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Pubbl. Dom, 20 Dic 2015

Il potere regolamentare dell´AGCOM

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Angela Maria Felicetti


Con la sentenza n. 247 del 2015, la Corte Costituzionale ha respinto in quanto inammissibile la complessa questione di costituzionalità sul potere regolamentare dell´Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni (AGCOM).


I decreti legislativi n. 70/2003 e 117/2005 attribuiscono all´AGCOM specifiche potestà regolamentari per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale sul Web. L´Autorità emana così nel 2013 un Regolamento, subito impugnato davanti al TAR Lazio, che solleva d´ufficio incidente di costituzionalità.
La sentenza della Suprema Corte, molto attesa, si colloca alla fine di un´articolata discussione dottrinale. Questo articolo si propone di analizzare l´iter e le motivazioni che hanno condotto al rigetto processuale della questione ed i suoi possibili effetti.

Le controverse fonti del Regolamento e i ricorsi al TAR

La Delibera AGCOM n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attivate ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n.70” ha dato ingresso nel nostro ordinamento ad uno dei più problematici strumenti di tutela del diritto d’autore*.

Sulla scia dei molti dubbi di costituzionalità sollevati da giuristi e operatori del diritto delle comunicazioni, varie Associazioni dei consumatori (nello specifico: Altroconsumo; Assoprovider; Movimento difesa del cittadino; Assintel; A.N.S.O.; F.E.M.I.; e Open Media Coalition) impugnano il Regolamento. Con due distinti ricorsi (ord. n. 10016 e 10020) presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, entrambi decisi il 26 settembre 2014, si contesta violazione di legge ad opera dell’Autorità, violazione della riserva di legge e vizio d’incompetenza dell’AGCOM. I ricorrenti sostengono l’inesistenza di norme di legge idonee a fondare la potestà regolamentare di AGCOM: il Regolamento, in quanto fonte secondaria del diritto, “sarebbe stato viziato da carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione, cioè da illegalità” 1

Nella ricostruzione del quadro giuridico di riferimento, il TAR del Lazio ritiene infondati i sei motivi di ricorso addotti. La potestà regolamentare di AGCOM, in base a quanto stabilito dal TAR, trova la sua fonte primaria in tre distinti atti normativi, di cui al punto 13 dell’ordinanza n. 10020: “la competenza dell’AGCOM in tema di diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica trova fondamento nella legge 22 aprile 1941, n. 633 recante Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio (c.d. legge sul diritto d’autore), nonché nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 recante Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico nel mercato interno e, per i media audiovisivi, nel Decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 117 (Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici)”. Stante quindi la piena legittimazione dell’Autorità ad emanare il Regolamento in parola, il TAR riconosce anche la legittimità dei provvedimenti dell’AGCOM che “impongono obblighi di facere agli operatori di comunicazione elettronica” (ord. n. 10020, punto 11.1).

Rileva qui il singolare carattere decisorio delle due ordinanze. Il TAR Lazio difatti emette preventivamente un proprio giudizio che attesta la legittimità dal quadro normativo vigente in materia di tutela del copyright su Internet. L’efficacia della pronuncia è tuttavia, in maniera singolare, subordinata all’esito della questione di costituzionalità. Viene meno la funzione processuale dell’atto di rimessione: pur “succintamente motivata” ex art. 134 c.p.c., l’ordinanza dovrebbe comunque mantenere funzione di “provvedimento strumentale che regola lo svolgimento del processo”2. La dottrina si è interrogata sulla natura atipica che in questi casi, per altro non più rarissimi, va ad assumere il provvedimento –definito efficacemente “anfibio”3 – emanato dal giudice a quo. Risultano di per sé evidenti i possibili effetti negativi di queste “ordinanze con contenuto decisorio” sull’esito del giudizio di ammissibilità processuale della questione di costituzionalità. Sebbene la Corte non abbia fatto alcun riferimento in merito, il rigetto operato nella sentenza in commento sembra confermare tale tesi.

Il fondamento della giudizio rimane l’individuazione delle fonti legislative su cui si incardina la potestà regolamentare di AGCOM. Questo costituisce un passaggio logico obbligato per il giudice amministrativo ai fini del ricorso alla Corte Costituzionale. Infatti, l’art. 134 Cost. sancisce l’assoggettabilità al sindacato di costituzionalità delle sole “leggi e atti aventi forza di legge” quindi quelle “fonti direttamente ed esclusivamente fondate in Costituzione e, proprio per ciò, dotate di «valore di legge» inteso quale attributo processuale delle fonti primarie stesse”4. Il contestuale ricorso alla Consulta, prospettando un vizio di illegittimità delle disposizioni impugnate in relazione a parametri costituzionali determinati –gli art. 2, 21, 24, 25 primo comma e 41 Cost. –  esclude quindi ex se l’illegalità del Regolamento, che invece avrebbe dovuto essere rilevata direttamente dal TAR. Questa indefettibile premessa logica parrebbe, tuttavia, vacillare alla luce del decisum della Corte Costituzionale con la recente sent. 247 del 2015.

Sent. cost. 247/2015: contenuti ed effetti

Le due ordinanze di rimessione hanno ad oggetto gli artt. 5, comma primo; 14, comma terzo; 15, comma secondo e 16, comma terzo del decreto attuativo della Direttiva E-commerce e l’art. 32-bis comma 3 del T.U. sui servizi dei media audiovisivi. I giudici a quibus ravvisano in queste disposizioni una violazione del “principio di riserva di legge” in relazione sia ai limiti all’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 2 e 21, comma primo e sesto, Cost., sia ai limiti alla libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. Tramite il Regolamento, infatti, si andrebbe a disciplinare con un atto secondario, quelle limitazioni che la Costituzione espressamente riserva alla legge, quale fonte primaria. I rimettenti rilevano poi la mancanza di “parametri idonei a garantire la necessaria ponderazione tra diversi diritti costituzionali potenzialmente confliggenti […] nell’esercizio delle competenze attribuite ad AGCOM, fin dall’adozione del regolamento impugnato” – quindi criteri per guidare il bilanciamento tra la tutela del diritto alla libera manifestazione del pensiero e la tutela del diritto alla libertà di iniziativa economica, fondamento costituzionale del diritto d’autore – da cui consegue una possibile violazione dei “principi di ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità legislativa”. L’ultima violazione riguarderebbe poi il “principio del giudice naturale” di cui agli artt. 21, comma secondo e seguenti, 24 e 25, comma primo della Costituzione. I rimettenti condannano il fatto che tali disposizioni non contengano “previsioni di garanzie e di tutele giurisdizionali per l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero sulla rete almeno equivalenti a quelle sancite per la stampa”. Tale censura si pone su un piano diverso rispetto alle altre, auspicando, non già una semplice declaratoria di incostituzionalità, bensì l’equiparazione, sul piano della tutela giurisdizionali, di situazioni ritenute analoghe: la manifestazione del pensiero a mezzo stampa e quella tramite il Web.

Nel punto 4 del Considerato in diritto la Corte Costituzionale si esprime – quasi duramente – per l’inammissibilità processuale: “Le questioni sollevate dal TAR […] sono inammissibili, in quanto entrambe presentano molteplici profili di contraddittorietà, ambiguità e oscurità nella formulazione delle motivazioni e del petitum”. Le disposizioni oggetto di giudizio nelle quali, a seguito di lettura congiunta, il rimettente avrebbe individuato il fondamento legislativo della potestà regolamentare di AGCOM, non attribuiscono in realtà tale potere. La Corte ritiene che i giudici a quibus si siano solamente limitati a desumere tale attribuzione tramite un mero procedimento interpretativo. In ogni caso, la conclusione logico-giuridica cui il TAR Lazio è giunto “non risulta coerentemente o comunque adeguatamente motivata”.

La Corte fornisce la propria autorevole interpretazione degli disposizioni oggetto di censura. Gli articoli 14, 15 e 16 del decreto attuativo della Direttiva E-commerce (2000/31/CE) contengono una clausola di esonero dalla responsabilità per i prestatori di servizi internet per gli illeciti posti in essere dagli utenti. In particolare i commi censurati riguardano i servizi di “mere conduit, caching e hosting”. È fatta salva la possibilità che ciascuno Stato Membro possa attribuire all’autorità giudiziaria o amministrativa –come nel caso di AGCOM in Italia – dei poteri inibitori. Tali poteri, esercitabili anche d’urgenza, fanno sì che l’autorità possa esigere dai prestatori di servizi quei comportamenti necessari al fine di “impedire o porre fine a violazioni di diritti di terzi”. Un ulteriore potere regolamentare è previsto all’art. 32-bis del T.U. sui servizi dei media audiovisivi, in attuazione della Direttiva 2007/65/CE: l’Autorità competente può agire sul fornitore dei servizi media audiovisivi per “rendere effettiva l’osservanza delle normative sul diritto d’autore”, con riferimento ai servizi stessi.

La Corte rileva, in conclusione, come nessuna delle norme disponga “specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del Regolamento impugnato nei due giudizi davanti al TAR”. Ne consegue che un eventuale accoglimento non avrebbe comunque l’effetto di dichiarare l’incostituzionalità del Regolamento. Si otterrebbe, invece, l’inaccettabile eliminazione di norme che riguardano “aspetti sostanziali della disciplina delle comunicazioni elettroniche”. Inoltre, la legislazione di risulta finirebbe paradossalmente con il presentare profili di incompatibilità con la stessa Direttiva 2007/65/CE.

Il secondo profilo su cui la Suprema Corte fonda il rigetto processuale riguarda “l’incongruenza tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione”. Tale incoerenza sarebbe da ravvisarsi nell’incompatibilità sostanziale delle due richieste fatte dai rimettenti. Il TAR Lazio domanda, infatti, una declaratoria di illegittimità, volta a eliminare le disposizioni oggetto di giudizio dall’ordinamento tramite una pronuncia ablativa “pura e semplice” – come la definisce la Corte. Congiuntamente i rimettenti censurano le stesse disposizioni, sostenendo che queste non assicurino, come invece dovrebbero, ai mezzi di comunicazione in rete garanzie analoghe a quelle già previste in Costituzione per la stampa. Il TAR Lazio “mira a ottenere dalla Corte una pronuncia additiva” che estenda la tutela costituzionale della stampa anche al “mezzo di comunicazione Internet”. Nella lettura che la Corte opera sulla base del tenore delle ordinanze di rimessione, la seconda richiesta sembra aggiungersi alla prima, piuttosto che, più correttamente, porsi come alternativa o quantomeno in subordine ad essa. In caso di accoglimento non sarebbe comunque possibile operare un’estensione delle tutele e manipolare quelle disposizioni che il TAR, nella stessa ordinanza, ritiene debbano essere espunte dall’ordinamento perché in conflitto con la Costituzione. L’incoerente petitum sembra voler prospettare “una questione ancipite, che non può superare il vaglio dell’ammissibilità (ex multis ordinanze n. 41 del 2015, 91 del 2014 e 265 del 2011)” e viene per tanto rigettata dalla Corte Costituzionale senza entrare nella trattazione del merito.

È necessario tuttavia rilevare, per concludere, come la Consulta non neghi l’esistenza di una fonte legislativa dei poteri regolamentari di AGCOM. La pronuncia in commento potrà quindi avere l’effetto di portare il TAR (o il Consiglio di Stato) a ricercare motivazioni giuridiche più convincenti, così da permettere alla Corte, in sede di una nuova questione di legittimità costituzionale, di giudicare nel merito. Alla luce di questa sentenza, se non si procederà alla corretta individuazione del sospirato “fondamento legislativo”, una nuova impugnazione in sede amministrativa potrebbe condurre alla declaratoria di illegittimità del Regolamento. La sentenza, oltre a rappresentare un nulla di fatto per i pochi che avevano entusiasticamente ipotizzato una pronuncia nel merito, ribadisce l’impossibilità, o per meglio dire, l’assenza di volontà al momento, da parte della Corte Costituzionale, di sindacare la ragionevolezza del bilanciamento tra libera manifestazione del pensiero e diritto d’autore sul Web, senza che sia prima il legislatore ad intervenire in materia. 

 

Note e riferimenti bibliografici

* In merito ai contenuti e alle modalità operative del Regolamento si rimanda all’intervista del Prof. Giovanni Maria Riccio sulla nostra Rivista.

1. S. Cavalcanti, Le ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale del TAR Lazio in materia di tutela del diritto d’autore su reti di comunicazione elettronica: il regolamento AGCOM al vaglio della Consulta, da federalismi.it, Focus TMT n. 2/2015.

2. G.F. Ricci, Diritto processuale civile Vol. 1, V ed., Torino 2013, p. 269.

3. F. Girelli, E’ consentito sollevare questione di legittimità costituzionale con sentenza?, da http://www.giurcost.org/ del 2008. 

4. A. Ruggieri, A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, V ed., Torino 2014, p. 88.