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Pubbl. Lun, 20 Mag 2024

Il diritto penale della navigazione tra storia e prospettive: i reati marittimi propri e impropri

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Roberto Colucciello
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Foggia



La materia del diritto della navigazione, vista dal punto di vista penalistico, è alquanto particolare quanto settoriale, e, nel corso degli anni, non ha destato quell’interesse che forse meritava e merita. Eppure, dal punto di vista storico, tale branca del diritto ha seguito di pari passo gli sviluppi commerciali dei più importanti paesi costieri, o, comunque, di quei paesi che hanno ritenuto il mare e la costa quali luoghi strategici per i propri interessi commerciali. Stante quanto detto, codificare questa materia ha rappresentato uno sforzo non indifferente, per il solo fatto che lo sviluppo dei traffici e la sua normazione, così come le sue regole, richiedono di stare sempre al passo con i tempi.


ENG

The criminal law of navigation between history and perspectives: proper and improper maritime crimes

The subject of navigation law, seen from a criminal law point of view, is quite particular as well as sectorial, and, over the years, it has not aroused the interest that perhaps it deserved and deserves. Yet, from a historical point of view, this branch of law has followed the commercial developments of the most important coastal countries, or, in any case, of those countries that have considered the sea and the coast as strategic places for their commercial interests. Given what has been said, codifying this matter represented a considerable effort, for the sole reason that the development of traffic and its regulation, as well as its rules, require us to always keep up with the times. The 1942 Navigation Code represents an extraordinary effort at synthesis, but the criminal law provisio

Sommario: 1. Introduzione; 2. Cenni storici; 3. Il Codice della Navigazione e la disciplina penalistica; 4. Il reato marittimo; 5. I reati propri della navigazione; 6. I reati impropri della navigazione; 7. Cenni ai profili penali internazionali della navigazione marittima; 8. Conclusioni.

1. Introduzione

Il diritto penale della navigazione rappresenta una materia sui generis, il cui settore disciplinare è stato oggetto di indagini circoscritte e di frammentari cenni ricostruttivi, tanto che sono tuttora molti gli aspetti giuridici poco noti ed ancora da investigare a fondo.

Rispetto ai tanti e diversi contributi offerti dalla dottrina circa gli istituti di diritto civile ed amministrativo, la riflessione sugli aspetti penalistici è stata incautamente trascurata e di conseguenza la produzione scientifica si è rivelata esigua, disorganica e non sempre al passo con i tempi.

In particolare, gli studiosi si sono fermati alla disamina dei contenuti del Codice della Navigazione, limitando il loro approfondimento sistematico a notazioni puramente esegetiche sulle principali disposizioni del corpus normativo e sulla loro opportuna collocazione all’interno della Parte III, trascurando l’opera volta a rielaborare criticamente il complesso dei principi del diritto penale della navigazione per creare una tassonomia in grado di spiegare regole ed eccezioni.

Tutto quanto sopra espresso, rappresenta un evidente vuoto dottrinario che corre l’obbligo di colmare non solo per ragioni culturali, ma anche e soprattutto per esigenze pratiche.

Le sollecitazioni provengono dalla prassi alla luce della mutata realtà socio-economica e del costante incremento dei traffici, del manifestarsi di antichi e nuovi fenomeni criminosi connessi alla navigazione che esigono una efficace regolamentazione e dell’esponenziale sviluppo della giurisprudenza nazionale ed internazionale, chiamata a risolvere complesse vicende processuali che hanno destato notevole impatto sull’opinione pubblica.

L’indifferibile esigenza di conferire la giusta regolamentazione al comparto penale della navigazione si coglie, dunque, nell’attualità, ma per potersi concretizzare necessita di costante rimando storico e questa consapevolezza ha orientato il metodo della ricerca.

L’esistenza di un complesso organico di norme penali e processuali inerenti la materia della navigazione, rispecchia una lunga tradizione legislativa che in Italia parte dagli statuti marittimi medievali, fino ad arrivare alla parte terza del Codice della Navigazione del 1942, recante «Disposizioni penali e disciplinari».

Nonostante ciò e stante la costante tendenza a scandagliare sotto il profilo sostanziale la complessa realtà nautica, il diritto penale della navigazione è un settore che non è stato oggetto di studio sistematico né ha destato tanto interesse nella dottrina, fatta eccezione per alcune trattazioni, inserite in saggi e voci enciclopediche, su circoscritte questioni di particolare rilievo[1].

A differenza di taluni settori disciplinari specialistici, oggetto di interventi legislativi frammentari ed occasionali, il diritto penale della navigazione si rivela un sistema unitario incentrato sulla costante riferibilità alla navigazione quale “fatto umano”[2].

L’analisi che segue confermerà tale assunto, dimostrando altresì, come le legislazioni antiche e moderne che si sono occupate di navigazione abbiano sovente sottratto la disciplina generale dei reati marittimi (estesa poi al ramo aeronautico) all’ordinamento penale comune.

La ratio è da ravvisarsi nella peculiarità della materia, che postula una tutela rafforzata dei beni giuridici coinvolti in ragione del contesto ambientale nel quale si esplicano le varie relazioni, giuridiche e di fatto.

Il presente lavoro, riferito esclusivamente al diritto marittimo e non esteso a quello aeronautico, dopo una breve disamina storica del diritto penale marittimo, si incentrerà sulla nozione di reati propri e reati impropri della navigazione, con un cenno finale ai profili internazionalistici, ovviamente di matrice penale, della materia della navigazione.

2. Cenni storici

 La presenza di un complesso organico di norme penali e processuali inerenti il diritto della navigazione rispecchia una lunga tradizione legislativa che, in Italia, va dagli statuti marittimi medievali fino alla parte terza del Codice della navigazione del 1942, rubricata «Disposizioni penali e disciplinari».

Alcune fattispecie proprie del diritto penale della navigazione, si connotano in maniera spiccatamente originale: imporre l’osservanza di particolari obblighi a coloro che esercitano la navigazione, sanzionandone l’inadempimento, o   prevedere una rigida disciplina della vita di bordo e disporre adeguate misure atte a prevenire ogni possibile perturbazione, sono norme finalizzate ad impedire pericoli e danni legati intimamente ed esclusivamente alla navigazione.

Distinte figure di reato, ugualmente presenti ed altrettanto importanti, ricalcano invece quelle già contemplate nel Codice Rocco, dal quale il Codice del 1942 mutua la suddivisione in classi secondo il criterio dell’oggettività giuridica, pur subendo un adattamento nella disciplina.

Al di là della tipologia di illecito, sta di fatto che norme penali ispirate alla tutela della navigazione si rinvengono in tutti gli ordinamenti degli Stati coinvolti nel commercio marittimo e persino quelli più risalenti hanno prodotto una grande quantità di fattispecie che, fatte salve le inevitabili modifiche del corrispondente regime sanzionatorio, hanno costituito, e continuano a rappresentare il parametro antigiuridico di riferimento per le moderne legislazioni.

L’indagine storica, necessaria per un’esatta comprensione di ogni settore normativo, consente di dimostrare che l’esistenza di disposizioni penali nella disciplina della navigazione esprime una precisa tendenza evolutiva legata al progressivo affermarsi di istanze pubblicistiche, susseguenti alla tutela privata.

Il più antico testo contenente norme marittime è il Codice di Hammurabi, una notevole opera legislativa risalente al XVIII sec. a.C. e voluta dall’omonimo re babilonese.

La raccolta, basata su leggi e consuetudini in prevalenza sumere, contiene unicamente disposizioni volte a regolare la costruzione di navi, l’ipotesi del danneggiamento e/o urto delle stesse, la responsabilità del noleggiante, la mercede dovuta all’equipaggio[3].

Analogamente, nel periodo fenicio non vi è traccia di un comparto penale marittimo, mentre è privilegiata la regolamentazione di istituti giuridici di diritto privato come la vendita di navi, il noleggio, l’avaria comune.

La navigazione è attività primaria per gli antichi Greci, che senza dubbio influenzano gli altri popoli del Mediterraneo.  Nella Repubblica ateniese la normazione marittima ha un notevole rilievo.

Le prime disposizioni sanzionatorie risalgono proprio al periodo attico, durante il quale sono puniti severamente la diserzione e le ruberie a bordo delle navi. Inoltre, sono introdotte norme volte a contrastare atti di pirateria nei commerci marittimi e furti commessi approfittando delle condizioni di minorata difesa di una nave che avesse fatto naufragio[4].

È altresì sanzionata penalmente l’imperizia dimostrata nell’arte nautica[5], tanto che la legge contro i nocchieri di Salamina colpisce con l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione i timonieri e gli altri preposti alla direzione di una nave se il naufragio è loro ascrivibile a titolo di colpa[6].

In epoca romana la consuetudine diventa fonte principale del diritto e le norme marittime si caratterizzano per una sostanziale omogeneità, disciplinando in maniera organica e completa una pluralità di istituti giuridici pubblici e privati, compresa l’ avaria comune[7].

Sin dal 55-51 a.C. sembra accertata l’applicazione dei dettami della Lex Rhodia de iactu missilium e con l’introduzione di questo corpo di norme, relativo al getto di merci in mare attuato per alleggerire la nave in caso di necessità, trovano ingresso nel sistema giuridico romano nuovi principi anche in merito all’evento di naufragio, che non rileva più in quanto tale, ma risulta connesso a posizioni soggettive meritevoli di tutela[8].

Nei Regni barbarici vi è traccia di alcune disposizioni penali inerenti la materia marittima nella Lex Burgundiorum e nella Lex Wisigothorum. Nella prima raccolta legislativa viene sanzionata l’appropriazione di navi o scialuppe con pene diverse a seconda del fatto che l’autore del reato sia uomo libero o schiavo; nella seconda raccolta, Lex Wisigothorum, è, invece, previsto che colui il quale si approfitta di un naufragio per impadronirsi di oggetti altrui sia sanzionato con una pena pecuniaria pari al quadruplo del valore dell’oggetto stesso.

Nel Medioevo il diritto penale marittimo cambia, non è più il diritto sistematico del periodo romano e bizantino, ma la sua genesi diviene schiettamente consuetudinaria. Gli usi si diversificano attraverso l’enucleazione e la diffusione di principi che la prassi spontaneamente instaurata ha elaborato nell’ambito del commercio.

Il diritto marittimo in quest’epoca presenta un carattere unitario, trasversale e autonomo, e la relativa disciplina penale è costituita da un intreccio di consuetudini, che vengono fatte osservare dalle prime magistrature mercantili e poi recepite negli statuti e nei trattati internazionali[9].

Gli statuti comunali hanno retto la vita commerciale dei più prosperi e potenti Comuni d’Italia dal XII al XV secolo, costituendo un corpo di norme autonomo, fonte del moderno diritto marittimo. La loro genesi è stata anticamente ricondotta all’opera delle corporazioni marinare, ma importanti statuti marittimi sono sorti anche in Comuni in cui non si ha notizia di simili gilde (come Venezia, Amalfi e molte città della Puglia e della Sicilia).

Ad esempio, Genova emana norme penali relative alla navigazione, le più   importanti delle quali sono contenute negli Statuti di Gazaria (Officium Gazariae), una raccolta composta da sette libri e datata 1441, che riordina e unifica i vari statuti emessi da una magistratura collegiale speciale, al fine di tutelare la navigazione diretta verso le colonie orientali, ed in particolare nel Mar Nero. La raccolta prende nome da Gazaria, nome con cui i Genovesi designavano la Crimea (dalla popolazione locale dei Chazary), la più importante delle colonie del Mar Nero.

Lungo le coste francesi dell’Atlantico, nel XII secolo, si forma una giurisprudenza le cui massime sono contenute nei Ròles de Oléron, che esercitano una notevole influenza sulla legislazione del Mare del Nord, Inghilterra inclusa, e del Baltico. Tuttavia sono le Regole di Wisby e i dettami della Lega anseatica ad essere recepiti negli ordinamenti dei Paesi scandinavi, contrapponendosi alla tradizione mediterranea, consacrata nel Consolato del Mare.

Indubitabile è una spiccata differenziazione, sotto il profilo sanzionatorio, tra le due principali correnti normative vigenti in epoca medievale: il Consolato si caratterizza per una maggiore umanità delle pene, prevedendo il pagamento di ammende e nei casi più gravi la reclusione, mentre la legislazione della Lega contempla per molte delle fattispecie la pena di morte.

Punto di incontro fra il diritto nordico e quello mediterraneo è rappresentato dal Guidon de la mer, una raccolta che costituisce il precedente più immediato della successiva codificazione francese, e che evidenzia la tendenza all’uniformità della normazione spontanea in termini più universalistici, che oggi definiremmo di ‘globalizzazione’[10].

Il Libro del Consolato del Mare è noto per essere uno dei maggiori scritti giuridici prodotti in epoca medievale: si tratta di una raccolta anonima di costumi marittimi del bacino del Mediterraneo, redatta in Catalogna nella seconda metà del secolo XIV e adottata dai c.d. «Consoli del mare»[11]. L’opera ebbe una rapida e ampia diffusione, e divenne il codice di riferimento per il diritto marittimo, prevalendo sulle fonti normative dell’epoca. La menzionata raccolta, quanto a vastità e completezza, può considerarsi seconda solo al Corpus Iuris Civilis giustinianeo; essa ha regolato per secoli i rapporti tra armatori, comandanti, marinai e bassa manovalanza, fino ad essere considerata una universalis consuetudo, accettata e osservata dai paesi marinari commercialmente più evoluti in Europa[12].

All’interno del Libro sono disciplinati tutti gli istituti del diritto marittimo privato: costruzione, proprietà, vendita e noleggio della nave; diritti e obbligazioni delle persone coinvolte nella gestione del bastimento e degli scambi commerciali. Sono, inoltre, previste le ipotesi di avaria comune, di getto delle merci in caso di sinistro e di naufragio.

La moderna legislazione marittima, non più limitata alla mera raccolta di norme, ma orientata verso un’organica e compiuta sistemazione volta alla regolamentazione dei rapporti fra commercianti, risale all’Ordonnance de Louis XIV, donnée au mois d’août 1681, touchant la marine (c.d. Ordinanza di Colbert o colbertina). Sotto il profilo penale l’Ordonnance punisce con ammende il capitano che nell’uscire dal porto non dirige personalmente la nave o che attracca nei porti a ciò non destinati; il medesimo soggetto se imbarca personale medico non qualificato; l’equipaggio che non denuncia all’Ammiragliato i delitti commessi a bordo; il timoniere che per ignoranza o negligenza smarrisce la rotta.

Per quanto riguarda il nostro Paese, l’impostazione unitaria dell’Ordonnance si ritrova in tutte le più importanti codificazioni successive quali l’Editto di Marina e Navigazione Mercantile Toscana, emanato dal Granduca Francesco di Lorena nel 1748, che contempla l’insieme delle norme di diritto amministrativo, penale e disciplinare; il Reale Editto di Carlo III di Napoli del 1759, suddiviso in settantatré capitoli di disposizioni amministrative, finanziarie, penali e disciplinari; e soprattutto il Codice per la Veneta Mercantile Marina del 1786.

Si deve attendere il 1827 per l’approvazione, su iniziativa di Carlo Felice di Savoia, della Legge penale della marina mercantile: una legge che regolamenta nuovamente in maniera organica la materia penale e processuale penale della navigazione. Segue l’entrata in vigore del Codice per la marina mercantile (r.d. 25 giugno del 1865, n. 2360), comprendente le norme di diritto amministrativo, internazionale, penale e processuale riguardanti la navigazione.

Dopo l’unificazione nazionale, per garantire omogeneità di disciplina, sono estese a tutto il Regno le leggi e i regolamenti della marina mercantile sarda, in specie la legge del 13 gennaio 1827 che, per unità e completezza, è in quel momento storico l’unico provvedimento esportabile sull’intero territorio italiano. Tuttavia, la necessità di provvedere alla redazione di un vero e proprio codice si fa sempre più pressante e, in breve tempo, si istituisce una apposita commissione per procedere ai lavori. Nonostante le speranze di rinnovamento che accompagnano la sua formazione, il testo disattende ogni aspettativa.

Tra i capisaldi ispiratori della parte penale vi sono il rispetto del principio di uguaglianza; l’abolizione di ogni penalità non riconosciuta dal codice comune; l’eliminazione di ogni tribunale speciale per la repressione dei reati marittimi qualificati crimini o delitti; la riserva di giurisdizione in capo alle autorità marittime solo in materia di contravvenzioni e violazioni disciplinari.

Invero il testo, compilato frettolosamente, riproduce sterilmente i contenuti della Legge penale della marina mercantile, ricca di fattispecie desuete rispetto alle nuove condizioni del commercio e del traffico marittimo, che nel frattempo si erano create. Tale corpo legislativo ha però vita breve: è riformato e successivamente ridotto, per effetto del r.d. 24 ottobre 1877 n. 4146, ad un testo unico, nel quale permane una netta separazione tra le norme pubblicistiche e quelle privatistiche. Il testo, che non importa novità sostanziali, è, in seguito, ulteriormente modificato dalla legge 11 aprile 1886, che apporta ritocchi minimi ed insufficienti alla materia penale, ancora caratterizzata da un impianto sanzionatorio eccessivamente afflittivo.

Nel frattempo è approvato e pubblicato anche il Codice di commercio (r.d. 25 giugno 1865, n. 2364) riguardante la sola parte civilistica, ma è successivamente abrogato e sostituito da un nuovo testo (r.d. 31 ottobre 1882), che rimarrà in vigore fino al 1942.

Sulla spinta delle forti istanze volte a riformare l’intera materia, iniziano i lavori per la stesura dell’ennesimo codice, che avrebbe dovuto aggiornare il quadro della disciplina e, soprattutto, riaffermare l’unitarietà della trattazione dei profili pubblicistici e di quelli privatistici (la materia marittima, come detto, risulta regolata, per la parte pubblicistica, dal testo unico del 1877 e, per la parte privatistica, dal secondo libro del Codice di commercio del 1882)[13].

A tal fine vengono designati diversi comitati, finché, nel 1924, in seguito a una delega conferita al Governo, è nominata una Commissione per la riforma di tutti i codici, che a sua volta istituisce la Sottocommissione D, presieduta dal presidente del Consiglio di Stato Raffaele Perla, per la compilazione di un nuovo Codice per la marina mercantile. La suddetta Sottocommissione termina i lavori nel 1931 con la presentazione al guardasigilli di un Progetto di codice marittimo composto da otto libri e settecentoventotto articoli[14].

Il Progetto rappresenta il primo serio tentativo di ricostruzione, in ambito nazionale, di un sistema unitario di disciplina sulla scorta di quello già sperimentato con l’Ordonnance de Louis XIV, che, nonostante gli indubbi vantaggi e la forte influenza originariamente esercitata nel panorama internazionale, è stato progressivamente abbandonato per dar seguito ad una legislazione frammentaria, incapace di tracciare i confini di una materia tanto vasta e complessa. Il Progetto, che ambiva a una modernizzazione del settore, difettava, però, di una salda impostazione metodologica, in quanto separava nettamente gli istituti pubblicistici da quelli privatistici e trascurava sia la navigazione interna che quella aerea.

L’opera di riforma della legislazione riprende nel 1939 ed è affidata a un comitato presieduto da Antonio Scialoja, il quale presenta un Progetto ministeriale di Codice della Navigazione, che, attuando un preciso programma scientifico, coinvolge la materia marittima, interna ed aerea. Il testo è approvato con r.d. 17 gennaio 1941, n. 9, ma è in seguito modificato e coordinato con il codice civile, per sfociare nell’attuale Codice della Navigazione, emanato con r.d. 30 marzo 1942, n. 327.

3. Il Codice della Navigazione e la disciplina penalistica

Il diritto della navigazione trae origine dal lavoro di una Commissione ministeriale ad hoc presieduta dal Prof. Scialoja nel 1942, che diede vita al R.D. n. 327 del 30 marzo dello stesso anno solare. Tale opera sistematica, partendo dalla considerazione unitaria del diritto aereo e del diritto marittimo, nonché dalla caratterizzazione autonoma della disciplina rispetto al diritto pubblico ed al diritto commerciale, culminò nella redazione del Codice della Navigazione del 1942.

Orbene, la Parte III del codice della navigazione, nel dettare le “Disposizioni penali e disciplinari”, si limita ad abbozzare la regolamentazione di alcune condotte, mediante la trattazione di taluni delitti.

Ed invero, le disposizioni penalistiche dettate in seno al codice non possono prescindere da una ampia considerazione del diritto della navigazione.

Sul punto è appena il caso di rilevare i forti contrasti da sempre registrati in dottrina[15] sulla possibilità di riconoscere al diritto penale della navigazione  una certa autonomia, tanto da considerarlo alla stregua di diritto speciale,  intendendosi in tal modo non solo l’insieme delle norme contenute nel codice della navigazione, ma anche il complesso di disposizioni che, pur non trovando collocazione in seno al richiamato codice, attengono a fattispecie connesse alla navigazione e risultano finalizzate a tutelare interessi propri della navigazione.

Tuttavia, anche ad avviso di chi scrive, pare piuttosto difficoltosa una lettura in chiave autonomistica del diritto penale della navigazione, risultando ostativo l’assunto secondo cui l’autonomia di un ramo del diritto è ravvisabile solo ove lo stesso sia connotato da una compiutezza di disciplina che consenta di prescindere dalla regolamentazione contenuta altrove.

E, di fatto, un simile fenomeno è da escludere in ragione della previsione di numerose fattispecie criminose, oltre che nel codice della navigazione, in multiformi e variegati testi normativi.

Il rapido evolversi dei tempi, delle tecniche di navigazione e, di riflesso, delle attività esplicabili per mare, infatti, ha comportato il proliferare di fattispecie penalmente rilevanti, che hanno trovato regolamentazione ora in disposizioni avulse dal codice della navigazione ora nella normativa internazionale.

Quanto detto fa senz’altro concludere per la natura complementare del diritto penale della navigazione rispetto al diritto penale. In altri termini, il diritto penale della navigazione, come diritto speciale, presuppone il diritto penale comune, da cui mutua istituti e regole[16].

In particolare, la specialità delle norme del diritto penale della navigazione rispetto a fattispecie già connotate in seno al codice penale, e da queste diversificate solo in relazione a  specifici caratteri, trova la propria ragion d’essere nella peculiarità degli interessi tutelati dalle norme incriminatrici[17] nonché nell’esigenza di introdurre degli adattamenti normativi necessari al fine di disciplinare talune peculiarità della materia, che non troverebbero compiuta regolamentazione nel diritto comune[18] .

All’uopo, nell’ambito dei reati marittimi si impone una distinzione  di rilievo, di cui  parleremo in seguito in maniera più approfondita, ossia quella tra reati nautici “propri” e reati nautici “impropri”, intendendosi con i primi gli illeciti ”specifici” ed esclusivi del diritto della navigazione, non aventi una corrispondente  figura di reato comune; e rientrando ,invece, nella seconda categoria fattispecie delittuose già contemplate in seno al codice penale alle quali, tuttavia, apportano talune modifiche dal punto di vista configurativo o piuttosto sanzionatorio.

Ciò premesso, va evidenziato come la naturale evoluzione dei sistemi giuridici obblighi chi voglia cimentarsi in questo campo ad una disamina meticolosa di ulteriori norme che regolano determinati comparti, attinenti pur sempre all’esercizio della navigazione.

In particolare, il terreno su cui maggiormente le forze innovatrici del diritto devono focalizzare la loro attenzione deve essere, a mio avviso, l’evoluzione naturale del diritto penale, con particolare riguardo ai reati concernenti fattispecie nuove ed ulteriori.

Il diritto penale della navigazione è un ramo del diritto pubblico della navigazione, comprendente anche il diritto amministrativo, internazionale, processuale e del lavoro, in cui si rinvengono norme a carattere sanzionatorio poste a tutela di importanti beni giuridici, quali la sicurezza della navigazione, la tranquillità della vita a bordo, il rispetto degli ordini dell’autorità e della legge di bandiera, l’incolumità delle persone, la salvaguardia dell’ambiente circostante, ma non solo.

La materia può avere un duplice inquadramento in quanto partecipa, al contempo, del diritto penale e di quello della navigazione, ma al suo interno i reati non sono artificialmente distinti, poiché godono di un riconoscimento universale, essendo intimamente caratterizzati “dal fatto tecnico del navigare”[19].

I reati della navigazione possono essere intesi secondo due diverse accezioni, l’una di tipo formale, l’altra di carattere sostanziale: in base alla prima, che si fonda sulla collocazione topografica unitaria, i reati della navigazione sono quelli previsti nella parte terza (titolo II e III) del Codice della Navigazione e regolati dalle disposizioni generali dettate nel titolo I; in senso sostanziale, invece, rientrano nel comparto in esame tutti quegli illeciti penali che, disseminati nei codici e nella legislazione speciale, presentano un’offensività riconducibile al fenomeno della navigazione[20].

In ciò si concreta il diritto penale della navigazione, comprensivo, quindi, di tutti i reati che hanno come teatro la navigazione aerea, marittima o interna e che, dunque, sono necessariamente localizzati in un preciso ambiente e non sarebbero concepibili altrove.

Nell’indagare la tipologia delle singole fattispecie, si palesa una tradizionale distinzione elaborata dagli studiosi del diritto della navigazione: quella tra reati propri e reati impropri. Tale duplice inquadramento non è una novità per il penalista, ma assume autonomo significato nell’ambito della nostra trattazione.

4. Il reato marittimo

Il Testo Unico dell’abrogato codice per la Marina Mercantile (R.D. 22 ottobre 1877, n. 4166) si occupava, al Titolo II Parte Seconda, dei reati marittimi, fornendo un’elencazione tassativa che presentava connotazioni peculiari, soggettive ed oggettive, tali per cui questi reati potevano essere ricondotti ad una categoria speciale unitaria, sia con riferimento alla soggettività che all’oggettività giuridica delle varie fattispecie.

Sebbene tale riferimento normativo sia stato abrogato, le traiettorie ermeneutiche su cui poggiava erano sostanzialmente avvedute e, in un certo senso, anche premonitorie, al punto che oggi vivono una seconda giovinezza, poiché il legislatore ha deciso di riprenderle e trasfonderle, con gli opportuni adattamenti, nella cornice dell’odierna codificazione.

In guisa che muovere il passo da tali assunti diviene atto imprescindibile, al fine di poter comprendere il fenomeno della navigazione nei suoi aspetti penali.

Dunque, sotto l’angolo visuale dell’oggettività giuridica si delineava un vero e proprio sistema penale della navigazione che, articolato nella dicotomia delitti e contravvenzioni, consentiva, e tutt’oggi consente, di definire, sotto l’aspetto formale, reato della navigazione quella fattispecie legale positiva tesa a presidio di persone, beni ed attività che hanno l’ambiente in cui si compie il viaggio quale elemento discretivo tipico e tipizzante.

Ed è proprio nel viaggio che il mezzo nautico affronta, unitamente alla comunità viaggiante che lo compone, il locus ove convergono i rilevanti interessi pubblici e privati sottesi al panorama della navigazione.

Tale centro d’imputazione socio-economico è stato nei fatti il motivo che ha aperto la strada ai principi ispiratori dell’attuale codificazione. La ratio che ne è seguita ha consacrato, nel settore penale-nautico, l’oggettività giuridica quale asse portante di detto sistema.

Non è raro, infatti, osservare come molte fattispecie penali del codice nautico siano costruite avendo a modello uno schema plurioggettivo, ove, alla difesa d’interessi particolari (personalità dello Stato, polizia di bordo e della navigazione, autorità di bordo, fede pubblica, proprietà), si aggiunge spesso quello preminente della sicurezza della navigazione e, quindi, quello dell’incolumità delle persone e dei beni a bordo.

In tal modo nel diritto della navigazione i reati (suddivisi in delitti e contravvenzioni, di cui, rispettivamente, ai Titoli II e III del Libro I Parte Terza del codice) sono solo virtualmente distinti, in quanto godono di un generale riconoscimento sul piano oggettivo, essendo intimamente caratterizzati dal fatto tecnico del navigare, quale fenomeno tanto peculiare quanto universalmente e professionalmente conosciuto.

Sotto l’aspetto sostanziale, dunque, è possibile definire reato marittimo (e per analogia aereo e della navigazione interna), ogni atto che lede, più o meno gravemente, il regolare e sicuro svolgimento della navigazione e delle attività ad essa connesse, autorizzando l’applicazione di una sanzione penale quale miglior risposta per la tutela dei rilevanti interessi pubblici e privati sottesi alla materia.

Si comprende, allora, come dal complesso dei reati della navigazione, ovunque previsti e, quindi, anche da fonti extra codicem, derivi il già accennato concetto di “sistema” della materia, quale categoria unitaria e coerente tradotta in norma organizzata di vita e di attività, trasfusa in fattispecie giuridiche tipiche, penalmente tutelate, volte a garantire ordine e sicurezza nel particolare ambiente della navigazione marittima, interna ed aerea[21].

5. I reati propri della navigazione

Nell’ambito del diritto della navigazione gli studiosi hanno elaborato una tradizionale distinzione tra reati propri e reati impropri.

Diversi reati della navigazione sono propri in senso funzionale, potendo essere commessi solo da chi possiede una data qualifica od occupi una certa posizione giuridica o di fatto, idonea a fondare una speciale relazione tra il soggetto agente e l’interesse tutelato (si pensi all’armatore, al comandante, ai membri dell’equipaggio); ma il concetto di reato proprio qui assume anche una diversa connotazione, indicando figure di illecito specifiche della navigazione, alle quali non corrisponde alcuna fattispecie prevista dal codice penale o da altra legge penale (ad esempio, il delitto di diserzione ex art. 1091 cod. nav.; il delitto di falsa rotta ex art. 1140 cod. nav. e quello di sbarco o abbandono arbitrario di persona ex art. 1155 cod. nav. o, ancora, l’ammutinamento dell’equipaggio ex art. 1105 cod. nav. e l’abbandono di nave o aeromobile in pericolo ex artt. 1097-1098 cod. nav.).

L’assoluta mancanza di previsione, da parte del diritto penale, degli elementi materiali del fatto costitutivo sta a indicare che l’interesse tutelato dalla norma è un interesse particolare ed esclusivo della navigazione ed è, quindi, in quest’ottica che rileva l’accezione di “proprio”.

Per contro, sono reati impropri quelli che coincidono con fattispecie delittuose già previste nel codice penale o desumibili dalla legge penale, ma che rappresentano una specializzazione della tutela, con conseguente modifica sul piano sanzionatorio, in ragione delle particolari esigenze della navigazione[22].

Si pensi all’art. 1104 cod. nav. che tipicizza l’offesa in danno del comandante, di un ufficiale, di un sottufficiale o di un graduato: tale complessa fattispecie costituisce una forma di oltraggio al pubblico ufficiale e intende salvaguardare la gerarchia di bordo; oppure al caso di rapina od estorsione sul litorale della Repubblica da parte dell’equipaggio (art. 1137 cod. nav.) che delinea, per dettato normativo, un’ipotesi speciale rispetto ai fatti previsti negli artt. 628 e 629 cod. pen., punita con le stesse pene previste per la pirateria (art. 1135 cod. nav.).

Invero, anche quest’ultima, che sanziona pesantemente atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera e del suo carico, ovvero atti di violenza contro persone imbarcate a scopo di depredazione, è correlabile, a seconda delle note modali descritte, al furto, alla rapina o all’estorsione.

La distinzione dottrinale tra reati propri e reati impropri della navigazione si coglie, dunque, dal punto di vista sistematico ed esprime, in relazione al contenuto tipico delle incriminazioni, l’originalità della tutela predisposta e la matrice esclusiva dell’interesse tutelato[23].

Invero, tale inquadramento (finora mai messo in discussione) risulta assai problematico ed esprime una evidente disarmonia nel rapporto tra le classiche categorie penalistiche e quelle elaborate in ambito navigazionista. Problemi evidenti si pongono nel caso del reato di diserzione (art. 1091 cod. nav.), che manifesta una doppia natura propria, sia sotto il profilo del soggetto agente che dell’obiettività giuridica.

È, dunque, il caso di riconsiderare la distinzione reato proprio/reato improprio e concepire classificazioni meno ambigue, onde evitare fuorvianti coincidenze terminologiche.  Più in generale, pare comunque censurabile l’elaborazione di una partizione sistematica così netta, in quanto la complessità che contraddistingue l’interazione tra reati della navigazione e legge penale comune offre poche certezze ed impone catalogazioni meno riduttive.

La dottrina ha, infatti, rilevato che, in alcune ipotesi, il carattere proprio non dipende tanto dalla peculiarità del bene giuridico sotteso, ma dal fatto che il reato reprime atti normalmente irrilevanti; così, ad esempio, la fattispecie di complotto contro il comandante (art. 1108 cod. nav.) sanziona – in deroga all’art. 115 c.p.9 – il mero accordo di tre o più membri dell’equipaggio per commettere un delitto contro la vita, l’incolumità personale, la libertà individuale o l’esercizio dei poteri del comandante[24].

Analoga previsione si rinviene all’art. 1139 cod. nav. «Accordo per impossessarsi della nave o dell’aeromobile», che punisce, per l’appunto, il pactum sceleris siglato fra tre o più componenti dell’equipaggio al fine di compiere il delitto di impossessamento della nave o dell’aeromobile. Da notare che, in entrambe le fattispecie, la tipizzazione soggettiva è circoscritta, riguardando, oltre ai partecipi dell’accordo, coloro che ne furono promotori, organizzatori o capi (per i quali la pena è aumentata fino a un terzo). Nel solo caso di complotto contro il comandante, se un componente dell’equipaggio, avendo notizia dell’accordo, omette di darne avviso, verrà punito con la reclusione fino a un anno.

Nondimeno, la pena da applicare sarà in ogni caso inferiore alla metà di quella stabilita per il delitto al quale si riferisce l’accordo.

Le fattispecie in esame, quali reati di pericolo a consumazione anticipata, hanno finalità spiccatamente preventive, sanzionando la volontà convergente, di almeno tre persone, verso l’obiettivo di realizzare l’impossessamento del mezzo oppure un delitto in danno del comandante.

Ambedue i reati si consumano nel momento in cui le soggettive determinazioni si traducono in una concorde risoluzione d’agire idonea a ledere il bene protetto, senza che il delitto venga poi commesso[25].

È indubbio che, in questi casi, il legislatore ha ritenuto il contesto della navigazione un fattore di rischio particolarmente significativo, tanto da giustificare una anticipazione della tutela penale normalmente esclusa.

Rispetto al controverso tema della classificazione, vi è anche da dire che alcuni reati impropri identificano ipotesi criminose che, seppur riconducibili a fattispecie già esistenti, assumono una connotazione offensiva non solo speciale, ma spiccatamente originale che ne condiziona l’applicabilità: l’omissione di soccorso ex art. 1113 cod. nav. e l’omissione di assistenza a navi o persone in pericolo (art. 1158 cod. nav.) si sovrappongono all’omissione di soccorso di cui all’art. 593 c. 2 c.p., ma sono, al contempo, caratterizzate da peculiari presupposti dell’omesso intervento assistenziale, che rendono la condotta punibile anche a titolo di colpa (cfr. artt. 1113-1124 cod. nav. ed art. 1158 c. 3 cod. nav.).

La categoria del reato proprio così come elaborata all’interno del diritto penale della navigazione (per collocare illeciti in cui vi è una precipua violazione di interessi della navigazione, senza che si profili l’offesa a beni giuridici d’indole comune) suscita una doverosa riflessione rispetto al tradizionale inquadramento dogmatico del reato proprio offerto, invece, dal diritto penale comune, non solo per marcare il distinguo tra identiche locuzioni dal difforme contenuto semantico, ma anche in ragione della massiccia presenza di delitti esclusivi della navigazione,  che esprimono una particolare connessione tra l’interesse tutelato e la posizione rivestita dal soggetto attivo.

L’assenza di riferimenti codicistici idonei a circoscrivere la fattispecie tipicamente propria ha sollecitato la dottrina ad elaborare tutta una serie di teorizzazioni, anche se la definizione che più di frequente si rinviene è quella per cui l’identificazione della lesione penalmente rilevante si interseca con vincoli di natura funzionale che caratterizzano l’agente; un reato proprio che attiene, dunque, a un soggetto qualificato e che si pone in termini speculari rispetto al c.d. reato comune, commissibile da chiunque[26].

Parte della dottrina[27] ha precisato ulteriormente la partizione, circoscrivendo la categoria dei reati propri per riferirla unicamente a quelle ipotesi in cui la qualifica si inserisce, quale elemento specializzante, in una preesistente fattispecie base comune. Secondo questa impostazione il reato proprio è quell’illecito caratterizzato da un requisito positivo, speciale di soggettività, cui si affianca un modello parallelo realizzabile da chiunque.

Diversa suddivisione è stata elaborata distinguendo tra reati comuni e reati speciali, riconoscendo in questi ultimi, una caratterizzazione dettata dall’esistenza di precise condizioni subiettive od obiettive. Si definiscono, infatti, speciali tutti quei reati che impongono in capo al soggetto attivo una determinata qualità (o vincolo di subiezione personale), ma anche quei reati che, presupponendo un vincolo di sudditanza generale, costituiscono violazioni di particolari doveri verso la pubblica autorità[28]. È poi all’interno del genus reati speciali che si possono separare i propri dagli impropri, a seconda che il fatto, in difetto della condizione, non costituisca reato oppure integri un reato comune.

Richiamandosi direttamente a quest’ultima precisazione, vi è chi[29], ancora, ha differenziato i reati propri in senso puro dai reati propri in senso lato: nei primi il possesso della qualifica fonderebbe la punibilità del fatto; diversamente, nei secondi, la stessa qualifica rileverebbe unicamente sul piano del mutamento del titolo del reato.

Altri studiosi, mutuando il concetto di legittimazione ad agire (di matrice processuale-civilistica) per riferirlo al compimento di una condotta illecita, ritengono di distinguere, all’interno dei reati propri, le ipotesi in cui l’illiceità della condotta è direttamente legata al possesso della qualifica normativa, dai casi in cui essa dipende piuttosto da una situazione di fatto, la cui presenza determina l’insorgere in capo al soggetto di particolari obblighi giuridici[30].

Nella ricchezza di opzioni interpretative sui tipi di reato proprio, vi è chi suggerisce un’ulteriore summa divisio, quella tra reati propri non esclusivi (dove il fatto, in assenza della qualifica soggettiva, rimane illecito), reati propri semiesclusivi (in cui il fatto, privo di qualifica, integra un diverso titolo di reato) e reati propri esclusivi (fatti penalmente irrilevanti in assenza della qualifica soggettiva)[31].

Ciò detto, i reati funzionalmente propri previsti nel Codice della Navigazione (in cui, e non è forse un caso, si riscontra spesso una doppia natura propria) si ripartono in ulteriori, ben distinti, filoni: vi sono i reati propri del comandante o dei membri dell’equipaggio, fondati sulla posizione di garanzia rivestita per tutelare il sicuro svolgimento della navigazione (si pensi all’«Abbandono abusivo di comando» ex art. 1116 cod. nav.; o all’art. 1118 cod. nav. «Abbandono del posto» da parte dell’equipaggio); i reati ugualmente propri, ma volti ad assicurare il vincolo di dipendenza gerarchica che contrassegna la dinamica dei rapporti interni (ad esempio, le già menzionate ipotesi di diserzione, ammutinamento e complotto contro il comandante); i reati, sempre propri, diretti a preservare il vincolo di soggezione esterna nei confronti dell’autorità (come nel caso del «Rifiuto di obbedienza a nave da guerra» ex art. 1099 cod. nav.).

La presenza di un gran numero di reati a soggettività ristretta all’interno del Codice della Navigazione ha indotto il legislatore a dettare una espressa disciplina per l’ipotesi di concorso dell’extraneus nel reato proprio in conformità con l’art. 117 c.p.

È stata, quindi, prevista un’analoga previsione di responsabilità concorsuale per i soggetti sprovvisti della qualifica che, invece, caratterizza i destinatari del precetto. L’art. 1081 cod. nav. stabilisce, infatti, che “Fuori del caso regolato nell’art. 117 del codice penale, quando per l’esistenza di un reato previsto dal presente codice è richiesta una particolare qualità personale, coloro che, senza rivestire tale qualità, sono concorsi nel reato, ne rispondono se hanno avuto conoscenza della qualità personale inerente al colpevole. Tuttavia, il giudice può diminuire la pena rispetto a coloro per i quali non sussiste la predetta qualità”. Molto si è disquisito sulla validità della norma in questione, ritenuta da alcuni pleonastica[32].

Se è pur vero che la funzione sistematica dell’art. 1081 cod. nav. è la medesima dell’art. 117 c.p., in favore della quale vige una clausola di riserva, un primo significativo distinguo è offerto dal fatto che la norma in esame non coinvolge tutti i reati della navigazione, ma si riferisce solo a quelli funzionalmente propri previsti nel Codice del 1942.

Un’ulteriore differenza con l’art. 117 c.p. consiste nel fatto che tale norma regolamenta il caso in cui intervenga il mutamento del titolo di un reato (imputabile a più soggetti) per effetto delle qualità personali del colpevole o dei rapporti fra colpevole ed offeso, mentre l’art. 1081 cod. nav. descrive la diversa ipotesi in cui l’esistenza stessa di un reato del Codice della Navigazione (nel quale l’extraneus concorre) discenda dalla «qualità personale» del soggetto attivo (e unicamente da questa, in quanto non si fa cenno alla relazione esistente tra soggetto agente e vittima).

In definitiva, nel primo caso, la qualità del soggetto comporta solo una diversa qualificazione giuridica di un fatto che, di per sé e ad altro titolo, costituisce comunque reato; diversamente, nell’ipotesi descritta nell’art. 1081 cod. nav., la qualità personale è determinante ai fini dell’esistenza dell’illecito, che altrimenti sarebbe penalmente irrilevante. Il fatto tipico non può, dunque, assumere alcuna connotazione offensiva in difetto della qualifica e ciò può far ritenere che l’art. 1081 cod. nav. abbracci soltanto i reati a soggettività ristretta che siano al contempo reati propri (o esclusivi) della navigazione (oltretutto regolati nel solo Codice della Navigazione), non presentando alcun aggancio con figure criminose contemplate altrove.

Altro dato significativo: ai sensi dell’art. 1081 cod. nav., l’estraneo sarà responsabile a titolo di concorso se ha avuto conoscenza della qualità personale inerente al colpevole, così confermando il criterio generale secondo cui la qualifica soggettiva rientra nell’oggetto del dolo.

Da ciò è possibile inferire che, rispetto a tale prescrizione, l’art. 117 c.p. costituisce un’ipotesi derogatoria: quest’ultima norma, infatti, è stata interpretata nel senso di fondare una responsabilità per concorso a titolo di dolo anche nel correo estraneo che non abbia avuto contezza della particolare condizione soggettiva o del particolare rapporto che fa mutare il reato ascrivibile; in ossequio alla concezione unitaria del titolo di responsabilità concorsuale (affinché i singoli partecipi non rispondano di imputazioni diverse) si determina così un effetto estensivo dell’incriminazione in deroga ai principi generali.

Senonché, per ovviare a un trattamento sanzionatorio eccessivamente rigoroso e porre un correttivo a un’ipotesi di responsabilità oggettiva incostituzionale, la dottrina ammette l’applicazione della norma nel caso in cui vi sia la previa conoscenza da parte dell’extraneus della qualifica dell’intraneus o allorquando l’ignoranza o errore sull’esistenza della medesima qualifica sia dovuta a colpa[33].

Sostanzialmente identiche risultano, invece, le due circostanze attenuanti contenute negli artt. 117 c.2 c.p. e 1081 c. 2 cod. nav.: entrambe prevedono che il giudice possa, in via facoltativa, diminuire la pena per coloro in capo ai quali non sussistono le condizioni o le qualità personali o i predetti rapporti.

6. I reati impropri della navigazione

Esaurita l’indagine sul reato proprio sia nel contesto del diritto penale comune che in ambito navigazionista, occorre dare nuovo inquadramento al complesso dei reati impropri, che potrebbe essere ridefinito, specularmente, quale insieme di reati non esclusivi della navigazione, perché lesivi, oltre che di un interesse prevalente della stessa, anche di un interesse comune.

Quest’ultima categoria di illeciti è, peraltro, particolarmente problematica anche sotto un ulteriore profilo: in alcuni casi il reato in esame ricalca esattamente il modello della corrispondente fattispecie comune, che viene espressamente richiamata nella disposizione del Codice della navigazione (a titolo esemplificativo, si veda l’art. 1150 «Omicidio del superiore» in relazione all’art. 575 c.p.; l’art. 1151 «Omicidio preterintenzionale, lesione e percossa del superiore» rispetto agli artt. 581-584 c.p.; l’art. 1152 «Tratta e commercio di schiavi» in rapporto all’art. 601 c.p.).

Orbene, ci si può chiedere se tali disposizioni rappresentano figure autonome di reato ovvero ipotesi meramente circostanziali. Con riferimento agli artt. 1150 e 1151 cod. nav. il modello della previsione è effettivamente tratteggiato in termini intrinsecamente circostanziali, dato il rapporto di specialità con il reato-base e la descrizione per relationem mediante  la formula «se il fatto previsto nell’art. […] è commesso»; A fronte di tali elementi indiziari, si evidenzia, tuttavia, la collocazione autonoma in diversi articoli, rubricati con specifico nomen iuris e il fatto che lo stesso art. 1160 cod. nav., nel comminare determinate pene accessorie, si riferisce alla condanna «per il delitto previsto negli artt. 1150 […], 1152-1153 […] e per gli altri delitti previsti dal presente capo», suffragando testualmente l’autonomia delle rispettive figure criminose.

In termini di stretta comparazione, poi, l’art. 1122 cod. nav. considera come «aggravante» la circostanza che i delitti previsti dagli art. 425 n. 3 e 428 c.p. siano commessi da «un componente dell’equipaggio di nave, galleggiante o aeromobile nazionali o stranieri […] o da una persona comunque addetta ai servizi della navigazione marittima o aerea, avvalendosi delle sue funzioni». Tale precisa classificazione, in un’ipotesi perfettamente coincidente rispetto agli artt. 1150 e 1151 cod. nav., non può dirsi casuale e sembra confermare la differente scelta del legislatore, volta ad attribuire alle disposizioni contenute nel Capo VII la natura di reati autonomi.

Infine, vi è da dire che molte delle fattispecie penali che attengono alla navigazione, sia quelle che descrivono reati propri, che quelle che individuano reati impropri (secondo la vigente e controversa distinzione), sono spesso delineate come reati aggravati dall’evento, prevedendo un aumento di pena per il verificarsi di un evento ulteriore rispetto al fatto base, costituente già reato. In particolare, nell’analisi delle varie norme rilevano eventi addizionali di pericolo o di danno per la vita delle persone, la pubblica incolumità, ovvero la sicurezza della nave, conseguenti all’agire illecito del soggetto[34].

Colpisce, a tal proposito, l’equivoca rubricazione dell’art. 1121 cod. nav. «Condizioni di maggiore punibilità»: la norma, invero, identifica, distinti reati aggravati dall’evento in relazione alle fattispecie base di cui agli artt. da 1112 a 1120 cod. nav. «Delitti contro la sicurezza della navigazione». Da notare, poi, come il permanere di tale indicazione normativa sia oltremodo censurabile, stante l’illegittimità costituzionale delle c.d. condizioni obiettive di maggiore (o minore) punibilità, cioè quegli eventi che aggravano o attenuano la sanzione prevista dalla fattispecie base, alla quale sono causalmente concatenati, senza alcun vaglio in termini di colpevolezza.

Ipotesi del genere sono state, infatti, definitivamente espunte dall’ordinamento italiano in seguito all’entrata in vigore della legge di riforma n. 19/1990 ed alla previsione dell’imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti, che presuppone almeno la colpa come coefficiente minimo di responsabilità, sotto forma di conoscenza o conoscibilità del fatto integrante la circostanza. Ed a questo nuovo regime di imputazione non si sottraggono neppure le circostanze che consistono in eventi futuri, successivi alla realizzazione della condotta, come accade nel caso dei delitti aggravati dall’evento.

Al di là di un nomen iuris in contrasto con la loro reale natura, rimane il fatto che mediante tali contingenze le fattispecie coinvolte presentano una plurioffensività eterogenea, in quanto, oltre alla tutela dell’interesse dalle stesse specificamente protetto, si aggiunge la salvaguardia dell’incolumità delle persone e dei beni, coinvolti nel viaggio marittimo o aereo, che contraddistingue i delitti di comune pericolo mediante violenza (Libro II, Titolo VI, Capo I codice penale).

Del resto, nel corso della navigazione convergono interessi pubblici e privati, interni ed esterni, nazionali ed internazionali, per cui la difesa di particolari beni (come, ad esempio, la polizia di bordo e della navigazione) si coniuga con l’esigenza fondamentale della sicurezza della navigazione e dell’incolumità della comunità viaggiante e dei beni trasportati.

7.  Cenni ai profili penali internazionali della navigazione marittima

I profili penali del diritto internazionale della navigazione marittima riguardano essenzialmente il tema della giurisdizione, che, a sua volta, si intreccia con aspetti “sostanziali” legati alla prevenzione e repressione di gravi fatti illeciti perpetrati contro la sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita in mare.

La tutela di questi beni giuridici è affidata a precise fattispecie, espressione di un diritto penale della navigazione fatalmente condizionato dalla prospettiva internazionalistica che, nel perseguire l’azione repressiva, impone una modifica dei tradizionali criteri della predetta giurisdizione, rectius dell’equilibrio raggiunto tra le prerogative dello Stato della bandiera e quelle dello Stato costiero.

La complessità risiede nel fatto che in materia penale non è previsto un sistema di norme volto a stabilire quale, tra le legislazioni concorrenti, prevalga sulle altre, e ogni ordinamento regola in modo autarchico l’efficacia della propria legge penale. Nel contesto internazionale della navigazione la relazione tra giurisdizioni penali è, dunque, fondata su un complesso bilanciamento tra reciproche legittime istanze.

Ciò premesso, la navigazione presenta una naturale vocazione transnazionale che si riverbera sul versante sostanziale (penale) allorquando la movimentazione di persone e la globalizzazione dei mercati dà luogo a fatti illeciti: dal più risalente contrabbando di sigarette, al tradizionale traffico di stupefacenti, alla più recente tratta di migranti.

Spiccano, inoltre, fattispecie di reato che, oltre ad essere intrise di elementi fattuali e tecnici di indubbia peculiarità nautica, si connotano in chiave propriamente sovranazionale (come la pirateria, lesiva del principio della libertà dell’alto mare, in cui si assegna al precetto penale una funzione politico criminale espressione di una tutela universale)[35].

È proprio l’essenza transnazionale di molti crimini legati alla navigazione a legittimare, nei casi più gravi, una pretesa giurisdizionale basata su un principio di competenza internazionale che importa un ventaglio di problematiche di sicuro interesse per il penalista e che richiede necessariamente un approccio integrato. Si pensi alla validità della legge penale nello spazio, alla difficile identificazione del locus commissi delicti e agli inevitabili conflitti di giurisdizione di cui si è accennato e, ancora, all’intreccio tra istanze preventive e repressive e alle complesse cooperazioni in ambito giudiziario e di polizia[36].

In particolare l’azione di contrasto impone, non di rado, un superamento dell’equilibrio giurisdizionale, che a sua volta riflette il difficile coordinamento nel dedalo di convenzioni internazionali, direttive comunitarie, leggi nazionali, regolamenti, circolari ministeriali. Del resto la natura e i rapidi sviluppi evolutivi dei fenomeni criminali connessi alla navigazione contrastano con la pretesa cristallizzazione della disciplina e non consentono una adeguata sistematizzazione normativa.

8. Conclusioni

Il diritto penale della navigazione contiene, ovviamente, delitti e contravvenzioni; per espressa previsione legislativa (art. 1087 c. nav.), le disposizioni relative ai delitti (artt. 1088-1160 c.  nav.)  non sono applicabili alla navigazione interna, mentre alla stessa risultano applicabili le contravvenzioni (che, quindi, risultano applicabili alla navigazione sia marittima che interna).

Tale limitazione è giustificata dal fatto che la navigazione interna avviene in un contesto di minor rischio e in luoghi soggetti alla sovranità dello Stato,  mentre  le  disposizioni  concernenti  i  delitti  della  navigazione  sono ispirate    all’esigenza  di  salvaguardare  il  vincolo  di  soggezione  alla legge  ed  all’autorità  in  situazioni  in  cui  esso  risulta,  di  fatto,  meno agevolmente  esercitabile,  e  di  garantire  la  sicurezza  della  navigazione  dai peculiari  pericoli  che  il  mare  e  l’atmosfera  possono  continuamente determinare.

Da quanto descritto, in particolare dalle brevi considerazioni riportate in questo lavoro, si desume come detta materia, tanto particolare quanto affascinante dal punto di vista giuridico e sistematico, necessiti comunque, come d’altronde tutto il diritto della navigazione, di robuste revisioni e aggiornamenti, vieppiù se si considera che detta materia vive in continuo allineamento e coordinamento con le disposizioni sovranazionali, le quali sovente intervengono nella materia della navigazione, così come tutte le norme speciali  che non trovano collocazione nell’opera codicistica, nonché con le norme penali comuni..

Tra diritto penale della navigazione e diritto penale comune sussiste, oltre alla stretta complementarietà, anche un rapporto, come già è stato evidenziato, di specialità; il primo non può prescindere dai principi che connotano il secondo, ma ne rappresenta – al contempo – una specificazione, essendo espressione di particolari esigenze che possono persino ispirare talune eccezioni.

La specialità del diritto penale della navigazione si fonda sulla necessità di prevedere quegli adattamenti normativi atti a regolamentare le inevitabili peculiarità della materia nautica e aeronautica, dovute essenzialmente al loro tecnicismo e all’ambiente naturale in cui si esplicano.

La stessa (complessivamente inteso sotto il profilo giuridico, scientifico, legislativo, didattico) si accompagna a una sostanziale autonomia, in virtù della quale, ove una fattispecie non sia regolata direttamente da disposizioni proprie del diritto della navigazione, l’integrazione normativa attraverso il diritto comune è concessa solo in via sussidiaria, dopo aver sperimentato se una disciplina era ricavabile dalle disposizioni predette, secondo il procedimento analogico.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. Schiaffino F., Diritto penale marittimo, in Enc. dir. pen. it. (a cura di E. Pessina), XI, Milano, 1908, pag. 409.

[2] Cfr. Rivello P.P., Ambito e connotazioni del diritto penale della navigazione, in Dir. maritt., 1985, 1-2, pag. 4.

[3] Cfr. Petenzi E., Il codice del Re di Babilonia Hammurabi e le antiche regole del trasporto, in Dir. trasporti, 2, 2005, pag. 525, Tocci M., Sintesi storica delle fonti del diritto marittimo dell’antichità e del medio evo, in Dir. trasporti, 2002, pag. 349 ss.

[4] Cfr. Andrich G. L., Naufragio, in Dig. it., XV, Torino, 1909, pag. 1305.

[5] Una fonte attendibile è rappresentata da cinque orazioni pronunciate da Demostene davanti a tribunali ateniesi in cause commerciali (U.E. PAOLI, Studi di diritto attico, Firenze, 1930, pag. 9), ma il testo più importante del diritto ellenico, incorporato nel diritto romano dai giureconsulti classici, è la Lex Rhodia (475-479 a.C.), la prima raccolta di leggi e usi marittimi.

[6] Cfr. Vella M., Reati marittimi, cit., pag. 1189.

[7] Cfr. Gaeta D., Le fonti del diritto della navigazione, Milano, 1965, pagg. 47 ss.

[8] Cfr. De Martino F., Note di diritto romano marittimo. Lex Rhodia, I, in Riv. dir. nav., 1937, I, pagg. 335 ss.

[9] Cfr. Zeno R., Storia del diritto marittimo italiano nel Mediterraneo, Milano, 1946, pag. 89.

[10] Cfr. Rossi S., op. cit., pag. 23.

[11] I Consoli del mare, eletti dalla corporazione e localizzati nelle principali città marinare del Mediterraneo, costituivano una giurisdizione speciale che decideva celermente sulla base di statuti, buoni usi ed equità.

[12] Cfr. Chiaudano M., Consolato del mare (Libro del), in Noviss. dig. it., vol. IV, 1959, pagg. 234 ss.

[13] Cfr. A. Lefebvre D’Ovidio A., Diritto marittimo, in Noviss. dig. it., V, 1960, pag. 942.

[14] Cfr. D. Gaeta D., op. cit., pag. 154.

[15] Cfr. Spasiano C., voce Diritto penale della navigazione, in Enc. dir., vol. VII, 1960, 260 e ss.; sullo stesso argomento Vidali V., Diritto penale della navigazione, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1959; Grigoli M., voce Processo per reati della navigazione, in Enc. Giur., vol. XXIV.

[16] Cfr. Rivello P.P., op. cit., pagg. 262 e ss.

[17] Cfr. Vidali D. op. cit., pag. 986 sostiene che la collocazione delle disposizioni penali della navigazione nel codice della navigazione è determinata dal loro contenuto e dagli scopi cui sono finalizzate. In particolare, l’Autore ravvisa nell’ambiente il trade union ed il substrato comune delle norme della navigazione.

[18] Cfr. Leone G., in Considerazioni sulla sistemazione del diritto penale della navigazione, in Studi per la codificazione del diritto della navigazione, vol. I, Roma, 1940, dove individuava la necessità di contemperare due opposte esigenze: non gravare il diritto della navigazione di norme penalistiche anche al fine di non svalutare il primo; ed al tempo stesso, regolamentare in modo dettagliato le ipotesi criminose connesse alla navigazione e non previste dal codice penale.

[19] Cfr. Rossi S., Il Sistema penale della navigazione. Contributo allo studio del diritto penale marittimo, in Collana della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento, 27/2020, pag. 51.

[20] Cfr. Padovani T., Reati della navigazione, in Enc. dir., XXXVIII, Milano, 1987, pag. 1193.

[21] Cfr. Romagnoli E., I delitti della navigazione: cenni introduttivi al diritto penale marittimo, in Trasporti: diritto economia politica – n. 108, EUT 2009.

[22] Cfr. Leone G., Considerazioni sulla sistematica del diritto penale della navigazione, cit., pag. 116.

[23] Cfr. Padovani T., op. cit., pag. 1196.

[24] Cfr. Rossi S., op. cit.

[25] Cfr. Bricola F., Cospirazione politica mediante accordo o associazione, in Enc. dir., XI, 1962, pag. 124.

[26] Cfr. Carrara F., Programma del corso di diritto criminale, Parte generale, Firenze, 1897.

[27] Cfr. Marini G., Lineamenti del sistema penale, Torino, 1988, pag 598.

[28] Cfr. Manzini V., Trattato di diritto penale italiano, I, Torino, 1908, pag. 355.

[29] Cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale, Pt. gen.,7 ed., Bologna, 2014, pag. 213.

[30] Cfr. Pagliaro A., Principi di diritto penale, Pt. gen., 8 ed., Milano, 2003, pag. 167.

[31] Cfr. Mantovani F., Diritto Penale, Pt gen., 10 ed., Padova, 2017, pag. 373.

[32] Cfr. Manca P., Studi di diritto della navigazione, cit., pag. 133.

[33] Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di Diritto penale, Pt. gen., 8  ed., Milano, 2019, pagg. 466-467.

[34] Tra i reati esclusivi della navigazione, v., tra gli altri, l’art. 1091 cod. nav. (Diserzione); art. 1094 cod. nav. (Inosservanza di ordine da parte di componente dell’equipaggio); art. 1097 (Abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte del comandante); art. 1098 (Abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte di componente dell’equipaggio); art. 1112 (Esecuzione o rimozione arbitraria e omissione di segnali); art. 1140 (Falsa rotta). Tra quelli non esclusivi della navigazione v., a titolo esemplificativo, l’art. 1113 cod. nav. (Omissione di soccorso) e l’art. 1120 cod. nav. (Ubriachezza) in relazione all’art. 1121 cod. nav.

[35] Cfr. Rossi S., op. cit., pag. 182.

[36] Cfr. Rossi S., op. cit. pag. 183.