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Pubbl. Gio, 7 Dic 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

L´educazione civica e l´Agenda 2030: il ruolo della scuola per un´Europa multiculturale sostenibile

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Vanni Nicolì
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi Internazionali di Roma



Il punto 4 dell´Agenda 2030 è intitolato ”istruzione di qualità” e si prefigge il completamento di un´istruzione libera ed equa per ragazzi e ragazze; parità di accesso all´istruzione; garantire un aumento delle competenze tecniche e professionali per l´occupazione. Alla luce di questi obiettivi, ci chiediamo se sia possibile indirizzare il punto 4 verso la sfida dell´integrazione degli stranieri in un´Europa sempre più multiculturale, non tanto dal punto di vista didattico, quanto, invece, da quello sociale. In una scuola che impartisce anche lezioni di Educazione civica, questa istituzione può diventare un primo mezzo di integrazione. Si esamineranno i casi di Italia e Francia per comprendere come i sistemi politico nazionali di gestione delle diversità possa conciliarsi con il punto 4.


ENG

Civic education and 2030 Agenda: the role of schools for sustainable multicultural Europe

Item 4 of the 2030 Agenda is entitled ´quality education´ and aims to complete free and equal education for boys and girls; equal access to education; and ensuring an increase in technical and vocational skills for employment. In light of these goals, we wonder whether it is possible to direct point 4 to the challenge of integrating foreigners in an increasingly multicultural Europe not so much from an educational point of view, but a social one. In a school that also gives lessons in Civic Education, this institution can become the first means of integration. The cases of Italy and France will be examined to understand how the national political systems of diversity management can be reconciled with item 4.

Sommario: 1. Introduzione; 2. La legislazione italiana sull’educazione civica; 3. Cambiamenti ed evoluzione della disciplina rispetto al tessuto sociale italiano; 4. Comparazione con la regolamentazione sull'educazione civica in Francia; 5. Conclusioni.

1. Introduzione

La Conferenza su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 (tra il 3 e il 14 giugno) rappresenta ancora oggi un punto fondamentale del percorso, a livello internazionale, verso la promozione di modelli di sviluppo sostenibile.

A termine di tale evento, è stato comunicato un importante obiettivo che ha riguardato l’instaurazione di una rinnovata ed equa partnership globale attraverso la creazione di nuovi livelli di cooperazione tra i Paesi e i settori strategici della e per la società. Tale assetto è stato designato con l’obiettivo di concludere intese internazionali aventi, come fine, il rispetto degli interessi di tutti e la tutela dell’integrità dell’ambiente e dello sviluppo globale[1].

Nella medesima Conferenza è stata elaborata anche l’“Agenda 21”, un documento che conteneva un articolato piano di azione, con quaranta capitoli al suo interno, dove si riportava la necessità di applicare un modello di sviluppo sostenibile in vari settori delle attività umane. Inoltre, in questo documento particolare rilievo assume l’attenzione e la sensibilità verso la garanzia di partecipazione democratica, l’eliminazione della povertà e la cooperazione internazionale quali condizioni essenziali per uno sviluppo sostenibile.

L’interesse verso una sostenibilità che potremmo definire umana e sociale è stato confermato in seno alla “Millennium Declaration”, settembre 2000, nella quale, tra gli 8 obiettivi indicati (chiamati ‘MDG’), c’era anche il raggiungimento di un’istruzione primaria universale e dell’uguaglianza di genere[2].

In seguito, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dato il via alla Conferenza sullo sviluppo sostenibile (UNCSD), comunemente nota come ‘RIO+20’ (2012), nell’intento di rinnovare l’impegno politico per lo sviluppo sostenibile e di monitorare l’attuazione o meno dei precedenti impegni assunti. Tra i risultati più rilevanti nei lavori della Conferenza, sottolineiamo la dichiarata volontà di incoraggiare e sostenere una governance globale che sia in grado di attrarre e coinvolgere attori governativi e non, valorizzando il contributo del settore privato.

Il percorso in materia di sviluppo sostenibile culmina nel 2015 con l’approvazione dei cosiddetti “SDG” (Sustainable Development Goals, in sostituzione dei precedenti MDG)[3], con una strategia di sviluppo per gli anni a venire, fino al 2030. Dal momento che questi obiettivi includevano anche aspetti sociali, come l’abbattimento delle soglie di povertà e l’ottimizzazione dei livelli di istruzione), lo spirito di questa iniziativa può efficacemente essere sintetizzata con la frase “non vi è crescita senza inclusione e valorizzazione delle persone”[4].

Il lungo processo di discussione e di negoziazione di questi obiettivi ci fanno comprendere e apprezzare la sensibilità degli Stati e delle organizzazioni internazionali sulla materia, seppur l’Agenda non abbia natura vincolante[5]. Ne consegue, pertanto, che con questo atto facciamo riferimento ad uno strumento di soft law in grado di rappresentare, in chiave ideal-tipica, un ampio consenso internazionale sul futuro per fornire un quadro conciso degli elementi che definiscono lo spirito dello sviluppo sostenibile come costrutto concettuale[6].  

Nonostante le caratteristiche giuridiche dell’Agenda, l’Unione europea si è sempre impegnata nella realizzazione dei punti presenti ed ha preso atto del fallimento della strategia della Millennium Declaration e dei non soddisfacenti risultati ottenuti da quella di Lisbona per il decennio 2000-2010[7]. Davanti a tali risultati, l’UE ha adottato il programma “Strategia EUROPA 2020”[8], ovvero un ambizioso progetto che prevedeva tre priorità e cinque obiettivi, tra i quali ricordiamo, in questa sede, una crescita sostenibile (attraverso un’economia più efficiente, verde e competitiva) e una crescita inclusiva (ovvero un’economia con un alto tasso di occupazione per promuovere una coesione sociale e territoriale). Questa iniziativa viene costantemente monitorata dall’UE che richiede ogni anno agli Stati membri di presentare, nel mese di aprile, un programma di stabilità e convergenza e il cosiddetto Programma Nazionale di Riforma con l’obiettivo di verificare i progressi realizzati.

Con l’adozione dell’Agenda 2030, l’UE e gli Stati membri sono impegnati a realizzare gli obiettivi del documento e conseguire lo sviluppo sostenibile nelle dimensioni economiche, sociali e ambientali. Questo dimostra il formale impegno assunto e perpetrato dall’Unione europea e dagli Stati membri, chiamati a lavorare in modo convergente e coordinato.

Tra gli obiettivi dell’Agenda, il Goal n. 4 si caratterizza, principalmente, per voler fornire “un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”, con un’attenzione particolare alla realizzazione dell’alfabetizzazione universale. Vedendo come è stato scritto tale punto e considerando che nel concetto di sviluppo sostenibile esiste anche la promozione di un aspetto sociale, ci chiediamo se i programmi scolastici di Educazione civica previsti in alcuni Paesi europei (in particolare, Italia e Francia) possano contribuire a creare una società e dei contesti nazionali più sostenibili (dal punto di vista umano e sociale) che favoriscano un’integrazione delle minoranze nelle società nazionali ed europea. Parlare di educazione civica, in questa sede, rappresenta un

In particolare, ci si chiede se le modalità con le quali sono pianificati i piani di studio e il monte ore di questa disciplina nei due Paesi di cui sopra, possano effettivamente accompagnare un soggetto straniero, estraneo (in un primo momento) ai valori di uno Stato, verso un’integrazione effettiva e piena. La scelta dei due Paesi di cui sopra risponde ad un preciso criterio selettivo, determinato dalle politiche nazionali di gestione della diversità culturale di ciascuno di questi. Nel tentativo di raggiungere il nostro obiettivo verrà eseguita una micro e una macro comparazione, nelle quali verranno poste a confronto le legislazioni specifiche sull’insegnamento dell’educazione civica, considerando il retroterra giuridico che caratterizza la storia politica e istituzionale dei Paesi presi in considerazione.

Nello specifico, in Italia abbiamo una politica che possiamo definire a metà strada tra l’integrazione e l’assimilazione, a causa di una legislazione che non ha saputo adeguarsi al passaggio dell’Italia da Paese di emigrazione a quello di immigrazione. Ancora oggi non possiamo affermare di avere una politica italiana di gestione della diversità e una sull’immigrazione, ma solo quella di contrasto all’immigrazione illegale[9]. In seguito, il “conflitto” tra alcune previsioni normative come l’accordo di integrazione del 2009 (con il quale uno straniero si impegnava a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione da conseguire entro il periodo di validità del permesso di soggiorno) e la contemporanea possibilità di accedere ad alcuni servizi di welfare che, però, in alcuni casi (sia davanti ad una legge nazionale che regionale) hanno previsto delle prestazioni usufruibili da soli cittadini italiani o europei, ha alimentato l’incertezza sulla natura delle politiche italiane in materia di gestione della diversità culturale e di integrazione[10].  

Per quanto concerne, invece, il sistema transalpino, questo è basato sul modello dell’assimilazione. Lo storico Braudel ha definito l’assimilazione come la via francese senza dolore all’immigrazione[11], incoraggiato dal fatto che gli immigrati che entravano in Francia erano spinti dal desiderio di vivere secondo lo stile di vita francese[12].

L’assimilazione francese vede nell’esaltazione della laïcité la sua massima espressione. Quest’ultimo valore, nato storicamente grazie alla legge nazionale del 1881 sulla libertà di stampa e a quella del 1905 in materia di separazione tra Chiese e Stato, risponde ad un duplice scopo: garantire la libertà di coscienza attraverso la promozione di uno spazio laico neutrale e impedire il legame tra religione e Chiesa. Da tale impostazione emerge un Paese che non si schiera a favore di nessuna concezione morale della società, ma agisce affinché nessuno possa imporre la propria agli altri[13]

2. La legislazione italiana sull’educazione civica

La legislazione italiana sull’inserimento dell’educazione civica nei programmi scolastici nazionali ha delle radici che risalgono ai primi anni successivi all’adozione della Costituzione. Il dibattito sulla necessità di inserire questa disciplina nel curriculum degli studenti ha visto l’importante contributo dell’Onorevole Aldo Moro, il cui lavoro in qualità di Ministro dell’istruzione è stato propedeutico all’adozione del DPR n. 585 (13 giugno 1958), intitolato “Programmi per l’insegnamento dell’educazione civica negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica”.

Tale atto proponeva di soddisfare l’esigenza di mutua collaborazione tra la scuola e la vita dato che la prima si pone, a buon diritto, “come coscienza dei valori spirituali da trasmettere e da promuovere” (in particolar modo, in questa sede, acquistano maggior rilievo i valori sociali). L’introduzione dell’educazione civica, inoltre, permetteva di dare all’istituzione scolastica la capacità di “preparare, non solo ad una carriera, ma anche alla vita mediante la diffusione di una consapevolezza critica nei confronti della struttura civica nazionale”.

A tal proposito, si richiama l’importanza dei nomi scelti per indicare tale disciplina. Il DPR si sofferma sul significato di “educazione”, con la sua funzione di richiamare il ruolo e la posizione della scuola e su quello dell’aggettivo “civica” che proietta verso la vita sociale, giuridica, politica, ovvero “verso quei principi e valori che sono alla base della collettività e delle forme con le quali questa si concreta”.

Lo sviluppo di una coscienza sociale e civile negli studenti è importante perché i problemi economici, sociali e giuridici non possono essere più visti come questioni di esclusivo appannaggio degli specialisti, dato che questi temi afferiscono all’aspetto più umano della storia. Sono stati i valori sociali che hanno portato ad ardue e dure battaglie per la conquista delle condizioni di vita e statuti degni della vita umana stessa. Pertanto, è necessario inserirli all’interno del programma di studio di educazione civica, dove la scoperta dei valori religiosi, etici e morali deve essere mediata da quelli civici. A tal proposito, nel già citato DPR si afferma che l’ambito sociale nel quale un soggetto vive non è lontano o indifferente e che riflette la vita nella sua forma più consapevole e più degna.

Inoltre, il decreto mette in relazione il delicato e rilevante ruolo dell’educazione civica alla Costituzione italiana. Infatti, il testo fondamentale viene presentato come il culmine dell’attuale esperienza storica italiana contenente quei principi e valori fondamentali che integrano “la trama spirituale della nostra civica convivenza”. La connessione tra l’educazione civica e la Costituzione viene dimostrata dal fatto che le garanzie della libertà, la disciplina dei rapporti politici, economici, sociali e le istituzioni che caratterizzano l’organizzazione statale trovano il loro più elevato valore morale proprio nella Carta fondamentale.

A livello prettamente scolastico, invece, il decreto stabilisce che nelle due classi della scuola secondaria inferiore l’educazione civica doveva avere una natura interdisciplinare. Questa, infatti, ha l’obiettivo di enucleare dai vari insegnamenti tutti gli elementi che concorrono alla formazione della personalità civile e sociale dello studente. Tra gli argomenti individuati e da trattare in modo elementare vengono citati la famiglia, le persone, i diritti e i doveri fondamentali nella vita sociale, l’ambiente e le sue risorse economiche, le tradizioni, il comportamento, i servizi pubblici, le istituzioni e gli organi della vita sociale.

In relazione alla terza classe, invece, si studiano i principi ispiratori e i lineamenti essenziali della Costituzione, i diritti e i doveri del cittadino, le nozioni generali di Stato e i principi della cooperazione internazionale.

Questo programma viene affidato al docente di storia che deve destinare due ore mensili alla trattazione degli argomenti citati.

Con riferimento all’insegnamento dell’educazione civica nella scuola secondaria superiore, il legislatore divide il percorso di studi in due parti. La prima, riferita al primo biennio, approfondisce la trattazione di argomenti che gli studenti hanno già trattato nell’ultima classe della scuola secondaria inferiore. Nelle classi del triennio, invece, si ha un inquadramento storico della Costituzione italiana e un’analisi dei principi ispiratori di questa. Oltre allo studio degli organi statali, delle leggi e delle istituzioni internazionali, ci si concentra sui diritti e doveri del cittadino, la libertà (le sue garanzie e i suoi limiti), la solidarietà sociale nello Stato moderno, la previdenza e l’assistenza.

Anche in questo caso, l’insegnamento è affidato al docente di storia che deve dedicare mensilmente due ore alla trattazione di queste tematiche.

In seguito, la legge n. 53 del 28 marzo 2003 ha delegato il Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

Tale legge non riporta mai il nome ‘educazione civica’, ma riferisce l’importante ruolo della Costituzione all’interno del curriculum scolastico italiano. In particolare, l’art. 2 del testo di legge, relativo al sistema educativo di istruzione e di formazione, riporta la promozione del conseguimento di una formazione spirituale e morale. Questa deve ispirarsi anche ai principi della Costituzione per sviluppare una conoscenza storica e di appartenenza alla comunità locale, a quella nazionale e alla civiltà europea.

Dopo pochi anni, esattamente il 17 ottobre 2005, il decreto legislativo n. 226 (norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relative al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione), richiamando espressamente l’art. 2 della legge 53/2003, approfondisce l’importanza dello studio dei principi della Costituzione dentro il sistema scolastico nazionale. A tal proposito, si legge che, nel secondo ciclo del sistema educativo, si persegue la formazione intellettuale, spirituale e morale anche ispirata dai valori costituzionali e lo sviluppo della coscienza storica di appartenenza alla comunità locale, nazionale ed alla civiltà europea.

Il testo del 2005, inoltre, indica anche gli obiettivi specifici di apprendimento per l’educazione alla convivenza civile. Questi godono di un ampio respiro e riguardano lo studio della genesi e dell’evoluzione storica delle istituzioni e delle norme, il ruolo dei diritti umani nella storia umana e negli ordinamenti giuridici nazionali e internazionali, i caratteri e i principi fondamentali della Costituzione e l’ordinamento della Repubblica italiana.

Questi sono le principali finalità imposte alla materia che, come risulta dalla legge, viene indicata col nome “educazione della cittadinanza”.

Successivamente, la legge del 30 ottobre 2008, n. 169, che ha convertito con modifiche il decreto legge n. 137 del 2008 relativo a disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, regola la materia definita nel testo “cittadinanza e Costituzione”.

L’art. 1 della legge riporta che, a decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una sperimentazione nazionale, sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale scolastico. L’obiettivo di questo programma è fornire ai docenti del primo e secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative alla materia “cittadinanza e Costituzione” nell’ambito dell’aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse.

Inoltre, vengono avviate iniziative analoghe anche nella scuola di infanzia.

L’art. 1 bis della legge del 2008 riporta, tra gli obiettivi, la conoscenza del pluralismo istituzionale definito dalla Carta costituzionale e si prevedono iniziative volte allo studio e alla conoscenza degli statuti regionali delle regioni ad autonomia ordinaria e speciale.

Il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 (inerente alla revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei) ha confermato, ex art. 10, la presenza di “cittadinanza e Costituzione”. Inoltre, il testo riporta che, laddove non sia possibile utilizzare il monte ore previsto per le materie storico-geografica e storico-sociale, “Cittadinanza e Costituzione” segue il monte ore di “Storia-Geografia”, “Storia” o “Diritto ed Economia”.

L’ultima tappa di questo lungo iter legislativo è rappresentata dalla già citata legge n. 92 del 2019. Questa definisce l’importante ruolo di questa materia nel formare cittadini attivi e responsabili, nel promuovere una partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale della comunità. Inoltre, la presenza di questo insegnamento permette la diffusione della conoscenza della Costituzione e dell’Unione europea all’interno delle istituzioni scolastiche italiane.

Date queste premesse, la materia in questione viene descritta per la sua natura trasversale in quanto capace di sviluppare una coscienza e una comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici e civici della società. A tal proposito, sottolineiamo come anche la legge n. 92 promuove iniziative di sensibilizzazione alla cittadinanza nella scuola di infanzia.

Le istituzioni scolastiche, rispettando la suindicata natura trasversale dell’educazione civica, devono specificare per ogni anno di corso l’orario (che non deve essere inferiore alle 33 ore annue) che può essere gestito e modificato in piena autonomia. Inoltre, ciascuna classe deve essere dotata di un docente che coordini l’insegnamento dell’educazione civica.

Tale insegnamento, prosegue la legge del 2019, viene posto ad un’attenta valutazione periodica. A tal proposito, il testo normativo richiama il contenuto del decreto legislativo n. 62 del 2017 in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo di studi ed esami di Stato. Il terzo comma dell’art. 1 del decreto dichiara che la valutazione del comportamento di uno studente si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Inoltre, l’art. 8 (che disciplina le modalità di esame) spiega l’importanza del colloquio orale come momento di verifica delle competenze acquisite dallo studio della materia in questione. Leggiamo, infatti, che il colloquio è finalizzato a valutare le conoscenze, le capacità di argomentare, di risolvere i problemi, di avere un pensiero critico e riflessivo e una certa padronanza sulle competenze di cittadinanza. Tali elementi diventano importanti per sostenere e orientare gli studenti verso la scuola del secondo ciclo.

Ritornando alla legge del 2019, l’art. 4 pone la Costituzione italiana a fondamento dell’educazione civica. Leggiamo che gli alunni sono introdotti nella conoscenza dei contenuti della Carta costituzionale fin dalla scuola di infanzia per sviluppare competenze ispirate ai valori della responsabilità, della legalità, della partecipazione e della solidarietà. Inoltre, al fine di favorire la conoscenza del pluralismo istituzionale nazionale, viene incentivata lo studio degli statuti delle regioni ad autonomia ordinaria e speciale. Questo permetterebbe di incoraggiare un’attiva partecipazione a livello statale, regionale e locale.

Gli allegati della legge n. 92, invece, forniscono indicazioni importanti sulle modalità di insegnamento della disciplina. In particolare, nell’allegato A leggiamo che le istituzioni scolastiche sono chiamate ad aggiornare i curricoli di istituto e l’attività di programmazione didattica nel primo e secondo ciclo di istruzione. L’obiettivo è quello di sviluppare una conoscenza e una comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società.

Le 33 ore annuali, si legge nell’allegato, non rappresentano un vincolo per le scuole. Il valore è quello di un’indicazione funzionale per un agevole raccordo tra le discipline e le esperienze di cittadinanza attiva che devono essere presenti e comporre il curriculum di educazione civica. Infatti, ogni disciplina è, di per sé stessa, parte integrante della formazione civica e sociale di ciascuno studente. L’educazione civica è descritta come una materia che supera i consueti canoni di una tradizionale disciplina, assumendo principalmente una valenza “di matrice valoriale che va coniugata con le altre materie. In questo modo, si cerca di evitare superficiali e non produttivi insiemi di contenuti teorici con il fine di sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari.

Inoltre, l’allegato A riporta che la conoscenza, la riflessione sui significati, la pratica quotidiana dei dettami della Costituzione rappresentano i primi elementi da trattare. Questi temi hanno la precedenza su ogni altro aspetto perché contengono e pervadono tutte le altre tematiche (come lo studio delle leggi, dei regolamenti o delle disposizioni organizzative). Inoltre, il nucleo di valori citati in precedenza ingloba anche i concetti di legalità, rispetto delle leggi e delle regole comuni in tutti gli ambienti di convivenza (si richiama, a tal proposito, l’importanza dello spirito associativo, ex art. 18 della Costituzione, che rappresenta il punto massimo della vita associata di un cittadino).

3. Cambiamenti ed evoluzione della disciplina rispetto al tessuto sociale italiano

Il quadro legislativo prospettato in precedenza sembra dimostrare in modo abbastanza chiaro un’evoluzione dell’importanza e del ruolo dell’educazione civica nella scuola e per la società italiana. Inevitabilmente, quanto attribuito a questa disciplina ha anche risentito dei contesti storico, politico e demografico nazionale ed europeo che hanno costituito l’orizzonte di ciascun provvedimento legislativo.

Pensiamo al DPR del 1958. In seno alla Costituente, abbiamo assistito ad un acceso dibattito sul ruolo dell’istruzione nella società repubblicana italiana. Negli anni Cinquanta, studiosi appartenenti a diverse scuole di pensiero (cattolici, laici, marxisti) hanno lavorato affinché attraverso l’istituzione scolastica si potesse rendere effettiva la democrazia[14].

In questo contesto, abbiamo avuto lo spiritualismo cristiano che ha promosso una visione della vita che coltivasse una spontaneità razionale e non istintiva, criticando la concezione laica che ha inteso l’uomo come individuo e quella marxista basata sul materialismo dei bisogni. A sua volta, la corrente laica ha portato avanti un pensiero sul rapporto tra democrazia ed educazione, il pragmatismo e la scuola come luogo di vita reale. Infine, ricordiamo l’impostazione marxista basata sul principio che l’istruzione deve garantire una solida educazione di base per tutti, abituando all’impegno nello studio[15].

Andando oltre le specificità di ciascun orientamento politico, sociale e culturale, possiamo affermare che le tre anime della Costituente hanno avuto un importante comun denominatore, ovvero un’ispirazione umanistica per la quale l’alunno è il centro del processo educativo. Questo elemento comune ha permesso ai tre orientamenti ideologici di condividere l’obiettivo di costruire la nuova Italia attraverso un’educazione popolare e un’alfabetizzazione permanente[16]. In questo caso, il ruolo dell’educazione civica è quello di formare una comunità di soggetti consapevoli della dimensione e delle caratteristiche del nuovo contesto sociale e politico italiano instaurato dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e l’esperienza politica fascista.  

Alla luce di questa finalità, non sorprende che la già citata proposta di Aldo Moro, del 1947, sia stata votata all’unanimità. Questa prevedeva che la Carta costituzionale trovasse un adeguato posto nel quadro didattico delle scuole “al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano”.

A tal proposito, dall’analisi di Bellatalla, apprendiamo che i manuali di educazione civica degli anni Sessanta e Settanta hanno voluto prendere per mano le nuove generazioni di studenti per guidarle nei meccanismi giuridici nazionali e comunitari. Il fine ultimo è stato quello di spiegare che cosa significasse essere cittadini e come si esercitasse la cittadinanza[17]

Il percorso storico con il quale la legislazione di questa disciplina scolastica è cambiata si è anche permeato sull’evoluzione del dibattito politico-sociale inerente alla cittadinanza e alla crescente eterogeneità culturale del tessuto demografico italiano. Affianco a questi cambiamenti, un ruolo importante è stato rivestito anche dalla CEE e dalla sua trasformazione in UE. Questi due fattori hanno permesso di confrontarsi ancor di più con un contesto sociale internazionale e culturalmente eterogeneo.

Negli ultimi vent’anni, il rinnovato dibattito nazionale ed europeo sul rapporto tra lo Stato sociale (soprattutto in materia di diritti e il loro riconoscimento) e la società multiculturale (espressione che racchiude in sé la trasformazione degli Stati attraverso fenomeni come l’immigrazione, l’accoglienza, il riconoscimento delle diversità e la conservazione dell’identità nazionale) ha portato i temi della cittadinanza e della convivenza democratica su un piano politico oltre che sociale. Come riportato da Borgia, oggi si dà per acquisito che la figura del cittadino sia caratterizzata dalla partecipazione attiva alla vita politica dello Stato[18] e anche i manuali si sono fatti portatori di questo valore, allontanandosi dal binomio cittadino-suddito[19].

Tale visione è cresciuta insieme a quella della cittadinanza europea, uno status che dal Trattato di Maastricht del 1992 fino a quello di Lisbona del 2007 ha acquisito un ruolo sempre più importante, andando anche a definire i rapporti tra i cittadini e le istituzioni unionali.

Nonostante la celebre Lissabon Urteil del 2009 abbia sottolineato il carattere sussidiario della cittadinanza europea rispetto a quella nazionale (ovviamente di uno Stato membro), il dibattito unionale in materia ha permesso la diffusione di una visione politica, sociale e cosmopolitica sul significato di essere cittadino. A questo, si aggiunga anche l’affermazione della globalizzazione che, tra i suoi principali effetti, avrebbe portato alla diffusione di un senso di comunità. Secondo una parte della dottrina, infatti, con la globalizzazione ci sarebbe stato il superamento dei confini spazio-temporali che avrebbe aperto ad un arricchimento culturale in grado di andare oltre le frontiere di tutti i Paesi[20]. Tale riduzione dell’elemento territoriale ha comportato la subordinazione di scelte politiche (costitutivamente legate al territorio, ovvero ad una popolazione presente in una dimensione spazio-temporale ben definita e distinta) alle logiche della globalizzazione e dell’internazionalizzazione[21].

Non è un caso che i programmi di ‘studi sociali’ e ‘cittadinanza e Costituzione’ (nel periodo tra il 2003 e il 2008) abbiano aumentato e perfezionato i riferimenti allo studio dell’Unione europea, intesa sia come organizzazione internazionale che come ente sovranazionale in grado di incidere sull’ordinamento giuridico nazionale. Ancor prima di questi programmi, già a partire dalla metà degli anni Novanta, i manuali di questa disciplina iniziano a trattare, in modo sempre più specifico la dimensione comunitaria, affrontando argomenti come la moneta unica o problematiche all’epoca attuali che riguardavano trasversalmente tutti i Paesi membri[22].

Ritornando ad una dimensiona nazionale, negli ultimi anni il nostro Paese si è confrontato con una crescente multiculturalità della nostra società, accompagnata, col tempo e in ritardo rispetto ad altri Paesi (specie a confronto con quelli del centro-nord Europa), dalla presenza degli immigrati di seconda generazione. In particolare, tale definizione riconosce e identifica quel gruppo di individui nati in Italia, ma figli di genitori stranieri. In verità, però, si parla di seconda generazione riferendosi anche agli stranieri che sono immigrati prima dei diciotto anni.

Data questa definizione, riconosciamo il pensiero secondo il quale le “seconde generazioni” di immigrati appartengono a culture in movimento, aperte, plurali e meticce che vanno oltre la concezione della cultura di origine. Questa, a sua volta, rappresenta una realtà cristallizzata che diviene, nel tempo, un punto di partenza valoriale dal quale muovere i primi passi[23]. La dinamicità culturale e di principi che contraddistingue questi individui è dovuta al fatto che non possono essere definiti immigrati (se, ovviamente, nati in Italia) e che non vantano alcun legame giuridicamente rilevante con il Paese di origine dei loro genitori. Contemporaneamente, non vantano un legame giuridico con lo Stato nel quale sono nati dato che, attualmente, non c’è una legge che permetta loro una veloce integrazione nel tessuto sociale nazionale.

Già nel 2017, con riferimento alla crescita del fenomeno dell’“Islam italiano”, le istituzioni nazionali sono state avvertite che queste “seconde generazioni” sono passate dall’essere un fenomeno in stato embrionale ad una realtà sociale e umana affermata[24].

Lo spirito e i contenuti che caratterizzano la legge del 2019 e il decreto 35 del 2020 (contenente gli allegati della legge) richiamano chiaramente gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritta da 193 Paesi membri dell’ONU. Se consideriamo alcuni punti di questo programma[25], possiamo notare come questi condividano l’idea di uguaglianza e sostenibilità in nome del rispetto delle differenze culturali e della tutela dei diritti umani.

A tal proposito, l’individuazione di alcuni programmi e obiettivi di studio dentro l’educazione civica e la contemporanea libertà rilasciata alle scuole per l’organizzazione del corso (riportate nei succitati testi del 2019 e del 2020) significano che le istituzioni scolastiche possono, oltre alla trasmissione di contenuti nozionistici, aprirsi a delle pratiche in abilità e competenze presenti nella realtà sociale[26]. Pensando anche alle iniziative di conoscenza del territorio locale fin dalla scuola di infanzia, l’istituzione scolastica ha l’opportunità di aprirsi alla conoscenza del territorio non inteso solo come ente, bensì anche come spazio pubblico nel quale si operano delle scelte che hanno effetti sul contesto sociale in cui ciascun individuo agisce. Una scuola aperta ai luoghi di vita è in grado di preparare gli studenti ad un mondo interconnesso e ricco di relazioni su diversa scala[27]. Come affermato da Giorda, intendere il territorio come piattaforma per affrontare questioni relative agli esseri umani non implica più, ‘semplicemente’, educare il territorio, ma educare al territorio. Con la prima espressione, guardiamo ad una progettualità democratica fondata sull’intenzionalità di una comunità locale; con la seconda, invece, ci riferiamo all’individualità del soggetto che deve imparare a collocarsi nel proprio contesto di vita e a rapportarsi con la diversità per agire nel locale e nel globale[28].

In questa prospettiva, l’educazione civica può diventare lo strumento attraverso il quale allenare e preparare gli studenti e le studentesse a sapersi confrontare con la complessità sociale e demografica, sviluppando competenze relazionali e comunicative.

Allo stesso tempo, coloro che appartengono alla seconda generazione possono usufruire del doppio canale educativo ricordato poc’anzi. Nel loro caso, educare il territorio viene prima dell’educare al territorio. Non riconoscendosi né all’interno della società del Paese nel quale vivono, né in quella dello Stato nel quale i genitori sono nati e cresciuti, un soggetto appartenente alla seconda generazione potrebbe avvalersi dell’educazione civica per comprendere e apprezzare i principi del Paese nel quale vive che lo proiettano anche in una dimensione spaziale e valoriale unionale e globale.

4. Comparazione con la regolamentazione sull’educazione civica in Francia

Per quanto concerne la storia dell’istituzione e dello studio dell’Educazione civica e della Costituzione in Francia, dobbiamo partire da un importante presupposto. Nello specifico, come affermato da Galichet, l’introduzione e la rielaborazione di questa materia nei programmi di studio francesi ha sempre risposto a delle situazioni critiche dal punto di vista politico e sociale. Aggiornare e rielaborare i programmi di studio dell’Educazione civica costituiscono alcune delle possibili, se non le principali, soluzioni a questo genere di emergenze[29].

La volontà di introdurre nelle scuole questa materia era già presente nei progetti delle due assemblee rivoluzionarie francesi (quella della Costituente e della Convenzione). Tuttavia, in quelle occasioni, non era presente l’espressione “istruzione civica”, bensì, più in generale, “educazione morale e sociale”. Negli intenti delle assemblee, si è voluto dare spazio ad un genere di educazione che sostituisse quella religiosa, dato il contesto storico contrassegnato dallo scontro tra la Chiesa e lo Stato repubblicano.

Il progetto presentato da Talleyrand nel 1791 prevedeva la presenza di istruzioni semplici e chiare sui doveri comuni a tutti i cittadini e sulle leggi ritenute fondamentali da portare alla conoscenza di tutti. Inoltre, c’erano anche i riferimenti ad esempi di azioni virtuose per incoraggiare gli studenti più giovani.

Dopo alcuni contrasti sul modo di concepire l’istruzione civica e lo studio della Costituzione, il decreto Lakanal del 1794 ha integrato alla disciplina le visite degli alunni a fabbriche e ospedali affinché i giovani discenti contribuissero ai lavori domestici, in aiuto agli anziani e ai difensori della Patria. Con l’avvento del Primo Impero e dopo la Restaurazione, il ritorno di un’istruzione religiosa ha oscurato quella morale e sociale. 

Successivamente, il periodo della “Terza Repubblica” ha visto una nuova fortuna per l’istruzione civica. L’introduzione ufficiale nei programmi scolastici (grazie alla legge 28 marzo 1882) ha contribuito ad avere una florida fase di realizzazione di manuali che ha portato alla pubblicazione di 137 libri tra il 1872 e il 1914.

I manuali dell’epoca si basavano su tre punti importanti. Il primo, definito “sezione informativa”, ineriva alle istituzioni della Repubblica e al loro funzionamento; il secondo, definibile “affettivo”, sviluppato sulle storie nazionali in grado di suscitare riflessioni ed emozioni (una di queste riguardava la perdita dell’Alsazia-Lorena); il terzo, presente solo in alcuni manuali, trattava una linea critica relativa ad alcune questioni sociali (come, per esempio, la tassazione)[30]

Questo insegnamento era riservato esclusivamente alle scuole elementari.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i traumi relativi alla sconfitta e al collaborazionismo di una parte del Paese hanno fatto emergere la necessità di estendere lo studio dell’Educazione civica anche al primo ciclo dei licei, ma negli anni Sessanta tale materia è nuovamente scomparsa.

Una nuova attenzione è stata riservata negli anni Ottanta. Qui, il nome “Educazione civica” ha lasciato il posto a “Educazione alla cittadinanza”. Il cambio onomastico ha dimostrato quanto fosse sentita la sensibilità politica nazionale sulle minacce di quel periodo per la Francia e la sua società. C’era il rischio di una frattura sociale dovuta agli alti tassi di disoccupazione, agli interrogativi sull’immigrazione, all’integrazione dei figli degli immigrati e al confronto con culture e religioni extraeuropee. Siffatto contesto ha portato l’Educazione alla cittadinanza ad esser pensata come un pilastro della Repubblica[31].

Trattando dello sviluppo e dei cambiamenti di suddetta materia in un periodo più recente, osserviamo i dati normativi e le pratiche di insegnamento.

I programmi pubblicati nel 1991 vedevano, per gli studenti della scuola materna (primo ciclo, 3-6 anni), il raggiungimento di una certa socialità da parte dei bambini (assumendosi le proprie responsabilità nella classe e accettando le regole di convivenza). Per il secondo ciclo di studi (6-8 anni), oltre ad un aumento delle responsabilità in classe e a scuola (l’alunno doveva non solo accettare queste regole, ma dargli anche un senso), avevamo la conoscenza degli elementi della vita civile e di alcuni simboli della Repubblica (tra i quali la bandiera, l’inno nazionale). Infine, per il terzo ciclo (9-11 anni), gli studenti dovevano essere in grado di lavorare in gruppo e ivi elaborare le regole della classe o della scuola. Inoltre, dovevano anche saper partecipare ad una struttura cooperativa o associativa dove mettere in pratica le regole apprese a lezione. Infine, si richiedeva di essere capaci a spiegare, tramite esempi, i diritti e i doveri dell’uomo e a descrivere le istituzioni nazionali e quelle di un’organizzazione internazionale.

La strutturazione di questi programmi era caratterizzata dalla presenza di due diversi livelli. Il primo, dall’ambiente più vicino a quello più lontano (dalla classe fino al proprio Stato e alle istituzioni internazionali); il secondo, invece, ineriva alle relazioni che gli studenti avevano con i loro coetanei, gli insegnanti, gli adulti, fino a passare alle relazioni astratte con le principali istituzioni nazionali.

Data l’ampiezza degli obiettivi posti, appare intuitivo come la legge dell’epoca non avesse indicato l’Educazione alla cittadinanza come una materia autonoma, dotata di un proprio orario, ma come una delle aree trasversali con un’ora distribuita tra tutte le materie.

Un importante cambiamento è arrivato, in seguito, nei programmi scolastici del 2002. Per la prima volta, si introduceva un “dibattito” settimanale della durata di mezz’ora sotto la voce “vivere insieme”. Tale iniziativa aveva due scopi, ovvero mettere in pratica una comunicazione regolamentata (con la previsione di un ordine del giorno, la presidenza della seduta, il compilamento di un verbale) e stimolare la riflessione sull’applicazione di quei valori sociali e statali che trovavano gli allievi in disaccordo.

Dal punto di vista didattico, le citate modifiche ai programmi hanno comportato la scomparsa della tradizionale lezione di Educazione civica. Questa è stata sostituita da alcune pratiche, come la “pedagogia cooperativa”. Proposta da movimenti pedagogici e istituti universitari per la formazione dei docenti, si fornivano agli insegnanti, attraverso questa forma di pedagogia, le competenze per sviluppare attività di gruppo che sono state, in seguito, previste anche dalle leggi nazionali. Inoltre, abbiamo avuto l’uso dei giornali a scuola e l’abbonamento di alcune classi a quotidiani francesi (alcuni dei quali specificamente scritti per i ragazzi). La stampa è stata utilizzata come occasione per sviluppare dibattiti intorno a questioni di attualità. Infine, riportiamo il tutoraggio tra studenti (considerato una forma di educazione di cittadinanza in grado di sviluppare uno spirito di solidarietà tra gli allievi) e la “pedagogia di progetto” che, attraverso gite scolastiche o aiuti a scuole del terzo mondo, permetteva agli studenti di vivere concretamente esperienze di cittadinanza tramite progetti di gruppo.

Tali iniziative testimoniano una precisa presa di coscienza da parte della scuola francese: l’educazione alla cittadinanza non può essere ridotta ad un insegnamento classico. Anche i manuali della disciplina hanno riconosciuto l’inefficacia delle lezioni di morale poiché gli alunni non riuscivano a trarre nessuna conseguenza pratica dalle nozioni studiate. È stata percepita la necessità di concepire la scuola non solo come luogo di insegnamento, ma anche come ambiente educativo che permettesse di far scoprire agli alunni, tramite l’esperienza, i valori e le esigenze che fondano la vita, il mondo sociale[32]

Nel 1996, il legislatore francese è intervenuto (circolare del 14 maggio, n. 121) per modificare l’insegnamento di suddetta materia nei collèges (scuola media) e nei lycées (scuola superiore). L’obiettivo di questo provvedimento era riuscire ad integrare le giovani generazioni nella comune cultura nazionale che traeva origine dall’Illuminismo o dai condivisi valori universali[33].

Per il primo ciclo di studi, distinguiamo due aspetti: da un lato, l’Educazione civica in quanto disciplina affidata agli insegnanti di Storia e Geografia; dall’altro, invece, l’Educazione alla cittadinanza, come materia di competenza di tutti i docenti. L’Educazione civica, come anticipato, è rimasta ancorata alla Storia-geografia e aveva una mezz’ora di trattamento sulle tre ore settimanali previste per la materia principale. Il legame con la Storia-geografia derivava dalla volontà di rendere lo studente un cittadino libero e responsabile, in grado di comprendere il mondo contemporaneo ed essere attivo nel contesto sociale nel quale viveva e agiva. 

Nello specifico, è stata abbandonata la visione di una conoscenza in progressione (dalle istituzioni locali a quelle nazionali e internazionali del 1985) in favore di una strutturazione dei programmi che si sviluppava intorno a delle nozioni fondamentali (come la persona umana e il cittadino). Tale programma era strutturato tenendo conto dell’età degli alunni.

Tra i punti affrontati, erano riportati: la comprensione dei diritti e dei doveri della persona; studiare i valori costitutivi di una società democratica (solidarietà, libertà e giustizia); analisi sul significato della cittadinanza in Francia, in Europa e nel mondo. Infine, l’Educazione civica era presente anche nell’esame finale (Brevet des Collèges) dove agli alunni venivano proposti, in occasione dell’esame orale, documenti di studio presi per lo più dall’attualità e con riferimenti a istituzioni, eventi politici o storici.   

Con riferimento all’Educazione alla cittadinanza, la circolare del 1996 ha sottolineato che questa costituiva un insegnamento condiviso dall’intero corpo docente e ogni disciplina doveva integrare nozioni di cittadinanza nei propri programmi. Tra le modalità suggerite, segnaliamo: “l’ora di vita”, dieci ore annuali dove gli studenti dibattevano sui problemi relazionali della classe (tra loro ed eventualmente il corpo docente); gli “itinerari della scoperta”, due ore settimanali che coinvolgevano gli insegnanti di almeno due discipline in relazione a tematiche trasversali e l’insegnamento del “fatto religioso”. A tal proposito, la celebre sentenza sulla possibilità di indossare o meno il velo islamico nelle scuole (tribunale di Creil, 1989) ha costretto i docenti a riconsiderare la questione della laicità, integrandola nel problema dell’educazione alla cittadinanza e affrontandola durante le ore di lezione. 

Per quanto concerne le classi liceali, il 1996 è stato un anno importante per l’affermazione dell’Educazione civica in queste. In quell’anno, abbiamo assistito alla consultazione nazionale degli studenti organizzata dal Ministero dell’istruzione ed è emersa la volontà studentesca di poter affrontare, durante l’orario scolastico, le questioni sociali che li preoccupavano maggiormente.

Come sottolineato da Galichet, questa richiesta traeva origine dal fatto che, con l’aumento della popolazione studentesca e l’allungamento degli anni di studio a causa dell’elevato numero di bocciature, molti alunni arrivavano ai grandi temi politici e sociali nazionali alla maggiore età, quindi con la possibilità di esercitare il diritto di voto, temendo di non essere preparati[34].

Da questa esigenza, abbiamo avuto la costituzione di “Educazione civica, giuridica e sociale”, una materia con un orario di 12 ore annuali che gli insegnanti potevano organizzare e strutturare liberamente.

Questa “nuova” disciplina era caratterizzata da tre punti importanti. Il primo, un approccio di tipo nozionistico basato su concetti come la civiltà, l’integrazione, la nazionalità, i diritti dell’uomo e del cittadino, i diritti sociali ed economici. Nell’ultimo anno, invece, gli argomenti riguardavano la libertà, l’uguaglianza, la sovranità, la giustizia, l’interesse generale, la sicurezza, la responsabilità e l’etica.

Il secondo approccio prevedeva, invece, un metodo di insegnamento che si concentrava sull’attualità. I docenti erano liberi di trattare gli argomenti di cui sopra partendo da notizie di attualità locale, nazionale, europea o internazionale, creando i presupposti per una riflessione più ampia attraverso dibattiti organizzati con documenti che supportassero le tesi discusse. 

Tra il 2005 e il 2006, abbiamo assistito ad un altro cambiamento nella programmazione scolastica di questa disciplina, come attestato dal Bulletin Officiel n. 29 del 2006. Per come è stato concepito tale insegnamento per la scuola media, questo era maggiormente orientato sul rispetto delle regole della scuola e della classe e poco sulle iniziative e l’impegno sociale studenteschi. Pertanto, le competenze attribuite dalla materia inerivano alla conoscenza del vocabolario della cittadinanza, delle istituzioni politiche e delle regole fondamentali della vita sociale e politica. Tale contesto si traduceva in uno scarso investimento nell’organizzazione e promozione di spazi extracurricolari dove poter esercitare quelle competenze che le precedenti strutturazioni della materia garantivano[35].

Infine, tra le ultime modifiche normative, citiamo l’istituzionalizzazione, da parte del Ministero dell’istruzione nazionale e della gioventù, del cosiddetto “Parcours citoyen”. Questo ‘viaggio cittadino’, istituito nel 2021 e che riguarda gli anni dalla scuola elementare fino alle classi liceali, è supportato da lezioni (in ‘Educazione morale e civica’ e ‘Educazione ai media e all’informazione’) e inerisce ai temi più importanti dell’educazione alla cittadinanza. Tra questi, figurano: la laicità, la parità tra donne e uomini, la lotta contro ogni forma di discriminazione, la prevenzione e il contrasto al razzismo, l’educazione all’ambiente e ad uno sviluppo sostenibile.

Accanto a questa parte teorica, sono incoraggiate anche attività pratiche sulla partecipazione a dibattiti pubblici; prendere parte ad iniziative locali, nazionali o accademiche; aderire ad associazioni che aprano alla vita e all’impegno nella società.

A conclusione del percorso di studi, è previsto il rilascio ad ogni studente del “Livret de citoyenneté”. Questo libro riunisce tutti i succitati principi fondamentali e attesta l’impegno degli alunni in questo studio. La consegna è contemporanea al diploma nazionale di maturità durante una cerimonia, alla presenza delle famiglie.

5. Conclusioni

Quanto visto in relazione al modo di pensare e organizzare l’insegnamento dell’Educazione civica nei due Paesi trattati ci fa apprezzare l’esistenza di una grande differenza. Infatti, se in Italia questa materia vede un legame imprescindibile con la Costituzione, in Francia (eccezion fatta per la fase post-rivoluzionaria) non abbiamo alcun riferimento diretto allo studio della Carta fondamentale.

Le esperienze legislative e scolastiche italiane hanno mostrato il ruolo centrale dello studio e della conoscenza della Costituzione al punto che questa rappresenta una parte importante del programma di Educazione civica, un elemento che ispira la scelta degli altri argomenti da trattare. In Francia, invece, assistiamo ad una selezione dei principi costituzionali più importanti da inserire nei programmi di studio. Tale scelta, a sua volta, è dettata dalle necessità socio-politiche che emergono dalla società francese in un determinato periodo storico.

Pertanto, ci chiediamo come queste due differenti modalità di strutturazione dei programmi di studio rispondano alla domanda precedentemente citata di Zagrebelsky sul ruolo della scuola.

Con riferimento all’Italia, possiamo affermare che abbiamo avuto, dal 1947 al 2019, un percorso legislativo-scolastico che ha cambiato la prospettiva sulla scuola. Infatti, questa istituzione non adempie più soltanto alla ‘semplice’ istruzione, ma anche all’educazione. Una prova di questo deriva dal contenuto della legge 92/2019. Questa prevede la compresenza di due punti: uno formativo, inerente agli obiettivi cognitivi da raggiungere, alla programmazione delle lezioni e al monte ore. Un altro educativo, attraverso la previsione delle libere iniziative che la scuola può organizzare per far conoscere il territorio nazionale. Questo mira a dare un senso pratico alle nozioni acquisite dagli studenti, calandole all’interno del contesto sociale nel quale ciascuna scuola è presente e opera.

Pensiamo, a tal proposito, al fatto che il legislatore ha concesso piena autonomia alle scuole sulle modalità di organizzazione dei corsi di Educazione civica. Tale libertà, a sua volta, è stata bilanciata dall’obbligo di autovalutazione (già presente nella legge 107/2015) che ogni istituto deve fare per capire i punti di forza e di debolezza nell’insegnamento di suddetta disciplina e cosa fare per migliorare. Inoltre, i dati raccolti sono utili anche per comprendere il grado di soddisfazione del servizio offerto da parte degli studenti.

Accanto ad una valutazione degli istituti, abbiamo anche quella ministeriale ex articolo 11 della legge del 2019. Questo prevede che il Ministro dell’istruzione, con cadenza biennale, presenti una relazione sull’attuazione della legge n. 92, anche in prospettiva di una modifica dei quadri orari e dell’insegnamento di Educazione civica. Una testimonianza sull’applicazione di questa previsione proviene dal “Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari” n. 139 del 6 luglio 2023. In questo, possiamo leggere dell’intenzione di aggiornare i programmi inserendo dei riferimenti alla pandemia da Covid-19 vissuta in Italia e in Europa, la conoscenza del PNRR e la guerra russo-ucraina. Inoltre, nel testo è espressa la volontà di introdurre nelle scuole superiori l’insegnamento di “Scienze giuridiche, economiche e del lavoro” con un orario non inferiore alle 33 ore annue e di rimodulare, potenziando, la figura del coordinatore di Educazione civica.

Il meccanismo previsto dal citato articolo 11 rappresenta un modo di concepire la materia come una realtà dinamica, in costante evoluzione, e meritevole di un accurato monitoraggio ai fini di un eventuale aggiornamento.

Per quanto concerne la Francia, invece, possiamo affermare che i programmi scolastici transalpini hanno da sempre (fin dal 1791) dimostrato l’intenzione di non pensare l’Educazione civica soltanto come una materia scolastica o un coacervo di concetti. Anzi, appare evidente come, negli anni, il profilo prettamente nozionistico abbia lasciato sempre più spazio ad esperienze pratiche che permettessero di dare una dimensione concreta e tangibile alla conoscenza dei principi costituzionali. Considerando che la Francia ha sempre guardato all’Educazione civica come rimedio ai problemi sociali del Paese, possiamo sostenere (richiamando la dicotomia che Zagrebelsky sostiene sul ruolo della scuola quando si chiede se questa sia un’istituzione che trasmette conoscenza o che inculca principi)[36] che la scuola transalpina si è incentrata maggiormente sull’educare.

Una prova di quanto affermato proviene dall’iniziativa promossa dal Ministero dell’istruzione, in collaborazione con il Consiglio costituzionale, dal titolo “Décrouvons notre Constitution”. Lo scopo di tale progetto, come si legge, è quello di permettere agli studenti di comprendere, attraverso la riflessione e il lavoro collettivo, i principi fondamentali sui quali si fonda la Repubblica francese. Gli alunni sono invitati ad esprimere il modo con il quale apprendono i principali valori della Costituzione, partendo dalla Carta fondamentale del 1958 oppure da uno dei testi cui questa fa esplicito riferimento (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, il Preambolo della Costituzione o la Carta Ambientale del 2005).

Come visto, si studia e si conosce la Carta fondamentale del proprio Paese attraverso alcuni valori (ad esempio il lavoro di gruppo o la condivisione di uno spazio comune) che a loro volta sono interconnessi con i principi costituzionali.

Se la disamina dell’Educazione civica in Italia e in Francia ci ha mostrato una maggiore sensibilità dell’istituzione scolastica verso l’educazione, non possiamo, però, non notare che l’aspetto legato alla didattica ha un ruolo importante in entrambi i Paesi. Questo punto non proviene dall’analisi di una legge o di un’iniziativa ministeriale, ma da una riflessione che interessa il tessuto sociale italiano e francese.

Tale considerazione assume una maggiore rilevanza se consideriamo la natura culturalmente eterogenea dei due Paesi che si confrontano con le seconde generazioni di immigrati (in Francia oggi abbiamo le terze). In particolare, se questi rappresentano un fenomeno relativamente nuovo in Italia, in Francia, invece, costituiscono una presenza già consolidata nel tempo.

La conoscenza della società transalpina, con la possibilità di esserne integrato, è un obiettivo che chi non è francese di origine può raggiungere attraverso il modo in cui l’Educazione civica è concepita nelle scuole francesi. Apprendere e verificare, a conclusione di alcuni cicli di studi, l’esistenza e il funzionamento delle istituzioni politiche e amministrative nazionali, le organizzazioni internazionali nelle quali la Francia è politicamente coinvolta, permette di capire la dimensione nazionale e internazionale di questo Paese. Oltre al lato didattico, quello valoriale (nel senso di capacità della scuola di trasmettere dei valori) consente a soggetti che non hanno un legame diretto col territorio di comprendere la realtà sociale transalpina per riuscire ad entrare direttamente dentro ai suoi meccanismi e poterci vivere. Fondamentale, da questo punto di vista, l’approvazione della Charte de la laïcité del 2013 da parte del Ministero dell’istruzione. Questa informa gli studenti che la Repubblica è laica (prevedendo la separazione tra Stato e religione) e che grazie all’applicazione di tale principio sono garantite la libertà di pensiero, di religione, l’uguaglianza e la fratellanza. Conoscere la laicità rappresenta un elemento cardine del vivere nella società francese. Infatti, questo principio ispira anche l’organizzazione interna degli enti e delle istituzioni pubbliche nazionali con le quali un cittadino è chiamato a confrontarsi.

In Italia, invece, l’affermazione delle seconde generazioni è un fenomeno più recente[37]. Nonostante questa differente tempistica, notiamo che il sistema disciplinare costruito intorno all’Educazione civica permette una conoscenza e una comprensione del sistema politico-sociale italiano. La compresenza delle due azioni, educare il territorio e al territorio, potrebbe essere importante nel caso in cui l’Esecutivo, oggi, decidesse di ridiscutere il tema della concessione della cittadinanza attraverso il criterio dello ius scholae (l’ultima proposta di legge (il cosiddetto ddl Brescia è stata presentata nel corso della XVII legislatura). Lo ius scholae è discusso nelle assemblee del nostro Paese fin dal 2009 e, per come presentato dal suddetto disegno di legge Brescia nel febbraio 2022, affiderebbe alla scuola il fondamentale ruolo di fornire e certificare le conoscenze sul e del nostro Paese a quegli alunni che, nati da genitori stranieri, troverebbero nella frequentazione di un ciclo scolastico un modo più veloce di ottenere la cittadinanza italiana.

Inoltre, lo studio e la conoscenza della Carta fondamentale e dei principi e dei valori costituzionali sono stati considerati da entrambi i Paesi in questione un possibile rimedio contro il fenomeno della radicalizzazione. In Italia, il ddl D’Ambruosio-Manciulli (proposta c. 3558 del 2016), ex articolo 8, ha previsto degli interventi in ambito scolastico. La disposizione citata riportava che l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura avrebbe elaborato, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, delle linee guida sul dialogo interculturale e interreligioso, finalizzate a promuovere la conoscenza approfondita della Costituzione, con particolare riferimento ai principi fondamentali e ai diritti e ai doveri dei cittadini, per “promuovere la cultura della tolleranza e del pluralismo, il principio supremo di laicità dello Stato e prevenire episodi di radicalizzazione in ambito scolastico”. In Francia, invece, il Governo ha adottato, nel febbraio 2018, il piano nazionale di prevenzione alla radicalizzazione, definito Prévenir Pour Protéger. In pieno rispetto della tradizione transalpina, non leggiamo nel documento la presenza di uno specifico studio nelle scuole, ma “l’impegno delle istituzioni scolastiche a combattere il radicalismo attraverso la difesa dei valori della Repubblica, sviluppando il concetto di laicità, incoraggiando la sistematizzazione di riferimenti alla radicalizzazione negli istituti di istruzione superiore, nonché la partecipazione dei presidenti delle università e dei direttori delle scuole”. Un’altra pratica riportata è il perseguimento di una formazione interdisciplinare sulla radicalizzazione per rendere preparati coloro che, lavorando nelle scuole e nelle istituzioni pubbliche, si confrontano quotidianamente con la diversità culturale presente nella società francese.    

L’importanza della scuola nella formazione di individui che siano capaci di inserirsi nel contesto sociale nazionale è stata anche richiamata dal Consiglio di Stato. La sentenza 2961/2015 ha affermato, in materia di cittadinanza e integrazione, che la scarsa conoscenza della lingua italiana, unita all’ignoranza dei principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato, integra una ragione sufficiente a legittimare la mancata concessione della cittadinanza italiana. Tali mancanze, a loro volta, sarebbero rappresentative di un’insufficiente integrazione nel tessuto sociale italiano che rappresenterebbe un presupposto fondamentale per l’acquisizione dello status di cittadino.

Pertanto, citando nuovamente la frase di Zagrebelsky riportata in precedenza, la scuola non è un posto che istruisce o che trasmette valori. Attraverso la legge 92/2019, la scuola appare in grado di istruire e trasmettere valori allo stesso tempo. Anzi, le due azioni sarebbero strettamente connesse tra loro. A tal proposito, pensando a quanto ricordato dallo stesso Zagrebelsky, “lezione” è una parola che deriva dal greco e significa “raccogliere”. Quindi, attraverso una lezione si può lavorare per selezionare e raccogliere dal passato ciò che è utile e importante per la società di oggi. Questa, pur rappresentando un’entità in continuo movimento e trasformazione, attraverso i numerosi fenomeni transnazionali che la caratterizzano, ha la necessità di guardare al proprio passato per portare i cittadini di domani verso il loro futuro, una dimensione temporale che ancora per alcuni anni deve essere accompagnata e sostenuta dall’ambizione di realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030 nel nome di una sostenibilità che deve essere anche sociale e umana.


Note e riferimenti bibliografici

[1] United Nations Conference on Enviroment and Development (UNCED), The Rio Declaration on Enviroment and Development, Rio De Janeiro 1992, punto 16.4.

[2] Cfr. Risoluzione ONU, United Nations Millennium Declaration, A/RES/55/2, New York, 2000, p. 2.

[3] La definizione di questi obiettivi ha portato a definire il 2015 come l’anno dello sviluppo sostenibile poiché ha visto in sé la definizione della strategia di eventi determinanti per la definizione della strategia di sviluppo negli anni successivi, fino al 2030; a tal proposito, cfr. S. Cardascia, 2015: l’anno europeo per lo sviluppo, in Rivista di Affari Europei: Europae, 2014, p. 1.

[4] Cfr. I. Lenzi, I. Pais, A. Zucca, Un patto globale per lo sviluppo sostenibile. Processi e attori nell’Agenda 2030. Milano, Ed. FEEM, 2015, p. 26.

[5] Nonostante il carattere non vincolante, una parte della dottrina considera l’Agenda 2030 come uno strumento in grado di implementare il soft law internazionale; vedesi M. Rabinovych, Legal Status and Effects of the Agenda 2030 Within the EU Legal Order, in Journal of Contemporary European Research, vol. 16 (2), p. 188.

[6] Cfr. A. Falzarano, Agenda 2030 tra Sviluppo Sostenibile e cultura della sostenibilità: una lettura sociologica, in “Culture e Studi del Sociale”, n. 5 (1), p. 145.

[7] A tal proposito, cfr. la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Proposta relativa a un nuovo consenso europeo in materia di sviluppo: Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro, Strasburgo, 2016, p.8.

[8] Comunicazione della Commissione Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, Bruxelles, 2010, p.3.

[9] Cfr. V. Noviello, Politiche di integrazione nel contesto euro-mediterraneo. Il caso di Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia (1980-2007), in Quaderno ISSM, n. 153, 2010, p. 29.

[10] Su questo punto, cfr. C. Corsi, Da stranieri a cittadini. Linee di un percorso italiano, in G. Cerrina Feroni e V. Federico, Società multiculturali e percorsi di integrazione, Firenze, Firenze University Press, 2017, pp. 41-42 e 45.

[11] Cfr. F. Braudel, L'identité de la France, Paris, Flammarion, 1986, p. 595.

[12] Sul punto, cfr. E. Renan, Qu'est-ce que une nation?, in H. Psichari (éd.), Ouvres complètes, Paris, Calmann-Lévy, 1947, p. 887.

[13] T. Vissol, Laïcité. Le origini della proposta di legge che spacca in due la Francia, in Confronti, 27 febbraio 2021, p. 3.

[14] Cfr. L. Pazzaglia, Il dibattito sulla scuola nei lavori dell’Assemblea Costituente, in G. Rossini (ed.), Democrazia cristiana e Costituente nella società del dopoguerra, Roma, Cinque Lune, 1980, pp. 495-544.

[15] Sulle diverse posizioni cfr. M. Caligiuri, Aldo Moro e la costruzione della democrazia. Educazione civica per il XXI secolo, in “Pedagogia Oggi”, n.1, 2020, p. 256. 

[16] M. Caligiuri, Aldo Moro e la costruzione della democrazia. Educazione civica per il XXI secolo, in “Pedagogia Oggi”, n.1, 2020, p. 257.

[17] L. Bellatalla, I Manuali di Educazione Civica nella scuola italiana, in J. Pintassilgo (coord.), Laicidade, Religiões e Educação na Europa do Sul no Século XX, FCT, Lisbona, 2013, p. 213.

[18] Sul punto, cfr. G. Borgia, L’educazione civica nella scuola per educare i giovani alla convivenza civile e democratica, in “Formazione e Insegnamento”, n. 1, 2020, p. 572.

[19] L. Bellatalla, I Manuali di Educazione Civica nella scuola italiana, in J. Pintassilgo (coord.), Laicidade, Religiões e Educação na Europa do Sul no Século XX, FCT, Lisbona, 2013, p. 208.

[20] Citiamo, a tal proposito, P. McQuail, La comunicazione di massa, Trad. ital. Bologna, Il Mulino, 1994; T. Lewitt, The globalisation of markets, in “Harvard Business School”, vol. 61, n.3, 1999; R. Gubert, Il sentimento di appartenenza territoriale e il processo di globalizzazione, in “Sociologia urbana e rurale”, n. 39, 1992.

[21] Cfr. C. Sbailò, Sul sentiero della notte. La πόλις, Pisa, Pacini Giuridica, 2020, p. 57.

[22] L. Bellatalla, I Manuali di Educazione Civica nella scuola italiana, in J. Pintassilgo (coord.), Laicidade, Religiões e Educação na Europa do Sul no Século XX, FCT, Lisbona, 2013, p. 214.

[23] Cfr. I. Bolognesi, Identità e integrazione dei minori di origine straniera. Il punto di vista della pedagogia interculturale in Ricerche di Pedagogia e Didattica – Educazione sociale, interculturale e della Cooperazione, n. 3, 2008, p. 11. 

[24] Sul punto cfr. C. Sbailò, Testo dell’audizione resa innanzi alla I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), nel corso dell’esame delle proposte di legge c. 2976 e c. 3421 recanti disposizioni in materia di istituzione del registro pubblico delle moschee e dell’albo nazionale degli imam, in Rivista AIC, fasc. 3/2017, novembre 2017, p. 4 e pp. 9-10. 

[25] Si prende in particolare considerazione il punto 4 (garantire istruzione di qualità inclusiva ed equa), 8 (promozione di una crescita economica inclusiva e sostenibile) e 10 (riduzione della disuguaglianza nei e tra i Paesi). 

[26] M. Castoldi, Lavorare per competenze. Percorsi e strumenti, Roma, Carocci, 2011.

[27] V. Ferrero e F. Mulas, Cittadinanza, territorio, scuola. Prospettive di educazione civica, in “Civitas educationis. Education, Politics and culture, Anno X, n. 1, giugno 2020, p. 168.

[28] Cfr. C. Giorda, “Conoscenza geografica e cittadinanza. Un progetto per il territorio”, in Id. & M. Puttilli (a cura di), Educare al territorio, educare il territorio. Geografia per la formazione, Roma, Carocci, pp. 53-54.

[31] F. Galichet, L'éducation à la citoyenneté dans les programmes d'enseignement français nécessairement laics et leur mise en ouvre, en Colloque international salésien de Lyon (20-24 août 2005), p. 4.

[32] M. Nicole, F. Imbert et le groupe de recherche institutionelle – Vivre ensemble, un enjeu pour l’école, en Revue française de pédagogie, n. 127, 1999, p. 176.

[33] Cfr. H. Starkey, Citizenship education in France and Britain: evolving theories and practices, in The Curriculum Journal, vol. 11, n. 1, 2000, p. 41.

[34] F. Galichet, L'éducation à la citoyenneté dans les programmes d'enseignement français nécessairement laics et leur mise en ouvre, en Colloque international salésien de Lyon (20-24 août 2005) p. 12.

[35] Cfr. C. Chauvigné, R. Étienne et L. Clavier, Éléments pour une histoire de l’éducation à la citoyenneté: de l’école publique française au lycée, quels enjeux?, en Recherches en éducation, n. 10, 2011, p. 141.

[36] G. Zagrebelsky, La lezione, Torino, Einaudi, 2022, p. 60.

[37] C. Sbailò, Testo dell’audizione resa innanzi alla I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), nel corso dell’esame delle proposte di legge c. 2976 e c. 3421 recanti disposizioni in materia di istituzione del registro pubblico delle moschee e dell’albo nazionale degli imam in Rivista AIC, fasc. 3/2017, novembre 2017, pp. 9-10.