Pubbl. Ven, 8 Nov 2024
Riflessioni sul diritto comparato
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Giovanni Margherita
Il diritto comparato, come scienza autonoma, non nasce semplicemente dall’idea di alcuni giuristi di mettere insieme i tasselli dell’unico mosaico ordinamentale presente nel mondo, ma prende vita dalle viscere esperienziali di alcuni che, mossi da sentimenti di comprensione e aggregazione, vollero unificare sistemi così diversi e così omogenei da renderli accessibili al giurista d’oggi. Il percorso, tortuoso e a tratti rudimentale, ha permesso di acquisire metodo e fonti proprie, facendo della comparazione un unicum e divenendo così a tutti gli effetti una scienza autonoma capace di definirsi e definire il diritto.
Considerations on comparative law
Comparative law, as an autonomous science, was not found just on the idea of some legal experts to put together the pieces of the only existing mosaic of juridical system, but it was born from the experiential bowels of some men who, driven by feelings of comprehension and aggregation, wanted to unify systems that were so different and so similar, in order to make them accessible to the present jurist. The path, tortuous and sometimes rudimentary, was able to acquire its own method and sources, making comparative law unique and becoming for all intents and purposes an autonomous science, capable of defying itself and defying the law.Sommario: 1. Diritto comparato e la comparazione giuridica; 1.1. Excursus storico sulla comparazione giuridica; 1.1.1 La comparazione dall’antica Grecia fino al Medioevo; 1.1.2 L’età moderna e contemporanea; 1.2 Il metodo e lo scopo della comparazione; 1.2.1 Oggetto e fonti della comparazione; 1.2.2 Sistemi e famiglie giuridiche; 2. Diritti religiosi e diritti laici: vi è una possibile comparazione?; 2.1 Il fondamento del diritto religioso e la sua applicazione all’interno del diritto laico; 2.2 Il problema della comparazione tra ordinamento canonico e ordinamento civile; 3. Considerazioni conclusive.
1. Il Diritto Comparato e la comparazione giuridica
Il termine diritto comparato è usato dalle scienze classiche come un processo intellettuale che ha il diritto come oggetto[1] e la comparazione come strumento[2]. Il sostantivo diritto, nel suo significato di corpus normativo potrebbe sviare l’essenza stessa del diritto comparato in quanto non consiste nell’ordinare la società come funzione spettante a qualsivoglia diritto positivo. Il verbo comparare, dal latino cum e par, nel suo significato di «mettere a paragone, confrontare»[3], non è da solo sufficiente per spiegarne il contenuto. Se la comparazione avesse come oggetto i principi dello stesso ordinamento giuridico o un codice di diritto comparato non aggiungerebbe nulla alla normale attività giuridica.[4] Come è stato affermato:
È proprio il compito quotidiano di ciascun giurista nazionale quello di mettere le norme del proprio sistema giuridico vicendevolmente in contatto tra loro, di armonizzarle e così anche di compararle per fornire una base a decisioni concrete o a nozioni teoriche.[5]
È possibile definire il “concetto” di diritto comparato come l’attività di chi confronta due o più ordinamenti giuridici per scorgerne le differenze o le uguaglianze. A tal proposito è doveroso fare due osservazioni in merito: il diritto comparato non è un diritto positivo ma un metodo che mette a paragone le esperienze giuridiche o istituti giuridici di ciascuno Stato.[6] La seconda osservazione è che il diritto comparato come composizione sovranazionale non si identifica né con il diritto internazionale privato, proprio del diritto positivo nazionale, né con il diritto internazionale pubblico, che norma i rapporti fra Stati.[7] Le osservazioni, summenzionate, ci portano a riferirci al diritto comparato con il detto di comparazione giuridica[8] più idonea ad indicare il metodo scientifico attraverso il quale si sviluppa la conoscenza comparativa.[9]
La comparazione contiene in esso lo scopo di dimostrare le analogie e le differenze tra diversi fenomeni e verificare le teorie sulla loro relazione. Le conoscenze, seppur diverse tra gli elementi teorici verificati, possono integrarsi in un movimento circolatorio che vede, da una parte l’internazionalizzazione dei processi del diritto, e dall’altra parte un maggior vigore delle conoscenze cognitive dello studioso del diritto.[10]
Il diritto comparato come comparazione giuridica ha assunto nella dottrina rango di scienza, possedendo un proprio oggetto di studio capace di evidenziare i limiti e i possibili elementi di comparazione; un proprio obiettivo di conoscenza attraverso la ricerca di leggi generali con il quale partecipa alla formazione stessa del diritto; delle proprie peculiarità e finalità capace di denominarla, di fatto, come scienza autonoma; una propria metodologia di indagine applicata alla scienza giuridica.
1.1 Excursus storico sulla comparazione giuridica
Come la maggior parte delle scienze autonome, anche il diritto comparato ha una sua data di nascita: il 1900, quando si svolse a Parigi il 1° Congresso Internazionale di Diritto Comparato ad opera di due giuristi francesi Lambert e Saleilles. L’idea di questi illustri giuristi era quella di un diritto comune all’umanità che tenesse insieme i vari ordinamenti giuridici, fondendoli nelle loro similitudini, dividendoli nelle loro disuguaglianze. Tale pensiero nasceva dallo studio dei diversi impianti ordinamentali nati nelle varie epoche storiche, trovandosi così diversi diritti e diverse concezioni giuridiche.
L’impostazione e l’interesse nato per il diritto comparato, come scienza autonoma, è nato con la formazione degli Stati moderni e fino ad allora, soprattutto nel Medioevo, era del tutto assente o quasi. Si proverà, in questo contesto, a delineare brevi accenni storici per ricostruire le tappe decisive dell’evoluzione degli studi comparativi.[11]
1.1.1 La comparazione dall’antica Grecia fino al Medioevo
Nel passato alcune ricerche comparative furono condotte già nell’antica Grecia. Si possono rintracciare all’interno del Trattato sulla Politica di Aristotele e nelle Nomoi di Platone delle comparazioni tra le normative delle diverse città-stato greche che avevano come punto focale lo Stato ideale. Fin qui, però, si parla di una riflessione piuttosto filosofica trattata comparativamente. Aspetto interessante, soprattutto per la vicinanza di pensiero del concetto di comparazione, si rinviene in un frammento di Teofrasto; in questo testo, l’autore cerca di comparare alcuni principi giuridici dei sistemi della Grecia sottolineando le divergenze rispetto lo schema comune.[12]
Riguardo il diritto romano, i giuristi dell’epoca non usavano la comparazione in quanto il loro apparato normativo, secondo il loro pensiero, era superiore rispetto a qualsiasi altro ordinamento presente nell’Impero. Ma la storia romana offre alcune testimonianze contrarie al loro “modesto” pensiero. Una ricca testimonianza viene offerta da un autore anonimo con la sua Collatio legum Mosaicarum et Romanorum del III e IV secolo. L’anonimo mette a confronto il diritto romano con l’antico diritto mosaico, mettendo in evidenza che da quest’ultimo diritto sarebbe nato successivamente il diritto romano, scardinando in questo modo la superiorità tanto cara al popolo romano.[13] Altro fenomeno nella quale la comparazione diede man forte all’intero impianto romanistico fu quello del diritto straniero. Con l’espansione dell’Impero romano e con la nascita della figura del praetor peregrinus per gli affari esteri, si rese necessaria la mescolanza del diritto straniero in quello che era lo ius gentium ponendo così, anche qui, un principio di comparazione affievolendo la rigidità del ius civile.
Dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C. e la venuta delle popolazioni barbariche, il diritto, in base al principio della personalità della legge, divenne un contenitore di normative differenti, diritto romano e consuetudini germaniche. Nei primi secoli dell’età medievale, accanto al diritto romano, con l’Editto di Teodorico, la Lex Romana Visigotorum e Burgundiorum[14], furono redatte dai nuovi popoli leges o edicta con contenuto per lo più germanico; ciò non impedì ai principi di stampo romanistico di compenetrare all’interno di esse grazie anche all’influenza della Chiesa.
Dopo l’anno Mille si insistette, soprattutto, sullo studio esclusivo dello ius commune formato dal diritto romano e dal diritto canonico. Nelle grandi università, il diritto consuetudinario nato all’interno di realtà autonome veniva trascurato per il loro carattere barbaro. Come spesso accade, non vi fu l’universalità di tale pensiero; nonostante l’appartatezza del sistema longobardo, nella pratica forense nacquero alcuni testi comparativi che presero in esame i princìpi del diritto romano e quelli del diritto longobardo. Tra queste è possibile ricordare il De differentiis inter ius Longobardorum et ius Romanorum[15] di Biagio da Morcone nella quali il diritto longobardo era messo a confronto con i principi del diritto romano e canonico.
Alla fine del Medioevo è possibile rinvenire un accenno di comparazione tra il diritto inglese e il diritto francese nell’opera De Laudibus Legum Angliae[16] di Sir John Fortescue, nell’opera, con un’analisi obiettiva, si voleva dimostrare la superiorità del diritto inglese.
1.1.2 L’età moderna e contemporanea
La comparazione giuridica iniziò ad avere lustro dalla formazione degli Stati moderni, il quale erano basati su una propria autorità sovrana e da un assetto unificato della giustizia.
Gli studi comparativi sono articolati in tre periodi: il primo periodo, tra il XVI e il XIX secolo, racchiude l’attività incentrata sulla ricerca di concordanze tra sistemi giuridici statali; il secondo periodo, dalla seconda metà del XIX secolo, rappresenta una fase intermedia del diritto comparato che arriverà a maturazione all’inizio del secolo successivo; il terzo ed ultimo periodo, nel XX secolo, rappresenta il consolidamento della comparazione come scienza autonoma e specialistica dei sistemi giuridici.[17]
Il periodo che va dal XVI al XIX secolo viene considerato dagli studiosi come «uno dei più importanti e fruttuosi in tutta la storia del diritto comparato»[18]. In questo periodo storico nasceva la cosiddetta ricerca delle concordanze, cioè quando un caso concreto non poteva essere deciso per dubbio o per lacuna legis, gli avvocati ricorrevano alla communis opinio, un approccio comparativo in cerca di concordanze. Questa modalità di ricorrere alla communis opinio divenne prassi nei tribunali che introducevano all’interno del proprio ordinamento norme legislative, consuetudini o precedenti giudiziali di altri ordinamenti creando uniformità tra le diverse normative statali.
Questo metodo consisteva, precisamente, nel far uso della comparazione al fine, prima di tutto, di trovare la communis (o magis communis) opinio o praxis in punto, per poi scendere ad esaminare la conformità ad essa delle norme legislative, consuetudinarie, o delle regole giudiziali, se esistenti in punto, localmente applicabili: altrimenti, quando cioè le auctoritates interne mancassero o fossero dubbie, ricorrendosi a tale communis opinio o alla lex alius loci.[19]
Tale ricerca di normativa all’interno di altri ordinamenti statali non veniva assoldata soltanto riguardo i casi dubbi ma anche per rafforzare o confermare il valore della propria norma rispetto al caso. La conseguenza era un’applicabilità dell’interpretazione delle norme in maniera estensiva, quando i casi ricalcavano perfettamente le norme ultra statali, in maniera restrittiva quando i casi si fermavano all’interno del proprio ordinamento.
L’apparato giurisprudenziale in questo primo periodo si presentava come un sistema di fonti aperto al diritto altrui e la comparazione diveniva per il giurista[20] lo strumento migliore per rappresentare una giustizia non più sconfinata all’interno di norme soltanto statali ma aperta alla novità e alla luce di ordinamenti stranieri fino ad allora sconosciuti.
Il secondo periodo fu meno produttivo dal punto di vista comparativistico in quanto si intravedeva un modo di concepire il diritto come un monopolio privatistico dello Stato. Questo avvenne con l’avvento dell’Illuminismo il cui esponente principale fu Montesquieu. Nelle prime codificazioni ottocentesche la legge era diventata patrimonio personale dello Stato provocando così la chiusura degli ordinamenti nazionali al diritto straniero. Conseguenza di ciò fu la nascita della Scuola dell’esegesi, nata in Francia, che rifiutava tutto ciò che era estraneo al Codice Civile. Savigny, fondatore della scuola dell’esegesi in Germania, rigettò lo studio di qualsiasi altro diritto se non quello romano e germanico.
Se il XVII secolo consolidò lo studio della comparazione, nel XIX secolo si pose il problema della sua formalizzazione, cioè nella necessità di trovare una giustificazione e una collocazione all’interno della scienza giuridica e la necessità di avere specialisti nell’ambito del diritto comparato.
Nonostante il divieto imposto dalla Scuola dell’esegesi di interrompere le relazioni ordinamentali con altri diritti stranieri, a livello dottrinale non si verificò tale distacco. Testimonianza di ciò è offerta da Emerico Amari con la sua “Critica di una scienza delle legislazioni comparate”[21] nella quale definisce la comparazione e la necessità di ricercare un rapporto sempre più vivo tra i diversi ordinamenti nazionali.
L’ultima fase del periodo di sviluppo della comparazione giuridica corrisponde al 1° Congresso Internazionale di Diritto Comparato organizzato a Parigi nel 1900 grazie al contributo di due giuristi, Edouard Lambert e Raymond Saleilles. I lavori congressuali portarono notevoli discussioni circa la definizione dell’oggetto, della natura, dei motivi del diritto comparato. Ci si chiedeva se il diritto comparato potesse essere considerato come una branca autonoma della scienza giuridica o come un metodo applicato della scienza stessa.
La cosa più importante, oggi, consiste nell’assolvere un duplice compito: da un lato mettere in luce, per convincere gli scettici, i diversi motivi di interesse che il diritto comparato presenta per i giuristi; dall’altro lato, mettere i già convinti in grado di utilizzare per i loro specifici fini il diritto comparato.[22]
Primo interesse per lo studio comparato si ebbe con la codificazione tedesca del Bürgerliches Gesetzbuch del 1900 che, avendo molte disuguaglianze rispetto al Code Napoleon, sollecitò un confronto tra le due codificazioni.[23]
Gli sviluppi contemporanei degli studi sulla comparazione mostrano molteplici interessi anche per quei paesi non inclusi nella tradizionale area di ricerca. Restano al di fuori della ricerca comparatistica i diritti religiosi che, per communis opinio, non sarebbero inclini ad un rapporto/confronto con i diritti laici.
1.2 Il metodo e lo scopo della comparazione
Il 1° Congresso Internazionale di Diritto Comparato di Parigi del 1900 ha determinato soltanto una novità rispetto al passato, cioè la possibilità di poter guardare da un’altra prospettiva i diversi ordinamenti nazionali che costellano l’intero universo del diritto. Questa novità si è scontrata presto con le diverse modalità di gestione del proprio ordinamento e delle proprie norme nazionali, ciò ha fatto sì che si cercasse un metodo comparativo unico rispetto alle differenze che circolavano tra i diritti.
Questa esigenza di unicità ha portato numerosi studiosi del diritto a proporre partizioni e forme diverse di comparazione, differenze in base allo scopo perseguito oppure usando metodi differenti sui vari livelli di comparazione. Alcuni distinguevano la storia comparata, che ha il fine di rivelare l’evoluzione della società, con la legislazione comparata, disciplina finalizzata ad elaborare il diritto legislativo comune; altri tripartivano il diritto comparato in formale che mette a paragone le fonti del diritto, sistematica che analizza le differenze tra i diversi sistemi e storica che studia i diversi ordinamenti antichi.
Le diverse modalità, seppur congeniali riguardo la novità portata dalla materia in oggetto, devono lasciar fiorire la sostanziale unicità del metodo il cui procedimento non varia né rispetto agli scopi riportati né rispetto alle diverse discipline giuridiche cui è applicato.
1.2.1 Oggetto e fonti della comparazione
Dovendo analizzare l’oggetto e le fonti della comparazione, è bene ribadire nuovamente il “concetto” di diritto comparato, cioè l’attività di chi confronta due o più ordinamenti giuridici per scorgerne le differenze o le uguaglianze.
Oggetto precipuo della comparazione sono gli ordinamenti statali nei quali vengono posti in risalto le similitudini e le disuguaglianze. Per far ciò, lo studioso esaminerà due o più ordinamenti prendendo successivamente in considerazione alcuni passaggi per addivenire ad una più fruttuosa comparazione.
Due regole fondamentali scandiscono l’intero iter procedimentale: bisognerà accertarsi che vi sia omogeneità tra istituti e ordinamenti presi a confronto, tale condizione essenziale potrà riguardare anche la comparazione con ordinamenti internazionali o ancor di più ordinamenti che risentono dell’influenza religiosa. In questo ultimo caso sarà necessaria un’attenta analisi della disciplina giuridica e di quella di derivazione religiosa.[24]
Altro requisito fondamentale sarà quello di andare ad analizzare ciò che è parte integrante del diritto positivo, cioè del diritto vigente nel sistema ordinamentale. L’insieme della normativa non più presente all’interno dell’ordinamento, e quindi non più operante, comporterà una comparazione storica. Tale analisi è detta sincronica, cioè riguardante la vigenza degli ordinamenti presi in considerazione; l’ordinamento di riferimento in relazione a quello estero.
Oltre all’oggetto, la comparazione dovrà riferirsi alle diverse fonti del diritto, proprie di ogni ordinamento giuridico. Per fonte del diritto si intende quell’insieme di luoghi privilegiati cui l’interprete del diritto ha il dovere, nella sua attività ermeneutica, di rivolgersi. […] il diritto regola la sua stessa creazione e applicazione con una serie di norme che a sua volta lo costituiscono e incessantemente lo ristrutturano. In ogni sistema giuridico esistono regole sulla normazione che contemplano e disciplinano i modi con cui produrre le regole appartenenti a quello specifico sistema.[25]
Le fonti del diritto con cui bisogna confrontarsi in materia comparatistica riguardano il diritto positivo, cioè quelle norme scritte e codificate all’interno di un ordinamento. Questo studio però non prescinderà da quelle fonti non scritte, cosiddette secondarie, quali la prassi, la giurisprudenza, le consuetudini soprattutto nei paesi anglosassoni.[26] Lo studioso della comparazione non potrà soffermarsi soltanto su tutto ciò che è scritto in un ordinamento ma dovrà focalizzare la sua attenzione, principalmente e peculiarmente, sull’operatività delle norme e su quegli strumenti che andranno ad applicare le stesse all’interno del sistema a cui fa riferimento.
1.2.2 Sistemi e famiglie giuridiche
Il metodo comparativo individua due distinti livelli di comparazione: la macrocomparazione e la microcomparazione.
Con la macrocomparazione si pone in esame il confronto tra gli ordinamenti considerati nella loro totalità e in riferimento alle strutture istituzionali fondamentali. Esempio di ciò è la comparazione di tutti gli Stati appartenenti alla medesima famiglia giuridica. Essendo la macrocomparazione un ambito di indagine ampio, il più delle volte si cerca di raggruppare i sistemi in famiglie omogenee per evitare di sconfinare in caratteristiche che poco si prestano alla similitudine. Lo studio proprio della macrocomparazione riguarderà elementi che appartengono al paragiuridico perché ruotano attorno al sistema giuridico inteso come la totalità di norme.
Con il termine microcomparazione si intende porre in esame un singolo istituto giuridico o una singola norma dei diversi ordinamenti come, ad esempio, ordinamenti di natura religiosa e ordinamenti statali.
Nel corso dei decenni si è resa necessaria, vista la mole di studio e di istituti giuridici che ruotavano intorno ad ogni singolo ordinamento, una maggior classificazione di singole esperienze giuridiche aggregandole in famiglie. Tali aggregazioni hanno portato a delle classificazioni che fino ad oggi hanno suddiviso l’intera materia comparatistica e «appare adeguata per esprimere in modo alquanto equilibrato una distinzione pur sempre necessaria»[27].
I maggiori fautori di classificazione in famiglie furono David[28] di matrice francese, Zweigert e Kötz comparatisti tedeschi; i loro manuali rappresentarono e rappresentano tutt’oggi un punto di riferimento per lo studioso del diritto comparato.
Nel manuale Les grands systèmes de droit contemporains[29] del 1974, David aggrega l’intero sistema giuridico mondiale in quattro famiglie: famiglia romano-germanica; common law; diritti socialisti; altre concezioni del diritto comprendenti il diritto islamico, dell’India, Cina, Giappone, Africa e Madagascar.
La prima aggregazione, romano-germanica, riguarda tutti i diritti europei continentali, quali l’Italia, Francia, Portogallo, Belgio, Olanda, etc. Tale classificazione è sorta guardando la loro radice comune che è costituita dallo studio e dall’insegnamento del diritto giustinianeo come pervenutoci all’interno della Compilazione. Nelle università dei paesi latini e germanici, i giuristi ricevettero tale insegnamento producendo successivamente i vari diritti territoriali portando al loro interno i caratteri distintivi del diritto giustinianeo.
La seconda famiglia è costituita dal common law, diritto comune a tutto il regno, che riunisce il sistema inglese e successivamente quello americano con un bagaglio giuridico completamente differente rispetto alla precedente classificazione. Il common law non nacque all’interno delle Università ma dall’attività giurisprudenziale a partire dalla conquista dell’Inghilterra del 1066 nella battaglia di Hastings da parte del duca Guglielmo I, detto il Conquistatore.
Altra classificazione di David fu quella della famiglia socialista, staccatasi dalla famiglia romano-germanica dopo la Rivoluzione russa del 1917 formando la sua autonomia. Questa famiglia comprendeva i paesi dell’Unione Sovietica assieme ai paesi satelliti dell’Europa centro orientale.
L’ultima famiglia è composta da tutti gli altri sistemi giuridici che hanno diverse concezioni di ordine sociale e che non sono quindi raggruppabili all’interno delle famiglie anzidette.
Nel celeberrimo Einführung in die Rechtsvergleichung auf dem Gebiete des Privatrechts Band I: Grundlagen[30] del 1984, Zweigert e Kötz individuarono, come unico criterio aggregante, lo stile giuridico, dividendolo in cinque sotto indicazioni: sviluppo storico di ciascun ordinamento; sviluppo del pensiero giuridico nel modo di pensare dei giuristi; gli istituti pubblici e privatistici caratteristici di ciascun ordinamento; le fonti del diritto e la loro interpretazione; l’ideologia dominante. In base a questi fattori, i giuristi tedeschi divisero le diverse famiglie in: sistema romanistico; sistema germanico; sistema anglo-americano; sistema scandinavo; sistema dei paesi socialisti; ulteriori sistemi di diritto.
Come nella precedente classificazione di David, anche qui nell’ultima famiglia sono posti alcuni sistemi diversi dai precedenti che accorpano i diritti laici con i diritti religiosi senza una chiara criteriologia dei fattori aggreganti di ciascun sistema ordinamentale.
Nonostante le chiare distinzioni in famiglie dei giuristi sopra menzionati, i sistemi mondiali risentirono l’influenza di due chiare esperienze giuridiche: quella dell’Europa occidentale, di area romanistica e quella dell’Inghilterra con il common law. Tali influenze suscitarono il successivo periodo di sviluppo del diritto comparato, specie all’interno delle aule accademiche dove i manuali dividevano l’intera costellazione ordinamentale nei due grandi sistemi di ricerca scientifica.
2. Diritti religiosi e diritti laici: vi è una possibile comparazione?
Dovendo rispondere a tale interrogativo è bene sottolineare anzitempo il significato stesso del termine “diritto religioso” o come spesso la dottrina intende riferirsi «di derivazione religiosa»[31]. Il diritto, quale sistema di norme che regola l’intera comunità di persone, può tradursi in un insieme di regole etiche e morali, che trovano spazio e forza normativa da fonti per così dire umane o da fonti di derivazione divina. Quest’ultima fonte rappresenta l’unicum attorno il quale ruota l’intera formazione del diritto religioso e così anche la differenza che ne deriva rispetto alle esperienze laiche. Questa stessa differenza, in alcuni precisi ambiti di lavoro, trova punti d’incontro con il diritto laico e garantisce la piena collaborazione e comparazione tra diritti di diversa derivazione.
Il ruolo del comparatista, che mette in relazione quel diritto prodotto dalle religioni, risiede precisamente nello studio di tutte quelle regole che vanno a disciplinare lo stesso istituto su diversi ordinamenti giuridici, siano essi religiosi o laici. Il metodo usato dallo studioso sarà quello di porre in rilievo quello stesso istituto, confrontandolo e comparandolo, giungendo così alla conclusione se, entrambi i diritti comparati, abbiano in seno le stesse funzioni o che siano ispirati dagli stessi princìpi.
Il comparatista porrà su di sé gli occhi e le mani di un certosino, avendo cura di procedere su terreni fertili, sapendo di incamminarsi su metodi molto spesso fragili e sapendo di muoversi su vie inesplorate.[32] Questo sostanzialmente per due ragioni. La prima necessaria ragione risiede nel fondamento sovraordinato della norma religiosa: il diritto di derivazione religiosa è necessariamente in rapporto con un’autorità superiore all’uomo e non potrà subire gli stessi sviluppi di una norma per così dire “laica” tramite gli strumenti della razionalità. La seconda ragione è da ricondursi al fatto che lo studioso del diritto religioso deve necessariamente fare i conti con un linguaggio ed una interpretazione tutta propria: si pensi ai testi sacri così come alle credenze che circolano intorno ad esso ed ai precetti irrinunciabili di ogni religione.
Ponendo l’attenzione sulle ragioni anzidette ci si porrà il quesito se oggetto della comparazione sarà il diritto vigente o positivo, frutto dell’attività legislativa, o il diritto vivente.[33] In questo caso il comparatista non potrà soffermarsi sull’interpretazione o sulla sola conoscenza dei testi sacri in quanto essi non costituiscono una norma ma costituiranno il punto di partenza per la conoscenza del diritto religioso che diventerà prassi nell’esperienza del singolo e della comunità; proprio da ciò discende l’assunto per cui il diritto religioso «risulta adattabile alle mutate circostanze, variabile, nel tempo influenzabile da una molteplicità di fattori»[34].
Comparazione possibile? A tale domanda nasce e si intensifica l’interesse dello studioso del diritto comparato che riscopre orti dischiusi e luoghi comuni su cui confrontare i diritti religiosi con i diritti laici. L’abilità dei diritti religiosi sarà quella di «offrire inputs significativi per riformulare il modello di gestione della diversità culturale e religiosa [...]»[35].
2.1 Il fondamento del diritto religioso e la sua applicazione all’interno del diritto laico
Come si è accennato poc’anzi in riferimento alla superiorità della norma religiosa, la caratteristica primaria del diritto divino è rappresentato dalla sua sovraordinazione rispetto al diritto umano. Su di una gerarchia di fonti, il diritto divino si pone al di sopra di qualsivoglia fonte di natura umana e per questo particolare motivo non sarà possibile derogare, né contrastare con esso.[36]
Secondo il manuale di Montan, il diritto divino è l’insieme dei fattori giuridici che hanno Dio come autore, attorno ai quali deve svilupparsi l’organizzazione ecclesiale. Comprende:
- il Diritto divino naturale: si richiama alla concezione della persona, alla sua dignità che richiede diritti e doveri vincolanti;
- il Diritto divino positivo: insieme di fattori giuridici che riguardano l’elevazione dell’uomo all’ordine soprannaturale.[37]
Sostenere che il diritto divino sia la base dell’ordinamento canonico (così come di ogni ordinamento confessionale) solo perché viene posto al vertice della gerarchia sulle fonti, non corrisponde necessariamente che il precetto religioso abbia effettività giuridica; per far ciò il diritto canonico abbisogna della mediazione del Legislatore affinché abbia attuazione nella storia dell’uomo. In questo modo dottrina autorevole afferma che normalmente s’intendono come di diritto divino gli aspetti voluti da Dio per la Chiesa, che hanno conseguenze giuridiche. Una specie di ordinamento che, in quanto voluto da Dio, si sottrae alla discrezionalità della Chiesa che può cambiarlo. Bisogna però differenziare la volontà divina e la presa di coscienza ecclesiale circa il suo contenuto. La capacità ecclesiale di intendere il volere divino e di esprimerlo in norme giuridiche e positive è una capacità sottoposta all’evoluzione storica. [...] Non si può dire che il diritto canonico sia manifestazione della volontà divina, ma uno strumento creato dalla Chiesa per essere fedele a tale volontà nel divenire storico, e nelle situazioni personali.[38]
Stando a quanto detto, le fonti divine determineranno lo scopo di ciascun ordinamento religioso. Lo scopo immediato rimarrà comunque invariato, sia che si tratti di ordinamenti di derivazione laica che religiosa, cioè quello di ordinare una comunità attraverso norme. Ciò che diversificherà ogni ordinamento sarà la finalità ultima: il diritto religioso tenderà a realizzare il progetto che Dio ha per ciascun essere umano, mentre per il diritto laico coinciderà con il benessere della società.
La Chiesa, edificando il diritto canonico, non lo considera il fine della comunità sacra, alla stessa stregua dello Stato che può annoverare tranquillamente fra i suoi fini il mantenimento della civile convivenza per il tramite del diritto. Il fine dell’ordinamento Chiesa è al di là della storia, è consegnato nelle altitudini metafisiche, è nell’eternità, è e resta indefettibilmente la salvezza dell’homo viator, del peccatore che, all’èsito della sua vicenda terrena, si appresta a incontrare il Giudice supremo. La Chiesa è una ben strana società. Che ha per suo confine il cielo. È per la conquista di questo cielo che il diritto, se vuole dimostrarsi efficace, deve essere fino in fondo strumento e mai assurgere al rango di fine.[39]
2.2 Il problema della comparazione tra ordinamento canonico e ordinamento civile
Spostando la lente d’ingrandimento sulle problematiche connesse alla comparazione tra ordinamento canonico e ordinamento civile si avverte una sorta di sfiducia in quanto, come spesso accennato, il diritto canonico viaggia su dimensioni trascendenti (fine del diritto canonico è appunto la salus animarum)[40] che esulano dalla conoscenza del tutto umana e ciò pone lo stesso diritto su un piano sovra elevato.
Questo concetto lo si può rinvenire in due aspetti principali se non peculiari del diritto canonico. Un primo aspetto che riguarda più da vicino l’analisi del comparatista è stato appunto quello della sua ordinazione sovranazionale ed universale, che riguarda ogni singolo membro della comunità di fede e che esula dai confini territoriali di uno Stato. Se questo aspetto per lo studioso di comparazione è stato particolarmente interessante, c’è da sottolineare anche lo sconforto causato proprio dall’impossibilità, soffermandosi soltanto su di un punto di vista generale, «dell’utilizzazione del metodo comparativo»[41].
Un secondo aspetto è rinvenibile partendo da un dato storico; gli studi di diritto ecclesiastico hanno da sempre assorbito la comparazione soprattutto nel regolamentare i rapporti tra Stato e confessione religiosa. Da questo ne discende che il diritto canonico si è sempre misurato con i diversi ordinamenti statali.
In questo contesto, la comparazione è stata considerata indispensabile per l’ecclesiasticista, il quale deve essere messo in grado di comprendere concretamente la regolamentazione dei rapporti [tra Stato e Chiesa], anche in vista di un prevalente orientamento pratico.[42]
A mo’ di chiosa, se ci si dovesse mettere da un punto di osservazione esterno, senza andare a specificare le questioni fondamentali del diritto, appare evidente che lo studio e l’evoluzione storica del diritto canonico, lo hanno posto su di una posizione particolare rispetto agli ordinamenti giuridici in generale; un esempio concreto di ciò ci viene dato da Santi Romano con la sua teoria istituzionalistica che, oltre a riconoscere al diritto canonico la sua peculiare originalità, lo pone in confronto con altri ordinamenti statali.[43].
3. Considerazioni conclusive
Dovendo tirare le somme della discussione compiuta in merito alla possibilità di comparare due ordinamenti come quello canonico e statale si evince che, nonostante le peculiarità di ciascuno, si debba iniziare il percorso comparatista da un punto di vista esterno, scevro da condizionamenti o conoscenze del “proprio” diritto rispetto ad un diritto per così dire “straniero”. Il comparatista sa che il diritto canonico può offrire al vasto campo giuridico una interessante preparazione, specie per la cultura del giurista, perché rappresenta la complessità e i diversi volti del diritto, la pluralità delle esperienze giuridiche e con ciò permette di conoscere e comprendere le condotte delle persone e quindi gli schemi di rappresentazione che guidano il loro agire [...]; un modo di fare diritto che dovrebbe divenire proprio del comparatista delle norme religiose in quanto rappresenta un passaggio obbligato nella comprensione delle conseguenze di quel che si fa come individui qui e adesso.[44].
Considerare in questo senso lo studio dei diritti, guardarli nel loro insieme sollecitando il senso critico dello studioso, cercando connessioni, mettendo in risalto le relazioni, rappresenterà il dovere di ogni approccio scientifico e culturale.
La cultura tutta, e in questo contesto si tratta di cultura giuridica, non può che auspicarsi la buona riuscita di questa funzione educativa; la cultura rappresenterà allora non la verità intera ma terreno fertile intorno alle diverse verità considerate.[45] «Il comparatista è prima di tutto un uomo “curioso” umanamente e scientificamente. E questa curiosità è naturalmente maggiore quanto più diversi dal nostro – per impostazione giuridica o per realtà sociale – sono gli ordinamenti stranieri considerati»[46].
[1] Cfr. A. GAMBARO, R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, UTET, Milano 2008, 1.
[2] Cfr. K. ZWEIGERT, H. KÖTZ, Introduzione al Diritto Comparato, I, I principi fondamentali, Giuffrè, Milano 1998, 2.
[3] F. CAPONNETTO, Metodo comparativo e diritti religiosi, in Apollinaris, LXXXIX (2016), 455; cfr. N. ZINGARELLI, Comparare, in Lo Zingarelli, Zanichelli, Roma 2017, 497.
[4] Cfr. F. CAPONNETTO, Metodo comparativo e diritti religiosi, in Apollinaris, LXXXIX (2016), 455.
[5] K. ZWEIGERT, H. KÖTZ, Introduzione al Diritto Comparato, I, I principi fondamentali, Giuffrè, Milano 1998, 2.
[6] Cfr. L. MOCCIA, Comparazione giuridica e Diritto europeo, Giuffrè, Milano 2005, 61.
[7] Cfr. F. CAPONNETTO, Metodo comparativo e diritti religiosi, in Apollinaris, LXXXIX (2016), 456.
[8] Cfr. R. SACCO, A. GAMBARO, P. G. MONATERI, Comparazione giuridica, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, III, 48-58.
[9] Cfr. V. VARANO, V. BARSOTTI, La tradizione giuridica occidentale. Testo e materiali per un confronto civil law common law, Coll. Strumenti di diritto comparato, n. 1, Giappichelli, Torino 2010, 7.
[10] G. MARGHERITA, Il processo telematico nell’ordinamento canonico. Prospettive comparatistiche degli atti introduttivi con il processo civile telematico e i possibili riscontri nello ius canonicum, Marcianum Press, Venezia 2024, 27.
[11] Cfr. G. GORLA, L. MOCCIA, Profili di una storia del diritto comparato in Italia e nel mondo comunicante, in Rivista di diritto civile, III (1987), 1, 237-262.
[12] Cfr. K. ZWEIGERT, H. KÖTZ, Introduzione al Diritto Comparato, I, I principi fondamentali, Giuffrè, Milano 1998, 57.
[13] Cfr. G. CERVENCA, Il dominato, in Lineamenti di storia del diritto romano, Giuffrè, Milano 1981, 706.
[14] Cfr. F. CALASSO, Medio Evo nel diritto, I, Le fonti, Giuffrè, Milano 1956, 72-73.
[15] Per la consultazione si veda B. DA MORCONE, De differentiis inter ius longobardorum et ius romanorum tractatus, Società Storia Patria Napoli, 1912.
[16] Per la consultazione si veda J. FORTESCUE, F. GREOR, A. AMOS, T. FORTESCUE CLERMONT, De Laudibus Legum Angliae: A Treatise in Commendation of the Laws of England, BiblioLife, 2009.
[17] L’intera periodizzazione è presentata da G. GORLA, L. MOCCIA, Profili di una storia del diritto comparato in Italia e nel mondo comunicante, in Rivista di diritto civile, XXXII (1987), 245-246.
[18] Ivi, 247.
[19] Ibidem.
[20] Cfr. A. GAMBARO, R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, UTET, Milano 2008, 2.
[21] Per la consultazione si veda E. AMARI, Critica di una scienza delle legislazioni comparate, Gale, Making of Modern Law 2013.
[22] R. DAVID, C. JAUFFRET SPINOSI, I grandi sistemi giuridici contemporanei, CEDAM, Padova 2004, 3.
[23] Cfr. V. VARANO, V. BARSOTTI, La tradizione giuridica occidentale. Testo e materiali per un confronto civil law common law, Coll. Strumenti di diritto comparato, n. 1, Giappichelli, Torino 2010, 3-4.
[24] Cfr. AA. VV., Diritto privato comparato, Coll. Timone, 221/1, Simone, Napoli 2008, 8-9.
[25] B. PASTORE, F. VIOLA, G. ZACCARIA, Le ragioni del diritto, il Mulino, Bologna 2017, 175.
[26] Cfr. M. TARUFFO, Diritto processuale civile nei paesi anglosassoni, VI, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione civile, XV, 324-410.
[27] E. DI BERNARDO, Modelli processuali e diritto probatorio civile. Elementi di common law, civil law e di diritto canonico, Lateran University Press, Città del Vaticano 2016, 21.
[28] Cfr. A. GAMBARO, R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, UTET, Milano 2008, 12-15; cfr. E. DI BERNARDO, Modelli processuali e diritto probatorio civile. Elementi di common law, civil law e di diritto canonico, Lateran University Press, Città del Vaticano 2016, 20.
[29] Per la consultazione si veda R. DAVID, C. JAUFFRET SPINOSI, M. GORE, Les grands systèmes de droit contemporains, ed. 12, Dalloz, France 2016.
[30] Per la consultazione si veda K. ZWEIGERT, H. KÖTZ, Einführung in die Rechtsvergleichung auf dem Gebiete des Privatrechts Band I: Grundlagen, Tübingen: JCB Mohr, 1984.
[31] F. CAPONNETTO, Metodo comparativo e diritti religiosi, in Apollinaris, LXXXIX (2016), 487.
[32] Cfr. E. MARTINELLI, Per una lettura epistemologica del diritto comparato delle religioni, in A. SOMMA, V. ZENO-ZENCOVICH (curr.), Comparazione e diritto positivo. Un dialogo tra saperi giuridici, Roma TrePress, Roma 2021, 221.
[33] «Per diritto vivente si intende quell’opinione maturata dalla giurisprudenza e dalla dottrina in ordine al significato giuridico da attribuire ad una determinata disposizione normativa» A. ONORE, La giurisprudenza penale: diritto vivente o fonte giuridica?, in Giurisprudenza penale web, II (2021), 10; «Il diritto vivente è, quindi, il diritto attuale ed effettivo che governa l’intera nostra vita pratica» E. RESTA, Diritto vivente, Laterza, Bari-Roma 2008, 32.
[34] E. MARTINELLI, Per una lettura epistemologica del diritto comparato delle religioni, in A. SOMMA, V. ZENO-ZENCOVICH (curr.), Comparazione e diritto positivo. Un dialogo tra saperi giuridici, Roma TrePress, Roma 2021, 222.
[35] Ivi, 224.
[36] Cfr. G. FELICIANI, Le basi del diritto canonico, Il Mulino, Bologna 1984, 66.
[37] A. MONTAN, Il diritto nella vita e missione della Chiesa. Introduzione, Norme generali, Il popolo di Dio, Libri I e II del Codice, EDB, Bologna 2001, 22; cfr. P. Gherri, Lezioni di Teologia del Diritto, Lateran University Press, Città del Vaticano 2018, 200.
[38] M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Ediurcla, Roma 2020, 30-31.
[39] P. GROSSI, Diritto canonico e cultura giuridica, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XXXII (2003), 379.
[40] «La salus animarum è un fine metagiuridico e trascendente del quale anche l’impostazione normativa del processo appare permeata, imponendo che la ricerca dell’aderenza dei provvedimenti (giustizia formale) alla giustizia sostanziale (verità tout court) diventi obiettivo da raggiungere mediante gli istituti processuali» E. DI BERNARDO, Modelli processuali e diritto probatorio civile. Elementi di common law, civil law e di diritto canonico, Lateran University Press, Città del Vaticano 2016, 52.
[41] F. ONIDA, L’interesse della comparazione negli studi di diritto ecclesiastico, in P.A. D’AVACK (cur.), La legislazione ecclesiastica, Neri Pozza, Milano 1967, 603-604.
[42] M. DE BENEDETTO, La comparazione nel diritto amministrativo, tra ordinamenti civili e ordinamento canonico, in M. DE BENEDETTO, Il diritto amministrativo tra ordinamenti civili e ordinamento canonico. prospettive e limiti della comparazione, Giappichelli, Torino 2016, 2-3; cfr. F. ONIDA, L’interesse della comparazione negli studi di diritto ecclesiastico, in P.A. D’AVACK (cur.), La legislazione ecclesiastica, Neri Pozza, Milano 1967, 609.
[43] Per uno studio più approfondito sul tema si veda S. ROMANO, L’ordinamento giuridico. Studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, Mariotti, Pisa, 1918.
[44] E. MARTINELLI, Per una lettura epistemologica del diritto comparato delle religioni, in A. SOMMA, V. ZENO-ZENCOVICH (curr.), Comparazione e diritto positivo. Un dialogo tra saperi giuridici, Roma TrePress, Roma 2021, 225-226.
[45] Cfr. L. ZANOTTI, Il diritto canonico nel tempo presente, in Rivista telematica www.statoechiese.it, XXXVI (2013), 6.
[46] F. ONIDA, Diritto ecclesiastico e comparazione giuridica, in Rivista telematica www.statoechiese.it, (2007), 5.
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