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Pubbl. Mer, 8 Nov 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Riforma Cartabia e reati ambientali: l´improcedibilità quale ipotetica spada di Damocle

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autori Roberto Colucciello , Francesco Mazza



L’introduzione della cd. Riforma Cartabia ha apportato nel nostro ordinamento uno degli istituti più discussi tra gli studiosi e, in generale, tra gli operatori del diritto, ossia l’improcedibilità, meglio nota come prescrizione processuale. La soluzione adottata dalla novella legislativa testè menzionata, lungi dall’essere risolutoria nel segmento giuridico di interesse, è il frutto di mediazioni politico-normative. Dopo aver analizzato questo istituto, secondo la copiosa produzione dottrinale, dalla genesi fino alla sua approvazione, ed averne descritto sommariamente i rapporti con il precedente istituto della prescrizione, si passa ad analizzare gli effetti potenziali che lo stesso potrebbe avere con gli ecodelitti. Per concludere, si passa alle contravvenzioni.


ENG

Cartabia reform and environmental crimes: inadmissibility as the (hypothetical) sword of Damocles

The introduction of cd. Cartabia Reform has brought into our legal system one of the most discussed institutions among scholars and, in general, among the operators of law, ie the impossibility, better known as procedural prescription. The solution adopted by the legislative novel is mentioned above, far from being conclusive in the legal segment of interest, is the result of political-regulatory mediation. After having analyzed this institute, according to the copious doctrinal production, from its genesis until its approval, and having briefly described its relations with the previous institute of prescription, We move to analyze the ”potential” effects that the same could have with the ecocrimes. Finally, we move on to fines.

Sommario: 1. L’improcedibilità quale nuovo strumento di natura processuale; 2. L’improcedibilità processuale e la prescrizione sostanziale: uno strano rapporto; 3. Ecodelitti: i potenziali effetti dell’istituto della improcedibilità; 4. Effetti della Riforma Cartabia sulla procedura estintiva delle contravvenzioni: un’occasione sprecata; 5. Conclusioni.*

1. L’improcedibilità quale nuovo strumento di natura processuale

L’istituto della improcedibilità, alias prescrizione processuale, prima di essere recepito nella riforma Cartabia, era stato accolto in alcuni disegni di legge, tutti decaduti, presentati nelle scorse legislature: nel DDL S/878 del 26 luglio 2006, d’iniziativa dei senatori Brutti, Finocchiaro ed altri (Abrogazione della legge 5 dicembre 2005, n. 251, e disposizioni in materia di prescrizione del reato); DDL S/260 del 20 giugno 2001, d’iniziativa dei senatori Fassone, Ayala ed altri (Nuova disciplina della prescrizione del reato); nel DDL S/2699 del 22 gennaio 2004, d’iniziativa dei senatori Fassone, Ayala ed altri (Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di ragionevole durata del processo); nel DDL S/1880 del 12 novembre 2009, d’iniziativa dei senatori Gasparri, Quagliarello ed altri (Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali); e, ancora, nel disegno di legge delega presentato al Ministro della Giustizia il 19 dicembre 2007 dalla Commissione di studio per la riforma del codice di procedura penale presieduta dal prof. Giuseppe Riccio[1].

Con l’approvazione della Legge 27 settembre 2021 n. 134, il disegno di legge recante la Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa, e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti penali, è stato approvato in maniera definitiva.

In particolare, tra le diverse norme contenute vi è l’art. 2 della riforma, contenente norme di immediata applicazione, al netto dei decreti legislativi di attuazione, ossia l’istituto dell’improcedibilità di cui al nuovo articolo 344-bis c.p.p. recante Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.

Trattasi di un intervento che va ad affiancare il blocco della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado già previsto dalla Legge n. 3/2019 (cd. Legge Bonafede detta anche spazzacorrotti). Sotto questo profilo, non può certo sfuggire la circostanza che l’introduzione dell’istituto della prescrizione processuale sia il risultato di un ‘compromesso’ tra le forze politiche[2].

Nel provvedimento normativo di cui sopra, è prevista una causa di improcedibilità dell’azione penale, per la mancata definizione del giudizio di impugnazione entro un termine di durata massima prestabilito, con l’effetto di travolgere la sentenza impugnata, sia di condanna che si assoluzione, a mezzo della formula assolutoria per non doversi procedere.

E’ fatta salva comunque la possibilità che l’imputato vi rinunci ed escludendo l’applicazione nei casi in cui si proceda per i delitti puniti con l’ergastolo anche come l’effetto di aggravanti, si prevedono limiti predeterminati di durata delle impugnazioni: per il grado di appello, la durata è di due anni, mentre per la Cassazione, si prevede un termine di un anno, al superamento dei quali interviene l’improcedibilità dell’azione.

E’ previsto altresì un meccanismo atto a consentire al giudice di disporre proroghe, con ordinanza motivata sempre ricorribile presso la Suprema Corte, nel caso di impugnazione complessa in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, secondo tre specifiche previsioni:

per tutte le categorie di reati non previste nelle eccezioni indicate, è possibile disporre un’unica proroga, della durata di un anno per il procedimento di appello e di sei mesi per il giudizio in Cassazione (quindi, la durata massima del giudizio di secondo grado può raggiungere i tre anni, mentre il giudizio di legittimità può giungere ad un massimo di un anno e sei mesi);

proroghe ulteriori sono previste nel caso di reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, associazione mafiosa e scambio elettorale politico-mafioso, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, sempre quando il procedimento sia caratterizzato da un elevato grado di complessità; le sospensioni dei termini sono invece legate all’evidenza di altre cause come, ad esempio, la rinnovazione dell’istruttoria in appello o le ricerche dell’imputato. In via generale, la sospensione è disposta dal giudice che procede, che diventa arbitro dei tempi di estinzione del processo. La decisione è tuttavia potenzialmente assoggettabile a un ricorso per Cassazione, che deciderà tempestivamente senza ricorrere alla presenza delle difensori delle parti. Nelle more della decisione della Suprema Corte, intanto, il processo andrà avanti;

per i delitti aggravati dal metodo mafioso ex art. 416 bis, 1 comma, c.p., le proroghe concesse non possono superare il limite massimo di tre anni in appello e un anno e sei mesi in Cassazione (quindi, in tali ipotesi, la durata massima del giudizio di secondo grado è di cinque anni, mentre il giudizio di legittimità può giungere ad un massimo di due anni e sei mesi).

L’introduzione dell’istituto della improcedibilità si accompagna poi ad una disposizione transitoria in base alla quale lo stesso viene applicato esclusivamente ai procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto i reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020 e prevede che, nel caso delle impugnazioni i cui atti siano già pervenuti alla Corte di Appello o alla Corte di Cassazione, i termini di improcedibilità decorrono dalla data di entrata in vigore della legge (19 ottobre 2021); negli altri casi, qualora l’impugnazione venga proposta entro la fine del 2024, i processi potranno durare fino a tre anni in appello (anziché 2 a regine) e fino ad un anno e mezzo in Cassazione (anziché 1 anno a regime), oltre ovviamente  alla possibilità di proroghe alle sopra richiamate condizioni.  Si tratta di una disposizione transitoria per permettere a tutta l’organizzazione giudiziaria di organizzarsi e gestire il carico attuale in vista della messa a regime di questa complessa riforma.

Si tratta di un sistema di proroghe che ha dato avvio ad immediate critiche, in ragione del fatto che i termini di durata massima dei processi vengono, di fatto, affidati alla discrezionalità dei magistrati, così da renderli arbitri della decisione e consegnando alla giurisdizione scelte di politica criminale che non le competono. Oltre a ciò, la preoccupazione si rivolge anche alla potenziale disuguaglianza che si creerebbe tra imputati, nel caso di proroghe disposte ad libitum, senza un limite massimo, rispetto agli altri casi. 

L’istituto dell’improcedibilità viene criticato anche per il fatto che, affiancandosi ai termini di durata delle indagini, di custodia cautelare e della prescrizione, viene a creare un regime temporale privo di coordinamento fra la fase delle indagini, il giudizio di primo grado e le impugnazioni, incapace di assicurare in modo uniforme la ragionevole durata.

Per di più, l’effetto è quello di un implicito invito a chiudere innanzitutto i procedimenti relativi a reati meno gravi, ponendosi così in contraddizione con i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, ispirati al preferenziale perseguimento di reati gravi con termini di prescrizione lunghi o addirittura imprescrittibili.

Secondo insigne dottrina, vi sarebbero robusti profili di criticità anche dal punto di vista costituzionale che la disciplina della improcedibilità susciterebbe in rapporto ai principi di uguaglianza, di obbligatorietà dell’azione penale e di impegno alla durata ragionevole dei processi[3].

La questione, il punto da dibattere, infatti, non è il fondamentale valore della ragionevole durata, bensì come realizzarlo.

L’art. 111, comma 2 Cost. demanda genericamente alla legge il compito di assicurare la ragionevole durata del processo, guardandosi bene dall’indicare i mezzi.

Pare evidente, tuttavia, che il precetto costituzionale intenda alludere a interventi positivi di tipo acceleratorio, ossia volti a propiziare, nel rispetto delle garanzie, la tempestiva conclusione del processo, dalla depenalizzazione alla fluidità delle fasi preliminari al dibattimento, interventi dei quali, sia detto di sfuggita, non si vede neanche l’ombra nella riforma Cartabia; non certo ad una mannaia che, per il mero decorso del tempo, si abbatta sul processo, segnandone la fine con la più nichilistica e vuota delle immaginabili conclusioni.

Un conto è restituire la libertà all’imputato, quando la custodia superi certi termini, come giustamente esige l’art. 13 ultimo comma Cost.; altro è liquidare il processo per intempestiva conclusione[4].

Ciò premesso, il precetto più vistosamente contraddetto dalla improcedibilità è l’art. 112 Cost. relativo all’obbligatorietà dell’azione penale, disposizione espressa come regola e, quindi, insuscettibile di bilanciamento con il principio della ragionevole durata del processo.           

Sul piano delle situazioni soggettive l’atto normativo del pubblico ministero, in cui si esprime il potere di azione, determina il dovere del giudice di pronunciarsi sul suo oggetto, assolvendo o condannando: la persecuzione dei reati non è materia disponibile.

All’obbligo di decidere nel merito non deroga in alcun modo la prescrizione sostanziale: ovvio, infatti, che, se sopraggiunge una causa estintiva del reato, l’azione penale perda fondamento e l’imputato sia prosciolto dall’accusa con una sentenza di merito, essendo per l’appunto estinto il reato.

Quando il processo subisca ingiustificati ritardi, si possono ipotizzare varie misure riparatorie dal risarcimento dei danni agli sconti di pena.

Non è, invece, ammissibile che, restando in vita l’ipotesi di reato e validamente esercitata l’azione penale, il processo evapori e svanisca nel nulla con una sentenza di sopravvenuta improcedibilità temporale; con il risultato che prove, eventuali condanne e risarcimento del danno, tutto si dissolve, e dello svaporante processo resta solo il fumo.

Esito ribelle ad ogni inquadramento giuridico, in-classificabile nel senso letterale della parola, perché contiene in sé due opposti, fra loro inconciliabili in regime di obbligatorietà dell’azione penale: l’estinzione del processo e la permanenza dell’ipotetico reato.

Il decorso del tempo può solo operare come causa estintiva del reato, in assenza della quale l’estinzione del processo si risolve in un tipico esempio di giustizia denegata; tempestiva è la modalità, la qualità avverbiale di una giustizia che garantisca in tempi ragionevoli la decisione sul fondamento dell’accusa.

Secondo un diverso orientamento dottrinale[5]  viene criticata, dal punto di vista costituzionale, la tesi che ravvisa un conflitto tra la improcedibilità temporale e il principio di obbligatorietà dell’azione penale trascura l’attuale orientamento del giudice delle leggi, incline a negare rilevanza al canone in questione oltre il momento iniziale dell’impulso dato dal pubblico ministero, argomentandone l’inidoneità ad assicurare l’efficienza del processo negli stadi susseguenti[6].

Con riguardo specifico ai giudizi d’appello e di cassazione, settori processuali di rilevanza applicativa dell’art. 344-bis c.p.p., la Corte costituzionale ha inoltre chiarito che il potere di impugnazione della parte pubblica non si configura come proiezione necessaria del principio sancito dall’art. 112 Cost.[7]

Per altro verso, la compatibilità costituzionale dell’istituto processuale appena codificato persiste anche se rimaniamo ancorati alla prospettiva dell’azione penale. Ritenere che il vincolo dell’obbligatorietà implichi la titolarità, in capo al pubblico ministero, del diritto al conseguimento di una decisione sul tema dell’accusa non equivale a considerare illegittimo qualsiasi limite normativo dovesse frapporsi a quel traguardo: sarebbero tali soltanto gli ostacoli ingiustificati[8].

In altri termini, le censure levate all’indirizzo della causa di improcedibilità temporale rinnovano la controversia tra i fautori del carattere rigido, inflessibile dell’obbligatorietà proclamata nell’art. 112 Cost. e la concezione orientata ad ammetterne il temperamento a tutela di valori antagonisti rispetto alla necessità di repressione dei reati; ponderazioni del genere, improntate ad esigenze politiche, sono tipicamente alla base, come sappiamo, delle molteplici figure legali coincidenti o apparentate con le condizioni di procedibilità[9]

In ultimo, è d’uopo precisare che la disciplina dell’improcedibilità intende salvaguardare le statuizioni civili, prevedendo l’inserimento del comma 1 bis all’art. 578 cpp su Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione e nel caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.

Dunque, in caso di condanna, anche generica, al risarcimento del danno in favore della parte civile il giudice dell’appello o la Cassazione, con la dichiarazione di improcedibilità rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado d’appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale.

Si potrebbe affermare, in linea generale, che la soluzione adottata a mezzo della disposizione di cui all’art. 344-bis c.p.p. rappresenterebbe un contrappeso alla scelta legislativa di fermare il corso della prescrizione penale una volta pronunciata la sentenza di primo grado[10].

L’inedito caso di proscioglimento per improcedibilità, connesso al trascorrere del tempo, eviterebbe così che il destino ultimo dell’imputato resti sospeso sine die, alla mercé dei ritmi imprevedibili di definizione delle cause dipendenti, nella maggior parte dei casi, dal livello di efficienza organizzativa degli uffici giudiziari[11].

2. L’improcedibilità processuale e la prescrizione sostanziale: uno strano rapporto

Proviene da una matrice culturale processualpenalistica la prospettazione di un modello che distingue fra prescrizione del reato, decorrente dal momento del fatto, e prescrizione del processo[12].

In precedenti legislature sono state formulate proposte di riforma in questa prospettiva, da parti politiche diverse, con tecnicalità diverse. Fra le finalità additate si staglia quella di presidiare l'interesse oggettivo alla ragionevole durata del processo, collegando l’effetto estintivo al superamento di termini processuali; nelle proposte più recenti questa prospettiva affiora marginalmente[13].

La formula prescrizione del processo sembra definire un istituto come di natura esclusivamente processuale, con effetti però che non sarebbero però meramente processuali; la prescrizione del processo penale implica la non punibilità dell’eventuale reato oggetto d’imputazione nel processo dichiarato estinto. Un effetto, dunque, sostanziale e definitivo, quali che siano le etichette e la collocazione legislativa[14].

La prescrizione del reato, disciplinata nel nostro ordinamento dal codice penale ex art. 157 c.p., determina l’estinzione dello stesso per il semplice trascorrere di un determinato periodo di tempo dal momento della sua consumazione, incidendo sulla punibilità ed interrompendo definitivamente la correlazione tra la commissione di un fatto di reato e la conseguente applicazione della pena[15].

Detto istituto trova la sua ratio nel venir meno dell’interesse dello Stato di far eseguire una condanna come conseguenza della commissione o omissione di un’azione incriminata dalla legge penale come reato. Si rinviene anche nella prescrizione il più generale principio di legalità della fattispecie penale: secondo tale principio, infatti, si è perseguibili penalmente solo se al tempo in cui fu commesso il fatto era previsto dalla legge come reato. Dovendosi intendere come incriminate sia le condotte previste nel Codice Rocco sia quelle contenute nelle leggi speciali.

Considerata dai compilatori del codice una eccezione al rigido principio di giustizia in base al quale ad ogni delitto deve seguire una punizione, la dottrina penalistica si è concentrata sul suo fondamento giustificativo, evidenziando, in particolare, il legame con le funzioni attribuite alla sanzione penale[16].

Posto ciò, la recentissima riforma che ha introdotto nel nostro ordinamento l’improcedibilità, alias prescrizione processuale, facendo emergere uno strano rapporto tra i due istituti, verrebbe da dire un passaggio di consegne non proprio pacifico, dal punto di vista dei potenziali effetti, pone in evidenza un dato fattuale, che dalle prime indicazioni di natura giurisprudenziale, sembrerebbe ai più creare effetti devastanti per la parte debole del procedimento penale, ossia l’indagato/imputato: l’impossibilità di ricorrere al principio del favor rei.

A primo impatto, avendo l’istituto della improcedibilità natura processuale e non sostanziale, ne scaturirebbe la irretroattività della disciplina più favorevole anche ai fatti commessi prima del 1 gennaio 2020; a tale ultimo proposito, è esemplificativa la pronuncia della Suprema Corte[17], che ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dei co. 2 e 3 dell’art. 2 della l. n. 134 del 2021, per superamento del termine di durata massima di un anno di cui all’art. 344-bis c.p.p., prospettate per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., escludendo la natura sostanziale della disciplina e ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 2 e 3, della suddetta legge, in relazione gli artt. 3 e 117 Cost. nella parte in cui, limitandone l’applicazione ai soli reati commessi dopo il primo gennaio 2020, si pone in contrasto con il principio del favor rei, trattandosi di istituto avente natura processuale e, pertanto, soggetto al principio tempus regit actum, non operando così per i reati commessi antecedentemente al primo gennaio 2020[18].

Detta decisione, in sostanza, ha negato natura sostanziale alla disciplina della improcedibilità, muovendo dal suo scopo, costituzionalmente rilevante ex art. 111 Cost., di garanzia di ragionevole durata del processo, mettendo in luce la collocazione dell’art. 344-bis c.p.p. nel codice di rito, tra le condizioni di procedibilità, e le modalità operative del meccanismo estintivo previsto dalla disposizione, che prescinde da una estinzione sostanziale dell’illecito[19].

Al contrario, muovendosi su un diverso approccio interpretativo, c’è chi invoca l’applicazione retroattiva della improcedibilità sancita dall’ art. 344- bis c.p.p. richiama a sostegno alcuni arresti della Corte costituzionale[20]. lo sguardo si volge a quanto statuito nella sentenza Corte cost. n. 32/2020, con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato illegittima l'applicazione della L. n. 3/2019 (già citata riforma Bonafede o altrimenti conosciuta come Spazzacorrotti), nella parte in cui estende ad alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione le preclusioni previste dall' art. 4- bis ord. penit., a soggetti condannati per reati commessi prima della entrata in vigore della stessa legge, laddove si afferma che «D’altra parte, proprio perché i condannati ammessi periodicamente a godere di permessi premio e/o a svolgere lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21 ordin. penit. restano detenuti che scontano la pena detentiva loro inflitta dal giudice della cognizione, non può non valere nei loro confronti l’esigenza, già segnalata […] di evitare disparità di trattamento, all’interno del medesimo istituto penitenziario, dipendenti soltanto dal tempo del commesso reato: disparità che sarebbero di assai problematica gestione da parte dell’amministrazione penitenziaria, e che verrebbero come tali difficilmente accettate dalla generalità dei detenuti».

Secondo molti commentatori[21], al di là della particolarità della materia affrontata, questa sentenza della Corte costituzionale segna un evidente punto di rottura: se il suo precedente e tradizionale orientamento considerava come aventi natura esclusivamente processuale le norme sull’esecuzione penale (si veda ad esempio la sentenza della Corte cost. n. 240/2015, dove si afferma che la stessa CEDU, con le decisioni Morabito contro Italia e Scoppola contro Italia, pur ritenendo che il principio di retroattività della legge penale più favorevole sia un corollario di quello di legalità consacrato dall' art. 7 della Convenzione, fissa dei limiti al suo ambito di applicazione desunti dalla stessa norma convenzionale, individuati appunto nelle sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono), con la citata  sentenza n. 32/2020 la Consulta applica infatti per la prima volta alla materia dell’esecuzione penale la disciplina della irretroattività della legge penale più sfavorevole.

Il richiamo operato nella sentenza costituzionale alla necessità di <> costituirebbe dunque l’aggancio interpretativo per ipotizzare una possibile applicazione retroattiva della disposizione introduttiva della improcedibilità per decorso del tempo, accomunata nella stessa natura processuale a quella sulla esecuzione penale già finita sotto la scure della Consulta: posto che non è possibile applicare ad un regime processuale con effetti sostanziali, quale è quello della esecuzione, una norma più sfavorevole entrata in vigore dopo la commissione del reato, alla domanda – speculare in senso inverso - se sia allora possibile (e doveroso) applicare una norma processuale con effetti sostanziali più favorevoli entrata in vigore successivamente rispondono affermativamente coloro che non nutrono perplessità sulla natura sostanziale del nuovo regime di procedibilità, in quanto incidente sulla punibilità in concreto.

Sul fronte opposto evidentemente condiviso, come visto, dalla sentenza della Cassazione in commento si colloca chi, anche indipendentemente da ogni valutazione sulla natura del nuovo istituto, sottolinea come proprio una attenta ricognizione della giurisprudenza costituzionale conduca ad escludere profili di incostituzionalità nella regola temporale disegnata dal comma 3 dell'art. 2, L. n. 134/2021.

Il riferimento è al caso, già in precedenza richiamato, della disciplina transitoria prevista nella legge cd. ex Cirielli, legge che modificava, generalmente in senso più favorevole, il regime della prescrizione dei reati.

Come anzidetto, quella disciplina prevedeva che il nuovo regime non si applicasse per i reati precedentemente commessi in relazione ai quali vi fossero già processi pendenti in primo grado con avvenuta dichiarazione di apertura del dibattimento, ovvero processi pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione: ebbene, la Corte costituzionale, attraverso la già menzionata  sentenza n. 72/2008 e la precedente  sentenza n. 393/2006, salvò quella disposizione transitoria, sia pure circoscrivendone gli effetti a partire dalla sentenza di condanna in primo grado.

Il precedente della ex Cirielli rappresenta il termine di paragone adoperato per sottolineare la sostanziale coincidenza di situazione: se, in quella circostanza, nessun vulnus costituzionale fu reputato sussistente dal giudice delle leggi, pur a fronte di una diversa (e più favorevole) regolamentazione di un istituto quale la prescrizione, della cui natura sostanziale nell’ordinamento italiano nessuno discute, a maggior ragione deve ritenersi pienamente coerente con i diritti fondamentali una disciplina transitoria che regola un istituto di tendenziale natura processuale, pur assumendone per sussistenti le ricadute sostanziali[22].

3. Ecodelitti: i potenziali effetti dell’istituto della improcedibilità

Lo scenario derivante dall’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia e, in particolare, le problematiche discendenti dalle deroghe e proroghe, che rende l’impianto nel suo complesso di non facile intellegibilità, in relazione alle novelle ivi introdotte, presenta, almeno in questa primissima fase, elementi di criticità anche in relazione all’applicabilità ai reati ambientali.

Ovviamente, quanto rappresentato rientra, interpretando le norme così come novellate, nell’ambito di un’analisi potenzialmente veritiera ma sostanzialmente ancora precoce in virtù del brevissimo lasso di tempo intercorso dall’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia, nella parte riguardante il processo penale.

Stante quanto poc’anzi delineato, nel maggio del 2015 veniva approvata in via definitiva la Legge in materia di ecoreati, precisamente la L. n. 68/2015, introduceva finalmente nel nostro ordinamento í delitti contro l'ambiente, sanzionando, in particolare, con pene rilevanti, l'inquinamento e il disastro ambientale. Si trattò di una svolta fondamentale per la tutela dell'ambiente, nata anche sulle ceneri del cd. caso Eternit, relativo a un disastro ambientale con migliaia di vittime, avvenuto prima della approvazione della legge e finito con tante polemiche in prescrizione[23].

Da sempre, prima di questa novella, la lotta agli illeciti ambientali era stata combattuta con la debole arma delle contravvenzioni, per la quale cosa, lungo l’intero arco parlamentale, si è addivenuti alla conclusione che servisse una risposta adeguata per condotte contra legem di altissima potenzialità inquinante [24].

Proprio per questo, la legge testé descritta raddoppiava, per i nuovi delitti, i tempi previsti per la prescrizione, che arrivavano, così, a 30 anni in caso di disastro ambientale.

Nel maggio 2015 tutte le forze politiche votarono unanimi per il raddoppio dei termini di prescrizione per i delitti contro l'ambiente i quali venivano, quindi, equiparati, come gravità, agli altri delitti già oggetto di analogo raddoppio quali, ad esempio, la riduzione in schiavitù, il depistaggio per traffico darmi e la violenza sessuale di gruppo.

In ragione di quanto asserito, l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della improcedibilità, con l’ulteriore complicazione delle deroghe e delle proroghe, di ordine generale e speciale, rendono il quadro confuso e contraddittorio, dando potenzialmente luogo a situazioni assurde e irrazionali in diversi campi, tra cui quello degli ecodelitti[25].

In linea generale, la riforma Cartabia tende ad azzerare tutto qualora i giudizi di appello e di cassazione durino più di due anni e di un anno; ma prevede, tuttavia, la possibilità di una proroga qualora si tratti di reati gravi quali i delitti commessi per finalità di terrorismo, partecipazione a banda armata, associazione mafiosa, violenza sessuale e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

In queste proroghe, tuttavia, sono del tutto assenti reati di rilevante impatto sociale quali, a mero titolo di esempio, il disastro ambientale, rischiando in tal modo di depotenziare del tutto la forza innovatrice della novella del 2015, sopra descritta.

In particolare, reati quali il già accennato disastro ambientale, così come l’inquinamento ambientale, che abbisognano di complesse indagini di polizia giudiziaria, accertamenti tecnici accurati di natura specialistica dove bisogna tenere conto sia dei danni attuali che di quelli in divenire, allorquando vanno valutati delicati aspetti quali l’alterazione irreversibile o il significativo deterioramento dell’ecosistema, potrebbero, dopo la sentenza di primo grado, finire, a causa dell’eccessivo carico di lavoro del giudice dell’impugnazione così come quello di legittimità, nel tritacarne della improcedibilità.

Da parte del legislatore potrebbe esserci stata una caduta di attenzione verso i delitti ambientali, laddove si accetta la circostanza che mentre il giudizio di primo grado può durare anche diversi anni, con investimento di risorse ed energie sia per la complessità delle indagini che per lo svolgimento del processo, lo stesso non può dirsi per i successivi gradi di giudizio, dove si corre il rischio che il tutto possa cadere nel nulla a causa del mancato rispetto di stringenti termini perentori, quasi come se gli stessi potessero assurgere ad una sorta di risolutorio istituto di natura deflattiva per la celere definizione delle pendenze, il tutto pur in assenza di una complessiva riforma razionalizzatrice delle impugnazioni[26].

Sembra quasi paradossale, inoltre, che nell’anno in cui il bene giuridico ambiente, e quindi la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, sia entrato a far parte, a pieno titolo, della nostra Carta costituzionale, con i novellati artt. 9 e 41, rappresentando altresì un coronamento di un percorso che nasce dalla sensibilità dei cittadini e conferisce forza a questi temi qualificandoli come beni fondamentali, si potrebbe dire un segnale forte, una sfida per tutti noi ed una responsabilità maggiore che consentirà di portare avanti azioni di tutela più convinte ed efficaci per la salute e la qualità della vita, stabilendo definitivamente che l’ambiente è un diritto di tutti,  con la riforma Cartabia la sua tutela, nelle sue fattispecie, i particolare del disastro e dell’inquinamento ambientale, sembrerebbe uscirne indebolita, con particolare riguardo all’aspetto sanzionatorio.

Tutto quanto sopra esposto, ovviamente, verrà nel concreto verificato con la piena ed effettiva entrata in vigore della novella legislativa, che non tarderà a dispiegare i propri effetti.

4. Effetti della Riforma Cartabia sulla procedura estintiva delle contravvenzioni: un’occasione sprecata

Uno dei pilastri su cui è stata edificata la riforma varata con la legge n. 68/2015, unitamente alla più visibile introduzione nel Titolo VI-bis della Parte speciale del codice penale dei delitti ambientali di evento e al rafforzamento della responsabilità degli enti ex d. lgs. n. 231/2001 per i principali reati ambientali, è stato rappresentato proprio dalla introduzione di un meccanismo estintivo per le contravvenzioni ambientali tramite il quale assicurare il premio massimo della non punibilità alla condotta postfatto del reo di contenuto positivo-riparativo[27], rappresentato dall’impianto normativo ex artt. 318-bis e ss. del D. Lgs. 152/2006, che include nel novero delle prescrizioni solo quelle contravvenzioni che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette[28].

In relazione alle categorie di contravvenzioni rinvenienti nella nuova procedura, anche se manca una disposizione espressa, si ritiene che il meccanismo ex art. 318-bis e ss. riguardi solo le contravvenzioni punibili con pena alternativa o con l’ammenda, con esclusione quindi delle contravvenzioni punite solo con l’arresto[29].

In senso critico, si è evidenziato che la procedura estintiva andrebbe estesa a tutte le contravvenzioni del Testo Unico dell’Ambiente, a prescindere dalla pena per esse comminata[30].

In sostanza, l’assetto normativo derivante da questa riforma del 2015 risulta costitutivo di un congegno normativo votato ad un esito processuale generato dalla esistenza di un illecito, amministrativo e/o penale, produttivo di un esito sanzionatorio diverso da quello che altrimenti conseguirebbe all’accertamento del fatto illecito[31].

E’ stata percorsa, in sostanza, una diversa strada, sempre di natura punitiva che, non abbandonando lo stigma penale, giunga però a posticiparlo alla risoluzione sinergica del conflitto, in modo da adeguare le risposte sanzionatorie alla dimensione degli avvenimenti ed alla loro particolarità anche locale[32].

Detta disciplina, in realtà, risentirebbe di particolari criticità in relazione proprio a quanto asserito poc’anzi, circa la mancata previsione di una procedura estintiva per le fattispecie di natura contravvenzionale che abbiano cagionato un danno o pericolo concreto, e ciò a maggior ragione in virtù di quanto previsto dalla Riforma Cartabia ex L. 134/2021.

In particolare, il legislatore delegato, nell’art. 23 della disposizione normativa testè citata, pur contemplando una delega molto vasta per l’introduzione di una procedura estintiva delle contravvenzioni che abbiano cagionato danni o pericoli eliminabili da parte del reo a mezzo di condotte di natura riparatoria, ha deciso, in maniera del tutto arbitraria e discrezionale, di utilizzarla per fattispecie contravvenzionali in numero ridotto e circoscritto[33], perdendo l’occasione di effettuare un riordino complessivo di tutte le procedure estintive, soprattutto quelle similari per natura ed effetti, al fine di addivenire ad una disciplina unitaria.

Il risultato ottenuto, invece, sembrerebbe quello di aver acuito le asimmetrie già presenti tra i diversi ambiti del penale contravvenzionale, laddove la legge delega aveva al contrario conferito un amplissimo margine per inserire anche le tipologie contravvenzionali riguardanti l’aspetto ambientale, così come quello urbanistico-edilizio, paesaggistico e dei beni culturali.

In particolare, la procedura deflattiva definitivamente attuata concerne il comparto igienico-sanitario della produzione e vendita degli alimenti con l’intento di accelerare il ripristino della legalità, dello status quo ante per intenderci, inducendo il trasgressore  all’adempimento con annesso trattamento di favore atto a depenalizzare di fatto i reati commessi, trasformandoli in illeciti amministrativi estinguibili a mezzo regolarizzazione e conseguente pagamento di una somma più bassa rispetto a quella che sarebbe dovuta a titolo di oblazione giudiziale ex artt. 162 e 162-bis c.p.; il tutto con l’inedita possibilità, e questa rappresenta la vera novità, di prestare lavoro di pubblica utilità in luogo del pagamento del quantum fissato[34].

Le contravvenzioni cui si applica la nuova disciplina sono solo quelle che hanno cagionato un danno o un pericolo suscettibile di elisione mediante condotte ripristinatorie o risarcitorie (art. 12 ter, comma 1, l. n. 283 del 1962).

Sotto questo aspetto, dunque, l’ambito di applicazione, così individuato, è diverso da quello proprio dell’analogo meccanismo estintivo previsto in materia ambientale dagli artt. 318 bis e ss. d.lgs. n. 152 del 2006, che riguarda invece contravvenzioni che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno.

Un’ulteriore significativa differenza rispetto al modello di disciplina già da tempo sperimentato in materia di sicurezza sul lavoro e tutela dell’ambiente riguarda la circo-stanza che la procedura estintiva risulta espressamente applicabile anche a contravvenzioni punite con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda (art. 12 ter, comma 1).

Secondo la Relazione illustrativa[35] tale scelta rientrerebbe nei limiti della legge delega, la quale, nel fare riferimento all’ammenda prevista per il reato commesso, si limiterebbe a richiedere che la contravvenzione di cui si tratti sia punita con la pena edittale dell’ammenda, rilevante quale parametro di individuazione della somma da pagare in sede amministrativa, senza escludere l’ipotesi della comminatoria congiunta dell’arresto.        

Inoltre, l’art. 12 quater l. n. 283 del 1962 prevede che quando la prescrizione è adempiuta, l’organo accertatore ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari ad un sesto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, senza nulla specificare in ordine ad un’eventuale conversione della pena detentiva in pena pecuniaria; se ne deduce che la procedura in oggetto non potrà essere applicabile alle contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto.

Tuttavia, pur se questa conclusione dovesse apparire condivisibile, non si comprenderebbe come la medesima procedura possa operare in relazione alle contravvenzioni punite congiuntamente con la pena dell’arresto e dell’ammenda senza violare il principio di uguaglianza-ragionevolezza, posto che reati sanzionati meno gravemente (con la sola pena dell’arresto) rimarrebbero esclusi dalla disciplina di favore, applicabile invece nei confronti di reati puniti più gravemente (con pena congiunta).

Inoltre, i fatti per i quali è prevista la pena congiunta verrebbero posti sullo stesso piano di quelli puniti con pena alternativa, obliterando, in violazione del principio di legalità della pena, qualunque significato, in termini di disvalore, della pena detentiva che dovrebbe obbligatoriamente essere applicata dal giudice[36].

L’unico modo per uscire da questa impasse potrebbe essere quello di ricorrere al meccanismo del ragguaglio di cui all’art. 135 c.p., al fine di quantificare la quota di pena detentiva; ma a questo punto risulterebbe ancora più incomprensibile l’esclusione delle contravvenzioni punite con la sola pena dell’arresto.

Tanto è vero che anche in materia ambientale i diversi Protocolli d’Intesa e le Linee guida adottate dalle diverse Procure nell’immediatezza dell’entrata in vigore della relativa disciplina hanno espressamente escluso detta eventualità[37].

Neppure trascurabile appare, infine, il profilo di incoerenza sistematica che deriva da una così rilevante differenza di trattamento tra la procedura estintiva di cui qui si tratta rispetto a quelle (per molti aspetti simili) già da tempo operanti nel nostro ordinamento: la prima riferibile anche a contravvenzioni punite con pena congiunta, le altre solo a contravvenzioni sanzionate al più con pena alternativa.

Al fine di ottenere l’estinzione del reato, il contravventore deve non solo adempiere alla prescrizione appositamente impartita dall’organo di vigilanza, al fine di elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato, ma altresì pagare in sede amministrativa una somma di denaro destinata all’entrata del bilancio dello Stato (art. 12 quater, comma 2, l. n. 283 del 1962).

Detta somma che il contravventore deve pagare per perfezionare la procedura estintiva in oggetto viene individuata in termini particolarmente favorevoli rispetto alle omologhe discipline contemplate nei già più volte citati settori.

Viene individuata, infatti, una frazione del massimo dell’ammenda per la contravvenzione contestata pari a un sesto e, dunque, inferiore rispetto sia a quella, di un quarto, prevista dalle procedure affini in materia di ambiente e sicurezza sul lavoro, sia a quella che il contravventore sarebbe chiamato a pagare in caso di accesso all’oblazione ai sensi degli artt. 162 e 162 bis c.p. (rispettivamente, un terzo e la metà).

Un rilevante profilo di originalità della nuova procedura concerne, inoltre, la previsione della possibilità per il contravventore di prestare lavoro di pubblica utilità, in alternativa al pagamento della prescritta somma di denaro, allorché il dovuto pagamento (come detto, nella misura già particolarmente favorevole, di un sesto del massimo dell’ammenda prevista per la contravvenzione) risulti comunque impossibile in ragione delle condizioni economiche e patrimoniali del contravventore (art. 12 quinquies l. n. 283 del 1962).

In tale prospettiva, l’alternativa del lavoro di pubblica utilità potrebbe rimuovere gli ostacoli all’accesso alla causa estintiva, che fossero eventualmente determinati dalle condizioni economiche del contravventore.

5. Conclusioni

Come si evince da quanto rappresentato, e, al netto di quelle che saranno le evoluzioni, soprattutto di natura giurisprudenziale, che misureranno l’impatto della Riforma Cartabia sul segmento rappresentato dagli illeciti ambientali, soprattutto sugli effetti della improcedibilità, così come sulla reazione delle Corti di merito e di legittimità sulla mancata inclusione delle contravvenzioni ambientali nel novero dell’intera materia delle oblazioni speciali extra codicem contemplate nel D. Lgs. 150/2022, in futuro il legislatore potrebbe intervenire al fine di novellare aspetti della riforma suscettibili di creare confusione in coloro che dovranno “interpretare” le norme, ossia gli operatori del diritto.

Già in materia di improcedibilità, presso il nostro Parlamento giace una proposta che si propone di sopprimere l'intera riforma della prescrizione del reato, realizzata con la legge n. 3/2019[38], fondata su un duplice presupposto: da un lato, la sospensione a tempo indeterminato della prescrizione minerebbe la funzione rieducativa della pena, poiché la sanzione, potendo intervenire anche a distanza di molto tempo dal fatto, inciderebbe su una personalità del reo inevitabilmente mutata nelle more nel senso che la rieducazione e il riallineamento alla tavola dei valori sociali sono avvenuti spontaneamente o comunque che il disvalore del fatto si è perso nella notte dei tempi e non è dunque più possibile mettere in atto un percorso rieducativo effettivo ed attuale.

Dall’altro lato, la sospensione generalizzata dalla prescrizione per tutte le tipologie di reato, alla luce della portata afflittiva che essa indubbiamente possiede, potrebbe rappresentare una irragionevole e sproporzionata omogeneizzazione di trattamento per fattispecie anche marcatamente differenti sotto il profilo del disvalore e dell’allarme sociale.

Abbiamo visto come i reati ambientali, ancorchè a carattere cd. plurioffensivo, in quanto potenzialmente lesivi sia delle risorse naturali che della salute umana, non risultano tra le eccezioni di cui all’art. 344-bis c.p.p., e quindi non beneficiano delle proroghe di natura temporale previste per alcune tipologie di reati, per la qual cosa la loro valutazione nel merito rischierebbe di essere compromessa appunto dalla improcedibilità nei giudizi di appello e cassazione.

Il grido d’allarme di associazioni e personalità di diversa estrazione[39] circa il rischio che l’istituto della improcedibilità possa in qualche modo incidere in ragione di una presunta impunità sul contrasto ad ecodelitti quali il disastro ambientale o l’inquinamento ambientale, benchè di natura al momento pressochè ipotetica, e tutta da dimostrare, risalta in maniera dirompente.

Secondo i diversi interventi sarebbe da ritenersi gravissimo che tra questi reati non siano stati inseriti anche i delitti ambientali di cui alla l.68/2015, o quanto meno il delitto di disastro ambientale, come per altro richiesto, alla vigilia del voto definitivo sulla legge da diverse associazioni ambientaliste, secondo le quali così si rischierebbe di eliminare, di fatto, buona parte delle potenzialità insite nella legge 68/2015[40].

Quindi, par di capire, la soluzione starebbe tutta nel concedere anche per questi delitti la possibilità di ulteriori proroghe di cui alla seconda parte del comma 4 dell’art. 344 bis c.p.p.

Ma questo inserimento sarebbe produttivo di concreti risultati, solo a condizione che le ulteriori proroghe, cui genericamente si allude nel disposto, non essendo previsto esplicitamente un loro numero definito, possano essere tante, quante ne servono per arrivare fine giudizio di impugnazione senza timore di vedere il processo stoppato dalla improcedibilità.

In altri termini, così opinando per i delitti ambientali, al pari di quelli tassativamente indicati nella seconda parte del c.4, la c.d. prescrizione del processo potrebbe non verificarsi mai.


Note e riferimenti bibliografici

*Paragrafo 1 a cura di Colucciello R.; paragrafo 2 a cura di Mazza F.; paragrafo 3 a cura di Colucciello R.; paragrafo 4 a cura di Mazza F.; paragrafo 5 a cura di Colucciello R.

[1] Cfr. FERRUA P., Improcedibilità e ragionevole durata del processo: uno stupefacente caso di evaporazione del processo, in Processo Penale e Giustizia, 24 Gennaio 2022;

[2] Cfr. GIRANI V., La’riforma Cartabia’: l’improcedibilità per il superamento dei termini di durata massima delle impugnazioni penali (Appello e Cassazione), in Rivista online LAF,2021, Milano;

[3] Cfr. FERRUA P., Brevi appunti in tema di udienza preliminare, appello e improcedibilità, in Discrimen, 09.12.2021;

[4] Cfr. FERRUA P., Improcedibilità e ragionevole durata del processo: uno stupefacente caso di evaporazione del processo, in Processo Penale e Giustizia, 24 Gennaio 2022;

[5] Cfr. NEGRI D., Dell’improcedibilità temporale. Pregi e difetti, in Sistema Penale, Fascicolo 2/2022, pag. 53;

[6] Cfr. Corte cost., sent. 26 ottobre 1995, n. 460;

[7] Cfr. Corte cost., sent. 6 febbraio 2007, n. 26;

[8] Cfr. MARZADURI E., voce Azione – dir. proc. pen., in Enc. giur., IV, Roma, agg. 1996, p. 18;

[9] Cfr. GAITO A., voce Procedibilità (condizioni di) – dir. proc. pen., in Enc. dir., agg. II, Milano, 1998, pag. 736; R. ORLANDI, voce Procedibilità (condizioni di), in Dig. disc. pen., X, Torino, 1995, pag. 49-50;

[10] Cfr. NEGRI D., Dell’improcedibilità temporale. Pregi e difetti, in Sistema Penale, Fascicolo 2/2022, pag. 51;

[11] Cfr GATTA G.L.– GIOSTRA G., Sul dibattito in tema di prescrizione del reato e sul vero problema della giustizia penale: la lentezza del processo, in Sistema Penale, 11 febbraio 2020, pag. 4 e 8;

[12] Cfr. AA.VV., Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena, Milano, 2002;

[13] Cfr. PULITANO' D., Il nodo della prescrizione, in I grandi temi del diritto e del processo penale, Fasc. 1/2015, pag. 25;

[14] Cfr. PULITANO' D., op. cit. pag. 25;

[15] Cfr. PADOVANI V., Diritto penale, Milano, 2019, pag. 436 e ss.;

[16] Cfr. MARTIRE D., La prescrizione “costituzionale” del reato tra finalità rieducativa della pena e principio di legalità, in Archivio Penale 2021 n.3, pag. 1;

[17] Cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 334 del 10.01.2022;

[18] Cfr. in senso conforme anche Cass. pen, Sez. 7, n. 43883 del 26.11.2021;

[19] Cfr. LEO G., Prescrizione e improcedibilità: problematiche di diritto intertemporale alla luce della giurisprudenza costituzionale, in Sistemapenale.it, marzo 2022, pag. 13;

[20] Cfr. MOLINO P., Riforma “Cartabia”: non viola la Costituzione il regime transitorio della nuova improcedibilità del processo, in Altalex.it 2021;

[21] Cfr. MOLINO P. op. cit.;

[22] Cfr. MOLINO P. op. cit.;

[23] Cfr. AMENDOLA G, Riforma Cartabia, i reati ambientali non esistono, in Fatto Quotidiano, 08.10.2021, pag. 11;

[24] Cfr. ASCOLESE A., Ecoreati: evoluzione delittuoso di fattispecie contravvenzionali, in Cammino Diritto, Rivista di informazione giuridica, n. 1/2016;

[25] Cfr. MONFERINI G., La nuova disciplina della improcedibilità. Le incoerenze applicative e le irragionevoli disparità di trattamento in materia di reati ambientali e reati associativi connessi, in Lexambiente, Rivista trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, numero 4/2022, pag. 58 e ss.;

[26] Cfr. MONFERINI G., op. cit., pag. 61;

[27] Cfr. POGGI D'ANGELO M., La procedura estintiva ambientale: l’idea dell’inoffensività/non punibilità in ottica riparatoria e deflattiva, in Lexambiente, Rivista trimestrale di Diritto Penale dell’Ambiente, numero 1/2022, pag. 37 e ss.;

[28] Cfr. POGGI D'ANGELO M., op. cit., pag. 38;

[29] Cfr. AMENDOLA G., Il diritto penale dell’ambiente, Roma, 2016, pag. 374;

[30] Cfr. MELCHIONDA A., La procedura di sanatoria dei reati ambientali: limiti legali e correzioni interpretative in malam partem, in Lexambiente, Rivista trimestrale di Diritto penale dell’Ambiente, numero 1\2021, pag. 10 e ss;

[31] Cfr. MUSCATIELLO V.B., L’entropia ambientale. Dal boia (improbabile) all’esattore (incerto), in penalecontemporaneo.it, 21 ottobre 2016, pag. 5;

[32] Cfr. MUSCATIELLO V.B., op. cit., pag. 3;

[33] Cfr. MONFERINI G., op. cit., pag. 23;

[34] Cfr. NATALINI A., Contravvenzioni alimentari: estinte dopo adempimento delle prescrizioni, in Riforma Cartabia: indagini preliminari e processo penale, Guida al Diritto Sole 24 Ore, 2023, pag. 288;

[35] Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134 recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in ma-teria di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, pag. 354;

[36] Cfr. BERNASCONI C., Deflazione processuale mediante istituti di Diritto penale sostanziale nella cd. Riforma Cartabia: il restyling alla particolare tenuità del fatto e la nuova procedura estintiva in materia di alimenti e bevande, in Discrimen, n. 1/2023;

[37] Cfr. Sul punto v., per tutti, Protocollo d’Intesa n. 1/2016, sottoscritto in data 18 maggio 2016 tra la Direzione Generale di Arpa Emilia Romagna, la Procura Generale presso la Corte di Appello di Bologna, i rappresentanti di tutte le nove Procure territoriali ed i comandanti del NOE Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato e Capitaneria di Porto; Linee Guida SNPA per l’applicazione della Procedura di estinzione delle contravvenzioni ambientali, ex parte VI-bis d. lgs. 152 del 2006 – Aggiornamento 2021, p. 19;

[38] Cfr. Disegno di legge A.C. 2059 (COSTA ed altri);

[39] Cfr. tra gli altri COSTA E su Corriere del Mezzogiorno, inserto del Corriere della Sera, 31 luglio 2021, ancora  Legambiente, WWF e Greenpeace, No al colpo di spugna sui reati ambientali che minacciano la salute dei cittadini, la buona economia e la sicurezza del nostro Paese, in www.legambiente.it;

[40] Cfr. VERGINE A.L., A proposito di prescrizione, improcedibilità e delitti ambientali. Leggendo il contributo di G. AMENDOLA, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, numero 26 – novembre 2021.