Pubbl. Mar, 19 Dic 2023
Dalle autorità portuali alle autorità di sistema portuale: funzioni di governo e funzioni di gestione
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Roberto Colucciello
Il passaggio dalle Autorità Portuali in Autorità di Sistema Portuale è stato dettato dall’esigenza di ridisegnare la governance delle Autorità e il ruolo delle Regioni e gli Enti locali in materia onde procedere alla unificazione delle procedure doganali e amministrative in materia di porti; bisogna dire, però, che le funzioni sono rimaste pressochè identiche. Uno degli aspetti su cui si era incentrata l’attenzione era quello relativo alle funzioni di gestione economiche, anche per uniformarsi a ciò che detti enti rappresentano negli altri stati comunitari, ossia enti pubblici economici. Gli ultimi sviluppi giurisprudenziali, però, escludono che le Autority possano svolgere funzioni economiche.
From Port Authotities to Port system Authorities: government functions and management functions
The transition from the Port Authorities to the Port System Authorities was dictated by the need to redesign the governance of the Authorities and the role of the Regions and local authorities in this area in order to proceed with the unification of customs and administrative procedures in the field of ports; It must be said, however, that the functions have remained almost identical. One of the aspects on which attention was focused was that relating to economic management functions, also to standardize what they represent in other Member States, i.e. public economic bodies. The latest developments in case law, however, exclude the possibility that Autority can perform economic functions.Sommario: 1. Introduzione; 2. Cenni storici; 3. Dalle Autorità Portuali alle Autorità di Sistema Portuale; 4. Funzioni alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali; 5. Conclusioni.
1. Introduzione
Le strutture portuali, intese nella loro concezione dinamica più che statica, rappresentano degli asset strategici per il recupero della competitività del Paese.
Per valorizzare il loro potenziale, ad oggi espresso, a parere di chi scrive, solo in parte, è necessaria una specifica programmazione e gestione che ne definisca la visione in un’ottica futura e la declini nella dimensione operativa.
Lo stato dell’arte richiede di rafforzare il livello di competitività dei porti italiani, minacciati dalle migliori performance sia porti del Nord Europa che del Mediterraneo, ovvero l’esigenza di attrarre gli operatori privati che, oltre ad operare sono sempre più condotti anche ad investire nei sedimi portuali, posto che l’attuale congiuntura economica, caratterizzata da vincoli di bilancio sempre più stringenti e risorse sempre più scarse, ha dato luogo alla necessità di far ricorso a fonti di finanziamento esogene rispetto a quelle pubbliche.
Affinché gli operatori privati possano operare ed investire efficacemente nel settore portuale è però fondamentale garantire un quadro normativo certo, in cui ruoli e responsabilità siano chiaramente delineati.
Scopo di questo lavoro, dopo aver affrontato la genesi storica della governance portuale, mai fuori moda, anzi base per comprendere al meglio gli sviluppi futuri, è quello di delineare il passaggio dalle autorità portuale alle autorità di sistema e spiegarne la ratio, e, successivamente, tralasciando in quanto non oggetto del presente lavoro organi e compiti, fare menzione degli ultimi orientamenti giurisprudenziali che hanno delineato, e, in sostanza confermato, quella che rappresenta la summa divisio tra funzioni di governo e funzioni operative di gestione.
2. Cenni storici
Secondo il combinato disposto tra gli artt. 822 c.c. 28 c. nav., i porti rientrano nella categoria di beni demaniali, ossia beni pubblici appartenenti al demanio marittimo e, pertanto sono beni che risultano di proprietà pubblica, atti a soddisfare i cc.dd. pubblici usi del mare.
Per quanto concerne l’aspetto definitorio, in assenza di una qualsivoglia definizione giuridica, è possibile rinvenire una nozione di porto sulla base delle soluzioni interpretative fornite dalla dottrina[1]; per quanto riguarda detto orientamento, andrebbero individuati quelli che sono gli elementi costitutivi della nozione di porto sia dal punto di vista meramente strutturale, e ciò per gli aspetti della conformazione naturale e di quella artificiale, sia dal punto di vista funzionale.
In base a quanto rappresentato, è possibile rilevare che il porto rappresenterebbe un luogo delimitato, area di mare e terra, circoscritta dalla conformazione fisica in cui sorge e/o da strutture all'uopo predisposte dall'uomo, tale da essere idoneo a proteggere dall'azione dei venti e del mare l'approdo e la sosta delle navi[2].
Le problematiche di carattere interpretativo, inerenti alla nozione di porto, nel tempo hanno interessato anche la giurisprudenza, la quale si è pronunciata in merito all’origine naturale ed anche artificiale del bene in esame[3].
Tralasciando la visione statica del porto, ossia la sua natura di bene demaniale, dall'altro esso può essere altresì considerato dinamicamente, in forma imprenditoriale, quale centro di attuazione di servizi pubblici e privati concernenti in genere la movimentazione delle navi e le attività complementari al trasporto marittimo[4].
Risulta interessante, al fine di comprendere il substrato ideologico e normativo su cui si è poi innestata la riforma attuata con la Legge 28 gennaio 1994 n. 84, come fosse regolato il regime gestionale e amministrativo dei porti italiani prima di detta riforma.
In tale contesto, le disposizioni regolanti il sistema portuale erano contenute all’interno del Codice della Navigazione, il quale attribuiva ogni competenza in materia di amministrazione, vigilanza e regolazione del porto alle Capitanerie di Porto, nonché in un susseguirsi di leggi speciali, ai sensi delle quali, il governo del porto era affidato a specifiche organizzazioni portuali; Nello specifico, tali disposizioni avevano previsto, negli scali di maggiori dimensioni, l’istituzione dei cc. dd. Enti portuali, ai quali veniva conferito il regime organizzativo del porto[5].
Per quanto riguarda la natura giuridica, come da giurisprudenza allora consolidata, gli enti portuali sono stati inquadrati all’interno della categoria degli enti pubblici economici, capaci di svolgere un ruolo fondamentale nella gestione dei servizi portuali, con il compito sia di amministrare le attività portuali, sostituendo all’uopo lo Stato, sia di gestire il porto, svolgendo le funzioni economiche ed imprenditoriali legati alla movimentazione delle merci ed allo sviluppo dei traffici portuali[6].
L’origine di tale commistione fra funzioni di amministrazione e di gestione svolte dagli enti portuali si deduce dalla deroga posta dalle suindicate leggi istitutive alla regola generale prevista all’art. 111 c. nav. (oggi abrogato), laddove mentre la norma codicistica prevedeva l’affidamento in concessione delle operazioni portuali ad imprese private, le leggi istitutive assegnavano ad alcuni enti portuali sia funzioni di regolazione e di controllo sia di gestione diretta delle operazioni di imbarco e sbarco delle merci, generando quindi una restrizione degli ambiti di operatività, che ai sensi dell’art. 111 c. nav erano riservati alle imprese concessionarie, nell’offerta dei servizi all’utenza portuale.
La realtà dei porti italiani, sotto l’aspetto gestionale, oltre agli enti portuali vedeva altresì la presenza delle cc.dd. Aziende dei mezzi meccanici e dei magazzini generali, istituite con Legge 9 ottobre 1967, n. 961 [7].
Mentre in origine, tali enti erano deputate a svolgere funzioni di gestione dei mezzi meccanici di carico e scarico, nonché dei beni immobili e pertinenze, di proprietà dello Stato, destinati ai traffici marittimi, successivamente, alle stesse era riconosciuta la facoltà, dietro apposita autorizzazione ministeriale, di svolgere operazioni portuali e altre attività commerciali relative al porto, ragion per cui anche alle Aziende dei mezzi meccanici è stata riconosciuta la natura di ente pubblico economico, come peraltro espressamente previsto dalla Legge n. 494/1974[8].
In quegli anni, la libertà di iniziativa economica veniva fortemente limitata dalla c.d. riserva di lavoro portuale, prevista dall’art. 111, comma 4 c. nav. (oggi abrogato), ai sensi del quale l’imprenditore concessionario dell’esercizio delle operazioni portuali doveva affidare la prestazione della manodopera portuale, necessariamente, alle Compagnie portuali. Quest’ultime costituivano delle forme associative di lavoratori portuali, di tipo cooperativo, cui era riservata ex lege, ai sensi dell’art. 110 c. nav., l’esecuzione delle operazioni portuali ed alla quale potevano risultare iscritti esclusivamente lavoratori in possesso della cittadinanza italiana.
Detto ciò, appare evidente come l’ordinamento portuale necessitasse di una riforma organica; detta esigenza si palesò ancora più nettamente in conseguenza della sentenza, nota come Porto di Genova I, resa il 10 dicembre 1991 21, in cui la Corte di Giustizia Europea, ha dichiarato l’illegittimità della c.d. riserva di lavoro portuale a favore delle imprese concessionarie e delle Compagnie dei Lavoratori Portuali, in quanto incompatibile con la normativa prevista dal Trattato comunitario, volta a tutelare il libero accesso al mercato e la libera circolazione delle merci[9].
Nello specifico, le questioni affrontate dalla Corte di Giustizia CE nella causa fra le parti Siderurgica Gabrielli e Merci Convenzionali Porto di Genova, traeva origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale promossa dal Tribunale di Genova ex art. 177 del Trattato CEE, relativamente all'esecuzione di operazioni di sbarco di merci nel porto di Genova. Conformemente a quanto disposto dall'art. 111, c. 1°, del c. nav., la società Siderurgica Gabrielli si era dovuta avvalere della Società Merci convenzionali Porto di Genova S.p.A., concessionaria dell'esercizio di operazioni portuali per conto terzi, la quale, a sua volta, ai sensi dell'art. 110, ultimo comma, c. nav., si era rivolta, ai fini dell'esecuzione di dette operazioni, alla Compagnia portuale di Genova, dal momento che la diversa nazionalità rispetto a quella italiana del personale della nave ne precludeva l'impiego, ai sensi degli artt. 152 e 156 del Reg. Nav. Mar.
Uno sciopero da parte delle maestranze della Compagnia, tuttavia, aveva causato un significativo ritardo nelle operazioni di scaricazione della merce, inducendo la società Siderurgica Gabrielli ad agire per il risarcimento dei danni e per la ripetizione degli importi corrisposti, ritenuti sproporzionati rispetto alle prestazioni rese.
In sede giudiziaria, l’organo giudicante comunitario sottolineava l’incompatibilità tra le norme del Trattato comunitario e la normativa di uno Stato membro che conferisca ad un’impresa stabilita in questo Stato il diritto esclusivo d’esercizio delle operazioni portuali e le imponga di servirsi, per l’esecuzione di dette operazioni, di una compagnia portuale composta esclusivamente di maestranze nazionali.
La celeberrima pronuncia, alla quale non hanno esitato ulteriori occasioni di censura da parte della Commissione Europea, ha posto le basi per una profonda revisione del sistema portuale, tramutatesi poi nell’approvazione della Legge 28 gennaio 1994, n. 84.
In Italia si è assistito, infatti, alla valorizzazione del principio di separazione fra l’organismo tenuto alla regolazione del sistema portuale, un’Autority pubblica avente carattere tecnico, e il gestore delle infrastrutture e dei servizi portuali, imprese private selezionate in virtù di una procedura trasparente e ad evidenza pubblica.
Con l’entrata in vigore della Legge 84/94 nell’ordinamento portuale sono stati soppressi gli Enti Portuali e le Aziende dei Mezzi meccanici con la conseguente istituzione dell’Autorità portuale, ossia una nuova figura di ente pubblico, capace di svolgere sia funzioni di regolazione, al fine di rendere il sistema portuale competitivo, sia funzioni di promozione, rendendosi garante dello stesso sistema all’esterno e nei mercati di riferimento[10].
Il sistema portuale italiano a seguito della riforma del 1994 è stato profondamente innovato, attraverso l’introduzione di assetti istituzionali ed organizzativi che, almeno nella fase iniziale, si può ben affermare che hanno avuto il merito di aver fatto crescere i traffici marittimi del paese.
Nel corso degli anni, al fine di migliorare l’efficienza delle attività produttive ed uniformare l’impianto normativo alle esigenze nascenti all’interno del sistema portuale, in molte occasioni si sono poste le basi per apportare delle modifiche alla Legge 84/94[11].
3. Dalle Autorità Portuali alle Autorità di Sistema Portuale
L’esigenza di innovare la materia della gestione portuale si sono fatte sempre più stringenti, e detta esigenza si è sviluppata sostanzialmente lungo tre direttrici: la governance dei porti, la programmazione e la pianificazione delle aree, le attività economiche ed i servizi portuali.
La realtà portuale italiana, consapevole del fatto che i porti costituiscono infrastrutture foriere di sviluppo e ricchezza per il paese, ha avvertito l’esigenza di modificare fermamente il regime amministrativo dei propri porti.
Per quanto concerne la gestione dei porti, la riforma si propone di rinforzare il principio di separazione fra attività di impresa ed amministrazione, affidando espressamente all’Autorità portuale ente pubblico non economico e alle Autorità marittime, laddove istituite, l’amministrazione delle aree e dei beni del demanio, le funzioni di regolazione e di controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali che si svolgono all’interno del porto[12].
Le diverse competenze fra le due autorità sono state definite in maniera più precisa, attribuendo la safety e la security in via esclusiva alle autorità marittime e riservando, quindi, l’amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo in via esclusiva alle Autorità portuali.
La Legge n. 84/1994 di riforma dell’ordinamento portuale, in applicazione dei principi comunitari in tema di concorrenza ed al fine di superare la situazione di monopolio, ha previsto negli scali di più grandi dimensioni, a mezzo dell’art. 6, primo comma, della L. 84/94, la trasformazione degli Enti pubblici economici portuali in Autorità portuali.
La scelta del Legislatore, in sede di riforma dell'ordinamento portuale, relativamente al modello di organo del governo portuale, è stata operata tenendo conto dell’idoneità a soddisfare le esigenze connesse al nuovo assetto che si intendeva conferire alla gestione degli scali, in base ai modelli affermatisi nel più ampio contesto europeo.
I modelli di amministrazione portuale più diffusi possono essere racchiusi secondo la seguente classificazione[13]:
− Landlord Port Authority, in cui opera un principio di separazione tra le funzioni promozionali, programmatorie, pianificatorie e regolatorie in capo all'ente, e l'esercizio di attività economiche e commerciali in capo alle imprese private;
− Comprehensive Port Authority, in cui pressoché tutte le attività che trovano svolgimento nell'ambito portuale vengono considerate in forma di servizio pubblico, con conseguente estensione dei poteri in capo all'ente nonché con la possibilità che esso stesso eroghi direttamente operazioni e servizi economiche e commerciali;
− Company Port, in cui il porto è configurato come una “impresa”, in cui le funzioni gestionali, amministrative e manutentive sono affidate ad una società privata, peraltro proprietaria del bene porto.
Mentre l’ultimo tra i modelli enunciati non può essere rispondente nell'ambito dell'ordinamento interno, stante la natura demaniale del bene giuridico porto, ed il secondo corrisponde al regime giuridico precedente all'emanazione della L. 84/94, è evidente che il modello al quale si è conformata l'Autorità Portuale così come delineata nella normazione in oggetto, corrisponda al Landlord Port Authority.
La scelta di tale modello, inoltre, risponde adeguatamente alle esigenze di ristrutturazione della governance portuale, con particolare riferimento a quella volta a disegnare un modello idoneo a consentire la massima apertura al mercato nei confronti dell'iniziativa economica privata, accanto all'impegno perseguito nello sviluppo dell'area portuale, trovando in tal modo applicazione il principio di separazione.
L’esigenza sempre più stringente di una nuova riorganizzazione della gestione portuale si è concretizzata con il Decreto legislativo sulla Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, approvato a luglio 2016 e nato dall’alveo del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica (Psnpl 2015).
È una riforma della storica legge n. 84/1994, di cui da diversi anni ormai era stata chiesta una revisione.
La novella legislativa nasce da un percorso che ha visto una prima approvazione nel Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2016 e successivi pareri della Conferenza unificata, del Consiglio di Stato, nonché delle Commissioni preposte di Camera e Senato.
Uno degli elementi più discussi della riforma è stata la riduzione del numero delle Autorità portuali, con il passaggio da ventiquattro alle nuove quindici Autorità di sistema portuale, comprendenti anche porti che oggi non sono sede di autorità portuale[14].
Il destino delle vecchie Autorità portuali non trasformate in Autorità di sistema è stato oggetto di un serrato dibattito tra le regioni e i territori di appartenenza che hanno ottenuto, in sede di Conferenza unificata, una moratoria di tre anni, anche se il passaggio è stato contestato dal Consiglio di Stato che vi ha visto un potenziale differimento dell’efficacia della riforma.
La legge 7 agosto 2015 n. 124 conteneva, tra le altre deleghe al Governo in materia di riorganizzazione della amministrazioni pubbliche, anche quella per la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità Portuali di cui alla Legge n. 84/94, che aveva come obiettivo quello di istituire un sistema portuale, ridisegnando la governance delle Autorità e il ruolo delle Regioni e gli Enti locali in materia onde procedere alla unificazione delle procedure doganali e amministrative in materia di porti.
Nella continuità del disegno organizzativo, si è innestata una specifica riforma incentrata sulla nuova figura dell’Autorità di Sistema Portuale, al cui interno sono confluiti i porti delle soppresse Autorità Portuali e altri porti minori.
La contrazione del numero delle Autorità Portuali e l’estensione della competenza territoriale dell’AdSP dal porto al sistema, sono le più evidenti innovazioni introdotte dal D. lgs. 169/2016.
Gli obiettivi delle neocostituite Autorità di Sistema, e le relative attribuzioni, sono rimaste sostanzialmente identiche a quelle delle soppresse Autorità Portuali[15], mentre è stata esplicitata la funzione di regolazione e rafforzata la posizione del Presidente, il cui procedimento di nomina è stato, sotto certi aspetti, semplificato; altresì sono state poi poste alcune innovazioni al procedimento di elaborazione del piano di sistema portuale che ricalca, in buona sostanza, quello precedente del piano regolatore portuale; non sono state, invece, apportate modifiche al procedimento per l’adozione del piano operativo triennale.
A mezzo dell’istituzione di uno sportello unico amministrativo e dello sportello unico doganale si è inteso, inoltre, semplificare le pratiche e gli adempimenti burocratici per gli operatori e gli utenti dei porti.
Le novità introdotte dal D. Lgs. n. 169/2016 più rilevanti e consistenti sono state apportate alla struttura degli organi e alla governance delle attuali Autorità di Sistema.
L’art. 12 della novella precisa che l’Autorità di Sistema tra le altre cose, non è sottoposta solo alla vigilanza, ma anche all’indirizzo del Governo, che altro non è che l’instaurazione di un rapporto di direzione che limita l’autonomia estesa di un operatore, soggetto solo alla vigilanza sugli atti; il superiore Dicastero non solo vigila sugli atti, ma anche coordina l’azione amministrativa e gestionale delle singole Autorità di sistema portuale.
Più che aggregare porti, azione comunque necessaria ai fini di una maggiore semplificazione, l’obiettivo che l’azione strategica pianificata oggi sembra perseguire è, piuttosto, quello di ricondurre la gestione autonoma di singoli porti, visti prima nell’ottica di terminali di reti infrastrutturali terrestri, nella nuova e diversa prospettiva di elementi costituenti l’infrastruttura del sistema mare.
Porti, nodi, e autostrade del mare diventano, così, il tessuto connettivo dell’infrastruttura marittima che rende economica o diseconomica, non un’offerta trasportistica soltanto, ma l’intera dimensione economica del Paese.
È, dunque, la competitività dell’infrastruttura marittima del sistema mare il nuovo obiettivo che ha sollecitato gli adeguamenti della struttura organizzativa e dei processi decisionali del modello consolidato delle Autorità di gestione di porti.
L’art. 11 ter, attribuisce questa effettiva potestà di coordinamento alla Conferenza nazionale di coordinamento delle Autorità di Sistema Portuale, istituita presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con il compito di coordinare e armonizzare, a livello nazionale, le scelte strategiche che attengono i grandi investimenti infrastrutturali, le scelte strategiche di pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo, nonché le strategie di marketing e promozione sui mercati internazionali del sistema portuale nazionale, operando, altresì, la verifica dei piani di sviluppo portuale, attraverso specifiche relazioni predisposte dalle singole Autorità di Sistema Portuale. Il quadro normativo enuncia, dunque, in modo chiaro ed esplicito, la direzione di una svolta fortemente innovativa nella gestione dei porti.
Questa svolta centralistica è supportata dal disposto dell’art. 6, comma 14, della l. n. 84/94, nel testo modificato dal D. Lgs. n. 169/2016: decorsi tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto delegato, valutate le interazioni fra le piattaforme logistiche e i volumi di traffico, può essere ulteriormente modificato il numero delle Autorità di Sistema Portuale.
La composizione della Conferenza sottolinea, poi, il ruolo che assume l’organismo, non solo di coordinamento delle Autorità di sistema portuale, ma anche di raccordo, ad esempio, con la conferenza Stato – Regioni e di collaborazione con i sindacati.
La Conferenza è presieduta dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ed è composta dai Presidenti delle diverse autorità di sistema portuale, nonché da cinque componenti rappresentanti designati dalla conferenza unificata, di cui tre delle Regioni, uno delle Città metropolitane e uno dei Comuni.
Il Ministro può, con proprio decreto, nominare un esperto di comprovata esperienza e qualificazione professionali nei settori dell’economia dei trasporti e portuali, con compiti di supporto, il quale, per lo svolgimento dei sui compiti, può avvalersi dei competenti uffici del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Più interessante è il terzo comma dell’art. 11 ter, che sottolinea il ruolo centrale nella governance dei porti che assume la Conferenza che, nell’ambito delle attività cui essa è preposta, in sede di conferenza Stato–Regioni, è definito e approvato un accordo quadro nazionale volto ad integrare l’esercizio delle rispettive competenze e sostenere attività di interesse comune in materia di sviluppo logistico di area vasta a supporto del sistema delle diverse Autorità di sistema, anche ai fini della loro integrazioni ai corridoi europei e alle rotte del commercio internazionale[16].
4. Funzioni alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali
In relazione alle funzioni espletate dagli enti di gestione portuale, il modello organizzativo prescelto dalla legge n. 84 del 1994 sarebbe ispirato al principio di netta separazione tra regolazione e gestione: alle imprese operanti ed in possesso dei pertinenti titoli concessori/autorizzatori sarebbe rimesso l'intero corpo delle attività a contenuto economico del porto, mentre alle Autorità Portuali competerebbero funzioni di indirizzo e di regolazione della concorrenza[17].
Tralasciando i diversi compiti che, ex lege, competono alle Autorità prima, e di Sistema poi, si vuole evidenziare l’aspetto delle funzioni di indirizzo e di regolazione della concorrenza.
L’impostazione poc’anzi enunciata, di indirizzo sicuramente maggioritario nell’ambito della giurisprudenza amministrativa[18], ha senza dubbio ispirato anche la recente novella in materia di ordinamento portuale.
Secondo, invece, una diversa impostazione, rinvenibile nell'orientamento assunto in ambito europeo[19], le ormai soppresse Autorità portuali (e l'approccio non sembra dover subire adattamenti a seguito del mutamento di governance apportato dal d.lgs. n. 169/2016) sarebbero dei veri e propri enti pubblici economici.
Seguendo questo filone, il principio ispiratore del modello di gestione portuale italiano non consisterebbe nella separazione tra regolazione (pubblicistica) e gestione (economica) delle attività portuali, ma in quello di separazione tra gestione (economica) di un'infrastruttura essenziale e gestione (anch'essa economica) dei servizi che tramite l'infrastruttura possono essere erogati all'utenza.
Il D. Lgs. 169/2016, con l’art. 6, comma 5, attribuendo all’Autorità di Sistema Portuale la qualifica di ente pubblico non economico sembra volersi indirizzare secondo la direttrice della separazione delle funzioni, ossia tra regolazione e gestione economica.
Tale ultimo assunto risulta confermato da un ampio filone dottrinario[20], secondo il quale le finalità volute dal legislatore, del ’94 prima e 2016 poi, consisteva nel sostituire alla vetusta governance per enti portuali, caratterizzata da strane commistioni tra funzioni pubblicistiche e attività imprenditoriali, un modello fondato su un trasparente principio di separazione tra regolazione e gestione delle attività portuali a carattere economico.
Nell’ambito di questa visione, aver attribuito alle Autorità di Sistema personalità giuridica di diritto pubblico, risulta perfettamente coerente e aderente a quelle che sono le disposizioni di cui alla pianificazione degli spazi, programmazione infrastrutturale, programmazione e indirizzo, concessione delle aree portuali, coordinamento, ed altre ancora, le quali consisterebbero in attività finalizzate al perseguimento di interessi pubblici attuate a mezzo di strumenti propri del diritto amministrativo[21].
La natura di ente pubblico non economico, quindi, si ricava dalle funzioni di regolazione che hanno natura neutrale, e che consistono principalmente nella potestà concessoria e autorizzativa, nonché dalla natura di governo, non solo della infrastruttura, ma dalla pianificazione, promozione e programmazione sulla stessa.
Successivamente alla novella del 2016, e precisamente con il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2017/352, il legislatore comunitario non ha assunto, sul piano della qualificazione giuridica delle autorità portuali, una espressa ed univoca posizione: pur consapevole, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti nazionali, di una grande varietà di modelli organizzativi, la normativa in esame non persegue , in merito, obiettivi di ravvicinamento delle legislazioni interne; al contrario evidenzia l’opportunità di lasciare del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli stati membri applicabile ai porti marittimi, e consentire strutture portuali diverse negli stati membri.
D’altro canto il Regolamento non impone un modello specifico di gestione dei porti e non intacca la competenza degli stati membri a garantire la fornitura, nel rispetto del diritto dell’unione, di servizi economici di interesse generale.
L’inquadramento rinveniente dal legislatore nazionale del ‘94 e 2016, è confermato anche dalla giurisprudenza maggioritaria; di seguito verranno elencate, tralasciando le pregresse, due recentissime pronunce emesse da giudici diversi, ma confluenti verso l’indirizzo testé menzionato.
Con la sentenza n. 6716 del 10 marzo 2020, la Corte di Cassazione, Sez. Trib., si è pronunciata in merito al tema della natura non imprenditoriale delle attività svolte delle Autorità di Sistema Portuale italiane.
In particolare, la Corte, confermando un precedente orientamento, ha escluso che l’attività di concessione di aree demaniali marittime possa consistere in attività di impresa; secondo la Corte nomofilattica, tali attività sono indubbiamente riconducibili nell’alveo delle funzioni statali e non possono essere ricomprese nell'ambito di una attività di impresa, dovendo essere funzionali e correlate all'interesse statale al corretto funzionamento delle arie portuali, concretandosi in poteri conferiti esclusivamente a tal ne, […] con una discrezionalità vincolata, sottoposta a controlli da parte del Ministero dei Trasporti.
Nel provvedimento non ci sono riferimenti a principi dell’ordinamento euro-unitario, sebbene la natura dell’attività delle autorità portuali sia già stata oggetto di una serie di pronunce della Corte di Giustizia dell’Ue in materia di aiuti di Stato.
Con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VII, 11 agosto 2023 n. 7746, nella gestione dei porti il principio di separazione tra funzioni di governo e funzioni operative di gestione, punto cardine della riforma realizzata fin dal 1994 dal legislatore e confermato in modo ancor più deciso dalla riforma del 2016, esclude la possibilità che le Autorità possano svolgere, direttamente o tramite partecipazione a società, operazioni portuali e attività ad esse strettamente connesse; infatti, la disposizione dell’art. 6, comma 6, della l. n. 84 del 1994 e, ora, dell’art. 6, comma 11, della stessa legge dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2016, fa espresso divieto alle Autorità di Sistema Portuale di svolgere direttamente o indirettamente, tramite società partecipate, operazioni portuali o attività ad esse strettamente connesse per il principio, connesso alla ormai riconosciuta natura attribuita dal legislatore – art. 6, comma 5 – a tali Autorità di enti pubblici non economici istituiti per soddisfare bisogni di interesse generale, cui spetta «la funzione di soggetto regolatore e non produttore di servizi portuali, sul piano non solo funzionale, ma anche finanziario.
La separazione tra funzioni regolatorie e svolgimento, diretto o indiretto, di attività imprenditoriali è netta per le Autorità di Sistema Portuale e non conosce deroghe se non nei casi, tassativi ed eccezionali, dello svolgimento di attività economiche, in particolare, art. 23, comma 5, della l. n. 84 del 1994, meramente funzionali al perseguimento di finalità di interesse pubblico relative alla promozione e allo sviluppo del sistema portuale, nel rispetto, peraltro, dell’obiettivo principale della riforma del 2016 e, cioè, quello di evitare in ogni modo commistioni di ruoli caratterizzanti, in passato, l’ormai abrogato modello degli enti portuali.
5. Conclusioni
Se le innovazioni introdotte con la novella del 2016 sostanzialmente non alterano, a livello organizzativo e pianificatorio, il modello di Autorità per la gestione dei porti definito dalla legge di riforma, e si configurano come interventi che ne migliorano l’efficienza, evidenziando significativi elementi di continuità, gli obiettivi strategici del piano della portualità e della logistica, e le nuove forme di governance introdotte con l’istituzione di una Conferenza di coordinamento, rappresentano azioni strategiche di politiche di sviluppo, che con la riduzione del numero delle autorità sottoposte all’indirizzo del Governo, procedono nel senso di una riduzione dell’autonomia dell’Ente e del ruolo delle autonomie locali, verso un accentramento del potere decisionale del Governo nazionale[22].
La novella del 2016 ha comunque cercato di migliorare il livello di concorrenzialità tra porti, in un’ottica, da un lato, di efficienza dell’intero sistema amministrativo nazionale e, dall’altro, di efficienza nella realizzazione delle opere infrastrutturali[23].
L’esigenza di una riforma era ormai necessaria, ed è stata confermata, anche dagli esiti del Global Competitiveness Index pubblicati dal World Economic Forum[24] , dove l’Italia risultava al 49º posto nella classifica mondiale e al 26° per qualità ed efficienza delle infrastrutture, superata da tutti i Paesi UE dell’area Mediterranea (Francia all’8° posto, Spagna al 9°, Portogallo al 17°), ad eccezione della Grecia (36° posto).
Più in generale, l’Italia scontava un ritardo diffuso su tutti i pilastri della competitività che generalmente sono presi in esame (Institutions, Infrastructures, Macroeconomic Environment, Health and Primary Education), ma ancora più allarmante era il dato di dettaglio relativo alla qualità dell’infrastruttura portuale, rispetto a cui l’Italia si posizionava al 55º posto, dopo, tra gli altri, a Spagna, Portogallo, Irlanda, Francia, Marocco, Grecia e Croazia[25].
Un ulteriore importante tassello è stato inserito dalla politica europee delle Reti TEN-T consolidatasi con il Reg. UE 1315/2013[26], il quale, seppure indirettamente, ha incoraggiato l’istituzione di enti di gestione con competenze in più realtà portuali.
Infine, fa da cornice all’intero quadro la strategia Horizon 2020[27], la quale, sottolineando la necessità di favorire la coesione di tutte le aree del Paese, ha evidenziato l’urgenza di coordinamento delle priorità di investimento, nonché l’esigenza di superare l’individualismo portuale razionalizzando la governance del sistema.
Ovviamente, anche la riforma del 2016, unitamente agli indirizzi giurisprudenziali nazionali, relativi alla separazione tra funzioni regolatorie e svolgimento di attività economiche, abbisognerà di ulteriori riflessioni, soprattutto relativamente al secondo aspetto, laddove a livello comunitario sembra che la strada da percorrere sia nella direzione opposta.
[1] Cfr. XERRI SALAMONE A., L'ordinamento giuridico dei porti italiani, Milano, 1998, pagg.11 e ss.; sullo stesso argomento CHILLEMI D.L., Il porto e le aree portuali, in LA TORRE U. - MOSCHELLA G. - PELLEGRINO F. - RIZZO M.P. - VERMIGLIO G. (cura di), Studi in memoria di Elio Fanara, II, Milano, 2008, pagg. 33 e ss.;
[2] Cfr. DEIANA M., Considerazioni sulla definizione giuridica di porto e sulla tassa di sbarco, nota a sentenza del Tribunale di Cagliari, 8 novembre 1988, n. 14559, in Rivista giuridica sarda, I, 1990, pagg. 47 e ss.
[3] A tal proposito il Consiglio di Stato, con sentenza n. 1601 del 27 marzo 2003, ha posto l'accento sul fatto che “l'art. 28 c.nav. presuppone una realtà che deve esistere naturalmente, e come tale assolvere alla funzione sua propria, anche senza opere di adattamento o perfezionamento, intendendosi con tale nozione il tratto di mare chiuso che per la sua particolare natura fisica è atto al rifugio, all'ancoraggio ed all'attracco delle imbarcazioni provenienti dall'alto mare”.
[4] Cfr. LEFEBVRE D'OVIDIO A. - PESCATORE G. - TULLIO L., Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2013, pag. 137.
[5] Cfr. SIRIANNI G., L'ordinamento portuale, Milano, 1981, pag. 73; ancora in LONGOBARDI R., I porti marittimi, Torino, 1997, pag. 187; XERRI SALAMONE A., op. cit., pag. 143 e 151; TACCOGNA G., Le operazioni portuali nel diritto pubblico dell’economia, Milano, 2000, pagg. 11 e ss.
[6] Sulla natura giuridica di ente pubblico economico, per la giurisprudenza cfr., in tal senso, Cass., 28 novembre 1995, 12294 (in Resp. Civ., 1996, 630); Cass., 11 novembre 1996, n. 9851 (in Giust. civ., 1997, 1339); Cass., 12 giugno 1999, n. 334 (in Dir. mar., 2000, 1361); Cass., 25 luglio 2001, n. 10097 (in Dir. trasp., 2002, 274)
[7] Successivamente modificata dalla Legge 10 ottobre 1974, n. 494 e dal D.P.R. 17 aprile 1972, n. 989. Le Aziende dei mezzi meccanici erano state istituite nei porti di La Spezia, Livorno, Ancona, Messina e Cagliari.
[8] Cfr. TACCOGNA G., op. cit., pag. 15
[9] Sul punto Corte di giustizia CE, 10 dicembre 1991, causa C-179/90, Siderurgica Gabrielli c. Merci Convenzionali Porto di Genova, in Dir. mar., 1991, 1128 ss. e in Racc., 1991, I, 5889
[10] Cfr. BERLINGIERI F., Note sulla Legge 28 gennaio 1994, n. 84 sul riordino della legislazione in materia portuale, in Il Diritto marittimo, 1994, pag. 239; sullo stesso argomento VALENTE M., Autorità portuale ed enti locali a dieci anni dalla riforma portuale, in Diritto dei trasporti, 2004, fasc. 2, pagg. 435-446.
[11] Cfr. ZUNARELLI S., La riforma dell'ordinamento portuale italiano. Atti del Convegno: "L'ordinamento portuale italiano a dieci anni dalla riforma: risultati e prospettive", Ravenna 27-28 febbraio 2004, in Collana dei Seminari del Master in Diritto ed Economia dei Trasporti e della Logistica e del Dottorato di Ricerca in Diritto dei trasporti Europeo, Vol. XIII, Bologna, 2006, pp. 159-217.
[12] Cfr. LOPEZ DE GONZALO M., La “regola della separazione” nella disciplina dei servizi portuali ed aeroportuali, in Il Diritto Marittimo, 2005, pagg. 670 e ss.
[13] Cfr. VESPASIANI T., Glossario dei termini economici e giuridici dei porti, dei trasporti marittimi e della logistica portuale, Milano, 2009, pagg. 23 e ss.
[14] Ventiquattro Autorità portuali sono state sostituite da quindici autorità di sistema portuale: 1) del Mar Ligure occidentale; 2) del Mar Ligure orientale; 3) del Mar Tirreno settentrionale; 4) del Mar Tirreno centro-settentrionale; 5) del Mar Tirreno centrale; 6) del Mar Tirreno meridionale e dello Stretto; 7) del Mar di Sardegna; 8) del Mare della Sicilia occidentale; 9) del Mar della Sicilia orientale; 10) del Mare Ionio; 11) del Mar Adriatico meridionale; 12) del Mar Adriatico centrale; 13) del Mar Adriatico centro settentrionale; 14) del Mar Adriatico settentrionale; 15) del Mar Adriatico orientale. Di recente è stata istituita la sedicesima Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, che
scorpora dall’AdSP insediata a Gioia Tauro, i porti calabri di Villa S. Giovanni e Reggio Calabria, e li aggrega ai porti di Milazzo, Messina, e Tremestieri, dell’Autorità Portuale di Messina. Messina è la sede della nuova Autorità di Sistema dello Stretto, istituita ai sensi dell’art. 23bis della l. n. 136 del 17 dicembre 2018, di conversione del d.l. n. 119 del 23 ottobre 2018.
[15]Cfr. Vermiglio E., Dall’Autorità Portuale all’Autorità di sistema portuale: continuità e discontinuità, in Rivista di
Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. XVIII, 2020, pag. 2.
[16] Cfr. VERMIGLIO E., op. cit., pag. 3.
[17] Cfr. RAGUSA M., I rapporti negoziali degli enti di gestione dei porti e il Codice dei contratti pubblici, in Diritto e Politica dei Trasporti, Vol. I, 2018, pag. 23.
[18] Ex multis Cons. di Giust. Amm., sez. giur., 16 febbraio 2011, n. 134 e T.A.R. Toscana (Firenze), 27 marzo 2017, n. 460, ed ancora T.A.R. Puglia (Lecce) 26 giugno 2012, n. 1138.
[19] decisione della Commissione del 27 marzo 2014 (C(2014) 1865 final) sull'Aiuto di Stato SA.38302 (2014/N) - Italia, relativo a un investimento cofinanziato dal FESR per l'ampliamento dell'imboccatura portuale, il consolidamento di un molo commerciale e l'escavo dei fondali nel porto di Salerno (paragrafi 32 ss.). L'orientamento è stato ribadito, da ultimo, nel già citato atto di avvio dell'indagine formale sull'aiuto di Stato SA. 36112 (2016/C) – Italia: "Benché non si possa escludere che, in virtù delle sue funzioni pubbliche, l’autorità portuale di Napoli possa anche svolgere attività di competenza dei pubblici poteri, il parere preliminare della Commissione in questa fase è che, ai fini della presente decisione, l’autorità portuale di Napoli risulta impegnata in attività economiche e va quindi considerata un’impresa" (par. 47).
[20] Cfr. RAGUSA M., Porto e poteri pubblici. Una ipotesi sul valore attuale del demanio portuale, in Contributi di Diritto Amministrativo, Studi e Monografie, collana diretta da SCOCA F.G., CORSO G., GIANI L., D’ORSOGNA M., IMMORDINO M., POLICE A., SANDULLI M.A., SPASIANO M., ESI, Napoli, 2017, pag. 298.
[21] Cfr. RAGUSA M., op. cit., pag. 299.
[22] Cfr. VERMIGLIO E., op. cit. pag. 19.
[23] Cfr. BIGAZZI S., La strategicità della governance portuale: dalla frammentazione al nuovo assetto delle Autorità di Sistema Portuale. Criticità e prospettive alla luce della riforma, in Rivista di Economia e Politica dei Trasporti, 2017, n° 3, pag. 2.
[24] 3 Global Competitiveness Report 2014-2015, World Economic Forum, 2014
[25] Cfr. BIGAZZI S. op.cit., pag. 3
[26] Regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11.12.2013, sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE.
[27] COM(2010) 2020, EUROPA 2020, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.