Pubbl. Ven, 27 Set 2024
Il Tribunale di Firenze solleva questione di legittimità costituzionale sull´abrogazione dell´abuso di ufficio
Modifica paginaEditoriale a cura di Ilaria Taccola
Il Tribunale di Firenze, Sez. III, con ordinanza del 24 settembre 2024 ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 1, comma 1, lett. b) della Legge 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 10 agosto 2024 ed entrata in vigore il 25 agosto 2024) nella parte in cui abroga l’art. 323 c.p., per violazione degli articoli 97, 11 e 117, comma 1, Cost. (in relazione agli obblighi discendenti dagli artt. 7, comma 4, 19 e 65, comma 1, della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione – cd. Convenzione di Merida – adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con l. 3 agosto 2009, n. 116).
Con ordinanza del 24 settembre 2024, il Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 1, lett. b) della l. n. 114/2024 (c.d. legge Nordio), nella parte in cui abroga l’art. 323 c.p.
Il caso riguarda un’ipotesi in cui l’abrogazione dell’abuso d’ufficio comporterebbe l’inapplicabilità del medesimo nei confronti di un magistrato, accusato, in concorso con carabinieri ufficiali di polizia giudiziaria di avere adottato un decreto di sequestro preventivo di quote sociali al di fuori dei presupposti di legge per danneggiare alcuni imprenditori favorendone altri.
Come è noto, il Parlamento ha approvato un disegno di legge che abroga la fattispecie dell'abuso d'ufficio e limita l'ambito di applicazione del reato di traffico di influenze illecite.
Il Parlamento, con l’art. 1, comma 1, lett. b) della l. 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata in GU n.187 del 10.08.2024 ed entrata in vigore il 25.08.2024), ha abrogato la disposizione di cui all’art. 323 c.p. e, nel contempo, con l’art. 1, lett. e) l. cit., ha sostituito l’art. 346-bis c.p. (traffico di influenze illecite), restringendone fortemente l’ambito applicativo.
L’abrogazione della disposizione di cui all’art. 323 c.p. produce un evidente effetto di abolitio criminis, di carattere quasi totale della fattispecie penale dell’abuso d’ufficio; si ritiene il carattere “quasi totale” della abolitio tenuto conto della introduzione dell’art. 314 bis c.p. (Indebita destinazione di denaro o cose mobili) ad opera del d.l. n. 92/2024, entrato in vigore prima dell’abrogazione dell’art. 323 c.p.
Il tema riguarda soprattutto la possibilità per la Corte costituzionale di pronunciare una sentenza in materia penale sostanziale (in particolare dichiarativa dell’incostituzionalità di una norma che ha prodotto una abolitio criminis) con effetti in malam partem ed in particolare di riviviscenza di una fattispecie espunta dall’ordinamento per espressa scelta del legislatore.
Il tema, certamente complesso e delicato, involge sia la riserva assoluta di legge (art. 25 Cost.) che affida all’atto normativo di rango primario e, quindi, al legislatore, la decisione del se incriminare come illecito penale o meno un determinato fatto o condotta, sia il rapporto tra le fonti, che impone il necessario rispetto della Costituzione (le sue disposizioni ed i suoi principi) da parte del legislatore ordinario e, quindi, in definitiva il ruolo del Giudice delle leggi.
È stata, quindi, rimessa una questione di legittimità costituzionale in ordine alla intervenuta abrogazione dell’art. 323 c.p. a mezzo dell’art. 1, comma 1, lett. b) della l. 9 agosto 2024, n. 114 per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1 Cost. in relazione all’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione (cd. Convenzione di Merida) e all’art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Nell’ordinanza si evidenzia che:
“il cuore del problema, che non sembra essere stato minimamente sfiorato dagli uffici tecnici del Ministero, si sostanzia nella pre-esistenza del modello penale di riferimento, alla ratifica della Convenzione di Merida. Aspetto quest'ultimo gravido di rilevanti, anzi dirimenti, conseguenze giuridiche. L'art 31 par. I della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati è chiaro, nello stabilire che "Un trattato deve essere interpretato in buona fede, In base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo -rectius, del suo spirito-". L'obiettivo dichiarato della Convenzione di Merida, per quanto emerge dal suo stesso tenore letterale, è quello dí combattere la corruzione in tutte le sue possibili declinazioni (in proposito, v. il punto 6 delle Guida legislativa per l'implementazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione), e quindi pure nella forma dell'abuso d'ufficio (a fini meramente interpretativi, valga segnalare che, anche la proposta di Direttiva UE contro la corruzione qualifica esplicitamente l'abuso in atti d'ufficio come una declinazione dell'unitario fenomeno corruttivo -al riguardo v. il punto 2 della Proposta di Direttiva in oggetto, rubricato "Base giuridica, sussidiarietà e proporzionalità", fg. 6; oltreché l'art 11 di cui alla Proposta di Direttiva in commento, fg. 36-) All'esito di un opportuno processo ermeneutico, teleologicamente orientato alla stregua dell'art 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, l'art 19 della Convenzione di Merida deve allora essere interpretato nel senso che: - gli Stati aderenti, che non conoscevano il reato d'abuso d'ufficio alla data di ratifica del Trattato, sono tenuti a considerare concretamente la possibilità di adottarlo; - gli altri Stati aderenti, che a quella data già lo annoveravano nel proprio sistema penale, sono invece obbligati a mantenerlo in vita. In altri termini, l'art 19, per la prima tipologia di attori statuali, fonda una posizione di obbligo, ricostruibile in questi termini "se il tuo sistema legale non conosce il reato d'abuso d'ufficio, sei tenuto a considerare di introdurlo, o meglio sei tenuto, nei limiti del possibile, ad attivarti per adottarlo, pur non essendo obbligato ad implementarlo"; per il secondo gruppo di Paesi, come l'Italia, a ben vedere, origina un vero e proprio obbligo internazionale di stand still -cioè l'obbligo internazionale di mantenere le cose, così come sono- la cui struttura va riassunta in questi termini: "se il tuo sistema legale già conosce il reato d'abuso d'ufficio, devi mantenere in vigore tale figura delittuosa".
"D'altra parte, diversamente opinando, si giungerebbe all'assurdo per il quale il dovere internazionale di considerare di introdurre una figura di reato, per combattere ogni forma di corruzione, verrebbe a essere interpretato come una mera raccomandazione a tenere un comportamento assolutamente discrezionale, a fronte della quale il legislatore nazionale sarebbe libero di prendersi la licenza - come accaduto- di poter smantellare il proprio arsenale contro il multiforme fenomeno corruttivo, che proprio la Convenzione di Merida è preordinata a fronteggiare.”
“Lede dunque il buon senso e la logica, ed insieme il diritto internazionale, l’avere asserito, come è stato sinora asserito da fonti governative e parlamentari, che l’obbligo di considerare la necessità di avvalersi del reato d’abuso d’ufficio per combattere la corruzione sarebbe ottemperato, con la sua cancellazione dall’ordinamento. La Convenzione di Merida, insomma, obbligando gli Stati aderenti che non lo prevedevano a valutare la necessità di implementare il reato d’abuso d’ufficio, ha pure obbligato gli Stati aderenti che già lo annoveravano a non riconsiderare la sua esistenza nei rispettivi ordinamenti nazionali. In definitiva, alla luce dei plurimi rilievi critici sino ad ora mossi, la norma abrogativa dell'abuso d'ufficio, e cioè l’art 1cmma 1 lett.b) della L. agosto 2024, n. 114, deve ritenersi incostituzionale, perché lesiva degli artt. 11 e 117 Cost., in relazione agli artt. 19 della Convenzione di Merida e 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati”.
La scelta legislativa di abrogazione del delitto di cui all’art. 323 c.p.
"non pare riconducibile ad un legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, ma si prospetta come arbitraria, atteso che:
– da un lato, non si è tenuto di conto che le ragioni poste a sostegno della spinta riformatrice (la c.d. “paura della firma” o “burocrazia difensiva”) erano di fatto venute meno (sopravvivendo, forse, solo sul piano, del tutto irrilevante, soggettivo e psicologico di singoli funzionari) in ragione delle recenti riforme e del successivo (ed ormai consolidato) orientamento giurisprudenziale di legittimità e dei principi enunciati dalla Corte costituzionale;
– dall’altro lato, non appare adeguatamente ponderato (e men che meno contenuto o neutralizzato) l’effetto dirompente che può avere la riforma, per il venir meno dell’effetto general-preventivo spiegato dalla presenza nell’ordinamento di una norma di chiusura che – seppur ormai relegata ad operare in casi eccezionali di particolare ed obiettiva gravità – evitava il dilagare di condotte dolosamente arbitrarie e lasciava ai cittadini uno strumento attraverso cui ricorrere alla magistratura"