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Pubbl. Gio, 28 Set 2023

La proroga delle concessioni demaniali marittime: il bene spiaggia da una prospettiva europea e di common law britannico

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Camilla Della Giustina
Dottorando di ricercaUniversità della Campania Luigi Vanvitelli



Prendendo le mosse dall´analisi dell´ordinanza n. 8184/2023 del Consiglio di Stato, il contributo analizza lo stato dell´arte del divieto di proroga delle concessioni demaniali marittime. L´aspetto di novità, e di innovazione, è dato dal riferimento all´ordinamento giuridico di common law, britannico. L´enfasi verrà posta, soprattutto, sul cd. ”right to the beach” di origine romanistica ma, in realtà, concretamente attuato al di là della Manica. Nella parte finale verrà dato conto, altresì, dell´esperienza britannica del costal partnership nella gestione dell´ambiente costiero.


Sommario: 1. Introduzione; 2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; 3. Il contenzioso dinnanzi al Consiglio di Stato; 4. L’ordinanza n. 8184/2023 nel dialogo tra Corti; 5. Il bene balneare tra tutela della concorrenza, digitalizzazione e sostenibilità; 6. La concessioni marittime nel Regno Unito; 7. Conclusioni.

1. Introduzione

La tematica del divieto di proroga delle concessioni balneari è stata posta all’attenzione dei differenti tribunali durante il corso dell’estate 2023. L’ultimo atto è l’ordinanza 8184/2023 del Consiglio di Stato, oggetto di analisi di questo contributo, attinente all’applicazione e interpretazione dell’art. 49 Codice della Navigazione.

L’ordina 8184/2023 rappresenta il punto finale di un dialogo tra giudice nazionale e giudice europeo relativo alla disciplina da applicare alle concessioni balneari a seconda che siano state rilasciate prima o dopo il 2009.

Di qui, dunque, la necessità di indagare la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’ordinanza di remissione del Tar Lecce, per, infine, approdare all’ordinanza 8184/2023 del Consiglio di Stato.

Infine, sarà avanzata una riflessione comparatistica con l’ordinamento giuridico britannico e, precisamente, con il Marine Act, il quale è da riferire non tanto al bene spiaggia quanto all’intero settore marittimo e di gestione della costa.

L’aspetto di novità non è dato dalla mera analisi dell’ultima ordinanza del Consiglio di Stato quanto, piuttosto, dall’evidenziare come in un sistema di common law esista il cd. “right to the beach” elaborato dall’imperatore Giustiniano sia ancora vigente. In altri termini, viene evidenziato che il bene spiaggia appartiene, per regola generale salvo eccezioni, ai privati mentre, in modo differente dall’ordinamento giuridico italiano, è il bene ‘costa’ o ‘mare’ a rappresentare oggetto di regolamentazione.

È ben noto, infatti, che il Regno Unito è una delle principali nazioni marittime: questo gli è riconosciuto da una tradizione storica ed economica. Da qui la centralità e la strategicità del bene mare, dunque dello sviluppo del settore marittimo, nell’economia britannica. Alla luce di ciò, non meraviglia che il bilanciamento tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, da un lato, ed esigenze della produzione, del commercio e del trasporto dall’altro lato siano stati oggetto di differenti iniziative. Il riferimento non è solamente a una attività di regolamentazione, ma anche ad accordi di partenariato tra pubblico e privato, tra Governo e comunità.

2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Con sentenza pubblicata il 20 aprile 2023 nella causa C-348/22, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato dei principi di cruciale importanza per quanto attiene all’efficacia dell’art. 12 della Direttiva “Servizi” (Direttiva 2006/123/CE) e sulla sua applicazione alla materia delle concessioni demaniali marittime.

Con detta pronuncia, infatti, è stato chiarito che la Direttiva in questione si applica a tutte le concessioni di occupazione del demanio marittimo. Ciò prescinde dal fatto che esse siano connotate da un interesse transfrontaliero determinato oppure no.  

Nella medesima pronuncia, la Corte di Giustizia ha evidenziato che le disposizioni dell’art. 12, par. 1 e 2 della Direttiva sono produttive di effetti diretti poiché enunciate in modo incondizionato. In altri termini, il riferimento va, in primis, all’obbligo degli Stati membri di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali. A ciò si aggiunge il divieto di rinnovare, in modo automatico, un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività. Sempre per quanto attiene l’efficacia dei paragrafi 1 e 2 dell’art. 12, si legge nella sentenza che “la circostanza che tale obbligo e tale divieto si applichino solo nel caso in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali utilizzabili, le quali devono essere determinate in relazione ad una situazione di fatto valutata dall’amministrazione competente sotto il controllo di un giudice nazionale, non può rimettere in discussione l’effetto diretto”.

La valutazione circa la portata dell’effetto diretto incombe sia sui giudici nazionali sia sulle autorità amministrative, comprese quelle comunali. Entrambi questi soggetti hanno l’obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali che risultino essere contrarie all’ordinamento dell’Unione Europea e, nel caso di specie, tutte le disposizioni nazionali che prevedono una proroga generalizzata di tutte le concessioni demaniali in essere.

La stessa Corte di Giustizia, in merito all’interpretazione dell’art. 12 par. 1 nella parte in cui conferisce discrezionalità agli Stati membri nella scelta dei criteri applicativi e nella valutazione delle risorse naturali, va a precisare il perimetro di detta discrezionalità. Gli Stati membri possono “preferire una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale, ma anche, al contrario, a privilegiare un approccio caso per caso, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente, o addirittura a combinare tali due approcci”.

Viene aggiunto che “a combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste che possono essere definiti a livello nazionale, assicurando al contempo l’appropriatezza dell’attuazione concreta di tali obiettivi nel territorio costiero di un comune”.

Tuttavia, l’elemento che deve rappresentare la stella polare dell’applicazione è dato dall’adozione di criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati nell’attività di valutazione circa la scarsità delle risorse naturali utilizzabili. Infine, si deve precisare che rimane irrisolto l’interrogativo relativo alle conseguenze che l’effetto diretto, sempre dell’art. 12, par. 1 e 2, può produrre.

La questione prospettata alla Corte di Giustizia è se tutte le opere inamovibili costruite dal concessionario sul terreno affidatogli in concessione restano acquisite al concedente, senza alcun compenso o rimborso e, di conseguenza, se la disapplicazione di detta normativa sia compatibile con l’art. 17 della Carta dei Diritti fondamentali. Sul punto, la Corte si avvale della facoltà di non statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale.

Ciò è possibile quando appaia, in modo manifesto, “che l’interpretazione o il giudizio di validità del diritto dell’Unione che si richiede non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte”.

La controversia oggetto del procedimento principale, infatti, è da riferire alla proroga delle concessioni, non al diritto del concessionario di ottenere, alla scadenza delle concessioni, un compenso, di qualsiasi natura esso sia, per le opere inamovibili che egli abbia, nel frattempo, costruito sul terreno affidatogli in concessione.[1]

3. Il Contenzioso dinnanzi al Consiglio di Stato

L’ordinanza 8184/2023 si inserisce a valle di un dialogo instauratosi tra Consiglio di Stato e Corte di Giustizia dell’Unione Europea poiché, attraverso essa, i Giudici di Palazzo Spada recepisco il dictum della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Volendo ripercorrere la vicenda, la remissione pregiudiziale si inserisce all’interno di un contenzioso amministrativo attinente alla disciplina dell’affidamento delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative e della applicabilità alle stesse della c.d. direttiva servizi.

La peculiarità del caso sottoposto all’attenzione concerne l’esatta interpretazione da fornire all’art. 49 Codice della Navigazione il quale enuncia che “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. 

Prima di addentrarsi nell’analisi dello scambio di ordinanze, si devono ricostruire i fatti storici posti alla base della decisione. La società ricorrente era titolare, sin dal 1928, di uno stabilimento balneare e, nel corso del tempo, aveva realizzato differenti manufatti di difficile rimozione, manufatti che erano stati acquisiti al demanio statale mediante atto di incameramento[2].

Nel 2014 l’amministrazione comunale, in sede di rinnovo della precedente concessione, qualificava pertinenze demaniali (perché acquisite ai sensi dell’art. 49 cod. nav.) i fabbricati realizzati in epoca successiva al 1958 e, di conseguenza, procedeva alla rideterminazione, in aumento, dei canoni concessori.

D fronte a detta decisione, la società balneare presentava ricorso al T.A.R. Toscana, ricorso che veniva respinto[3] e, successivamente, veniva proposto appello al Consiglio di Stato.

In grado di appello, parte ricorrente evidenziava come l’amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto già acquisiti al patrimonio statale i manufatti edificati dal 1958 in poi per due motivi. In primo luogo, veniva evidenziato che il relativo procedimento di incameramento non era mai stato portato a termine e, in secondo luogo, che l’art. 49 Codice della Navigazione non avrebbe potuto trovare applicazione al caso di specie. Questa seconda difesa si fondava sull’assunto secondo cui mancava il presupposto della “cessazione” del rapporto, essendo stato il titolo concessorio rinnovato senza soluzione di continuità. 

A contrario, il Comune riteneva pienamente applicabile l’art. 49 Codice della Navigazione al caso di specie poiché il titolo concessorio, prima di essere rinnovato, risultava cessato. Questo, ergo, avrebbe prodotto l’automatica acquisizione dei beni inamovibili da parte del demanio e la conseguente applicazione del canone maggiorato in sede di rinnovo. 

La difesa di parte ricorrente che indusse la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea atteneva alla possibile violazione degli artt.  49 e 56 TFUE[4] qualora l’art. 49 Codice della Navigazione fosse stato ritenuto applicabile anche alle ipotesi di rinnovo automatico del titolo concessorio.  Questa frizione si materializzerebbe nel momento in cui l’effetto dell’acquisizione dei beni al patrimonio statale risulterebbe sproporzionata rispetto all’obiettivo della norma.

Quest’ultima, infatti, persegue l’obiettivo di assicurare che le opere non amovibili destinate a restare sul territorio finiscano nella piena disponibilità dell’ente proprietario dell’area, ai fini di una corretta gestione dei beni demaniali per prevalenti finalità di interesse pubblico[5].

Appare chiaro che, per la portata della controversia, il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover rinviare la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[6]. Il quesito sottoposto all’analisi della Corte sovranazionale concerneva al possibil contrasto sussistente tra gli artt. 49 e 56 TFUE[7] e l’art. 49 cod. nav. se interpretato “nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”.

In base alla formulazione avanzata dal Consiglio di Stato, l’articolo 49 del TFUE non viene riferito solamente alla tutela della proprietà superficiaria del concessionario, ma anche a tutela del “complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare”. Di, dunque, il riferimento al concetto di azienda come plasmato dall’art. 2555, Codice civile[8].  

4. L’ordinanza n. 8184/2023 nel dialogo tra Corti

La causa pregiudiziale fu iscritta a ruolo[9] ma, con decisione dell’11 luglio 2023, la Corte ha deciso di sospendere il procedimento, formulando una richiesta di chiarimenti al giudice a quo, che sono stati forniti dalla settima sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 8184 del 6 settembre 2023.

Tra i chiarimenti richiesti dalla Corte di Giustizia vi è quello di precisare l’epoca in cui sarebbe avvenuto l’incameramento dei beni di proprietà del concessionario al fine di verificare l’applicabilità o meno della direttiva Bolkestein al rapporto di cui è causa.

Nel fornire una risposta a detti chiarimenti, il Consiglio di Stato ha evidenziato che “in forza dell’articolo 49 del Codice della navigazione, la devoluzione al demanio marittimo avviene automaticamente alla scadenza della concessione, cosicché il procedimento per l’incameramento delle pertinenze demaniali non ancora acquisite ha carattere meramente ricognitivo e dichiarativo”.

Il meccanismo poc’anzi descritto, secondo il ragionamento prospettato dal Consiglio di Stato, sarebbe lesivo dei diritti del concessionario. Viene specificato, infatti, come “sulla base di questo meccanismo, che opera con effetto automaticamente costitutivo del diritto in favore dello Stato al cessare dell’efficacia della concessione, le conseguenze sul piano della tutela dei diritti sono cruciali”. Ciò si materializzerebbe poiché da un lato la devoluzione dei beni del concessionario a favore dello Stato avviene “a titolo oneroso e senza alcun indennizzo”. Dall’altro lato appare evidente che “l’accesso alla giustizia […] così difficile da divenire praticamente impossibile”. In altri termini, sempre secondo l’interpretazione offerta dal Giudice nazionale, questo meccanismo automatico non consentirebbe all’operatore privato “di rendersi conto di qual è il momento preciso in cui si produce l’effetto sfavorevole nella sua sfera giuridica”.

Questo sembrerebbe essere corroborato, sempre nella ricostruzione offerta dal Consiglio di Stato, dal fatto che la disposizione nazionale, ossia l’art. 49 del Codice della Navigazione omette di “prevedere uno strumento, anche amministrativo, per determinare e accertare in modo congruo, adeguato, ragionevole e proporzionato l’effettiva consistenza delle opere che vengono acquisite al patrimonio dello Stato”. A ciò si aggiunge la considerazione secondo cui, detta disposizione, sarebbe violativa dei principi di certezza e di effettività della tutela[10].  

Nella “nuova” ordinanza dei Giudici di Palazzo Spada viene meglio definito il dubbio interpretativo. Con ordinanza n. 8010/2022, il dubbio interpretativo atteneva al possibile contrasto tra l’articolo 49 del Codice della Navigazione con gli articoli 49 e 56 del TFUE. In altri termini, veniva censurata la compatibilità con il diritto unionale della fonte normativa statale (e cioè l’articolo 49 del Codice della navigazione), nella parte in cui dispone l’incameramento a titolo gratuito di beni immobili realizzati dal concessionario e appartenenti all’azienda balneare.

A contrario, con l’ordinanza n. 8184/2023 la risorsa demaniale viene qualificata come “uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica”: i beni realizzati dal concessionario e la superficie, o le eventuali pertinenze demaniali, appartengono all’azienda balneare. Questo, nell’economia della decisione, integra principio fondamentale ed è funzionale per sostenere l’ingiustizia[11] della perdita del bene demaniale che gli attuali concessionari subiranno all’esito del corrente periodo transitorio[12].

L’aspetto comune all’ordinanza n. 8010/2022 e all’ordinanza n. 8184/2023 è da riferire alla circostanza che la vicenda del concessionario richiede l’applicazione dell’articolo 49 del TFUE[13], in quanto sorta anteriormente all’entrata in vigore della direttiva Bolkestein. Corollari di detto articolo sono i principi di trasparenza e di tutela delle posizioni formatesi nel tempo[14]: sebbene i contratti transfrontalieri debbano essere soggetti a obblighi di trasparenza, tuttavia, la disparità di trattamento, funzionale a garantire la stabilità del rapporto concessorio, può derogare al principio di trasparenza. In ultima analisi ciò andrebbe a garantire il principio della certezza del diritto.

A sua volta, come confermato dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 8184/2023, il principio di certezza del diritto integra un valore di rilevanza unionale, a cui fa da corollario il principio di rispetto del legittimo affidamento. Di qui, la possibilità di ricavare dall’articolo 49 del TFUE sia il principio di trasparenza sia quello di rispetto del legittimo affidamento. Quest’ultimo però potrà derogare al primo, sempreché ne sia dimostrata la sussistenza.

Di conseguenza, per le concessioni demaniali sorte in epoca antecedente all’entrata in vigore dell’art. 49 TFUE[15] esse sarebbero meritevoli di protezione quali rapporti pluriennali di durata infinita la cui stabilità era garantita dall’articolo 37 del Codice della Navigazione[16].

5. Il bene balneare tra tutela della concorrenza, digitalizzazione e sostenibilità

L’incertezza che deriva dal contenzioso di cui si è dato conto non solamente produce dei riflessi economici sulla situazione giuridica soggettiva dei concessionari ma, al tempo stesso, produce dei riflessi anche sulla tutela del bene ambiente.

Il riferimento, nel caso delle concessioni balneari, va al mantenimento delle infrastrutture inamovibili sugli arenili durante i periodi di mancata utilizzazione ed erogazione dei servizi relativi all’attività balneare. Da ciò, dunque, il pregiudizio per le condizioni originali delle spiagge[17].

Un differente approccio riconosce una più ampia garanzia al litorale marino nel periodo invernale. In tale direzione, è stata negata l’autorizzazione paesaggistica tutte le volte in cu i manufatti posti sul demanio marittimo determinano un effetto barriera a danno della continuità della veduta del litorale, intaccando così la percezione del paesaggio costiero quale bene comune[18].

Non si deve dimenticare che la tematica delle concessioni demaniali marittime appartiene anche alla materia della concorrenza[19]. Quest’ultima, infatti, è un fattore essenziale per la crescita economica e l'equità, perseguita anche attraverso l'approvazione di norme volte ad agevolare l'attività di impresa in alcuni settori strategici. Di qui, l’art. 1 della L. 118/2022 ha introdotto disposizioni volte a rimuovere gli ostacoli regolatori all'apertura dei mercati, individuando misure atte a garantire la partecipazione delle imprese di minori dimensioni e il perseguimento di obiettivi sociali e ambientali[20].

Per quanto concerne la tutela del bene ambiente, una protezione indiretta può essere rinvenuta nella rideterminazione dei canoni secondo le indicazioni fornite dall'AGCM[21]. Grazie a detta misura è possibile che si realizzi una valorizzazione degli interventi di protezione ambientale sul demanio marittimo. Essa potrebbe essere interpretata quale modalità virtuosa di reimpiego parziale delle risorse aggiuntive ottenute con la rimodulazione flessibile dei canoni[22].

Si deve altresì prendere in considerazione, sempre in questo contesto, il problema della scarsità della risorsa, cioè, le risorse naturali. Più precisamente, il riferimento è allo stato in cui si trova il demanio marittimo: affinché possa essere qualificato come risorsa scarsa è richiesto che sia fragile sia da un punto di vista ecologico che morfologico. Si tratta di dati che possono essere inferiti dal sistema informativo del demanio. In base alle ultime rilevazioni effettuate è stato dato atto del fatto che i “tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa ‘libera’ risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque ‘abbandonata’”[23].

Sullo sfondo rimane, ovviamente, il riferimento all’ingresso del bene ambiente nella Costituzione italiana quale bene costituzionale da bilanciare con la libertà di iniziativa economica privata[24].

6. La spiaggia quale diritto: the right to the beach

La tematica delle concessioni demaniali marittime non si esaurisce nella mera attuazione e rispetto delle prescrizioni contenute nella Direttiva Bolkestein ma richiede di adottare un approccio olistico al bene ambiente marino.

Da una prospettiva di common law si è trattato di right to the beach[25] per tale intendendo, essenzialmente, quattro elementi: 1) il diritto pubblico di accedere alla spiaggia per svolgere attività; 2) il diritto di raggiungere la riva del mare; 3) la cd. accessibilità visiva, ossia, vedere la costa dalla propria casa; 4) la possibilità per le persone portatrici di disabilità di accedere alla spiaggia.

La ragione del confronto con l’ordinamento giuridico di common law concerne l’esistenza della cd. “public trust doctrine” di origine romanistica. Quest’ultima venne elaborata dall’imperatore Giustiniano in base alla quale in forza delle leggi naturali sono beni comuni dell’umanità l’aria, il mare e le sponde del mare[26].

Sebbene detta dottrina sia stata sviluppata anche in altri ordinamenti giuridici, in quello dei common laws[27], tuttavia, ha una portata differente. La dottrina del “public trust” viene spesso invocata per interpretate la latitudine del diritto di accesso alla spiaggia posto che, in detti ordinamenti giuridici, la proprietà privata terriera si estende fino al mare.[28]

Nel Regno Unito, infatti, non esiste un dominio pubblico sulla spiaggia: il privato, proprietario della terra adiacente alla costa, estende il proprio diritto di proprietà fino al mare e anche “underwater”. Ciò è vero se non risulta essere diversamente stabilito dalla pubblica autorità.[29]

Appare chiaro come, nel sistema britannico di common law, non sia la spiaggia oggetto di regolamentazione ma, piuttosto, la gestione del mare e della costa affidata alla regolamentazione delle differenti Authorities.

Quanto appena esposto è giustificato dal fatto che il bene mare significa, nella cultura britannica, fonte di profitto e luogo dove si realizza la maggior parte delle attività economiche. Di qui, la necessità di realizzare un bilanciamento tra tutela dell’ambiente ed esigenze connesse all’economia marittima.

6. La concessione di licenze marittime nel Regno Unito

L’equivalente dell’italiano bene spiaggia, Oltremanica, è da considerarsi l’ambiente marino poiché fonte di profitto. Il riferimento, da un punto di vista di Regulation, è al Marine and Coastal Access Act (MCAA) approvato dal governo nel 2009 (Inghilterra e Galles), il Marine Act 2010 (Scozia) e il Marine Act del Regno Unito.

È proprio in questo insieme di atti legislativi che si rinviene il punto di riferimento per quanto attiene la gestione marittima e il sistema di concessioni marittime nonché la normativa a tutela dell’ecosistema marino.

Una concreta soluzione sembra potersi rinvenire nel Marine Act 2010 (Scotland) Marine and Coastal Access Act 2009. Si tratta di testi normativi il cui obiettivo è quello di stabilire una nuova regolamentazione del bene ambiente marino coniugando la gestione economica e sostenibile dell’ambiente marino scozzese.

Volendo svolgere una riflessione generale, l’obiettivo perseguito dal Marine Act è quello di razionalizzare il sistema di concessione di licenze e di introdurre la pianificazione marittima spaziale. Oggetto di detta disciplina sono le attività di pesca, di conservazione dell’ambiente marino.

Quello che emerge è l’assenza di una legislazione sulla gestione costiera, si rinvengono solamente degli esempi pratici di gestione integrata delle coste. In alcuni casi, essi hanno condotto allo sviluppo di programmi innovativi di gestione integrata del territorio.[30]

Il punto di partenza della legislazione scozzese è dato proprio dalla conservazione della natura marina e dell’ambiente marino naturale a cui aggiungere le relative disposizioni per la pesca costiera. Gli atti di regolamentazione sono ispirati a un sistema di razionalizzazione delle concessioni demaniali circa l’attività marittima di pianificazione di detta particolare porzione territoriale.[31]

In altri termini, emerge sempre di più l’esigenza di realizzare un migliore coordinamento tra pianificazione territoriale e pianificazione ambientale, ingegneristica e dei litorali. L’urgenza è legata, soprattutto, alla presenza del cambiamento climatico in atto e, dunque, al porre in essere azioni idonee per cercare di contrastarlo[32].

7. Conclusioni

L’approccio innovativo di detto contributo consiste nel prendere le mosse dall’analisi delle concessioni demaniali nel diritto italiano e dell’Unione Europea per poi, successivamente, virare verso l’ordinamento giuridico britannico, di common law.

È proprio la peculiarità di quest’ultimo che potrebbe consentire di uscire dall’impasse che si è creata in tema di concessioni demaniali. L’incertezza che si è creata nell’ordinamento giuridico italiano causata da contrasti tra il legislatore nazionale, le fonti di derivazione comunitaria e i dicta delle Supreme Corti rappresenta un nodo gordiano di difficile soluzione. In altri termini, l’incertezza del diritto non è un elemento che favorisce né la tutela del territorio, né lo sviluppo dell’economia interna e nemmeno la libera concorrenza.

Il bene spiaggia, nell’ordinamento giuridico italiano, è un bene delicato, da maneggiare con cura. Come esposto in precedenza, infatti, in essa si intersecano contrapposti interessi ed esigenze. In un momento storico in cui il mantra è sostenibilità questo approccio di derivazione europea sembra essere disarmonico. È ben noto, infatti, come, proprio a causa del cambiamento climatico, si stia assistendo a un’attività di erosione delle coste. Di qui, la possibilità di qualificare il bene spiaggia come risorsa limitata e, ergo, esclusa dall’ambito di applicazione della Bolkestein.

In questo scenario che si inserisce la comparazione con l’ordinamento giuridico britannico. Come evidenziato, il parallelismo deve essere effettuato con la gestione delle risorse marine. In altri termini, la Gran Bretagna può rappresentare un ottimo esempio poiché le sue zone costiere sono altamente sfruttate da una prospettiva economica. Su di esse non solo si sviluppano interessi economici e ambientali ma, al tempo stesso, rappresentano da anni il luogo di intersezione tra interessi privatistici e pubblicistici.

Di qui l’esperienza del costal partnership e dell’integrated costal management: si tratta di termini utilizzati per indicare il coinvolgimento degli stakeholder nella gestione dell’ambiente costiero[33].

In conclusione, proprio alla luce della particolarità del territorio italiano, a cui aggiungere la progressiva sensibilizzazione per la sostenibilità ambientale, il riferimento britannico potrebbe risultare vincente. In altri termini, una pianificazione concreta, lasciata all’ente territoriale e incentrata su un corretto bilanciamento tra esigenze contrapposte, di cui si è dato conto in precedenza, rappresenterebbe una applicazione concreta di molti principi contenuti nella Costituzione italiana. Ancora una volta, viene dimostrata l’importanza l’interdisciplinarietà tra differenti settori scientifico-disciplinari del diritto e dell’utilità di una sana attività di comparazione.


Note e riferimenti bibliografici

[1] C. DELLA GIUSTINA, Per il consiglio d Stato è nuovamente illegittima la proroga del termine di efficacia delle concessioni balneari, in CamminoDiritto, 8/9/2023.

[2] Questo atto era stato formalizzato nel 1958 mentre, nei confronti di altri edificati successivamente, solamente  nel 2007 era stato avviato un secondo procedimento di incameramento che, tuttavia, non si era mai concluso.

[3] T.A.R. Toscana, sez. III, 10 marzo 2021, n. 380.

[4] Rispettivamente libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

[5] Cons. Stato, sez. VI, 27 settembre 2018, n. 5556.

[6] Appare evidente che il giudice d’appello abbia condiviso i dubbi di parte ricorrente.

[7] A cui aggiungere i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C-375/14) e sempre che venissero ritenuti applicabili.

[8] P. de GIOIA CARABELLESE, C. DELLA GIUSTINA, Diritto del lavoro e del techno-busines law. Dal law of master and servant britannico all’Industry 5.0. Un research textbook, Pacini, 2022.

[9] C-598/22 Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (Italia) il 16 settembre 2022 — Società Italiana Imprese Balneari Srl / Comune di Rosignano Marittimo e a.

[10] Infatti, detta disposizione “a) manca un provvedimento formale ed espresso da impugnare sullo stato di consistenza delle opere che si perdono in capo al privato e si acquistano da parte dello Stato; b) perché rappresenta un principio giuridico generale quello secondo cui l’oggetto di ogni rapporto giuridico, sia che esso abbia la propria fonte nel negozio, nel contratto o nell’atto amministrativo, dovrebbe caratterizzarsi per la possibilità di essere determinato fin dalla sua origine o comunque di esserlo in seguito, determinabile, con un ragionevole grado di certezza; c) perché la chiarezza sullo stato di consistenza delle opere da acquisire non è una questione che riguarda solo il concessionario uscente e lo Stato, ma tutti gli operatori economici che aspirano a divenire concessionari, in quanto la entità del canone dipende concretamente dagli incrementi che via via subisce nel tempo il bene demaniale”.

[11] La perdita del bene demaniale e, di conseguenza, anche del relativo compendio aziendale senza indennizzo e senza causa di pubblica utilità. P. de GIOIA CARABELLESE, Crisi della banca e diritti dei creditori, Cacucci, 2020.

[12] Sempre nella medesima ordinanza, ai fini di confermare l’applicabilità dell’art. 49 TFUE, il Giudice amministrativo d’appello osserva che la concessione oggetto di causa “presenta un ‘interesse transfrontaliero certo’ in quanto la risorsa materiale è scarsa e il mercato di riferimento, caratterizzato dall’impiego strumentale del bene per la prestazione di servizi dietro remunerazione, attrae gli investimenti sia degli operatori economici nazionali, sia di quelli degli altri Stati membri, divenendo il bene demaniale, nella sostanza, uno degli elementi dell’azienda e, dunque, dell’impresa economica (..) al di là del fatto che nel giudizio principale l’operatore economico ricorrente sia un’impresa italiana, nulla sarebbe mutato se invece si fosse trattato di un operatore di un altro Stato membro, essendo il diritto positivo applicabile il medesimo”.

[13] Esso richiede il rispetto del principio di trasparenza nell’assegnazione delle concessioni demaniali marittime e trova conferma i punti 62-66 della sentenza Promoimpresa. Al punto 65 è stato osservato: “qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza a un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione. Una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 TFUE”.  Con la sentenza “Promoimpresa” (Corte di Giustizia UE 14 luglio 2016) l’Italia è stata sanzionata poiché la normativa italiana in tema di demanio marittimo prolunga eccessivamente il rapporto concessorio. Di qui il contrasto con i principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione e tutela della concorrenza. Si tratta di una conclusione condivisa anche da altre Corti nazionali al punto da configurare il rilascio delle concessioni demaniali come elemento suscettibile a configurare un danno erariale: Corte dei conti, sez. giur. Lazio, 30 marzo 2009 n. 486.

[14] Sentenza Promoimpresa.

[15] Corte di giustizia Ue, sesta sezione, 7 dicembre 2000, Telaustria Verlags GmbH, C-324/98.

[16] Da detta disposizione aveva fatto maturare in capo ai concessionari una aspettativa, o speranza, legittima al rinnovo. A sua volta, detta aspettativa, è meritevole di protezione ai sensi dell’articolo 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Corte EDU del 23 settembre 2014 “Valle Pierimpiè Società Agricola S.p.a. c. Italia). In detta decisione è stato sostenuto che è un bene, seppur immateriale, l’aspettativa al rinnovo di una concessione amministrativa di un bene pubblico, allorché detta aspettativa abbia una base legale e cioè sia garantita dalla legge.

[17] Si segnala la crescente sensibilità amministrativa da parte dei giudici nazionali. Ad esempio, sono state dichiarate illegittime previsioni che, ammettendo il mantenimento per l'intero anno solare delle strutture amovibili sulle spiagge date in concessione, ponevano a rischio la godibilità del contesto paesaggistico, violando la previsione di cui all'art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio).

[18] Così in Cons. giust. Amm. Reg. Sic., 3 febbraio 2020 n. 91. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che  l’autorizzazione paesaggistica può imporre la rimozione di strutture balneari amovibili precarie anche al termine della stagione estiva nonostante le norme regionali ammettano una presenza più duratura.  Si rimanda a Cons. Stato, VI, 12 giugno 2015, n. 2892; Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013 n. 4642; Cons. Stato, VI, 7 settembre 2012 n. 4759.

[19] Si rimanda alla L. 5 agosto 2022 n. 118 relativa alla disciplina degli impegni assunti dal Governo nell’ambito del ben noto PNRR.

[20] Per quanto attiene alla proroga, è prevista detta possibilità qualora, in caso di svolgimento di procedura competitiva per l'assegnazione della concessione, ragioni oggettive ne impediscano la conclusione entro i tempi indicati in via ordinaria (C. DELLA GIUSTINA, L’eccezione al divieto di proroga delle concessioni balneari: l’ordinanza n. 543/2023 Tar Veneto, in Cammino Diritto, 9/6/2023). Si rimanda all’art. 3, comma 3, e, in ogni caso il termine massimo è stabilito per il 31 dicembre 2024: il riferimento a questa data è rispettoso, altresì, dell’art. 116 Codice navigazione.

[21] La n. 1730/2021 precisa che “è auspicabile una modifica legislativa che, in relazione alle sole concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, consenta alle amministrazioni concedenti di sfruttare appieno il reale valore del bene demaniale oggetto di concessione” (p. 28).

[22] F. DI LASCIO, Le concessioni di spiaggia tra diritti in conflitto e incertezza delle regole, in Diritto Amministrativo, fasc. 4/2022, 1037 ss.

[23] https://www.mit.gov.it/documentazione/sistema-informativo-demanio-marittimo-sid.

[24] Il riferimento è non solo alla L. cost. 1/2022 ma, soprattutto, all’attuale tenore dell’art. 41 Cost. “L'iniziativa economica privata è libera. 2. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. 3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.

[25] Si rimanda anche a The Queen (on the application of Newhaven Port and Properties Limited) v East Sussex County Council and Newhaven Town Council  [2015] UKSC 7.

[26] Inst. 1.2 pr. “Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit, nam ius istud non umani generi proprium est, sed omnium animalium, quae in caelo, quae in terra, quae in mari nascuntur. Hinc descendit maris atque feminae coniugatio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio et educatio: videmus etenim cetera quoque animalia istius iuris peritia censeri (cf. Ulp. D. 1.1.1.3)”; Inst. 1.2.2: “Ius autem gentium omni humano generi commune est. Nam usu exigente et humanis necessitatibus gentes humanae quaedam sibi constituerunt: bella etenim orta sunt et captivitates secutae et servitutes, quae sunt iuri naturali contrariae. Iure etenim naturali ab initio omnes homines liberi nascebantur. Ex hoc iure gentium et omnes paene contractus introducti sunt, ut emptio venditio, locatio conductio, societas, depositum, mutuum et alii innumerabiles”.

[27] Precisamente Regno Unito, Australia e Stati Uniti d’America.

[28] D. TAKACS, The public trust doctrine, environmental human rights, and the future of private property, in New York University Environmental Law Journal, n. 16/2008, 711 ss.; E. RYAN, A short history of the public trust doctrine and its intersection with private water law, in Environmental Law Journal, n. 38/2020, 135 ss.

[29] R. ALTERMAN, C. PELLACH, Beach Access, Property Rights, and Social-Distributive Questions: A Cross-National Legal Perspective of Fifteen Countries, in Sustainability, n. 14/2022.

[30] Integrated costal management.

[31] H.D. SMITH, R.C. BALLINGER, T.A. STOJANOVIC, The Spatial Development Basis of Marine Spatial Planning in the United Kingdom, in Journal of Environmental Policy & Planning, vol. 14, n. 1/2012, 29-47

[32] H.D. SMITH, R.C. BALLINGER, T.A. STOJANOVIC, The Spatial Development Basis of Marine Spatial Planning in the United Kingdom, in Journal of Environmental Policy & Planning, vol. 14, n. 1/2012, 29-47.

[33] T. HEWETT, S. FLECTHER, The emergence of service-based integrated coastal management in the UK, in Royal Geographical Society, vol. 42, n. 3/2020, 313 ss.