero aumentare il lavoro; dovrebbero essere locate due sedi concorsuali e così via.
Tuttavia, spetta al legislatore valutare costi e benefici in merito e agire di conseguenza nella sua discrezionalità.
Ciò che qui si può affermare è che la questione del passaggio delle funzioni, per le ragioni già esposte, sembra dovrà rimanere immutata per i magistrati già in servizio o che comunque hanno già vinto o supereranno il concorso unico alle condizioni normative di rango primario attualmente vigenti, permettendo almeno un cambio durante l’intera carriera, quantomeno a chi non ha mai effettuato nessun passaggio.
Per quanto riguarda, invece, i magistrati futuri, tutto risulta essere più incerto, perché occorrerà verificare se il concorso rimarrà unico e, in ogni caso, cosa disporrà al riguardo l’ordinamento giudiziario.
* Magistrato Ordinario in Tirocinio presso il Tribunale di Caltanissetta e Dottore di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Catania
[1] Il testo di legge A.C. n. 1917 e A.S. n. 1353, Disegno di legge costituzionale: Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare, è reperibile in camera.it. Fra i contributi in Rivista più recenti in tema di separazione delle carriere si vedano V. Baldini, Separazione delle carriere dei magistrati e altre novità costituzionali: tra moniti narrativi e pregiudizi culturali, in dirittifondamentali.it, 1, 2025, p. 189 ss.; E. Castorina, Riforma della “giustizia”: un percorso ancora incompiuto, in Consulta online, 2025/II, 685 ss.; V. Guarriello, La separazione delle carriere dei magistrati ordinari: i nodi insoluti, in Giust. amm., 1, 2025, 3 ss.; I. Gulino, L’alta corte disciplinare: quale ruolo ed impatto sugli equilibri costituzionali?, in questa Consulta online, 2025/II, 993 ss.; G. Monaco, Sul progetto di un nuovo assetto costituzionale della magistratura, in questa Consulta online, 2025/II, 922 ss.; R. Romboli, La riforma costituzionale della magistratura: la maschera della separazione delle carriere ed il volto della eliminazione del modello CSM voluto dal Costituente, in Oss. ord. giud., 2025, 1 ss.; E. Bruti Liberati, Giudici e pubblici ministeri nel sistema costituzionale e nelle proposte di riforma, in Riv. it. dir. e proc. pen., 3, 2024, 1115 ss.; C.A. Ciaralli, A. Mazzola, Oltre la separazione delle carriere, in Costituzionalismo.it, 2, 2024, 11 ss.; G.P. Dolso, Separazione delle carriere e Costituzione, in Amb. Dir., 4, 2024, 701 ss.; B. Galgani, Prove di “carriere separate”: tra risalenti ambiguità normative, forzature ideologiche e….”wishful thinking”?, in Proc. pen. e giust., 3, 2024, 519 ss.; R. Mancuso, Separazione delle carriere dei magistrati: quali prospettive, in La Giustizia Penale, 6, 2024, 177 ss.; N. Zanon, Separare e sorteggiare?, in Riv. it. dir e proc. pen., 3, 2024, 1161 ss.; G. Azzariti, La separazione delle carriere dei magistrati, in Osservatorio AIC, 2, 2023, 5 ss.; A. Cerri, Dubbi e perplessità sull’ipotesi di “separazione delle carriere” fra Pubblica Accusa e Magistratura Giudicante, in Critica del diritto, 1, 2023, 7 ss.; F. Palazzo, Tanto tuonò che piovve. A proposito di alcune riforma annunciate, in Cass. pen., 1, 2023, 17 ss.; F. Ruggieri, Del potere dell’autorità giudiziaria: le recenti proposte di riforma, in Dir. pen e proc., 12, 2023, 1545 ss. Invece, tra i lavori monografici più recenti, si vedano G. Bono, Meglio separate. Un’inedita prospettiva sulla separazione delle carriere in magistratura, Firenze. 2023; G. Benedetto, Non diamoci del tu. La separazione delle carriere, Soveria Mannelli, 2022. Sul tema si veda anche E. Malfatti, R. Romboli (curr.), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il Consiglio superiore della magistratura, tra modello costituzionale e prospettive di riforma, in Consulta online, Collana, 2025.
[2] L’idea di occuparsi del tema è nata a seguito delle sollecitazioni del Collega S. Nucera, che ringrazio per lo spunto che ha offerto a questa riflessione, che hanno dato luogo ad un’ampia discussione informale fra i Colleghi Magistrati Ordinari in Tirocinio durante il nostro ultimo incontro a Scandicci (FI) per la frequenza della Scuola Superiore della Magistratura.
[3] Per maggiori approfondimenti sul procedimento di cui all’art. 138 Cost., per tutti, G. Di Cosimo, Art. 138, in V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin (curr.), Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, 1211 ss., il quale specifica che l’eventuale referendum ha natura integrativa oppure preclusiva di quanto già deciso dal Parlamento a seconda del suo esito positivo o negativo. Sulla natura dei diversi referendum previsti nell’ordinamento italiano e comparato si v. anche V. Telaro, Guardando oltre la siepe del proprio Giardino. Riflessioni intorno all’iniziativa legislativa popolare e al referendum propositivo, in Riv. Gruppo di Pisa, quad. abb. al fasc. 3/2024, 387 ss.
[4] Sulle differenze tra i due modelli è sufficiente qui rimandare a G. Spangher, Processo penale tra modello inquisitorio e modello accusatorio, in Riv. pen. dir. e proc., 2022.
[5] L. cost., 23 novembre 1999, n. 2.
[6] Per maggiori approfondimenti sul “giusto processo” nell’ordinamento costituzionale, per tutti, si vedano R. Giordano, Il giusto processo e la sua ragionevole durata, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1654 ss.; G. Sorrenti, Articolo 111, in F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G. E. Vigevani (curr.), La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, Vol. II, Bologna, 2018, 313 ss.; M. Gialuz, Art. 111, in V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin (curr.), Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, 959 ss.; A. Andronio, Art. 111, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (curr.), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, 2115 ss.
[7] Per le due tesi si vedano i contributi citati supra sub. nota n. 1.
[8] Corte cost., sent. n. 37 del 2000, punto n. 5, Considerato in diritto.
[9] Per un commento alla riforma si rinvia alla bibliografia già citata supra sub. nota n. 1.
[10] Sul vigente sistema costituzionale in materia, per tutti, si vedano G. Grasso, L’amministrazione della giustizia «in nome del popolo italiano» e la soggezione dei giudici solo alla legge, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1531 ss.; G. Grasso, La magistratura ordinaria e le altre magistrature: la costituzionalizzazione del principio di unicità della giurisdizione, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1537 ss.; F. Caringella, La giurisdizione del giudice amministrativo, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1543 ss.; M. De Paolis, I tribunali militari: giurisdizione e loro indipendenza, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1569 ss.; A. Penta, La magistratura ordinaria, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1579 ss.; R. Mucci, L’indipendenza della magistratura ordinaria, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1595 ss.; A. Penta, I compiti ed il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1605 ss.; G. Grasso, Le norme sull’ordinamento giudiziario e l’accesso in magistratura, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1615 ss.; G. Grasso, L’inamovibilità del magistrato e la distinzione di funzioni, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1623 ss.; R. Cantone, Dipendenza della polizia giudiziaria dall’Autorità Giudiziaria, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1629 ss.; A. F. Esposito, Il ruolo del Ministro della Giustizia, in L. Delli Priscoli (cur.), La Costituzione vivente, Milano, 2023, 1643 ss. Per una panoramica sul vigente ordinamento giudiziario si rinvia a F. Dal Canto, Lezioni di ordinamento giudiziario, Torino, 2024.
[11] Sul punto si veda l’intervista per l’Espresso dell’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, G. Santalucia, Separazione delle carriere, sorteggio per il Csm, controllo politico. Santalucia boccia il disegno di legge costituzionale, sul sito dell’ANM, in cui, in particolare, evidenzia che «Sui pubblici ministeri c’è questa forte preoccupazione. Nell’immediato, questa riforma accrescerà il potere dei pubblici ministeri perché nel loro Consiglio superiore della magistratura avranno i due terzi di rappresentanza. Un paradosso che creerà un eccesso di autoreferenzialità nella gestione delle carriere e quindi uno squilibrio. Per porvi rimedio, l’unico modo che le democrazie occidentali conoscono è il controllo della politica sui pm e sull’azione penale».
[12] In tema, per tutti, F. Dal Canto, Lezioni, cit., 307 ss.
[13] Sul punto, si riporta quanto scrive di R. Sanlorenzo, L’Alta Corte disciplinare secondo il progetto di riforma costituzionale, in Quest. giust., 12 giugno 2025, 2: «La legge di riforma costituzionale realizza in tali termini il disegno, già concepito in passato, di un’alta corte davanti a cui si svolgeranno i giudizi disciplinari nei confronti dei
soli magistrati ordinari: le differenze rispetto a quei prototipi sono, però, vistose. Il primo progetto di riforma costituzionale che si è mosso in tal senso è quello presentato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (cd. Commissione D’Alema) istituita dalla legge costituzionale n. 1/1997 (AC n. 3931, AS n. 2583, XIII Legislatura), che prevedeva l’istituzione della Corte di giustizia della magistratura, avente competenza per i provvedimenti disciplinari relativi ai magistrati ordinari e amministrativi e ai magistrati del pubblico ministero, nonché quale organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa. Gli altri disegni di riforma costituzionale che si sono succeduti negli anni abbracciavano la proposta di un organo disciplinare distinto dall’organo costituzionale di autogoverno, a cui in alcuni casi si è associata l’attribuzione della funzione di controllo dei provvedimenti amministrativi da questo emanati, e, in un caso, anche la funzione di tutela delle guarentigie parlamentari nei confronti degli atti di esercizio della giurisdizione penale. Più di recente, ampia discussione ha suscitato la formulazione di un disegno di legge costituzionale presentato al Senato il 28 ottobre 2021, prima firmataria la Sen. Rossomando (Partito Democratico), AS n. 2436, XVIII Legislatura, intitolato: “Modifiche al Titolo IV della Parte II della Costituzione in materia di istituzione dell'Alta Corte”, che ritornava alla prospettiva dell’istituzione di un giudice in materia disciplinare chiamato a conoscere delle controversie riguardanti l’impugnazione dei provvedimenti disciplinari adottati dagli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, militare e tributaria, nonché delle controversie riguardanti l’impugnazione di ogni altro provvedimento riguardante i magistrati adottato dai suddetti organi di autogoverno (art. 105-bis); il giudizio davanti all’Alta Corte si sarebbe articolato in due gradi di giurisdizione, di cui il primo davanti a un collegio di tre componenti e quello di impugnazione davanti al plenum (art. 105-quater); contro le decisioni adottate in composizione plenaria, si affermava espressamente, “non è ammessa alcuna impugnazione”».
[14] Corte cost., sent. n. 457 del 2002.
[15] Sul punto si veda anche F. Biondi, Art. 107, in V. Crisafulli, L. Paladin, S. Bartole, R. Bin (curr.), Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008, 942.
[16] Cfr. R. Sanlorenzo, L’Alta Corte disciplinare, cit., 7 ss. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, sulla natura giurisdizionale delle pronunce del CSM in materia disciplinare, ex pluribus, Corte cost., sent. n. 497 del 2000.
[17] La questione è rappresentata in A. Sallusti, Il Sistema. Potere, Politica, Affari: Storia segreta della Magistratura in Italia, Milano, 2022.
[18] Cfr. R. Cristiano, Sorteggio, in T. Groppi, C. Bassu, T.E. Frosini, R. Tarchi (curr.), Lessico in-costituzionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2025, 550. J. Burnheim, The demarchy manifesto, Sidney, 2016.
[19] In tema, per tutti, E. Cantarella, Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia, Torino, 2021, 87-92, 136-138; nonché A. Biscardi, Diritto greco antico, Milano, 1982, 53-60, 73-75.
[20] Cfr. R. Cristiano, Sorteggio, cit., 550. In tema si veda anche N. Urbinati, L. Vandelli, La democrazia del sorteggio, Torino, 2020.
[21] In tema, per tutti, R. Cristiano, Sorteggio, cit., 550 ss.; A. Zei, Il diritto e il caso. Una riflessione sull’uso del sorteggio nel diritto pubblico, Napoli, 2023; M. Mandato, Il sorteggio come metodo di decisione. Principi e fattispecie, in Nomos, 3, 2019, 1 ss.; P. Costa, La democrazia e la sorte. Appunti giuridici intorno a un dibattito in corso, in Costituzionalismo.it, 2, 2019, 199 ss.
[22] I principali esempi sono ben esposti in Servizio Studi di Camera e Senato, Dossier sulla revisione costituzionale in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura. A.S. 1353, in Senato.it, 20 ss., in cui si afferma che «l’ordinamento nazionale prevede numerose altre ipotesi di ricorso al meccanismo del sorteggio. In particolare, al sorteggio si ricorre, anzitutto, per la designazione dei sedici giudici aggregati che, ai sensi dell’art. 135, comma 7, Cost., integrano la composizione della Corte costituzionale nei giudizi d’accusa promossi dal Parlamento in seduta comune nei confronti del Presidente della Repubblica per alto tradimento ed attentato alla Costituzione. I giudici c.d. aggregati vengono tratti a sorte da un elenco di cittadini compilato dal Parlamento in seduta comune, ogni nove anni, mediante elezione. Le modalità di elezione sono le stesse previste dalla legge cost. 22 novembre 1967, n. 2 per la nomina dei giudici costituzionali ordinari2 da parte del Parlamento in seduta comune e i requisiti richiesti sono quelli per l’eleggibilità a senatore. La Corte procede al sorteggio in pubblica udienza e con la partecipazione dei commissari d'accusa. I giudici sorteggiati prestano giuramento nelle mani del Presidente della Corte Costituzionale (art. 21, legge 25 gennaio 1962, n. 20). Ai giudizi di accusa partecipano tutti i giudici della Corte, ordinari e aggregati, che non siano legittimamente impediti (art. 26, legge 25 gennaio 1962, n. 20). Una seconda ipotesi di sorteggio per la formazione di collegi giudicanti è disciplinata dall’art. 7 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 per la costituzione del collegio per i reati ministeriali di cui all’art. 96 Cost. (cd. “tribunale dei ministri”). Tale articolo prevede che presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello sia costituito un collegio composto di tre membri effettivi e altrettanti supplenti estratti a sorte tra tutti magistrati dei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o superiore. Il collegio è presieduto dal magistrato con funzioni più elevate o, nel caso di parità di funzioni, dal più anziano dì età ed è rinnovato ogni due anni. Un’ulteriore ipotesi di sorteggio prevista nell’ordinamento riguarda la formazione delle Corti di assise e delle Corti di assise di appello, con riferimento ai sei giudici popolari che affiancano i due magistrati togati, secondo le modalità stabilite dalla legge 10 aprile 1951, n. 287. Nel dettaglio, i giudici popolari occorrenti per la costituzione dei collegi sono scelti attraverso una procedura minuziosamente disciplinata dagli articoli da 13 a 25. Tale procedura muove dalla formazione di elenchi comunali contenenti i cittadini in possesso dei requisiti descritti dagli articoli 9 e 10 e culmina nella compilazione per ciascuna Corte di una lista generale di giudici popolari (effettivi e supplenti) valida per un biennio. Nell’ambito di siffatta lista si procede, ai sensi dell’art. 25, all’ulteriore sorteggio, prima dell’inizio di ciascuna sessione della Corte, dei giudici occorrenti alla costituzione dei collegi, i quali, convocati in apposita seduta pubblica, sono chiamati dal presidente della corte a prestare servizio, secondo l’ordine di estrazione e previa dispensa di coloro che risultino legittimamente impediti. Ulteriore fattispecie nell’ambito della quale è delineato un meccanismo di sorteggio è contenuta nell’articolo 12 della legge 10 dicembre 1993, n. 515 in materia di controllo sui consuntivi delle spese per la campagna elettorale e delle relative fonti di finanziamento sostenute da partiti, movimenti e liste di candidati per le elezioni politiche ed europee. Tale controllo, rimesso alla Corte dei conti, è effettuato attraverso un Collegio di controllo sulle spese elettorali appositamente istituito e composto da tre magistrati estratti a sorte tra i consiglieri in servizio. Si può inoltre citare la legge n. 240 del 2010 che prevede l’impiego del sorteggio per formare le Commissioni deputate ad esprimere una valutazione ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario, di prima e seconda fascia. Ai sensi dell’articolo 16, comma 3, lett. h), della citata legge, il sorteggio è effettuato all’interno di liste di nominativi di professori universitari che hanno presentato apposita domanda. Il sorteggio deve garantire, ove possibile, la rappresentanza proporzionale dei settori scientifico-disciplinari all'interno della commissione e la partecipazione di almeno un commissario per ciascun settore scientifico-disciplinare compreso nel settore concorsuale al quale afferiscano almeno dieci professori ordinari (lett. i)). In ambito sanitario, inoltre, il sorteggio è utilizzato ai fini del conferimento degli incarichi delle strutture sanitarie complesse. Ai sensi dell’art. 15, comma 7-bis, lett. a), del decreto legislativo n. 502 del 1992, infatti, ai fini del conferimento degli incarichi si forma una commissione composta da tre direttori di struttura complessa nella medesima disciplina dell’incarico da conferire, individuati mediante sorteggio da un elenco nazionale Il sorteggio avviene facendo in modo che almeno due componenti della commissione siano direttori di struttura complessa in regioni diverse da quella ove ha sede l’azienda presso la quale deve essere conferito l’incarico e nel rispetto del criterio della parità di genere».
[23] Sul punto R. Romboli, La riforma costituzionale, cit., 3, scrive che «La riforma appare, per altro verso, una “scatola vuota”, tanti sono gli aspetti che vengono rinviati al futuro legislatore ordinario (quindi alla maggioranza parlamentare)».
[24] In tema, per tutti, A. Meniconi, Caratteri originari della magistratura italiana, in C. Consolo, F. Marzio, G. Grasso, SSM-Scuola Superiore della magistratura (curr.), Storia della magistratura, Quad. 6, Roma, 2022, 37 ss.; P. Borgna, Dal fascismo alla Liberazione. Figure luminose di magistrati italiani in un difficile passaggio della storia, in C. Consolo, F. Marzio, G. Grasso, SSM-Scuola Superiore della magistratura (curr.), Storia della magistratura, Quad. 6, Roma, 2022, 65 ss.; G. Scarpari, Quando il magistrato era un funzionario (1915-1925): dalla Grande guerra allo scioglimento dell’AGMI, in C. Consolo, F. Marzio, G. Grasso, SSM-Scuola Superiore della magistratura (curr.), Storia della magistratura, Quad. 6, Roma, 2022, 53 ss.; S. Romano, Principii di diritto costituzionale generale, Milano, 1946, 307 ss.
[25] Così S. Romano, Principii, cit., 315.
[26] Cfr. P. Alvazzi del Frate, Una rivoluzione culturale: la difficile conquista dell’autogoverno della magistratura, in C. Consolo, F. Marzio, G. Grasso, SSM-Scuola Superiore della magistratura (curr.), Storia della magistratura, Quad. 6, Roma, 2022, 75 ss.; M. D’Amico, Storia della magistratura italiana. Capitale sociale, principi costituzionali e recenti vicende storiche, in C. Consolo, F. Marzio, G. Grasso, SSM-Scuola Superiore della magistratura (curr.), Storia della magistratura, Quad. 6, Roma, 2022, 181 ss.; A. Meniconi, Caratteri, cit., 37 ss.; P. Borgna, Dal fascismo, cit., 65 ss.; G. Scarpari, Quando il magistrato era un funzionario, cit., 53 ss. S. Romano, Principii, cit., 307 ss.
[27] Cfr. F. Dal Canto, Lezioni, cit.; G. Grasso, L’amministrazione, cit., 1531 ss.; G. Grasso, La magistratura, cit., 1537 ss.; F. Caringella, La giurisdizione, cit., 1543 ss.; M. De Paolis, I tribunali , cit., 1569 ss.; A. Penta, La magistratura ordinaria, cit., 1595 ss.; A. Penta, I compiti, cit., 1605 ss.; G. Grasso, Le norme sull’ordinamento giudiziario, cit., 1623 ss.; R. Cantone, Dipendenza della polizia giudiziaria dall’Autorità Giudiziaria, cit., 1629 ss.; A. F. Esposito, Il ruolo del Ministro della Giustizia, cit., 1643 ss.
[28] In tema, per tutti, F. Dal Canto, Lezioni, cit., 232 ss.
[29] D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449.
[30] Ufficio Statistico CSM, La mobilità della magistratura italiana sul territorio dal 1965 al 2018, in Csm.it, 21.
[31] Quanto detto, infatti, è espressione di un principio cardine del diritto amministrativo, in base al quale la successione di una legge avvenuta durante un procedimento amministrativo aperto può applicarsi solo alle fasi del procedimento non ancora concluse. Sul punto è sufficiente qui rinviare a M. Ciracì, Successioni di leggi nel tempo e natura dell’attività amministrativa: “tempus regit actum” e “tempus regit actionem”, in Dir. e proc. amm., 1, 2025, 145 ss.
[32] A.S. n. 504, Modifica all’articolo 87 e al titolo IV della parte seconda della Costituzione in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura, in Senato.it.
[33] Prendendo, ad esempio, le graduatorie dei vincitori degli ultimi 5 concorsi in magistratura già conclusi, i dati che emergono sono i seguenti: concorso di cui al D.M. 9 ottobre 2023, posti disponibili n. 400, con possibilità di aumentarli del 10% per espressa disposizione di legge, vincitori n. 339, non ancora pubblicata sul Boll. Uff. Min. Giust., ma reperibile sul sito del CSM; concorso di cui al D.M. 18 ottobre 2022, posti disponibili n. 400, con possibilità di aumentarli del 20% per espressa disposizione di legge, vincitori n. 360, Boll. Uff. Min. Giust. 8, 2025; concorso di cui al D.M. 1° dicembre 2021, posti disponibili n. 500, con possibilità di aumentarli del 20% per espressa disposizione di legge, vincitori n. 599, in Boll. Uff. Min. Giust., 21, 2024; concorso di cui al D.M. 29 ottobre 2019, posti disponibili n. 310, con possibilità di aumentarli del 10% per espressa disposizione di legge, vincitori n. 209, in Boll. Uff. Min. Giust., 24, 2022; concorso di cui al D.M. 10 ottobre 2018, posti disponibili n. 330, con possibilità di aumentarli del 10% per espressa disposizione di legge, vincitori n. 285, in Boll. Uff. Min. Giust., 6, 2021. Come è possibile vedere, dunque, soltanto nel concorso di cui al D.M. 1° dicembre 2021 si è riusciti a coprire il numero dei posti a concorso e, addirittura, a superarli, avvalendosi della possibilità di aumentare il numero di vincitori fino al 20% su richiesta del Ministro della Giustizia. Negli altri, invece, il numero dei vincitori è risultato sempre inferiore ai posti disponibili messi a concorso.