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Il recesso nel periodo di prova tra libertà contrattuale e limiti giurisprudenziali
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Pubbl. Lun, 6 Ott 2025

Il recesso nel periodo di prova tra libertà contrattuale e limiti giurisprudenziali

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Giuseppe Anfuso
Laurea in GiurisprudenzaUniversità Ca´ Foscari di Venezia



Con l’ordinanza n. 9282/2025, la Corte di cassazione, Sezione lavoro, ha confermato un orientamento consolidato in tema di recesso nel periodo di prova, riaffermando che tale facoltà è esercitabile liberamente, senza obbligo di preavviso o motivazione, purché in coerenza con la funzione propria della prova. La decisione chiarisce, inoltre, che il recesso esercitato durante il periodo di prova non è soggetto al termine decadenziale di cui all’art. 6, legge 15 luglio 1966, n. 604. Il presente contributo analizza la portata dell’ordinanza in commento alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, evidenziando criticità e prospettive applicative.


Sommario: 1. Premessa; 2. Il recesso nel periodo di prova tra autonomia contrattuale e funzione valutativa; 3. L'ordinanza n. 9282/2025; 4. L’esclusione della disciplina decadenziale della legge n. 604/1966; 5. Profili critici e rilievi dottrinali; 6. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Il periodo di prova rappresenta una fase fisiologica del rapporto di lavoro subordinato, in cui entrambe le parti hanno la possibilità di valutare la convenienza della prosecuzione del contratto. Secondo l’art. 2096 del codice civile, il contratto può prevedere un periodo di prova, durante il quale ciascuna parte può recedere liberamente, senza obbligo di preavviso o di motivazione.

Tale previsione riflette l’esigenza di tutela dell’autonomia privata, consentendo al datore di lavoro di verificare l’idoneità professionale del lavoratore, e a quest’ultimo di accertare la rispondenza delle mansioni alle proprie aspettative. Tuttavia, nel corsdo del tempo, la giurisprudenza ha elaborato limiti all’esercizio di tale facoltà, imponendo che il recesso sia coerente con la funzione valutativa della prova e non espressione di arbitrarietà o discriminazione¹.

2. Il recesso nel periodo di prova tra autonomia contrattuale e funzione valutativa

L’apparente libertà di recesso nel periodo di prova è, in realtà, condizionata al rispetto della causa del patto di prova stesso. La Corte di cassazione ha chiarito in più occasioni che il datore di lavoro non può recedere arbitrariamente, ma deve esercitare il potere di recesso nell’ambito della verifica dell’idoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni affidategli.

In particolare, la giurisprudenza ha affermato che l’assenza di una effettiva attività lavorativa durante il periodo di prova o l’assegnazione a mansioni diverse da quelle pattuite determinano la nullità del patto e, quindi, l’illegittimità del recesso². La prova deve essere “vera”, riferita a mansioni specifiche e concretamente esercitate: solo in tal caso si giustifica la libertà di recesso come eccezione ai principi generali in materia di licenziamento.

3. L'ordinanza n. 9282/2025

Con l’ordinanza dell’8 aprile 2025, n. 9282, la Corte di cassazione ha ribadito che il recesso intimato durante il periodo di prova non è soggetto alla disciplina di cui alla legge n. 604/1966, né sotto il profilo sostanziale, né sotto quello processuale. In particolare, la Corte ha chiarito che non trova applicazione il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento, previsto dall’art. 6 della legge n. 604/1966.

Secondo i giudici di legittimità, il recesso in prova ha natura autonoma rispetto al licenziamento ex art. 1 della stessa legge e non presuppone la sussistenza di un motivo oggettivo o soggettivo. La funzione del patto di prova giustifica dunque un trattamento differenziato, anche sul piano procedurale, in ragione della sua funzione selettiva e valutativa.

La Corte ha così accolto la tesi della parte ricorrente, secondo cui il recesso durante il periodo di prova non sarebbe soggetto alle garanzie tipiche del licenziamento, in quanto, ai sensi dell'art. 10 della l.egge 604/1996, la normativa sui licenziamenti individuali trova applicazione solo  trovano solo dal momento in cui l’assunzione diventa definitiva o comunque dopo sei mesi dall’inizio del rapporto. Diversamente opinando, infatti, verrebbe a svuotarsi di contenuto l’istituto della prova stessa.

4. L’esclusione della disciplina decadenziale della legge n. 604/1966

La questione della applicabilità del termine decadenziale previsto dalla legge n. 604/1966 al recesso in prova è stata oggetto di orientamenti non sempre univoci. Tuttavia, l’interpretazione prevalente – oggi confermata dall’ordinanza in esame – è nel senso dell’inapplicabilità di tale disciplina. Il recesso esercitato in prova non richiede giustificazione e non è subordinato all’esistenza di un giustificato motivo, bensì alla verifica di una valutazione genuina e non simulata della professionalità del lavoratore³.

Ne consegue che non trova applicazione l’art. 6 della legge n. 604/1966, che disciplina i termini per l’impugnazione del licenziamento ordinario. La ratio è quella di non sovrapporre il recesso in prova con il licenziamento “ordinario”, trattandosi di fattispecie differenti, soggette a regimi autonomi e finalità diverse.

5. Profili critici e rilievi dottrinali

Non mancano in dottrina rilievi critici alla disciplina del recesso in prova, soprattutto per i rischi di elusione delle tutele contro il licenziamento ingiustificato. In particolare, si è osservato che la libertà di recesso può prestarsi ad abusi, specie in contesti di forte asimmetria contrattuale⁴.

Tuttavia, va ricordato che la giurisprudenza ha progressivamente ristretto l’ambito di applicazione dell’art. 2096 c.c., valorizzando la finalità effettiva del patto di prova. In presenza di un recesso per ragioni discriminatorie, ritorsive o non correlate all’adempimento delle mansioni, la tutela del lavoratore resta comunque garantita. In tali ipotesi, trovano applicazione le regole generali sull’illegittimità del licenziamento e le relative conseguenze in termini di reintegrazione o risarcimento.

6. Considerazioni conclusive

L’ordinanza n. 9282/2025 conferma la natura peculiare del recesso in prova, quale fattispecie autonoma, sottratta alla disciplina ordinaria del licenziamento. Pur nella cornice di libertà riconosciuta alle parti, l’esercizio del recesso deve avvenire in buona fede e in coerenza con la funzione valutativa del periodo di prova.

La decisione rappresenta un punto fermo nella sistematica delle tutele lavoristiche, ma lascia spazio a riflessioni de iure condendo, specie in ordine alla previsione di forme minime di garanzia anche per questa particolare fase del rapporto. L’equilibrio tra flessibilità e tutela continua a rappresentare una sfida aperta del diritto del lavoro contemporaneo.


Note e riferimenti bibliografici
  1. Cfr. Cass. civ., Sez. lav., 3 febbraio 2020, n. 2465, in Giur. It., 2020, 6, p. 1124.

  2. Cfr. Cass. civ., Sez. lav., 7 luglio 2017, n. 16863, in Dir. lav. e prev. soc., 2017, p. 924.

  3. V. tra le altre Cass. civ., Sez. lav., 12 marzo 2018, n. 6019.

  4. Cfr. M. Magnani, Il recesso in prova tra autonomia contrattuale e tutele sostanziali, in RGL, 2022, p. 221 ss.