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Pubbl. Sab, 12 Ago 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio Notarile - Aprile/Giugno 2023

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autori Giulia Fadda , Giorgianni Marco Filippo , Scatena Salerno Mauro



Osservatorio trimestrale su temi di interesse notarile. A cura del Notaio dottor Marco Filippo Giorgianni, del Notaio dottor Mauro Scatena Salerno e della dott.ssa Giulia Fadda. In questo numero sono presenti: un contributo del dottor Davide Ianni sulla tematica della nullità del contratto preliminare avente ad oggetto un immobile in corso di costruzione nell´ipotesi di mancanza della fideiussione ed un contributo della dott.ssa Aurora Di Maio sulle aree di parcheggio pertinenti a fabbricati urbani.


ENG

Notary Observatory - April/June 2023

Quarterly observatory on issues related to the notarial profession. January-March 2023. Edited by the public Notary dott. Marco Filippo Giorgianni, the public Notary dott. Mauro Scatena Salerno and the dott.ssa Giulia Fadda. In this issue there are: a contribution by dott. Davide Ianni on the issue of the nullity of the preliminary contract concerning a property under construction in case of the absence of the guarantee and a contribution by the dott.ssa Aurora Di Maio on the parking areas relevant to urban buildings.

Tutti gli articoli pubblicati nell'Osservatorio Notarile sono stati sottoposti a revisione a doppio cieco e approvati da almeno un membro del Comitato scientifico della Rivista competente per il settore disciplinare di riferimento.

NOTA A SENTENZA

L´OPERATIVITÀ DELLA NULLITÀ DEL CONTRATTO PRELIMINARE DI IMMOBILE DA COSTRUIRE NELL’IPOTESI DI MANCANZA DI FIDEIUSSIONE[1]

Indice: 1) Introduzione; 2) La disciplina T.A.I.C.; 3) La fideiussione; 4) Il contratto preliminare; 5) La nullità di protezione; 6) L’arresto della Suprema Corte di Cassazione; 7) Conclusioni.

(Cass., Sez. II, 08 febbraio 2023, dep. 08 febbraio 2023, n.3817 - Pres. Di Virgilio - Rel. Trapuzzano - A.A. c. B.B. e altri)

La domanda di nullità del contratto preliminare di vendita di immobili da costruire, per mancato rilascio della garanzia fideiussoria del D.Lgs. n. 122 del 2005 , ex art. 2, non può essere accolta, per violazione della clausola di buona fede oggettiva e per carenza di interesse ad agire, allorché essa sia proposta dopo l'ultimazione dei lavori e senza che nelle more si sia manifestata l'insolvenza del promittente venditore ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l'interesse del promissario acquirente, alla cui tutela è preposta la nullità di protezione prevista dalla norma in esame.

1) Introduzione

Con il recente arresto giurisprudenziale enunciato nella sentenza n. 3817 del 08 febbraio 2023 emessa dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione, viene affrontato nuovamente il tema circa l’individuazione dei confini di tutela delle garanzie predisposte dal legislatore all’interno della disciplina speciale (c.d. T.A.I.C., ovvero il d.lgs. n. 122/2005) avente ad oggetto la protezione dei contraenti c.d. deboli, in particolare nel caso di acquirenti di immobili in corso di costruzione.

Condividendo l’esigenza espressa dalla Corte circa la necessità di delimitare e ben definire il campo di applicazione delle tutele previste dal legislatore nella citata disciplina speciale, soprattutto al precipuo scopo di evitare qualsiasi abuso del diritto da parte dei contraenti, è opportuno nonché imprescindibile ripercorrere - mediante la lente dell’interpretazione sistematica fornita dai giudici di Legittimità - i tratti salienti della normativa in tema di tutela dell’acquirente di immobili in corso di costruzione, senza ignorare le diverse criticità che emergono dall’esame dei vari istituti giuridici sottesi alla fattispecie in commento.

2) La disciplina T.A.I.C.[2]

Il primo aspetto essenziale da affrontare riguarda certamente l’individuazione della disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 122 del 20 giugno 2005 in tema di tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.

Per comprendere la portata della pronuncia in commento, risulta infatti fondamentale conoscere i presupposti soggettivi, oggettivi e negoziali in presenza dei quali sorge la necessità di applicare le disposizioni di protezione contenute nella disciplina speciale del T.A.I.C.

Preliminarmente, si precisa che le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 122/2005 sono entrate in vigore dal 21 luglio 2005 in attuazione della Legge Delega n. 210 del 02 agosto 2004 al fine di predisporre un pacchetto normativo volto alla tutela della parte acquirente nel caso in cui oggetto del contratto fosse un immobile da costruire o in corso di costruzione.

Dalla sua entrata in vigore, si sono susseguite due modifiche importanti: la prima in forza dell’art. 10-quater, I comma del D.L. n. 47 del 28.04.2014 (convertito in legge n. 80 del 23.05.2014); la seconda e più recente con il d.lgs. n. 14 del 12.01.2019, in attuazione del c.d. Codice della crisi di impresa e di insolvenza (Legge Delega n. 155/2017).

L’art. 1 del predetto decreto individua innanzitutto le definizioni utili ai fini della corretta interpretazione della normativa, precisando l’ambito di applicazione della stessa[3].

In primo luogo, per quanto concerne l’ambito soggettivo, la parte acquirente deve necessariamente essere una persona fisica.

Viene inoltre specificato che l’acquisto potrà avvenire non solo per sé ma anche per un proprio parente di primo grado. Sul punto, è stato diffusamente ritenuto che si tratta di una elencazione non tassativa, pertanto sarà ugualmente applicabile la disciplina speciale anche nel caso in cui il soggetto acquisti per il coniuge, per un amico o per un terzo.

Il requisito indefettibile è rappresentato però dalla circostanza che l’acquirente dovrà sempre essere una persona fisica.

Giova inoltre precisare che l’acquirente può essere anche un soggetto che svolge l’attività di imprenditore, tuttavia sarà applicabile il T.A.I.C. solo laddove l’acquisto venga posto in essere al di fuori dell’esercizio dell’impresa.

Ciò che rileva non è l’attività svolta in astratto da un soggetto bensì a che titolo viene posto in essere l’acquisto: un acquirente-imprenditore potrà usufruire della disciplina in commento se agisce nell’acquisto come semplice persona fisica al di fuori della propria attività d’impresa; al contrario, se l’imprenditore agisce nell’esercizio della propria attività d’impresa, non rientrerà nell’ambito di applicazione del T.A.I.C.

Infine, la disciplina in commento non troverà comunque applicazione nel caso in cui la parte acquirente sia una persona giuridica, una società o più in generale un ente collettivo.

Quanto alla parte alienante, il legislatore prevede che la disciplina speciale trovi applicazione solo laddove si tratti di imprenditore o di cooperativa edilizia, sia nell’ipotesi in cui la costruzione sarà realizzata da loro in prima persona, sia nel diverso caso in cui l’immobile sarà edificato da terzi, anche mediante appalto.

Si badi bene: le precisazioni appena esposte rilevano solo al fine di definire l’ambito di applicazione della tutela prevista dal d.lgs. n. 122 del 2005 ma nulla esclude all’autonomia privata di prevedere le medesime tutele in forma pattizia.

In tale evenienza, laddove l’acquirente decida di tutelarsi in maniera più stringente, non si applicheranno le norme del T.A.I.C., ovvero saranno sprovviste di quella obbligatorietà imposta dal decreto in commento, bensì le eventuali formalità e tutele, seppur ispirate alla disciplina in oggetto, saranno previste e dovranno essere rispettate in virtù dell’incontro delle volontà contrattuali che, ai sensi dell’art. 1372 c.c., ha forza di legge tra le parti.

Passando all’ambito oggettivo[4], si osserva che l’immobile oggetto del contratto dovrà avere specifiche e circostanziate caratteristiche. In particolare, esso potrà essere: ancora da edificare, in corso di costruzione oppure quasi ultimato, purché in tutte queste ipotesi non abbia già i requisiti richiesti per il rilascio del certificato di agibilità.

Anche in tal caso è necessario operare una precisazione: non rileva il rilascio o meno del certificato di agibilità poiché anche nel caso in cui l’immobile ne sia sprovvisto ma abbia comunque i requisiti per ottenerlo, non si applicherà comunque la disciplina speciale.

Non è inoltre superfluo precisare che il permesso di costruire relativo all’immobile in oggetto dovrà essere necessariamente successivo all’entrata in vigore del decreto T.A.I.C. (quindi successivo al 21.07.2005).

Non troverà applicazione la disciplina T.A.I.C. nel caso di permesso a costruire anteriore né nella diversa fattispecie della c.d. vendita su carta (in tale ultimo caso si è in totale assenza di qualsiasi permesso).

Dubbi permangono invece nel caso di immobile oggetto di ristrutturazione c.d. maggiore[5].

È interessante sottolineare infine come di recente la Corte Costituzionale, con sentenza del 24 febbraio 2022 n. 43 abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione contenuta nella lettera d) dell’articolo 1 del decreto in commento (concernente la definizione di immobile da costruire) - in combinato disposto con l’art. 9, I comma del medesimo decreto e con l’art. 1, I comma della L. n. 210/2004 - nella parte in cui non riconosce il diritto di prelazione anche alle persone fisiche che abbiano acquistato prima che sia stato richiesto il permesso di costruire.

Per quanto concerne infine l’ambito negoziale, ossia il tipo di operazione rilevante ai fini delle tutele speciali, la legge è chiara nel circoscrivere l’ambito di applicazione alle sole ipotesi di trasferimento non immediato, ad esempio il caso del preliminare di vendita o del contratto di vendita di cosa futura. In ogni caso, non è opportuno focalizzarsi sulle singole fattispecie contrattuali poiché la norma è tesa a valorizzare il dato funzionale ovvero l’operazione economica globalmente intesa: ciò che rileva è che il contratto dovrà avere ad oggetto un trasferimento non immediato[6].

Saranno, quindi, ricompresi nella disciplina T.A.I.C. - a titolo esemplificativo - anche tutti gli altri contratti in forza dei quali opera un trasferimento non immediato, come ad esempio il contratto avente ad oggetto un bene futuro (il fabbricato da edificare), contratto di vendita di beni futuri ed altrui (avente ad oggetto un fabbricato da costruire di proprietà di terzi), il contratto di vendita con riserva di proprietà, il contratto sottoposto alla condizione sospensiva, il contratto di permuta di cosa presente (un’area) con cosa futura (il fabbricato da edificare), contratto di cessione di quota indivisa di area con condominio precostituito.

Ad eccezione della menzionata precisazione, la presente norma non è stata affatto scalfita dalle riforme intercorse durante gli anni successivi alla sua entrata in vigore.

Chiarita la portata applicativa della disciplina in esame, l’art. 2 del D.lgs. n. 122/2005 prescrive la principale garanzia a tutela dell’acquirente: la fideiussione. Il legislatore intende perseguire l’obiettivo di proteggere la parte c.d. debole del contratto, ovvero l’acquirente, il quale è infatti soggetto ad un’alea ritenuta sproporzionata rispetto al sinallagma contrattuale.

Prima dell’entrata in vigore della disciplina speciale del T.A.I.C., l’acquirente era infatti tutelato, di fronte ad una eventuale situazione di crisi del costruttore, da una mera enunciazione innanzi al giudice delegato alla procedura concorsuale, senza reali prospettive recuperatorie.

Inoltre, ai sensi dell’art. 72 r.d. n. 267/1942 (c.d. legge fallimentare), il curatore poteva sciogliere il contratto preliminare in ordine al quale ancora non si era verificato l’effetto traslativo al momento della dichiarazione di fallimento.

In tale evenienza, l’acquirente perdeva definitivamente qualsiasi aspettativa circa l’effettivo trasferimento dell’immobile da costruire ed inoltre il proprio credito, collocato in sede chirografaria, era destinato in molti casi a sopperire nel concorso con gli altri creditori della procedura.

In particolare, chi acquista un immobile da costruire o in corso di costruzione è tenuto nell’immediatezza della conclusione del contratto ad un esborso di denaro, senza poter ricevere quanto convenuto, dal momento che esso non è ancora venuto ad esistenza.

La peculiarità che ha spinto il legislatore ad intervenire in questa materia si annida nell’incertezza, intercorrente tra il lasso temporale che va dalla data della stipula del contratto a quella di realizzazione dell’opera e quindi di trasferimento, nella quale l’impresa di costruzioni che si era impegnata ad edificare possa non adempiere l’accordo, con la conseguente perdita delle somme versate e del proprio diritto al trasferimento dell’immobile.

Per ovviare a tale evenienza, la legge ha dunque predisposto, pena la nullità del negozio, l’obbligo per il costruttore di consegnare, all’atto della stipula del contratto avente ad oggetto il trasferimento non immediato dell’immobile, una fideiussione di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni corrispettivo che il costruttore abbia riscosso o dovrà riscuotere prima del trasferimento definitivo dell’immobile.

La ratio di una simile previsione è dunque quella di predisporre uno strumento che possa coprire le spalle all’acquirente, il quale abbia versato già delle somme in favore del costruttore prima del trasferimento definitivo.

Diversamente, non rilevano le somme che dovranno essere corrisposte nel momento della stipula del contratto avente ad oggetto il trasferimento immediato dell’immobile poiché in tal caso, essendo venuto ad esistenza il bene, sono scongiurati i rischi per cui è stata predisposta la citata tutela.

In tali casi, opereranno le tutele generali previste per il contratto preliminare e di cui si parlerà in seguito.

Inoltre, è necessario precisare che l’ultimo periodo del primo comma del citato articolo 2 prevede che sono escluse da tale previsione le somme erogate da un soggetto mutuante nonché i contributi pubblici.

Sul punto, in realtà, ci si è interrogati sulla ragione che ha portato all’esclusione delle somme erogate da un soggetto mutuante, soprattutto nell’ottica di tutela del contraente debole.

È stato, infatti, osservato che, nell’ipotesi di mutuo ipotecario, l’ipoteca garantisce esclusivamente il soggetto che eroga il mutuo (es. Banca) non anche l’acquirente.

Pertanto, alla luce di tale circostanza, ci si è chiesti come mai il legislatore abbia voluto escludere tali somme, senza lasciare altre tutele all’acquirente: due sono le interpretazioni principali.

Secondo un primo orientamento – di matrice pratica - si è infatti ritenuto che le citate somme siano state escluse poiché la garanzia di cui all’art. 2 copre solo le somme riscosse prima del trasferimento immediato.

In particolare, tale tesi osserva che, nella prassi, il soggetto mutuante – ovvero la Banca – interviene soltanto in un momento successivo, ossia nel contratto definitivo.

Dal momento che le somme verranno erogate e dunque anche riscosse in sede di definitivo, non scattano le tutele previste per il T.A.I.C., stante il confine di rilevanza di riscossione fissato alla fase antecedente il trasferimento immediato dell’immobile.

Un’altra teoria[7], invece, sostiene che in sede di preliminare vi sia un’ipotesi di accollo c.d. esterno del mutuo: l’acquirente-accollante sarebbe già tutelato dall’art. 1273 c.c. secondo cui egli può opporre le stesse eccezioni dell’obbligazione originaria.

Diversamente, in sede di contratto definitivo, come già precisato in precedenza, si tratterà di somme riscosse successivamente e, quindi, al momento del trasferimento immediato, pertanto restano escluse dalla disciplina T.A.I.C.

Si è fatto riferimento, inoltre, all’intervenuta riforma del 2019[8], la quale ha inciso considerevolmente sull’oggetto della fideiussione. Nello specifico, infatti, l’intervento riformatore ha riguardato il successivo articolo 3 del decreto, il quale disciplina il rilascio, il contenuto e le modalità di escussione della fideiussione.

Al primo comma del citato articolo, si prevede infatti che la fideiussione garantisce le somme riscosse dal costruttore prima del definitivo, non solo nel caso in cui il costruttore incorra in una situazione di crisi, ma anche laddove sia rimasto inadempiuto l’obbligo assicurativo previsto dal successivo articolo 4 del medesimo decreto.

La menzionata riforma del 2019 ha inserito, inoltre, il comma 7bis, il quale prescrive la conformità della garanzia fideiussoria al modello standard predisposto dal Ministero della Giustizia.

Per molti anni tale disposizione è rimasta lettera morta fin quando, con decreto del Ministero della Giustizia 6 giugno 2022 n. 125 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 agosto 2022 n. 197) è stato adottato il Regolamento relativo al modello standard di garanzia fideiussoria relativa al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire, ai sensi dell’articolo 3, comma 7 bis del decreto legislativo 20 giugno 2005 n. 122[9].

Altra tutela riconosciuta all’acquirente di immobili da costruire o in corso di costruzione è quella prevista dall’articolo 4 del D.lgs. n.122/2005.

Il costruttore, infatti, è obbligato a consegnare all’acquirente, al momento della stipula del contratto definitivo (o comunque del contratto avente ad oggetto il trasferimento immediato del diritto reale sull’immobile) ed a pena di nullità del negozio stesso, una polizza assicurativa indennitaria decennale.

La polizza avrà efficacia dalla data di ultimazione dei lavori a copertura dei danni materiali e diretti all’immobile, sorti successivamente alla stipula del contratto definitivo.

Anche in questo caso, la legge rinviava ad un decreto ministeriale al fine di individuare il modello di polizza, il quale è stato adottato solo con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 20 luglio 2022 n.154 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 21 ottobre 2022 n. 247), contenente le disposizioni in materia di contenuto, caratteristiche e modello standard della polizza assicurativa indennitaria decennale, ai sensi dell’articolo 4, comma 1bis, del D.lgs. 122/2005[10].

In tal caso dunque, la tutela del contraente si sposta dal momento anteriore al trasferimento immediato fino a quello successivo al momento della stipula del contratto definitivo.

L’art. 5 del decreto infine, oltre a delimitare il campo di applicabilità delle disposizioni appena analizzate[11], precisa che l’acquirente non potrà rinunciare alle tutele previste e che ogni clausola contraria è nulla e dovrà considerarsi non apposta.

Le prescrizioni contenute nella disciplina speciale del T.A.I.C. proseguono negli articoli successivi: articolo 6 per il contenuto del contratto; articolo 8 per l’obbligo di cancellazione o frazionamento dell’ipoteca antecedente alla compravendita; l’articolo 9 per il diritto di prelazione. Tuttavia, per ragioni di sintesi espositiva, si dovrà rinviare al testo normativo per l’analisi delle stesse, non rilevando nella fattispecie in commento.

3) La fideiussione[12]

Al fine di una migliore comprensione della ratio sottesa alla normativa speciale T.A.I.C., si rende quanto più opportuna l’analisi dell’istituto giuridico della fideiussione, stante la centralità di tale garanzia nella fattispecie oggetto della pronuncia in commento.

La fideiussione, disciplinata agli artt. 1936 e seguenti del c.c., viene qualificata come il contratto diretto alla costituzione di una garanzia.

Nel caso di specie, si tratta di un contratto bilaterale tra fideiussore e creditore, in forza del quale il primo si obbliga personalmente verso il creditore, garantendo l’adempimento di una obbligazione altrui.

Normalmente il rapporto di fideiussione è preceduto da un accordo tra debitore e fideiussore, anche se la stessa non risulta essenziale.

La fideiussione ha natura accessoria e pertanto essa è valida finché ed in quanto sussiste l’obbligazione principale.

Inoltre, il rapporto fideiussorio non potrà desumersi da facta concludentia, richiedendo l’art. 1937 c.c. la forma espressa. Infine, ai sensi dell’art. 1949 c.c. e art. 1203, n. 3 c.c., il fideiussore che ha pagato il debito è surrogato nei diritti che il creditore aveva nei confronti del debitore.

Chiarita la natura giuridica dell’istituto, si rinvia a quanto già espresso nel paragrafo precedente per quanto concerne l’analisi e le peculiarità della fideiussione prevista dalla normativa speciale del T.A.I.C.

In questa sede si può, tuttavia, precisare che la garanzia in oggetto si può stipulare anche nelle forme della c.d. fideiussione omnibus ai sensi dell’art. 1938 c.c., laddove il costruttore stipuli un unico contratto fideiussorio per tutti gli immobili da costruire, determinando l’importo massimo garantito.

4) Il contratto preliminare[13]

La fattispecie contrattuale maggiormente in rilievo quando si affronta la tematica relativa alla disciplina degli immobili in corso di costruzione è rappresentata sovente dal ricorso allo schema negoziale del contratto preliminare.

Come già accennato in precedenza, le tutele predisposte dalla disciplina speciale del T.A.I.C. non si innestano solo nel caso in cui si debba stipulare un contratto preliminare avente ad oggetto un immobile in corso di costruzione.

In realtà, infatti, il dato letterale parla di «contratti aventi ad oggetto il trasferimento non immediato» del diritto reale.

In tal senso, come già precisato poc’anzi, sono ricompresi in questa fattispecie, oltre al preliminare, anche tutti gli altri contratti in forza dei quali opera un trasferimento non immediato come ad esempio il contratto avente ad oggetto un bene futuro (come ad esempio il fabbricato da edificare), contratto di vendita di beni futuri ed altrui (avente ad oggetto un fabbricato da costruire di proprietà di terzi), il contratto di vendita con riserva di proprietà, il contratto sottoposto alla condizione sospensiva, il contratto di permuta di cosa presente (un’area) con cosa futura (il fabbricato da edificare), contratto di cessione di quota indivisa di area con condominio precostituito. Come si può evincere da questo elenco - meramente esemplificativo - vi sono diversi e multiformi schemi contrattuali che giustificherebbero l’applicazione della disciplina speciale in commento.

Lo stesso Consiglio Nazionale del Notariato si è espresso sul punto, ritenendo come il c.d. presupposto contrattuale non sia solo ed unico per tutte le fattispecie disciplinate dal D.lgs. n. 122/2005.

Gli articoli 1 e 2 del citato decreto sono ritenute infatti norme c.d. materiali, ossia disposizioni che danno rilievo all’effetto pratico conseguito attraverso un criterio funzionale-effettuale, non anche al singolo atto negoziale[14].

Ciò che conta è dunque l’analisi dell’operazione economico-giuridica nel suo complesso, come sequenza di atti che mirano ad un risultato specifico.

Tuttavia, l’ipotesi del contratto preliminare avente ad oggetto un bene in corso di costruzione è certamente la fattispecie più diffusa.

Inoltre, il caso oggetto della pronuncia in commento è  rappresentato proprio dal contratto preliminare e, per tali motivi, l’analisi si concentrerà nello specifico sulla suddetta fattispecie, delineandone i tratti salienti.

Giungendo all’analisi nel merito, il contratto preliminare, spesso definito nella prassi con il termine di compromesso, è lo schema contrattuale che consente di formalizzare la fase c.d. preparatoria e strumentale per la stipula del successivo contratto definitivo.

Nel codice del 1865 non esisteva una disposizione che prevedeva una simile figura di contratto prodromico alla conclusione di un successivo contratto definitivo.

Solo a seguito dell’entrata in vigore del codice civile del 1942, anche grazie all’incoraggiamento e all’influenza della dottrina, il legislatore ha trasfuso anche sul versante normativo tale figura negoziale.

Il contratto preliminare è l’accordo con cui le parti (nel caso di preliminare bilaterale) o una di esse (nel caso di preliminare unilaterale) si obbligano a stipulare in un successivo momento un ulteriore contratto (il c.d. definitivo), il cui contenuto è già determinato nel contratto preliminare, quantomeno in tutti i suoi elementi essenziali.

In tal caso, l’oggetto del preliminare è la stipula del contratto definitivo.

Tale figura negoziale ha infatti meri effetti obbligatoti, ossia obbliga le parti stipulanti a concludere un successivo contratto, già descritto nei suoi punti essenziali nel preliminare.

Tale istituto è stato in passato oggetto di numerose critiche, soprattutto relativamente all’effettiva possibilità di dedurre come oggetto di un contratto l’obbligo stesso di stipulare un contratto, ritenuto da molti come coartante l’autonomia negoziale delle parti, facendo venir meno la volontà stessa degli stipulanti in sede di contratto definitivo.

Senza dilungarsi eccessivamente sulle diverse teorie che si sono susseguite nel corso degli anni, in questa sede basti precisare che tali critiche sono state oggi superate mediante due orientamenti che ancora si contrappongono.

Secondo una parte della dottrina infatti il vero momento acquisitivo della volontà delle parti è raffigurata dal solo preliminare: è infatti in questa sede che vi è l’incontro delle volontà e pertanto il contratto definitivo viene declassato a mero atto dovuto, ad una semplice esecuzione scaturente dall’obbligazione contenuta nel preliminare.

Tale teoria pertanto non riconosce alcuna autonomia al contratto definitivo, il quale resta quindi un conseguenza del contratto preliminare, che rimane l’unica fonte negoziale.

Diversamente, un’altra teoria - a dir vero dominante - ritiene che il contratto definitivo sia un negozio autonomo, il quale costituirà l’unica fonte contrattuale tra le parti.

Il preliminare in tale ottica assumerà esclusivamente una funzione strumentale e preparatoria.

Nonostante il recente ingresso del preliminare all’interno della regolamentazione codicistica, deve tuttavia essere precisato come in realtà la vigente disciplina normativa in tema di contratto preliminare rimanga comunque molto scarna.

Non a caso, sono solo tre le norme che disciplinano direttamente questo istituto: l’art.1351 c.c., l’art. 2645bis c.c. e l’art. 2932 c.c.

In primo luogo, il legislatore si preoccupa di disciplinare la forma del contratto preliminare, statuendo che esso dovrà avere la stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo.

Il principio della c.d. simmetria delle forme è dunque introdotto anche per il preliminare, a pena di nullità.

Per unanime e pacifico orientamento, la dottrina ritiene che la forma richiesta sia quella c.d. minima (ovviamente in assenza di diverse prescrizioni specifiche) pertanto si fa riferimento alla forma scritta, indipendentemente se la stessa sia soddisfatta con una mera scrittura privata oppure con un atto pubblico.

In secondo luogo, solo con l’art. 3 del D.L. n. 669 del 31.12.1996 (convertito in L. 28.02.1997 n. 30), la legge introduce anche la trascrizione del contratto preliminare, prescrivendo la possibilità per il promissario acquirente e per il promissario venditore di trascrivere il proprio contratto, così da usufruire del c.d. effetto prenotativo della trascrizione[15].

Infine, la legge attribuisce una tutela ulteriore: l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto.

Il promissario acquirente potrà infatti ottenere una sentenza costitutiva che produrrà i medesimi effetti del contratto preliminare non concluso[16].

Chiarito ciò, l’articolo 6 del D.lgs. n. 122/2005 prescrive una disciplina specifica circa la forma ed il contenuto che il contratto preliminare, o ogni altro contratto che rientra nello schema della predetta disciplina speciale, dovrà avere.

Per quanto concerne il primo dato, esso dovrà necessariamente essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

Quanto al secondo elemento, il legislatore prescrive una serie di menzioni ed allegazioni necessarie[17].

La legge non prescrive espressamente un regime sanzionatorio nel caso in cui non vengano rispettate le regole redazionali contenute nel citato articolo 6.

Sul punto in realtà la dottrina[18] è divisa: accanto a chi ritiene la norma sia di portata imperativa sanzionata con la nullità, vi è chi invece ritiene semplicemente la necessità di ripetere il contratto uniformandolo alle prescrizioni di legge mentre altri ancora chiamano in causa la responsabilità precontrattuale.

Come si osserverà meglio in seguito, la teoria che forse si attaglia maggiormente all’indirizzo della Corte di Cassazione è quella che ritiene la necessità di rinegoziare il contratto al fine di adeguarlo alle prescrizioni di legge, in esecuzione del generale principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto, prevista in combinato disposto dagli art. 1374 c.c. (in via generale anche art. 1175 c.c.) e art. 1375 c.c.

Tale canone di condotta viene, infatti, sempre più assurto - dalla giurisprudenza di legittimità[19] - a regola di comportamento dei contraenti e fonte di obblighi integrativi rispetto a quanto già previsto contrattualmente.

5) La nullità di protezione

La nullità è una delle cause di invalidità del contratto. In particolare, essa comporta il venir meno degli effetti del contratto in maniera retroattiva, eliminandoli ab origine dal panorama giuridico: quod nullum est nullum producit effectum.

L’articolo 1418 c.c. prevede tre categorie di nullità. Il primo comma disciplina la c.d. nullità virtuale, definita così perché il legislatore non descrive nello specifico il tipo o la fattispecie negoziale che cagiona l’invalidità bensì la sua individuazione è rimessa ad un giudizio interpretativo, ossia ad un giudizio di compatibilità di quel caso specifico con la norma imperativa di riferimento.

Il secondo comma dell’art. 1418 c.c. invece individua le c.d. nullità strutturali, poiché riguardano intrinsecamente l’atto di autonomia privata, che risulta viziato nei suoi elementi costitutivi. Quanto infine al terzo comma della citata norma, si tratta delle c.d. nullità testuali, ossia il legislatore rinvia ai singoli casi specifici in cui la presenza o l’assenza di un elemento è espressamente causa di nullità, sancita in maniera esplicita dalla stessa normativa.

Accanto a tali categorie che possiamo definire tradizionali, si è diffusa - ad opera sia della dottrina che della giurisprudenza - un’ulteriore categoria: la c.d. nullità di protezione.

Tale istituto, ereditato dal code civil francese, era già presente nel codice civile italiano del 1865 ma successivamente è stato di fatto soppiantato, con l’avvento del vigente codice civile del 1942, dal diverso rimedio dell’annullabilità.

All’alba della sua diffusione, la dottrina si era divisa tra chi ne contestava radicalmente l’esistenza - ritenendo la nullità un rimedio ontologicamente esistente in maniera indistinta per tutte le parti contrattuali - e chi invece ne ammetteva l’introduzione, stante la sua vocazione di tutela.

Tale peculiare nullità si rinviene oggi soprattutto nella legislazione speciale (ad esempio nel codice del consumo, nella disciplina T.A.I.C. ed in quella del T.U.F.).

La citata nullità è definita di protezione, poiché mira a tutelare il c.d. contraente debole del contratto, prescrivendo dunque un rimedio che può essere utilizzato solo a favore di quest’ultimo, al fine di tutelarsi di fronte a possibili abusi da parte della controparte contrattuale.

Tale forma di nullità raffigura una deroga al dettato normativo previsto all’articolo 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse.

Nel caso di specie, invece, il rimedio della nullità potrà essere esperito solo ed esclusivamente da una parte contrattuale, andando così a riequilibrare il sinallagma contrattuale che, in alcune ipotesi, potrebbe essere squilibrato a discapito della parte debole.

Si introduce, pertanto, il concetto di relatività delle nullità, attribuendo maggiore tutela ad una sola delle parti.

Tuttavia, al fine di garantire una tutela piena, ad eccezione di tale peculiarità, riemergono le caratteristiche generali della nullità: essa è rilevabile d’ufficio, determinano l’inefficacia definitiva del contratto, e la relativa azione è imprescrittibile.

Passando al caso di specie[20], il già menzionato art. 2 del D.lgs. n. 122/2005 prescrive che l’obbligo da parte del costruttore in favore dell’acquirente avente ad oggetto il rilascio e la consegna della fideiussione in occasione della stipula del contratto preliminare (o degli altri contratti sopra richiamati) è previsto a pena di nullità del negozio medesimo, precisando che tale vizio potrà essere fatto valere unicamente dalla parte acquirente. L’ipotesi in oggetto è dunque un ulteriore esempio di nullità di protezione.

La presente fattispecie rientra, infatti, nel concetto di nullità c.d. relativa.

Importante è, tuttavia, sottolineare che il contraente debole non potrà comunque invocare la nullità se, nel caso concreto, l’interesse tutelato dalla norma di protezione non sia leso o minacciato.

Nel caso in cui non ricorrano tali presupposti comuni a tutte le categorie di nullità, si sfocia nel c.d. abuso del diritto.

Sul punto, si rinvia a quanto si dirà in seguito relativamente alla sentenza in commento.

6) L’arresto della Suprema Corte di Cassazione[21]

Per comprendere il ragionamento giuridico sotteso all’interpretazione fornita dalla Cassazione, è quanto più opportuno ripercorrerne le diverse fasi del ragionamento giuridico, ampliando l’analisi alle pronunce emesse nei precedenti gradi di giudizio e richiamate nella stessa sentenza.

In via del tutto prodromica, è necessario comprendere la vicenda fattuale da cui si dipana l’intero iter giudiziario: la pronuncia origina da un procedimento di ingiunzione, azionato dai promissari acquirenti, al fine di ottenere dalla ditta costruttrice la restituzione delle somme versate in forza del contratto preliminare di compravendita, avente ad oggetto un immobile da costruire, di cui si denunciava la nullità per omessa consegna della fideiussione di cui del art. 2 del D.lgs. n. 122 del 2005.

Ottenuto il decreto ingiuntivo, la parte resistente-ingiunta proponeva opposizione, chiedendo la revoca del provvedimento e, in via riconvenzionale, che fosse dichiarata la legittimità del recesso esercitato ed il conseguente diritto a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria.

Aperta la parentesi di cognizione piena nel procedimento esecutivo, anche la parte opposta si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda formulata dall’opponente.

Con sentenza n.60 del 2015, il Tribunale competente rigettava l'opposizione e, per l'effetto, confermava il decreto ingiuntivo opposto, disattendendo, altresì, la domanda riconvenzionale proposta dall'opponente.

La parte soccombente proponeva pertanto appello[22] avverso la pronuncia del giudice di primo grado, sostenendo – tra gli altri motivi - l’errata applicazione dell’art. 2 del D. lgs. 122/2005 relativamente al meccanismo di applicazione relativo alla c.d. nullità di protezione prevista dalla normativa speciale in caso di mancata consegna della fideiussione, stante l’intervenuta ultimazione dei lavori sull’immobile oggetto del contratto.

Costituendosi in giudizio, i promissari acquirenti, nel rigettare la domanda di controparte, proponevano appello incidentale relativamente all’integrale compensazione delle spese nel giudizio di primo grado.

Con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 285/2018[23], il giudice del gravame rigettava l'appello principale e accoglieva l'appello incidentale e, per l'effetto, disponeva la condanna dell'appellante principale, in favore degli appellati, al pagamento delle spese sia del primo grado di giudizio sia del grado d'appello, confermando, per il resto, la pronuncia impugnata.

A questo punto, la ditta costruttrice proponeva ricorso in Cassazione mentre la parte promissaria acquirente resisteva in giudizio, depositando controricorso.

Ciò posto, è ora possibile passare all’analisi giuridica della pronuncia in commento al fine di meglio comprendere il tragitto giuridico percorso dai giudici di legittimità nella risoluzione del caso.

Preliminarmente, la Corte - richiamando il principio generale di autosufficienza[24] e riconoscendo in capo al ricorrente la sussistenza del requisito dell’interesse ad agire - dichiara il ricorso ammissibile.

Passando al merito della controversia, per quanto concerne il primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1375 e 1366 c.c., laddove si regolamenta la clausola di buona fede c.d. oggettiva, riscontrando nel caso di specie l'integrazione dell'abuso del diritto, relativamente alla disciplina di cui agli articoli 1 e 2 del D.lgs. n.122 del 2005.

In particolare, la parte ricorrente ritiene che la Corte di merito abbia erroneamente ritenuto che la nullità c.d. di protezione del preliminare di compravendita, per mancato rilascio della garanzia fideiussoria, operasse fino al trasferimento definitivo della proprietà immobiliare e non già fino all'ultimazione dei lavori, tale da consentire il rilascio del certificato di agibilità[25].

La parte ricorrente infatti osservava che il rimedio di protezione della nullità, previsto dall’articolo 2 della citata disciplina speciale, sarebbe stata strumentale alla garanzia esclusiva della restituzione delle somme e del valore di ogni altro corrispettivo effettivamente riscosso prima del trasferimento dell’immobile, laddove il costruttore fosse incorso in una situazione di crisi.

Nel caso di specie, invece, i promissari acquirenti avrebbero esercitato l'azione di nullità in spregio al principio di buona fede oggettiva, abusando del diritto conferitogli dalla normativa, al precipuo scopo di liberarsi dal vincolo contrattuale a seguito di una rivalutazione della convenienza dell’affare.

Quanto invece al secondo motivo, la ditta ricorrente sostiene che lo scopo della menzionata norma che prevede la nullità non avrebbe potuto spingersi fino al punto di assicurare la restituzione delle somme versate dai promissari acquirenti anche nel caso in cui, senza alcun motivo, questi avessero deciso di non perfezionare l'acquisto della proprietà.

Sicché, una volta che l'immobile fosse stato ultimato e che i promissari acquirenti fossero stati invitati a stipulare il rogito definitivo, l'azione di nullità non avrebbe potuto più essere esercitata per assoluta mancanza di interesse ad agire, non essendo più attuale e concreta la finalità per la quale la disciplina di settore riconosce la nullità di protezione, e quindi per difetto di concretezza e attualità dell'interesse ad invocarne l'invalidità.

Esplicitati i motivi di ricorso al giudice di legittimità, la Corte - ritenendoli entrambi fondati - avvia il percorso chiarificatore che sfocerà nella pronuncia oggetto del presente contributo.

Completato l’inquadramento sistematico della fattispecie e dopo aver brevemente ripercorso gli istituti sottesi al caso di specie, analizzando la disciplina speciale contenuta nel T.A.I.C. nonché il suo perimetro di applicazione[26], i giudici della Corte ribadiscono che l’invalidità di cui al citato articolo 2 rappresenta un’ipotesi di nullità relativa e di protezione prevista in favore del contraente debole, ossia della persona fisica che riveste la qualità di promissario acquirente.

L’analisi prosegue affermando che la peculiarità di tale previsione si annida nella circostanza secondo cui la nullità di cui all’articolo 2 si atteggia come una nullità strutturale ma in realtà si tradurrebbe in una garanzia funzionale a tutelare l’acquirente dall’eventuale sopraggiungere di uno stato di crisi del costruttore nelle more dell’adempimento.

In tal modo si verrebbe a creare, all’interno del sinallagma contrattuale, un singolare caso di interferenza tra regole di comportamento e regole di validità[27].

Ciò chiarito, la Corte - in continuità con altri precedenti[28] della medesima sezione da essa stessa richiamati (seppure in ordine a situazioni fattuali non identiche a quella in commento) - precisa che la proposizione della domanda di nullità del contratto preliminare per mancanza della garanzia accessoria prevista dall’articolo 2 del D.lgs. n.122 del 2005, ove sia stata rilasciata la garanzia prescritta per legge in data successiva alla stipula del preliminare e senza che nelle more si sia manifestata l'insolvenza del promittente venditore (ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l'interesse del promissario acquirente alla cui tutela è preposta la nullità di protezione prevista dalla norma in esame), costituisce abuso del diritto e, dunque, detta domanda non può essere accolta.

Quanto appena affermato dalla Corte, rappresenta il prodotto ermeneutico di un più ampio e generale principio: nello specifico, si ritiene che in tutti quei casi in cui il legislatore abbia predisposto dei meccanismi di tutela a protezione di una parte contrattuale, quando l'interesse protetto dalla norma non sia più esposto ad alcun pregiudizio né si abbia ragione di temerne la verificazione, l’esperimento di tale mezzo risulterà funzionale non già ad attuare il fine di protezione perseguito dalla legge bensì al diverso fine di sciogliere il contraente da un contratto che non reputa più conveniente o di aggirare surrettiziamente gli strumenti di reazione che l'ordinamento specificamente appronta avverso le condotte di inadempimento della controparte.

In tali ipotesi, dunque, la c.d. asimmetria contrattuale introdotta col citato articolo 2 non avrebbe più ragione di sussistere ed anzi, se utilizzata impropriamente, sfocia nell’abuso dello strumento giuridico.

Pertanto, nella fattispecie in commento, rileva non già il momento storico in cui si realizza l'effetto traslativo, bensì il frangente temporale in cui l'opera è ultimata, posto che la normativa di settore non è indirizzata ad assicurare la solvenza del promittente alienante in termini avulsi dal contesto in cui la promessa si è perfezionata.

La disciplina speciale infatti prevede che debba essere concessa una polizza fideiussoria a garanzia della restituzione delle somme versate dal promissario acquirente nelle more del trasferimento dell’immobile da costruire e non per assicurare altri possibili pregiudizi connessi alla mancata produzione dell'effetto traslativo.

Come già accennato in precedenza, la Corte infatti ribadisce che le specifiche ragioni di protezione che giustificano la previsione normativa sono collegate al particolare stato in cui versa il promissario acquirente: da un lato, avendo anticipato delle somme al promittente alienante per l'assunto impegno ad acquistare un immobile in costruzione, laddove sorga una sopravvenuta situazione di crisi del costruttore, egli si troverà in grave difficoltà nel far valere le azioni esecutive e concorsuali sull'immobile (aggredito dai creditori alla stregua di detto stato di crisi); dall’altro lato, rimane fortemente compromessa la possibilità che l’effetto traslativo si perfezioni.

Proprio alla luce di tale specifica tutela, i giudici di Piazza Cavour osservano che il promissario acquirente non sarà in ogni caso sprovvisto di tutele negli altri casi poiché residua l’intera disciplina generale relativa al contratto preliminare come ad esempio l’art. 2645-bis, comma 4 c.c., che prevede, appunto, la facoltà di trascrizione anche dei preliminari aventi ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di costruzione. In ogni caso, tornando al caso si specie, la consegna della polizza fideiussoria è quindi strumentale a permettere al promissario acquirente il recupero delle somme pagate a titolo di acconto al costruttore, nelle ipotesi in cui si verifichi una situazione di crisi certificata che comprometta o aggravi il buon esito della vicenda negoziale avente ad oggetto un immobile non ultimato, obbligo il cui adempimento prescinde dal fatto che, in futuro, si verifichi o meno lo stato di crisi (purché ne ricorra il pericolo)[29].

La Suprema Corte tuttavia osserva come l’ordinamento giuridico italiano, pur ammettendo eccezionalmente tale squilibrio c.d. di protezione, rimane comunque costellato da principi e dogmi che mirano alla perfetta eguaglianza delle parti contraenti e pertanto essi ne rappresentano il limite.

Alla luce di ciò, i giudici pertanto ritengono come la necessità di tutela asimmetrica prevista dal T.A.I.C. venga meno nel momento in cui la costruzione è ultimata, poiché lo stato di insolvenza del promittente venditore, che sopravvenga a tale ultimazione, consente comunque al promissario acquirente di poter perfezionare l'acquisto, in ragione della previa trascrizione del preliminare.

L’interpretazione che fornisce la Cassazione è dunque volta ad un processo ermeneutico che vada a considerare le norme contenute nel codice civile e nella disciplina speciale, poste in relazione le une con le altre.

Il legislatore, infatti, ha predisposto un meccanismo di tutela che si pone in un doppio binario: fino al momento dell’ultimazione dei lavori scatta la protezione asimmetrica ed eccezionale della nullità di protezione; una volta che però il pericolo che giustificava tali tutele viene meno, torneranno in superficie i normali rimedi contrattuali previsti per la generalità dei contraenti.

Nel caso di immobile in corso di costruzione, ciò che impedirebbe una tutela effettiva è l’assenza del bene oggetto del contratto al momento del preliminare.

Una volta che lo stesso venga ad esistenza e che i lavori siano ultimati a regola d’arte (e il fabbricato abbia i requisiti per il rilascio del certificato di agibilità), la tutela viene garantita già dalle regole basiche come appunto la già citata trascrizione del preliminare e la successiva possibilità di ricorrere all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre (art. 2645bis, IV comma c.c. e art. 2932 c.c.).

Ebbene, la Cassazione osserva che quando il cespite originariamente da costruire, oggetto del preliminare di vendita, sia stato nelle more ultimato, il promissario acquirente si viene a trovare in una situazione del tutto assimilabile, sebbene ex post, a quella del promissario acquirente che abbia stipulato, sin dall'inizio (ex ante), una promessa di vendita di un immobile già realizzato.

I giudici, dunque, giungono alla conclusione secondo cui, differentemente da quanto ritenuto dal giudice di merito, laddove sia stata o meno rilasciata la fideiussione in un momento successivo alla conclusione del contratto - affinché non sia integrato un contegno lesivo della buona fede (o abusivo, secondo il precedente prima richiamato) del diritto riconosciuto dalla previsione normativa - è indispensabile verificare se l'immobile oggetto del preliminare sia stato ultimato, perché, laddove ciò fosse, verrebbero meno le ragioni di speciale tutela in favore del soggetto debole, che non è più in pericolo (rectius: che non corre più il pericolo che la norma ha inteso scongiurare).

A corroborare tale statuizione, la Corte di Cassazione richiama altri precedenti che miravano alle medesime conclusioni[30]. In particolare, si sottolinea che laddove la nullità di protezione sia fatta valere dopo l'ultimazione dei lavori, senza alcun collegamento con una condizione di insolvenza del promittente alienante (la quale non sia stata integrata sino a tale momento), non sussistono più le ragioni che hanno giustificato la previsione.

Si è altresì osservato che, nella fattispecie in commento, nessuna fideiussione è mai stata rilasciata dalla parte costruttrice ma la nullità di protezione è stata eccepita dai promissari acquirenti soltanto dopo l'ultimazione dei lavori, senza che sia stato mai paventato un pericolo di insolvenza in concreto del promittente alienante, che ha invece invitato le controparti a concludere il definitivo.

Venendo radicalmente meno la ratio di protezione sottesa alla disciplina speciale, i giudici osservano che in tal caso l'esercizio in concreto dell'azione di nullità non è stata funzionale al perseguimento del fine per il quale l'invalidità di protezione fu introdotta, bensì è stato indirizzato al raggiungimento di uno scopo ultroneo: quello di sciogliersi dal vincolo contrattuale per sopravvenuto mutamento dei propositi dei promissari acquirenti.

In presenza di una simile fattispecie, non sarà consentito invocare l’invalidità del contratto, non essendosi manifestata l'insolvenza del promittente venditore nell’unico lasso di tempo rilevante, ossia quello trascorso tra la conclusione del preliminare e l'ultimazione dei lavori, ma anzi essendo sopraggiunta la realizzazione dell'immobile oggetto della promessa e non avendo i promissari acquirenti manifestato, in tale periodo di tempo, l'intento di far dichiarare la nullità[31].

La Cassazione abbraccia pertanto una visione estremamente sostanzialista e funzionale della normativa speciale di protezione, superando il dato meramente formale, il quale invece - secondo i giudici di merito - avrebbe da sola giustificato la violazione del dettato normativo, legittimando il ricorso all’azione di nullità[32].

Una volta precisata la ratio della disciplina di protezione e chiariti i confini dell’eccezionale meccanismo asimmetrico di tutela, la Cassazione cala il proprio ragionamento nel caso concreto affermando che - avendo riguardo, non già, astrattamente, al momento in cui è stato posto in essere l'atto che si assume nullo, bensì al momento in cui è stata proposta la domanda di nullità - l'esercizio dell'azione si configura quale ipotesi di utilizzo distorto del diritto assegnato dalla norma istitutiva della nullità di protezione.

La norma, infatti, tutelava i promissari acquirenti dal proteggere l’effettività del loro acquisto.

Tuttavia, per effetto della realizzazione dell'immobile, i promissari acquirenti avrebbero potuto agire per il perfezionamento dell'effetto traslativo, come - tra l’altro - proposto dalla parte promissaria venditrice.

I giudici infatti ritengono che l’azione esperita dai promissari acquirenti, pur camuffandosi come esercizio di un diritto posto a tutela della parte debole contrattuale, si sia rivelata nella realtà fattuale come un recesso di pentimento, che in via edittale non è inglobato nella previsione normativa e il cui esercizio è palesemente lesivo della clausola di buona fede oggettiva.

In tale ottica, la Cassazione - richiamando un importante precedente delle Sezioni Unite[33] - sottolinea l’importante ruolo dell’interprete, in tutti i casi in cui il legislatore abbia previsto ipotesi eccezionali di nullità relativa, intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto un interesse particolare di una sola parte. In tali fattispecie infatti egli dovrà prestare attenzione nel circoscrivere l'ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l'interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche che possono sfociare nell’abuso del diritto stesso.

Il canone di condotta delle parti contrattuali dovrà essere sempre ispirato al rispetto del principio di buona fede oggettiva, anche nelle modalità di esercizio degli strumenti posti a protezione degli interessi di parte[34].

La naturale conseguenza pratica, sul versante processuale, di tale orientamento è che l'interesse ad agire viene meno, essendo stato già soddisfatto, in quel momento storico, il bene della vita che l'azione intendeva salvaguardare[35].

I giudici di legittimità, inoltre, tornano ad affrontare la criticità forse cruciale della tematica in oggetto e di cui si è già accennato precedentemente: la circostanza che la nullità di protezione sia qualificata da una spiccata duplice finalità, una protettiva e una dissuasiva.

Tale caratteristica esige il necessario ed imprescindibile contemperamento di tali due versanti dello stesso fenomeno rispetto all'assetto complessivo degli interessi coinvolti.

La generale clausola di buona fede contiene infatti in sé un altro dogma: il principio di proporzionalità.

Tale circostanza impone, infatti, di evitare che il rimedio operi secondo connotati o modalità tali da sovrastare la funzione protettiva, trasformandola in una funzione eminentemente sanzionatoria.

Inoltre, tali limiti sono indefettibili poiché impediscono, su tutt'altro fronte, che la salvaguardia riconosciuta al contraente svantaggiato si trasformi in una sostanziale iper-protezione, in totale spregio degli interessi più generali relativi al mercato di riferimento.

La nullità deve sicuramente operare a vantaggio del contraente protetto, ma nei limiti in cui essa sia in linea con l'esigenza di effettività della tutela, nonché con il fondamento più generale del rimedio.

Alla luce di quanto sopra esposto, la Suprema Corte di Cassazione ha emanato il seguente principio di diritto: «La domanda di nullità del contratto preliminare di vendita di immobili da costruire, per mancato rilascio della garanzia fideiussoria del D.lgs. n. 122 del 2005, ex art. 2, non può essere accolta, per violazione della clausola di buona fede oggettiva e per carenza di interesse ad agire, allorché essa sia proposta dopo l'ultimazione dei lavori e senza che nelle more si sia manifestata l'insolvenza del promittente venditore ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l'interesse del promissario acquirente, alla cui tutela è preposta la nullità di protezione prevista dalla norma in esame».

7) Conclusioni

L’insegnamento che si deve trarre dalla sentenza in commento è dunque rivolto su un duplice fronte.

Da un lato, nei casi in cui vi sia uno squilibrio di posizioni negoziali, si evidenzia la necessità - percepita dallo stesso legislatore - di dover intervenire nel rapporto contrattuale al fine di tutelare la parte debole con nuovi e differenziati strumenti di protezione.

Tuttavia, dall’altro versante, è sempre opportuno chiarire i limiti entro cui debba considerarsi lecita ed ammessa tale asimmetria di salvaguardia.

La Cassazione affida un ruolo fondamentale all’interprete, il quale dovrà individuare e seguire i canoni legali presenti nell’ordinamento al fine di comprendere i confini di applicabilità di tali eccezionali tutele: essi sono il principio di buona fede c.d. oggettiva e il principio di proporzionalità.

In tale ottica, la disciplina speciale rimane sempre confinata ad ipotesi circostanziate mentre la vis espansiva della disciplina generale riemergerà ogni qualvolta la fattispecie sconfini oltre i limiti disposti dal legislatore per l’applicazione delle tutele differenziate.

La Cassazione ammonisce pertanto sulla corretta interpretazione da fornire agli strumenti di protezione predisposti a favore della parte debole del contratto, valorizzandone una visione sistematica e funzionale.

Inoltre, alla luce della deroga espressa all’eguaglianza delle posizioni contrattuali, l’operazione ermeneutica deve essere forgiata sulla base del dato sostanziale, non dovendo invece restare imperniati sul mero rigorismo formale.

Nella fattispecie oggetto della pronuncia in commento, la previsione di una nullità relativa e di protezione a favore del promissario acquirente è tale solo nel limite in cui essa è volta a tutelare l’interesse giuridico sotteso alla minorata difesa del suo titolare.

Per meglio dire: il legislatore invade la sfera negoziale delle parti, disponendo dei limiti e delle prescrizioni a tutela di una parte anziché di un’altra, solo nella misura in cui il pericolo di svantaggio del contraente c.d. debole sia ancora possibile, anche solo in potenza.

Ciononostante, nel momento in cui la situazione di insidia che giustificava il trattamento legale differenziato viene meno, la fattispecie ritorna nei ranghi dell’ordinaria disciplina, munita dei generali rimedi di tutela.

Laddove però la parte contrattuale - in favore della quale l’ordinamento aveva riservato una protezione di riequilibrio - utilizza lo strumento di tutela per scopi diversi da quelli circoscritti ed individuati dalla legge, si sfocia nell’abuso del diritto.

Il rapporto contrattuale è infatti sempre ispirato al principio di buona fede oggettiva, in virtù di un generale canone di correttezza reciproca tra gli attori negoziali.

Nei casi in cui la legge evidenzia un ingiusto squilibrio che pone maggiormente in pericolo una delle parti, essa soccorre in aiuto compensando tale situazione mediante la predisposizione di meccanismi di tutela asimmetrici, al fine di ripristinare, nei limiti del possibile, una parità di protezione.

Nell’approntare tale sistema, sarà però imprescindibile ispirarsi al generale principio di proporzionalità.

Ed è proprio alla luce di tale postulato che, nel predisporre tali tutele, scatterà la clausola di salvaguardia a tutela della parità ed eguaglianza dei centri d’interesse del rapporto negoziale.

Tale parametro, di matrice sostanziale, deve sempre ispirare l’interprete nella sua missione ermeneutica.

L’intero processo interpretativo posto in essere dalla Cassazione, infine, presuppone ed evidenzia come la stessa abbia necessariamente abbracciato il dogma della perfezione ed autosufficienza dell’ordinamento giuridico: il nostro sistema legale viene infatti considerato come la fonte ed il confine di ogni disposizione normativa, al cui intero è possibile rinvenire, mediante un percorso sistematico, la disciplina e la tutela per ogni fattispecie.

Le eventuali lacune ivi presenti potranno essere superate mediante l’applicazione di altre norme mediante un’interpretazione organica e metodica.

Laddove la disciplina generale non sia più sufficiente a garantire tale equilibrio, subentrerà la normativa speciale, la quale tuttavia resta comunque immersa all’interno del sistema giuridico principale, sottostando ai suoi limiti e principi inderogabili.

Tornando al caso di specie, i giudici di Legittimità ritengono dunque, anche alla luce del generale principio di adeguatezza, che le tutele predisposte dal T.A.I.C., una volta ultimata la costruzione e senza che il costruttore sia nelle more incorso in uno stato di crisi, vengano meno e lascino invece spazio al ritorno dei generici criteri di tutela previsti in materia di preliminare, essendo superato il pericolo che giustificava il riequilibrio asimmetrico di protezione.

NOTA A SENTENZA

ANCHE GLI SPAZI NECESSARI ALLA SOSTA E ALL´ACCESSO DEI VEICOLI RIENTRANO NELLE AREE PARCHEGGIO PERTINENTI A FABBRICATI URBANI[36]

(Cass., Sez. II, 27 ottobre 2022, dep. 27 ottobre 2022, n.31799 - Pres. Di Virgilio - Rel. Trapuzzano - A.A. c. B.B. e altri)

Con la locuzione aree di parcheggio pertinenti a fabbricati urbani devono intendersi gli spazi tanto necessari alla sosta quanto alla manovra e all’accesso dei veicoli.

Tali spazi possono consistere in un’area scoperta (cd. posto auto) o in un’area coperta, chiusa su tre lati (box) o su tutti i lati (garage) e devono essere considerati nel loro complesso ai fini della verifica del rispetto degli standards urbanistici purché sia garantito un numero minimo di parcheggi.

Indice: 1) Introduzione. I fatti; 2) Inquadramento normativo. Il vincolo di pertinenzialità secondo la Legge 765/1967: dall’entrata in vigore ai successivi problemi interpretativi; 2.1) La «liberalizzazione» ad opera della Legge 246/2005; 2.2) I parcheggi di cui alla Legge 122/1989 (Legge Tognoli) e il doppio tentativo di liberalizzazione; 3) La definizione di «parcheggio» secondo la Cassazione.

1) Introduzione. I fatti

Il caso posto al vaglio della Corte di Cassazione, la quale, si è pronunciata con la sentenza del 27 ottobre 2022 n.31799, riguarda il contenzioso che ha visto protagonisti, da un lato, un soggetto che ha agito al fine di ottenere il riconoscimento della proprietà e/o diritto d’uso di un posto auto scoperto situato in un cortile condominiale e di un garage posto al piano seminterrato, nonché il risarcimento dei danni per il loro mancato utilizzo, dall’altro, due soggetti che hanno disposto per donazione del suddetto locale ad uso garage.

In particolare, l’attrice ha convenuto, con atto di citazione notificato il 23 dicembre 2005, donante e donataria dinanzi al Tribunale di Cagliari basando la propria pretesa sui seguenti fatti: la stessa con atto pubblico stipulato in data 3 febbraio 2003 aveva acquistato dal donante l’unità immobiliare di cui era proprietario; il donante-venditore era, al tempo, altresì proprietario del posto auto e del garage rivendicato dall’attrice, siti nello stesso fabbricato dell’immobile venduto.

I cespiti immobiliari erano pervenuti all’alienante in virtù della successione del coniuge, la quale, a sua volta li aveva acquistati da una società costruttrice con compravendita conclusa in data 6 maggio 1994.

Al riguardo l’attrice ha sostenuto che entrambi i posti auto fossero gravati dal vincolo pertinenziale di cui all’art. 18 della L. 765/1967 (Legge Ponte) e che, pertanto, non solo dovessero considerarsi trasferiti ope legis - quandanche non menzionati nell’atto di compravendita - ma, altresì, doveva statuirsi la nullità della donazione - avente ad oggetto uno dei posti auto rivendicati - stipulata il 22 novembre 2005, ciò in quanto la donataria non era proprietaria di alcuna abitazione posta all’interno del fabbricato.

Il donante, costituendosi in giudizio congiuntamente alla donataria, ha sostenuto che il vincolo e le limitazioni introdotti dalla Legge Ponte all’art. 41-sexies della Legge urbanistica 1150/1942, non gravavano sui posti auto di sua proprietà, in quanto, realizzati dalla società costruttrice al tempo venditrice, in eccedenza rispetto allo standard urbanistico imposto dalla legge.

A seguito di apposita consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale adito ha dichiarato la donazione de qua nulla nella parte in cui non erano stati trasferiti i posti auto oggetto di causa e, conseguentemente, ha disposto il trasferimento a favore dell’attrice di dette pertinenze con obbligo, per la stessa, di pagarne il sovrapprezzo.

Proseguendo il giudizio per la determinazione dell’ammontare dovuto dai convenuti a titolo di risarcimento danni per il mancato utilizzo dei posti auto, la donataria e l'altro erede dell’ormai defunto donante, hanno proposto appello avverso la sentenza non definitiva n. 2566 del 2012 pronunciata in primo grado.

La Corte di Appello di Cagliari ha riformato completamente la decisione impugnata. Più in particolare, si è rilevato, anzitutto, che il giudice di primo grado non avesse provveduto ad incaricare un consulente tecnico d’ufficio al fine di verificare l’«effettiva cubatura dei fabbricati realizzati e della corrispondente superficie vincolata per legge a posti auto, aree di parcheggio e di manovra, al fine di verificare se vi fossero ulteriori aree e garage per i quali il costruttore avrebbe potuto validamente trattenere la proprietà̀ e disporne liberamente a favore di terzi»[37]; di contro, in primo grado si era semplicemente fatto riferimento alla effettiva cubatura riportata nel progetto presentato dall’allora società costruttrice e, dal quale, si è desunta l’applicazione del Decreto Floris[38] che impone un vincolo pubblicistico di 80 mq per ogni 100 mq di superfice da destinarne la metà alla realizzazione di aree di sosta.

Secondo la Corte d’Appello adita, invece, si sarebbe dovuto procedere ad una verifica dello stato concreto dei luoghi, così come richiesto dagli appellanti, i quali, hanno fatto presente di aver richiesto, ed ottenuto, la concessione edilizia in sanatoria l’11 febbraio 1999 stante le incongruità tra lo stesso progetto e lo stato di fatto del piano terra e seminterrato del fabbricato.

In ogni caso il giudice di secondo grado ha statuito che i) per i posti auto in parola si sarebbe dovuta applicare «ratione temporis, la disciplina di cui alla L. n. 122 del 24 marzo 1989, (legge Tognoli), sicché l'edificio realizzato non era tenuto al rispetto degli standard urbanistici previsti dal "decreto Floris"»; ii) che dai risultati della rinnovata consulenza è emersa un’eccedenza di superfice pari a 387,60 mq e che, essendo il posto auto scoperto ed il garage oggetto di causa dell’estensione complessiva di 40 mq, ne consegue che gli stessi ben potevano essere trasferiti a terzi dal costruttore.

Di conseguenza, la Corte di Appello ha concluso dichiarando la legittimità della vendita del posto auto scoperto e del garage dall’allora società costruttrice al compratore che, a sua volta, legittimamente ne ha disposto a favore dell’appellante.

A questo punto dell’iter processuale, la proprietaria dell’immobile certa di quanto rivendicato, è ricorsa alla Corte di Cassazione, la quale, ha concluso la vicenda con la statuizione di cui in prosieguo.

2) Inquadramento normativo Il vincolo di pertinenzialità secondo la Legge 765/1967: dall’entrata in vigore ai successivi problemi interpretativi

Le questioni affrontate dalla sentenza in commento rendono necessario ripercorrere l’iter normativo che ha avuto ad oggetto le aree destinate a parcheggio.

Un tema la cui discussione è iniziata alla fine degli anni ’70 quando per esigenze urbanistiche, maturate all’insorgere dei problemi di viabilità dovuti all’incessante traffico nei centri abitati, si è dovuti intervenire al fine di rimediare alla carenza di spazi destinati alla sosta degli autoveicoli.

È stata la L. del 6 agosto 1967 n.765 (cd. Legge Ponte) ad introdurre per la prima volta nella normativa dettata in materia urbanistica (L. n.1150 del 17 agosto 1942) degli standards da seguire nella realizzazione dei fabbricati per quanto concerne la destinazione di appositi spazi da riservare alla sosta. Infatti, con l’art. 41-sexies si è stabilito che «nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione»[39].

Si tratta di parcheggi privati da realizzarsi contestualmente all’edificazione di un nuovo fabbricato che sia successiva all’entrata in vigore della suddetta norma (segnatamente per le costruzioni iniziate dopo il primo settembre 1967[40]).

Già all’indomani dell'entrata in vigore della disposizione in commento si discuteva sulla natura del vincolo imposto dal legislatore e sul relativo regime di circolazione di dette aree di cui, invece, nulla era stato precisato.

A tal riguardo, secondo una prima interpretazione fornita dalla dottrina, definita oggettiva o liberista, l’art. 41-sexies non è stato introdotto nella materia urbanistica al fine di incidere nei rapporti tra privati ma unicamente in quelli sorti tra costruttore e pubblica amministrazione.

In altri termini, la norma avrebbe imposto sugli spazi da destinare a parcheggio un vincolo oggettivo di destinazione e non di pertinenzialità, senza ciò comportare limitazioni per quanto concerne l’alienabilità degli stessi tra i privati[41] dal momento che, non avrebbe avuto rilievo l’effettiva utilizzazione dei posti auto da parte dei condomini[42].

Da ciò sarebbe derivata la libera commerciabilità degli stessi, i quali ben potevano, quindi, essere esclusi dall’eventuale contratto di vendita dei singoli appartamenti o dell’intero fabbricato di cui erano parte[43].

Risolvere il problema della viabilità nei centri urbani limitata dalla sosta indiscriminata degli autoveicoli si riteneva essere l’unico fine perseguito dal legislatore del tempo e, pertanto, la realizzazione dei parcheggi sarebbe dovuta essere solo la condizione per ottenere la licenza o la concessione edilizia per la costruzione di nuovi fabbricati a pena di illegittimità del provvedimento comunque rilasciato[44].

Altro orientamento sul tema, sviluppatosi in giurisprudenza con accezione soggettiva o vincolista, non era d’accordo nell’ammettere che l’autonomia privata potesse vanificare l’intento del legislatore impedendo l’utilizzazione dei posti auto di pertinenza delle unità immobiliari da parte dei condomini del fabbricato e di cui si è resa obbligatoria la realizzazione.

Pertanto, non solo si sarebbe dovuto rispettare il vincolo di destinazione degli spazi da riservare alle aree di sosta, ma sarebbe stata certamente necessaria l’utilizzazione dei parcheggi realizzati da parte di coloro che vi abitassero.

In altri termini, si sosteneva che se il problema da risolvere era quello di ridurre il traffico nelle aree urbane, causato da coloro che nelle stesse abitualmente vi sostavano, i parcheggi allora divenuti obbligatori non potevano non essere utilizzati da quegli stessi soggetti che ne erano la causa[45].

Si concludeva, al riguardo, che i posti auto potevano essere alienati separatamente dall’immobile a cui accedevano o, comunque, poteva essere riservata al proprietario la nuda proprietà.

Di contro, invece, non si poteva ammettere una deroga al diritto di uso a favore dei proprietari od utilizzatori delle unità immobiliari principali. In particolare, verrebbe a costituirsi ex lege un diritto reale d’uso del posto auto a favore di taluni soggetti con il conseguenziale riconoscimento del diritto in capo al venditore di ottenere una maggiorazione del prezzo pattuito a titolo di supplemento e al fine di riequilibrare le prestazioni contrattuali.

Tali conclusioni sono state oggetto di un iter giurisprudenziale ben conosciuto da chi ha seguito la querelle avutasi sul tema ed il quale ha condotto le Sezioni unite della Cassazione a sancire, seppur non ancora definitivamente, il principio secondo cui l’art. 41-sexies operi, da un lato, come norma di azione nei rapporti tra il costruttore e la pubblica amministrazione, e dall’altro, come norma di relazione tra i privati, così decretando l’inderogabilità circa l’utilizzazione dei parcheggi a favore dell’edificio condominiale e, di conseguenza, l’impossibilità di poter alienare gli stessi senza anche trasferire un diritto di godimento sulla relativa area di sosta[46].

Le stesse Sezioni Unite non sono riuscite, però, a fornire una qualificazione giuridica univoca del vincolo allora imposto. Infatti, hanno previsto diverse ipotesi.

Innanzitutto, il posto auto collocato all'interno dell'edificio dovrebbe considerarsi come bene comune condominiale oggetto di un diritto di godimento a favore di tutti i condomini. In secondo luogo, il posto auto esterno all'edificio dovrebbe ritenersi pertinenza dell’immobile principale. Infine, se il costruttore si è riservato la proprietà dei parcheggi, su questi grava una servitù a favore dell’intero edificio (e quindi delle singole unità immobiliari).

Secondo la Corte questa diversità di ipotesi configurabili avrebbe avuto dei riflessi anche in ordine al loro regime di circolazione.

Postulato che, salvo patto contrario, la vendita della singola unità immobiliare comprende i connessi diritti accessori, accessioni e pertinenze, nonché la quota condominiale delle cose comuni al fabbricato di cui è parte (come indicate dall’art. 1117 cod. civ.), l’omessa menzione del diritto gravante sul parcheggio costituirebbe un’ipotesi di integrazione del contratto (art. 1374 cod. civ.).

Diversamente, se le parti si fossero servite del patto contrario per escluderlo espressamente, la relativa clausola sarebbe stata nulla perché contraria ad una norma imperativa.

Una nullità, però, secondo le pronunce del tempo, soltanto parziale e, quindi, sanabile ai sensi dell’art.1419, secondo comma, cod. civ.

È a seguito di dette pronunce ed alla luce del regime vincolistico sancito dalla Cassazione che interviene nuovamente in materia il legislatore con l’art. 26, ultimo comma della legge 28 febbraio 1985, n. 47 mediante il quale stabilisce che «gli spazi di cui all’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 del Codice Civile»[47].

L’intervento normativo era diretto a risolvere le divergenze di opinioni che erano sorte in precedenza. Infatti, la norma in parola nel progetto iniziale era stata inserita in un unico articolo (21) rubricato «interpretazione autentica».

Nonostante il chiaro obiettivo del legislatore del tempo, con il suo intervento in materia non si è riusciti, comunque, a superare la questione sulla quale dottrina e giurisprudenza già da tempo si interrogavano, anzi, altrettanto evidente è stata la constatazione di nuovi importanti interrogativi ai quali è risultato necessario fornire delle risposte (si tratta della questione della possibilità della vendita separata del posto auto data la presenza del regime di pertinenzialità e della problematica della retroattività della disposizione in parola).

Con il richiamo al detto regime certamente poteva considerarsi sancito il rapporto di accessorietà tra il fabbricato e i posti auto, rapporto che in quanto tale, dunque, era derogabile in virtù del disposto di cui al secondo comma dell’art. 818 c.c., ai sensi del quale «le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici».

Per quanto concerne l’efficacia della disposizione aggiunta dalla legge sul condono, da un lato, si è sostenuta la sua natura interpretativa e si è confermato lo scopo del legislatore di chiarire la possibilità di alienare i posti auto separatamente all’immobile principale con efficacia retroattiva; dall’altro, si è attribuito alla disposizione in parola una portata soltanto innovativa, ciò dovendosi applicare limitatamente ai parcheggi realizzati successivamente alla sua entrata in vigore[48].

È in questo clima di dubbi e incertezze che le Sezioni unite della Cassazione sono intervenute nuovamente sulle questioni prospettate, al fine di risolvere i problemi interpretativi che la stessa legge sul condono non aveva fatto altro che aggiungere a quelli già preesistenti alla sua entrata in vigore.

Questa volta la Suprema Corte ha sancito definitivamente il principio secondo cui l’art. 41-sexies della L. 1150/1942 impone un vincolo di destinazione di natura pubblicistica, in virtù del quale «gli spazi in questione sono riservati all’uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unità immobiliari, anche a titolo di locatari o comodatari»[49].

In particolare, coerentemente con le pronunce delle stesse Sezioni unite di qualche anno prima, è stato ribadito che «la norma vincolistica, dettata nell'interesse generale alla normalizzazione della viabilità urbana, incide, con effetti necessariamente inscindibili, sia nel rapporto pubblicistico di concessione-autorizzazione edilizia sia anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato, come quelli in cui la finalità della norma consegue concreta realizzazione»[50].

Sulle teorie concernenti l’efficacia retroattiva dell’art. 26 della l. 47/1985, la Suprema Corte ha concordato con i sostenitori della sua natura interpretativa non potendo ad essa riconoscersi una struttura autonoma: introdotta, dunque, per chiarire la possibilità che le nuove pertinenze degli edifici, quali i posti auto, avrebbero potuto costituire oggetto di separati rapporti giuridici.

Ciò postulato si è ritenuto che la questione si configurasse di più ampia portata, vale a dire che si è sostenuto che entrambe le teorie concordavano «nel ritenere che le aree di parcheggio, in un modo o nell’altro, [...] fossero [...]sottratte dallo ius superveniens al vincolo di destinazione nei rapporti intersoggettivi di diritto privato»[51], quando, invece, «a fermo giudizio delle Sezioni Unite, questo assunto di base delle due interpretazioni a raffronto non trova validi riscontri nella mens legis quale si è oggettivata nel dato testuale».

In altri termini, nella sentenza in oggetto si è sostenuto che il richiamo al regime pertinenziale non può essere la causa che fa venir meno il vincolo di destinazione introdotto dalla legge 756/1967.

Infatti, si riconosce il rapporto di servizio che si instaura tra il posto auto e l’immobile principale ma ciò non vuol dire che, attraverso separati atti o rapporti giuridici, lo stesso rapporta possa cessare. In ogni caso, le Sezioni unite hanno ritenuto di far salva la nullità parziale dei contratti aventi ad oggetto esclusivamente il trasferimento dell’immobile principale, escludendone il posto auto[52].

Consolidato nelle successive pronunce l’orientamento allora seguito dalla giurisprudenza, dopo pochi anni le Sezioni Unite della Suprema Corte tornano a pronunciarsi sulla materia dei posti auto, al fine di risolvere il contrasto di opinioni sorto in merito all’applicabilità della normativa ai parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo standard urbanistico introdotto con l’art. 41-sexies (L. 1150/1942).

In un primo momento si è ritenuto di dover escludere che anche la parte in eccedenza fosse sottesa al vincolo di destinazione ex lege[53].

Successivamente, invece, la questione è stata risolta positivamente nel senso che il vincolo di destinazione pubblicistico si sarebbe dovuto rispettare quandanche si fosse trattato di posti auto realizzati in esubero rispetto a quelli previsti dalla legge[54].

L’intervento de quo è stato diretto ad escludere tale applicazione estensiva ritenendo non sussistente per taluni posti auto il vincolo di pertinenzialità rispetto alle singole unità immobiliari del fabbricato.

In particolare, si è affermato che l’inscindibilità del vincolo pertinenziale è giustificata esclusivamente dalla norma imperativa (art. 41-sexies), di contro le pertinenze non richieste dalla stessa seguono i principi generali dettati dal diritto comune per tale vincolo e, segnatamente, l’effettiva destinazione della cosa non può che dipendere dalla volontà del suo proprietario[55].

Il costruttore che realizza parcheggi in misura eccedente rispetto all’area prescritta dalla legge e impone su questi un vincolo di destinazione a favore degli immobili con l’atto d’obbligo indirizzato al fine di ottenere il provvedimento concessorio, deve rispettare tale vincolo non perché gli sia imposto dalla legge - avendo già rispettato la destinazione ad area di sosta dello spazio minimo richiesto - ma in quanto a questo obbligatosi nei confronti dell’autorità amministrativa.

In particolare, lo stesso vincolo ben potrebbe essere rimosso, seppur a determinate condizioni, ma in ogni caso non sussiste per i posti auto in eccedenza il diritto reale d’uso in capo ai proprietari/utilizzatori dei singoli immobili facenti parte del fabbricato.

Di contro, «estendere ai parcheggi realizzati in eccedenza il vincolo soggettivo, con conseguente attribuzione del diritto d'uso ai proprietari delle unità immobiliari dell'edificio, riconoscimento dell'inscindibilità̀ del vincolo e nullità̀ degli atti negoziali, significa disconoscere ogni distinzione tra parcheggi rientranti nello standard legale e quelli che, invece, da tale standard eccedono»[56].

2.1) La «liberalizzazione» ad opera della Legge 246/2005

Dopo lo sforzo compiuto dalla giurisprudenza il legislatore è intervenuto nuovamente sulla possibilità di alienare i posti auto separatamente alle singole unità immobiliari del fabbricato di cui sono parte.

Infatti, all’art. 41-sexies della L. 1150/1942 è stato aggiunto un secondo comma col quale si è stabilito che «gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritto d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse»[57].

Fermo restando il vincolo pubblicistico di destinazione di appositi spazi da destinare a parcheggio, è evidente l’intento di derogare all’inscindibilità del vincolo pertinenziale tra il posto auto e l’unità immobiliare a cui accede, fatta valere costantemente dalla precedente interpretazione giurisprudenziale: «il significato e la portata precettiva della norma, in effetti, sono assolutamente chiari. La previsione normativa è stata infatti costruita dal legislatore in modo da neutralizzare, nelle sue diverse sfaccettature, la soluzione che era stata imposta dalla Corte di cassazione per oltre venticinque anni»[58].

Con riguardo alla nuova disposizione è necessario tornare nuovamente sulla distinzione tra norma interpretativa e norma innovativa, al fine di statuirne l’efficacia temporale e, di conseguenza, decidere le sorti delle fattispecie non ancora risolte prima della sua entrata in vigore (16 dicembre 2005).

Con una prima decisione di merito la questione è stata risolta con l’immediata applicabilità del secondo comma dell’art. 41-sexies anche a quei rapporti non ancora consolidati, in quanto «in sostanza con tale comma aggiunto, il legislatore ha inteso regolare gli effetti derivanti dall’obbligo di riservare nelle nuove costruzioni appositi spazi per parcheggi, senza incidere sul fatto generatore ovvero sull’osservanza [...] di tale obbligo [...] , che resta fermo ed intangibile»[59].

Pertanto, alla disposizione in esame non può che riconoscersi, secondo tale orientamento, carattere interpretativo.

È chiaro che tale impostazione è stata seguita dagli stessi fautori della teoria liberista, i quali, all’indomani dell’entrata in vigore della legge Ponte già sostenevano l’assenza del vincolo di inalienabilità del posto auto separatamente dall'unità immobiliare alla quale accedeva.

In tale modo, postulato che ai sensi dell’art. 2909 cod. civ. l’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato faccia stato ad ogni effetto, tra le parti, i loro eredi e aventi causa, il soggetto a cui, in forza di tale pronuncia, sarebbe stato attribuito il diritto di rivendicare la proprietà o l’utilizzo del posto auto pertinenziale all’immobile principale perché escluso dal contratto posto in essere, questo stesso diritto, in forza del nuovo comma dell’art. 41-sexies, gli sarebbe ora sottratto[60].

Di contro, i sostenitori della teoria vincolista non ammettevano la natura interpretativa della nuova disposizione, salvando, almeno, i casi passati dalla liberalizzazione dal vincolo pertinenziale dei posti auto ex legge Ponte sull’assunto della irretroattività delle norme prevista dall’art. 11 delle preleggi e non avendo il legislatore del tempo riferito alcuna disposizione contraria al riguardo.

Proprio in questo senso, si è pronunciata anche la Corte di Cassazione con la sua prima decisione in merito a tale questione[61].

In primo luogo, la Suprema Corte ha affermato che affinché una norma possa ritenersi interpretativa debbano ricorrere come presupposti i) «l’incertezza interpretativa» e ii) «la consacrazione di una delle soluzioni che avrebbero potuto essere (o sono state) adottate dalla giurisprudenza, alla luce anche della giurisprudenza costituzionale in materia»[62].

Tali presupposti mancano, al giudizio della Suprema Corte, nell’ipotesi de qua essendosi la stessa pronunciata per oltre un ventennio sull’immancabile riconoscimento di un diritto reale di uso ex lege gravante sul posto auto a favore di coloro che acquistano l’unità immobiliare principale.

Se si esclude, dunque, la natura interpretativa della nuova disposizione, non può che trovare applicazione il principio, ormai pacifico, secondo cui «le leggi le quali modificano il modo di acquisto dei diritti reali o il contenuto degli stessi non incidono sulle situazioni maturate prima della loro entrata in vigore»[63].

La conclusione della Corte è, pertanto, quella di ritenere la disposizione del nuovo comma dell’art. 41-sexies «destinata ad operare solo per il futuro, e cioè per le costruzioni non ancora realizzate, o per quelle realizzate ma per le quali non siano iniziate le vendite delle singole unità immobiliari»[64], al pari di quanto si è ritenuto al tempo dell’introduzione della legge Ponte applicabile ai soli parcheggi costruiti in virtù di licenza edilizia rilasciata successivamente al giorno 01 settembre 1967.

In realtà anche su questo punto sono doverose delle precisazioni.

L’art. 18 della legge 765/1967 si riferisce espressamente alle «nuove costruzioni» obbligandone la destinazione di appositi spazi da riservare alla sosta, mentre la legge 246/2005 non ha riguardo alla realizzazione dei parcheggi, bensì alla sola commercializzazione degli stessi.

Da ciò deriva che la liberalizzazione suddetta opera per tutti gli atti di disposizione aventi ad oggetto i posti auto rientranti nella disciplina della legge Ponte, e successivi al 16 dicembre 2005, indipendentemente dalla data in cui sia stato costruito il fabbricato di cui sono parte[65].

In ogni caso è pacifico che le parti possano ora godere di un’autonomia privata tale da consentire loro di disporre liberamente dei posti auto in questione e che sia ammissibile la rinuncia del diritto reale d’uso da parte del suo titolare - se già accertato con sentenza passata in giudicato - ritenuto ormai un diritto disponibile[66].

2.2) I parcheggi di cui alla Legge 122/1989 (Legge Tognoli) e il doppio tentativo di liberalizzazione

Le aree destinate alle zone di sosta così come richieste dall’art. 41-sexies della legge 1150/1942 non furono sufficientemente in grado di risolvere il problema della scarsa viabilità nei centri urbani e, considerando anche le numerose questioni oggetto di discussione circa la disciplina dei parcheggi disciplinati dalla legge Ponte, presto si è ravvisata l’esigenza di intervenire nuovamente in materia[67].

Segnatamente e, per la prima volta, il legislatore ha pensato ad un piano articolato ed organico di norme volte ad incentivare la realizzazione di posti auto, sia in aree private che su suoli pubblici, per tutti quei fabbricati che ne fossero sprovvisti o, comunque, che ne disponessero in misura non sufficiente a soddisfare le esigenze di tutti i proprietari/utilizzatori delle unità immobiliari facenti parte degli stessi[68].

A tal fine, da un lato, il legislatore ha voluto modificare il rapporto tra la superfice da riservare a parcheggio e la cubatura del fabbricato aumentando lo standard urbanistico previsto dall’art. 41-sexies che, ora, prevede la realizzazione di «spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti dieci metri cubi di costruzione»[69].

D’altro canto, il medesimo legislatore ha introdotto la possibilità di realizzare posti auto da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari di fabbricati già esistenti «nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno [...] anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti»[70].

Successivamente, per effetto dell’art. 17, comma 90, della Legge del 15 maggio 1997 n. 127, c.d. Decreto Bassanini bis, i parcheggi Tognoli possono essere realizzati ad uso esclusivo dei residenti anche «nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici».

Proprio in merito a quest’ultima disposizione introdotta ci si è chiesti se i posti auto in questione sarebbero dovuti essere realizzati esclusivamente da parte dei proprietari delle unità immobiliari a cui gli stessi avrebbero avuto accesso o, se fosse stato possibile che terzi estranei ben potessero realizzarli su aree di loro proprietà, esterne al fabbricato.

Il Consiglio di Stato pronunciatosi in argomento, ha sostenuto al riguardo che l’inciso impersonale utilizzato dal legislatore del ’97 «Tali parcheggi possono essere realizzati..» deve essere interpretato nel senso che, a differenza dei posti auto realizzati nel sottosuolo del fabbricato e di cui all’art. 9 della L. 122/1989, le aree di sosta in spazi esterni rispetto agli edifici possono essere realizzati anche da coloro che non sono i proprietari degli stessi e al cui servizio saranno resi.

Allo stesso modo il Consiglio di Stato ha ritenuto che la derogabilità alla disciplina urbanistica vigente, prevista al primo comma del citato articolo 9, non è legata al soggetto che realizzi i nuovi posti auto piuttosto, invece, alla natura pertinenziale dei nuovi parcheggi rispetto alle unità immobiliari principali.

Di conseguenza, ha ritenuto che la pertinenzialità voluta dal legislatore non è tanto quella materiale che sussiste tra fabbricato e area da destinare alla sosta ma quella giuridica che deve sussistere, inscindibilmente, tra il posto auto e la singola unità immobiliare[71].

Si è poi precisato al riguardo che gli immobili da asservire ai parcheggi realizzati esternamente al fabbricato devono essere già individuati al momento della presentazione della D.I.A.[72], dato che non sarebbe conforme alla disciplina in parola costituire un rapporto pertinenziale a favore di una indistinta pluralità di soggetti le cui abitazioni si trovino a una certa distanza dall’area di sosta così realizzata[73].

Quanto alla circolazione dei parcheggi in oggetto con l’art. 9 della L. 122/1989, al quarto comma, si è stabilito che «non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale: i relativi atti di cessione sono nulli».

Si desume, pertanto, che anche per le aree di sosta realizzate in forza della normativa aggiunta dopo la Legge Ponte, almeno fino alla liberalizzazione del 2005, il legislatore ha previsto un vincolo pertinenziale inscindibile tra le stesse e le unità immobiliari a cui vengono asservite, un vincolo che nemmeno l’autonomia privata avrebbe potuto derogare dal momento che è stata posta come sanzione la nullità del contratto che non abbia trasferito, insieme all’immobile principale, il posto auto a cui accedeva.

La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che «il rapporto tra unità immobiliari e parcheggi pertinenziali asserviti deve essere di uno a uno». In altri termini, ancora una volta, si ribadisce che lo strumento pubblicistico, introdotto al fine di agevolare la realizzazione di aree di sosta, se utilizzato per imporre detto vincolo anche su posti auto realizzati in eccedenza rispetto alle unità immobiliari a cui accedono, risulterebbe inadeguato rispetto al fine per il quale è stato pensato[74].

Anche per i parcheggi Tognoli si è avvertita l’esigenza di temperare la rigidità del vincolo pertinenziale. A partire dal decreto legge del 6 agosto 1993 n. 281 e successivi[75] fino a quello del 30 maggio 1994 n. 326, il legislatore ha tentato di liberalizzare la circolazione dei posti auto Tognoli realizzati in eccedenza rispetto a quelli imposti dalla precedente Legge Ponte.

Con il successivo decreto legge del 20 luglio 1994 n. 475 e fino a quello del 31 gennaio 1995 n. 28[76] è stata consentita la libera circolazione dei parcheggi Tognoli soltanto a favore dei soggetti che avessero la residenza o dimora nel Comune ove erano stati realizzati ed è stata prevista la nullità per i relativi atti di trasferimento a coloro che non fossero in possesso di tali requisiti[77].

Ebbene tutti i tentativi posti in essere dal legislatore con i decreti legislativi anzi citati, e più volte reiterati, non sono stati del tutto vani dal momento che, seppur gli stessi non furono convertiti in legge, con l’art. 1, secondo comma, della L. del 20 maggio 2005 n. 204 si è stabilito che restassero «validi tutti gli atti ed i provvedimenti adottati e [...] fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei predetti decreti legge non convertiti».

Invero, al più tardi dei tanti tentativi di liberalizzazione,è intervenuto il decreto legge del 9 febbraio 2012 n. 5, il quale, convertito con modificazioni dalla L. del 4 aprile 2012 n. 35, ha apportato delle importanti modifiche alla disciplina dei Parcheggi Tognoli, in particolare, per quanto concerne la circolazione degli stessi.

Con l’art. 10, al comma 1, del d.L. citato, si sostituisce il quinto comma dell’art. 9 della L. 122/1989 che ora recita «fermo restando quanto previsto dall’articolo 41-sexies, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, e l’immodificabilità̀ dell’esclusiva destinazione a parcheggio, la proprietà̀ dei parcheggi realizzati a norma del comma 1 può essere trasferita, anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali, solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso comune. I parcheggi realizzati ai sensi del comma 4 non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale e i relativi atti di cessione sono nulli, ad eccezione di espressa previsione contenuta nella convenzione stipulata con il comune, ovvero quando quest’ultimo abbia autorizzato l’atto di cessione»[78].

Tale intervento del legislatore non è stato altro che il risultato della combinazione tra la prassi dei Comuni di i) consentire la libera circolazione dei posti auto Tognoli con il trasferimento del vincolo pertinenziale su di essi e a favore dell’immobile, dal venditore all’acquirente e ii) consentire il libero trasferimento solo a favore dei soggetti residenti o dimorati nel Comune ove realizzati[79].

Il legislatore del tempo ha avuto cura di principiare la disposizione de qua con due importanti premesse: il riferimento all’art. 41-sexies della L. 1150/1942 e l’immodificabilità della destinazione a parcheggio.

Con il primo si è sostenuto che il richiamo ha la funzione di scindere nettamente la disciplina dettata per i parcheggi Ponte da quelli Tognoli e, segnatamente, l’intento è stato quello di evitare che fosse abrogato quanto stabilito dalla L. 246/2005 con la quale, come anzi detto, si è aggiunto il secondo comma dell’art. 41-sexies che non prevede l’insorgere del vincolo pertinenziale od altro diritto di uso sul posto auto a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e ne consente il libero trasferimento da esse.

Ciò, in quanto, la nuova normativa dei posti auto Tognoli, seppur abbia, da un lato, previsto la loro libera trasferibilità, dall’altro, invece, ne ha comunque imposto la destinazione a pertinenza rispetto alle sole unità immobiliari site nello stesso Comune.

Da ciò consegue che, mentre la disciplina dei posti auto ai sensi della legge Ponte prevede come regola generale l’alienazione separata rispetto all’immobile, viceversa, la disciplina del posti auto ex legge Tognoli, come modificata, pone come regola generale il divieto di alienazione separata, configurandosi il trasferimento con contestuale destinazione a pertinenza di altro immobile sito nello stesso Comune come l’eccezione[80].

Quanto alle seconda premessa si tratterebbe di un vero e proprio limite legale alla proprietà dei parcheggi Tognoli perché derogatrice dei principi previsti dalla materia urbanistica. Il mutamento della destinazione d’uso è da quest’ultima consentito se si pone in essere l’eventuale procedimento edilizio prescritto e non sia in contrasto con i vigenti strumenti urbanistici[81].

Pertanto, nell’atto di trasferimento del posto auto separatamente dall’unità immobiliare alla quale era legato dal vincolo pertinenziale, il nuovo acquirente dovrà dichiarare espressamente di voler adibire lo stesso a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso Comune[82].

3) La definizione di «parcheggio» secondo la Cassazione

Giunti a questo punto della trattazione è ora possibile comprendere le motivazioni poste alla base della decisione della Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul caso analizzato.

La ricorrente con il dodicesimo motivo del ricorso proposto ha lamentato la violazione/falsa applicazione dell’art. 41-sexies della legge urbanistica (L. 1150/1942) in quanto la Corte d’Appello di Cagliari, riformando la pronuncia emanata in primo grado, ha statuito l’eccedenza dello spazio da riservare alla sosta, rispetto a quello imposto dalla legge, sulla base dello stato attuale dei luoghi senza tener conto delle opere realizzate in virtù di concessione edilizia successiva a quella rilasciata all’allora società risalente al 29 maggio 1991.

In particolare, la ricorrente ha sostenuto che fossero stati realizzati dei box auto in totale mancanza di titolo edilizio e, pertanto, abusivi e che per la determinazione dello spazio in eccedenza non solo si era tenuto conto di questi stessi, ma altresì dello spazio riservato alla manovra e al transito dei veicoli.

Secondo la Suprema Corte la violazione di legge lamentata avrebbe presupposto una differente e più favorevole ricostruzione dei fatti che ad essa non compete né è sindacabile in tal grado del giudizio. Inoltre, la ricorrente, la quale ha ritenuto inapplicabile la Legge Tognoli, non ha, di contro, «mai dedotto esplicitamente la concreta inesistenza nello stabile di un numero di posti auto pari a quello degli appartamenti dell'edificio, tale per cui [...] alla stessa [...] sarebbe stato assolutamente precluso di parcheggiare regolarmente un'auto nelle aree condominiali esterne ed interne adibite a parcheggio»[83].

In altri termini, secondo la Corte, non solo non può dirsi violato lo standard urbanistico perché si è considerato lo stato attuale dei luoghi, stato che era evidentemente lo stesso di quello al tempo della vendita tra la società costruttrice e l’allora compratore, a seguito convenuto in giudizio, ciò essendo il presupposto del rilascio di una concessione «in sanatoria»; ma, in ogni caso, la ricorrente non ha mai affermato esplicitamente che gli interventi oggetto del titolo edilizio successivo fossero stati realizzati solo dopo la vendita conclusa tra il costruttore e l’allora compratore risalente al 6 maggio 1994. Postulato, dunque, che: i) risultava rispettato lo spazio minimo da destinare alla sosta richiesto dall’art. 41-sexies della legge urbanistica, ii) il garage oggetto di gravame rientrava nello spazio in eccedenza di cui il costruttore poteva liberamente disporre, eccedenza già risultante dallo stato dei luoghi al tempo del titolo originario, iii) la normativa applicabile era ratione temporis la Legge Tognoli, la Corte di Cassazione sancisce quali sono i criteri da seguire per la determinazione dello spazio da destinare a parcheggio.

Com’è noto, con la Circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 3210 del 28 ottobre 1967, emanata subito dopo l’entrata in vigore della Legge Ponte, si è precisato che per parcheggi «debbono intendersi gli spazi necessari tanto alla sosta quanto alla manovra ed all'accesso dei veicoli; - i parcheggi possono essere ricavati nella stessa costruzione ovvero in aree esterne oppure promiscuamente; ed anche in aree che non formino parte del lotto, purché siano asservite all'edificio con vincolo permanente di destinazione a parcheggio, a mezzo di atto da trascriversi a cura del proprietario»[84].

Alla stregua di quanto stabilito nella menzionata Circolare, i parcheggi regolati dalla Legge Ponte possono essere realizzati sia in aree scoperte, sia in quelle coperte da adibire a box auto (se coperti da tre lati) o garage (se chiusi da tutti i lati).

Proprio tale definizione è stata rivendicata dal giudice di secondo grado chiamato a pronunciarsi sul caso in oggetto, il quale, secondo la Cassazione, facendo proprie le risultanze della rinnovata consulenza, ha correttamente determinato lo spazio minimo da destinare alla sosta richiesto dalla legge, «al lordo - e non già al netto delle zone di transito e manovra»[85].

Al riguardo la Corte ha sostenuto che la Circolare suddetta, seppur risalga ad anni prima e non abbia valenza normativa, è del tutto idonea a risolvere la questione posta al vaglio del suo giudizio, in quanto ha dettato un valido criterio guida per la determinazione dello spazio da riservare alla sosta nell’edificio di cui è parte il garage rivendicato dalla ricorrente.

Tale conclusione è avvalorata dalla circostanza che dai lavori preparatori della Legge Tognoli si deduce che per modificare lo standard urbanistico richiesto dall’art. 41-sexies, passato da 1 mq. per ogni 20 mc. di costruzione ad 1 mq. per ogni 10 mc. di costruzione, si è avuto riguardo alla valutazione operata dal Ministero dei Lavori pubblici «il che dovrebbe dare un particolare risalto al contenuto della circolare innanzi richiamata, proveniente dallo stesso Ministero alle cui valutazioni si è fatto riferimento per rideterminare il nuovo - e più rigoroso - standard urbanistico»[86].

In altri termini, la Cassazione con il caso qui trattato giunge alla conclusione di dover ritenere gli spazi accessori alla sosta e, comunque, quelli che ne costituiscono una componente indefettibile per la loro realizzazione, ricompresi in chiave strutturale e concreta nella definizione di spazio da destinare a parcheggio una volta assicurato il numero minimo di posti auto imposto dalla legge per le singole abitazioni del fabbricato di cui sono parte[87].


Note e riferimenti bibliografici

[1] L’articolo è stato redatto dal dottor Davide Ianni.

[2] Per una panoramica generale: Petrelli, Gli acquisti di immobili da costruire. Le garanzie, il preliminare e gli altri contratti, le tutele per l’acquirente (D.lgs. 20 giugno 2005 n. 122), in Lettere notarili, diretto da Laurini, Milano, 2005; Luminoso, La contrattazione di immobili da costruire dalla novella n. 30/1997 allo schema di decreto attuativo della legge delega 28.2.2004, n.210, in Atti del Convegno Paradigma, Milano, 2005; Carabba, Tutela degli acquirenti di immobili da costruire e tutela dei consumatori: il “divieto” di cui all’art. 8 D.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, in Notariato, 2006, 470 ss; Baralis, L’art. 8 del D.lgs. 20 luglio 2005, n.122: obblighi e responsabilità notarili, in Tutela degli acquirenti degli immobili da costruire: applicazioni del d.lgs. n. 122/2005 e prospettive, in Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Atti del Convegno di Roma del 20-21 gennaio 2006; Appiano, Bella, Cavalieri, La tutela degli acquirenti di immobili, Napoli, 2006; Busani, Più tutele a chi compra in cantiere, in Sole 24 Ore, 18 luglio 2005; D’Arrigo, La tutela contrattuale degli immobili da costruire, in Riv. Not., 2006, 920 ss.

Per l’aggiornamento della disciplina a seguito delle intercorse riforme: Ferrucci, Ferrentino, Uttieri, La tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili in corso di costruzione ed istituti collegati, II edizione, 2020; Genghini, S. Pertoldi, I singoli contratti, in Manuali notarili a cura di L. Genghini, CEDAM, Milano, 2020, 535 ss; SIRONI, Immobili da costruire: le nuove tutele degli acquirenti di immobili dopo il D.lgs. n. 14/2019, in Notariato, 2019, pag. 623 e seguenti; Ticozzi, Applicabilità della disciplina, in La tutela degli acquirenti di immobili da costruire, a cura di Sicchiero, Padova, 2005, 102 ss.

[3] Art. 1 del D.lgs. n. 122/2005: «a) per «acquirente»: la persona fisica che sia promissaria acquirente o che acquisti un immobile da costruire, ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto l'acquisto o comunque il trasferimento non immediato, a sé o ad un proprio parente in primo grado, della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, ovvero colui il quale, ancorché' non socio di una cooperativa edilizia, abbia assunto obbligazioni con la cooperativa medesima per ottenere l’assegnazione in proprietà o l'acquisto della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire per iniziativa della stessa; b) per «costruttore»: l'imprenditore o la cooperativa edilizia che promettano in vendita o che vendano un immobile da costruire, ovvero che abbiano stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto la cessione o il trasferimento non immediato in favore di un acquirente della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire, sia nel caso in cui lo stesso venga edificato direttamente dai medesimi, sia nel caso in cui la realizzazione della costruzione sia data in appalto o comunque eseguita da terzi; c) per «situazione di crisi»: la situazione che ricorre nei casi in cui il costruttore sia sottoposto o sia stato sottoposto ad esecuzione immobiliare, in relazione all’immobile oggetto del contratto, ovvero a fallimento, amministrazione straordinaria, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa; d) per «immobili da costruire»: gli immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità».

[4] In giurisprudenza, per una identificazione dell’ambito oggettivo di applicazione del D.lgs. 122/2005, cfr.: tra le altre, Cass. civ., n.28859 del 2021; Cass. civ., n.5749 del 2011.

[5] Sul punto, è utile menzionare un importante Studio del Consiglio Nazionale del Notariato: CNN, Studio n. 5813/C, Decreto legislativo 122/2005: la garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa a firma del notaio Giovanni Rizzi, in cui si adotta un’interpretazione estensiva/sistematica volta a ricomprendere nel novero della disciplina anche le ipotesi di ristrutturazioni che comportino una ristrutturazione radicale volta finanche alla demolizione e ricostruzione dell’edificio; Per un interessante contributo sulla portata della riforma del 2019: Trimarchi, in Federnotizie, Modifiche al D.lgs. 122/2005 (TAIC).

[6] In merito, si rammenta un importante contributo del Consiglio Nazionale del Notariato: CNN, Protocollo Notarile n. 18, L’attività del notaio in relazione al D.lgs. 122/2005.

[7] Petrelli, ibidem.

[8] Ci si riferisce al D.lgs. n. 14/2019.

[9] Leo, Studio del Consiglio Nazionale del Notariato: Modello standard di fideiussione TAIC: piena operatività dal 23 settembre 2022, in Segnalazioni Novità Normative, in CNN Notizie; Federnotizie, I modelli standard di fideiussione e polizza assicurativa pubblicato il 03.11.2022 a cura di J. BALOTTIN, in www.federnotizie.it.

[10] Ibidem.

[11] Si veda sopra laddove si è affrontato il tema dell’ambito di applicabilità oggettivo del D.lgs. n. 122/2005.

[12] Ferrucci, Ferrentino, Uttieri, La tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili in corso di costruzione ed istituti collegati, seconda edizione, 2020, 159 ss; Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, venticinquesima edizione, a cura di F. Anelli e C. Granelli, Giuffré, 2021; D’Ambrosio, Fideiussione e vincoli di contenuto negli immobili da costruire, in I contratti, 2006, 600 ss; Petti, Battista, La fideiussione e le garanzie personali del credito, edizioni CEDAM collana, 2006; Delle Monache, La garanzia fideiussoria negli acquisti da costruire (fra obbligo e onere), in Riv. Dir. Civ., 2009, 610 ss.

[13] Diener, Il contratto in generale. Manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, Milano, 2002, 184 ss; Gabrielli, Il contratto preliminare, Milano, 1970; Ferrucci, Ferrentino, Uttieri, La tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili in corso di costruzione ed istituti collegati, seconda edizione, 2020, 159 ss; Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, venticinquesima edizione, a cura di F. Anelli e C. Granelli, Giuffrè, 2021; Petti Battista, La fideiussione e le garanzie personali del credito, edizioni CEDAM collana, 2006.

[14] CNN, Protocollo Notarile n. 18, L’attività del notaio in relazione al D.lgs. 122/2005.

[15] In particolare, tale effetto consiste nella possibilità, specialmente per il promissario acquirente, di tutelarsi nei confronti non solo del promissario venditore ma anche dei terzi, prevalendo nel caso in cui - nelle more della stipula del contratto definitivo - il bene oggetto del preliminare venga alienato ad altri soggetti. In tal caso, con la sequenza preliminare-definitivo, gli effetti della trascrizione retroagiranno sin dal momento della trascrizione del preliminare, prevalendo così su eventuali acquirenti successivi.

[16] Ai sensi dell’art. 2652, comma II c.c. anche la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto deve essere trascritta qualora oggetto del trasferimento sia un bene immobile o mobile registrato. Inoltre, dovrà essere trascritta anche la sentenza costitutiva.

[17] Per una migliore intelligibilità, si riporta di seguito il testo dell'articolo 6 del citato decreto T.A.I.C., concernente il contenuto minimo del preliminare:

«a) le indicazioni previste agli articoli 2659, primo comma, n. 1), e 2826 del codice civile; b) la descrizione dell'immobile e di tutte le sue pertinenze di uso esclusivo oggetto del contratto; c) gli estremi di eventuali atti d'obbligo e convenzioni urbanistiche stipulati per l'ottenimento dei titoli abilitativi alla costruzione e l'elencazione dei vincoli previsti; d) le caratteristiche tecniche della costruzione, con particolare riferimento alla struttura portante, alle fondazioni, alle tamponature, ai solai, alla copertura, agli infissi ed agli impianti; e) i termini massimi di esecuzione della costruzione, anche eventualmente correlati alle varie fasi di lavorazione; f) l'indicazione del prezzo complessivo da corrispondersi in danaro o il valore di ogni altro eventuale corrispettivo, i termini e le modalita' per il suo pagamento, la specificazione dell'importo di eventuali somme a titolo di caparra; le modalita' di corresponsione del prezzo devono essere rappresentate da bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte venditrice ed alla stessa intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell'avvenuto pagamento; g) gli estremi della fideiussione di cui all'articolo 2 e l'attestazione della sua conformita' al modello contenuto nel decreto di cui all'articolo 3, comma 7-bis;  h) l'eventuale esistenza di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo sull'immobile con la specificazione del relativo ammontare, del soggetto a cui favore risultano e del titolo dal quale derivano, nonche' la pattuizione espressa degli obblighi del costruttore ad esse connessi e, in particolare, se tali obblighi debbano essere adempiuti prima o dopo la stipula del contratto definitivo di vendita; i) gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonché di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla costruzione; l) l'eventuale indicazione dell'esistenza di imprese appaltatrici, con la specificazione dei relativi dati identificativi.

2. Agli stessi contratti devono essere allegati: a) il capitolato contenente le caratteristiche dei materiali da utilizzarsi, individuati anche solo per tipologie, caratteristiche e valori omogenei, nonché l'elenco delle rifiniture e degli accessori convenuti fra le parti; b) gli elaborati del progetto in base al quale é stato richiesto o rilasciato il permesso di costruire o l'ultima variazione al progetto originario, limitatamente alla rappresentazione grafica degli immobili oggetto del contratto, delle relative pertinenze esclusive e delle parti condominiali.

3. Sono fatte salve le disposizioni di cui al regio decreto 28 marzo 1929, n. 499».

[18] Luminoso, I contenuti necessari del contratto preliminare e degli altri contratti diretti al successivo trasferimento della proprietà di un immobile da costruire e dei relativi allegati, in Atti del Convegno Paradigma, Milano, 2005; Rizzi, Il decreto legislativo 122/2005: il contenuto del contratto preliminare, Studio n. 513/C, approvato dalla commissione studi civilistici il 23 luglio 2005; Petrelli, Gli acquisti di immobili da costruire, cit

[19] Cass. Civ., n.15150 del 2003; Cass. Civ., n.1078 del 1999.

[20] Sul punto, per un approfondimento in merito al concetto di nullità relativa: Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 5691/C, Prime considerazioni sul decreto legislativo in tema di tutela degli acquirenti di immobili da costruire o in corso di costruzione, autori Ruotolo Paolini, in CNN Studi e Materiali, 2005, 1605 ss.

Si veda anche per alcuni contributi più recenti: Musto, Quesito C.N.N. n. 154-2019/P; Visconti, La tutela degli acquirenti di immobili da costruire, in Immobili e proprietà, 2017; Mapes, Nullità sopravvenuta del preliminare di compravendita di un immobile da costruire, in I Contratti, 2017, 320 ss.

[21] Cass.. Civ., n.3817 del 2023.

[22] Per un approfondimento sui motivi di appello del ricorso, si riportano di seguito le doglianze esposte dai ricorrenti: «a) erronea, contraddittoria e carente motivazione in ordine alla valutazione della sussistenza dei presupposti per l'operatività della nullità indicata del d.lgs. n. 122 del 2005, art. 2, stante che l'ultimazione dei lavori, al tempo in cui la nullità era stata fatta valere, sarebbe stata incompatibile con la previsione di una nullità di protezione; ed inoltre avrebbe determinato la carenza di interesse ad agire dei promissari acquirenti e l'abuso del diritto, alla stregua della exceptio doli generalis; b) l'omessa o carente motivazione con riguardo all'ammissibilità del procedimento monitorio, per assenza di declaratoria di nullità del contratto preliminare e conseguente inesistenza dei requisiti per l'adozione del decreto ingiuntivo; c) l'omessa o carente motivazione con riferimento al rigetto della proposta domanda riconvenzionale, atteso l'adempimento del promittente alienante e l'inadempimento dei promissori acquirenti, con il conseguente legittimo esercizio del diritto di recesso».

[23] Di seguito si riporta il ragionamento della Corte d'Appello: «A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che la tutela prevista dal d.lgs. n. 122 del 2005, si estendeva ai diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili per i quali, da un lato, fosse stato richiesto il permesso di costruire e, dall'altro, non fosse ancora avvenuta l'edificazione o la cui costruzione non fosse risultata ultimata, essendo in uno stadio tale da non permettere ancora il rilascio del certificato di agibilità; b) che, nel caso in disputa, si trattava di immobile da costruire e non di immobile sulla carta, posto che il costruttore aveva già richiesto il permesso di costruire in data 9 marzo 2011, prima della stipulazione del preliminare, essendo, al riguardo, irrilevante che successivamente a tale stipula fosse stata depositata una variante del progetto originario; c) che la norma mirava a tutelare il compratore da un'eventuale insolvenza, e in particolare dal possibile fallimento del costruttore, sicché il contraente debole avrebbe dovuto essere garantito sino al momento del trasferimento della proprietà, atteso che l'insolvenza del costruttore si sarebbe potuta verificare anche nelle more del trasferimento; d) che la protezione accordata all'acquirente si estendeva sino al momento del trasferimento immobiliare e, pertanto, la tutela apprestata doveva essere riconosciuta anche nel periodo intercorrente tra l'ultimazione dell'opera e il passaggio di proprietà, soprattutto quando fossero stati versati ingenti importi o addirittura fosse avvenuto l'integrale pagamento del prezzo prima del rogito, e ciò indipendentemente dall'esistenza di un pericolo di insolvenza o dalla ricorrenza di una situazione di crisi del costruttore; e) che la nullità di protezione eccepita era insanabile e la relativa azione imprescrittibile, sicché l'acquirente non avrebbe potuto rinunciare alla garanzia fideiussoria stabilita dalla norma imperativa; f) che non sussisteva alcun abuso del diritto e/o del processo, poiché gli appellati avevano esercitato un diritto soggettivo loro attribuito e riconosciuto dall'ordinamento, né ricorrevano atti emulativi, in quanto i promissari acquirenti avevano operato secondo correttezza e buona fede, senza che alcun inadempimento fosse loro imputabile; g) che doveva essere confermata l'infondatezza della proposta domanda riconvenzionale, in considerazione dell'invalidità del contratto preliminare oggetto di causa nonché del fatto che la società costruttrice, prima ancora di invitare i promissari acquirenti a presentarsi davanti al notaio per la stipula del rogito definitivo, aveva messo in vendita l'appartamento, ritenendosi, pertanto, svincolata dai propri obblighi contrattuali e comunque manifestando, con il proprio contegno, la volontà di considerare il contratto non produttivo di effetti giuridici».

[24] Cass. civ., n.12481 del 2022; Cass. civ., n.7186 del 2022; Cass. civ., Sez. Un., n.8950 del 2022; Cass. civ., Sez. Un., n.34469 del 2019.

[25] Tornando al dato fattuale, il ricorrente precisa infatti che nel momento in cui i promissari acquirenti eccepivano la nullità (in data 4 aprile 2013), il permesso di costruire era già stato rilasciato (in data 9 marzo 2011), l'immobile era stato già ultimato (in data 28 febbraio 2013), l'agibilità era stata domandata (in data 1 marzo 2013), mentre, nel momento in cui è stata proposta la domanda monitoria (in data 10 giugno 2013), era stata già ottenuta l'agibilità per silenzio-assenso (in data 30 aprile 2013).

[26] Per una più approfondita disamina sul punto si rinvia a quanto già esposto nei paragrafi che precedono.

[27] La Corte richiama poi una dottrina che definisce tali fattispecie come nullità c.d. sospese (schwebende Nichtigkeit) o pendenti.

[28] Cass. civ., n.30555 del 2019.

[29] La Corte in particolare precisa che la normativa di settore protegge il promissario acquirente - in considerazione delle difficoltà che si riscontrano nel reperire informazioni in ordine all'affidabilità della controparte, nonché ai possibili rischi e alle spese dell'affare - dall'insorgere dell'eventuale stato di crisi dell'imprenditore nei casi in cui questi, come frequentemente accade, nella prassi finanzi la costruzione dell'immobile con gli acconti anticipati dal primo. Nell'ambito di tale contrattazione, il promissario acquirente si trova a pagare una parte del corrispettivo, senza ottenere l'immediato acquisto della proprietà del bene, il quale è ancora in fase di costruzione.

Così trova fondamento l'obbligo di rilasciare la garanzia fideiussoria (bancaria o assicurativa), di importo pari alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, che deve ancora riscuotere dal promissario acquirente. Si ha conferma, pertanto, che lo scopo di tale garanzia è quello di consentire al promissario acquirente di recuperare quanto versato e i relativi interessi, in caso di crisi della controparte, senza dover attendere la conclusione dei procedimenti esecutivi e fallimentari.

[30] Cass. civ., n.19510 del 2020; Cass. civ., n.21966 del 2022; Cass. civ., n.22603 del 2021.

[31] A conclusioni analoghe giunge, seppure a titolo di mero obiter dictum, per un identico caso, la già citata Cass. civ., n.17812 del 2020; così anche Cass. civ., n.24535 del 2016, con riferimento all'irrogazione di sanzioni disciplinari a carico dei notai che violino il divieto di stipula di cui al D.lgs. n.122 del 2005, articolo 8.

[32] La Corte aggiunge che non è casuale che, nel corso dei lavori preparatori del decreto delegato, era stato suggerito, proprio con riguardo alla nullità conseguente alla mancata prestazione della fideiussione, l'inserimento di una disposizione che precludesse l'azione di nullità in conseguenza del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sull'immobile, o dell'atto definitivo di assegnazione.

Tale suggerimento poi non è stato trasposto nel parere approvato dal Senato e, di conseguenza, non è stato recepito nella versione definitiva del decreto legislativo, la quale risulta circoscritta all'ipotesi in cui gli immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire siano ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere stata ultimata.

[33] Cass. civ., Sez. Un., n.898 del 2018.

[34] Cass. civ., n.20106 del 2009; Cass. civ., Sez. Un., 23726 del 2007.

[35] Cass. civ., n.16743 del 2021; Cass. civ., n.26568 del 2020.

[36] L’articolo è stato redatto dalla dottoressa Aurora Di Maio.

[37] Cass., Sez. II, 27 ottobre 2022, n.31799.

[38] Recte decreto dell'Assessorato all'urbanistica del 22 dicembre 1983, n. 2266/U, pubblicato nel bollettino ufficiale della Regione Sardegna.

[39] Come era stato disposto con l’art. 18 della L. 765/1967.

[40] Sono, altresì, ricomprese nell’ambito applicativo della norma (art. 41-sexies) le ristrutturazioni di edifici preesistenti tali da renderli oggettivamente diversi rispetto la loro originaria configurazione. Cfr. Cons. St., sez. V, 22 giugno 1998, n.921, RGE, 1998, I, 1411.

[41] Sul punto si v. Ieva, Gli spazi destinati a parcheggio nella legge Tognoli e nella legge n. 765 del 1967: discipline e problematiche a confronto, in La disciplina degli spazi per parcheggio, Ieva (a cura di), Milano, 1992, 65; Casu, I parcheggi obbligatori (o parcheggi “ponte”), in Riv. Not., 2001, 710 ss.; Id., I parcheggi nella contrattazione privata, in Notariato, 1998, 459; Pallottino, La disciplina degli spazi per parcheggio nell’ambito della normativa urbanistica, in Disciplina degli spazi per parcheggi, a cura di Ieva, Milano, 1992, 53; Tondo, Atti dispositivi di aree di parcheggio relative ad edifici urbani, in Foro It., 1995, V, 144; Laurini – Malaguti - Santarcangelo, Gli spazi a parcheggio nella legge 6 agosto 1967 n. 765, in Studi e materiali, III, Milano, 1989-1991, 105; Luminoso, Spazi destinati a parcheggio, regime delle pertinenze e disciplina del condominio, in Riv. Not., 1990, 583; Id. Posti macchina e parcheggi, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da Galgano, II, Torino, 1995, 2312; Magliulo, La disciplina dei parcheggi a trent'anni dalla legge ponte, in Notariato, 1996, 570 ss.; Ruotolo, Il regime dei posti auto “ponte” dopo il testo unico dell’edilizia e la legge Lunari, in Studi e materiali. Quaderni semestrali, 2002, 478 ss.

[42] Cfr. L. Domenici, La circolazione degli spazi a parcheggio alla luce delle recenti modifiche legislative, in Notariato, 2013, 73 ss.

[43] Cass., 16 novembre 1978, n.5300, in Foro it., 1979, I, 1520; Cass., 24 aprile 1981, n.2452, in Riv. not., 1981, 1122 ss.; Cass., 15 ottobre 1982, n.5344, in Vita not., 1982, 1089 ss.; Cass., 09 maggio 1983, n.3179, in Foro it., 1983, I, 1581 ss.

[44] Si v. Cons. Stato, 06 luglio 1973, n.605, in Cons. Stato, 1973, I, 1066; Cass., 03 gennaio 1984, n.1, in Rep. Foro it., 1984, Edilizia e urbanistica, 816, n. 295; Cass., 07 agosto 1981, n.4890 e Cass., 18 dicembre 1981, n.6714, entrambe in Riv. not., 1981, II, 1123; Cass., 02 gennaio 1982, n.483, in Foro it., 1982, I, 1049; si v. anche Circolare del Ministero dei lavori pubblici n.3210 del 28 ottobre 1967, in RGE, 1967, II, 342, secondo la quale «dal momento dell'entrata in vigore non possono essere rilasciate nuove licenze edilizie per edifici sprovvisti di spazi per parcheggio nella misura stabilita».

[45] L. Domenici, La circolazione degli spazi a parcheggio alla luce delle recenti modifiche legislative, cit., 73 ss.

[46] Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1984, n.6600, in Riv. not., 1985, 171; Cass., Sez. Un., 17 dicembre 1984, n.6601; Cass., Sezioni unite, 17 dicembre 1984, n.6602; in Foro it., 1985, 710.

[47] Successivamente abrogato dall’art. 136 del D. Lgs. 6 giugno 2001, n. 378.

[48] Nel primo senso, Luminoso, Spazi destinati a parcheggio, regime delle pertinenze e disciplina del condominio, in Riv. Not., 1990, 583; Ieva – Vassalli, Spazi destinati a parcheggio: brevi riflessioni alla luce della legge Tognoli, in Riv. Not., 1989, 368; Morello, Il problema dei parcheggi al servizio dei nuovi condomini (un nuovo stile nella giurisprudenza della Cassazione), in Vita not., 1985, 525; De Sinno, Gli spazi di parcheggio nella nuova disciplina legislativa, in Arch. giur. circ e sin. strad., 1986, 369; Lepri, Sul regime degli spazi per parcheggio, in Giust. civ., 1986, II, 1484; Vacca, Le aree di parcheggio tra legislazione e giurisprudenza, in Temi rom., 1986, 30; sulla portata innovativa della norma si v. V. Mariconda, Nullità urbanistiche e disciplina generale del contratto nullo: la pretesa nullità relativa ai parcheggi, in Corr. Giur., 1986, 858. Rispettivamente in giurisprudenza: Cass., 09 giugno 1987, n. 5036 e 29 febbraio 1988 n. 212; Cass., 06 maggio 1966, n. 3370.

[49] Cass., Sez. Un., 18 luglio 1989, n.3363, in Foro it., 1989, I, 2739; in Riv. not., 1989, 708.

[50] Ibidem.

[51] Cass., Sez. Un., 18 luglio 1989, n.3363, cit., 2739.

[52] Così anche la successive pronunce della Cassazione: si v. ex multis Cass., 25 febbraio 1991, n.2004, in Quadrimestre, 1992, 509, con nota di Scoditti; Cass., 09 maggio 1991, n.5180, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 663, con nota di Fusaro; Cass., 10 luglio 1991, n.7631, in Giur. it., 1991, I, 1, 1306; Cass., 29 maggio 1992, n.6533; Cass., 28 ottobre 1992, n.11731, in Giust. civ., 1993, I, 2768; Cass., 20 aprile 1993, n.4622, in Giust. civ., I, 1994, 190; Cass., 21 aprile 1993, n.4691, in Corr. giur., 1993, 802, con nota di Bassani; Cass., 18 luglio 2003, n.11261, in Arch. giur. circ. e sinistri, 2004, 162 ss; Cass., 24 novembre 2003, n.17882, in Foro amm., 2004, I, 1137 ss.

[53] Cass., 21 febbraio 1996, n.1327, in Foro.it, 1996, I, 2210.

[54] Cass., 01 agosto 2001, n.10459, in Vita not., 2001, 1317 ss.

[55] Cass., Sez. Un., 15 giugno 2005, n.12793, in Corriere giur., 2005, 1393, con nota di V. Mariconda, Le sezioni unite limitano il regime vincolato dei parcheggi allo spazio minimo richiesto dalla legge; in Riv. Not., 2005, 1163 ss., con nota di G. Casu, I posti auto o parcheggi obbligatori: sistemazione definitiva?; in Vita not., 2005, 874 ss., con nota di R. Triola, Osservazioni in tema di spazi di parcheggio; in dottrina già si sosteneva il citato orientamento delle Sezioni unite: Luminoso, Posti-macchina e parcheggi, tra disciplina pubblicistica e codice civile, in Contratto e imp., 1990, 104.

[56] Cass., Sez. Un., 15 giugno 2005, cit., 3338.

[57] Comma aggiunto con l’ art. 12, comma 9 della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Legge di semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), rubricato “Disposizioni in materia di atti notarili”.

[58] Luminoso, Parcheggi obbligatori: cadono le limitazioni alla libera circolazione, in Riv. not., 2006, 686; si v. anche Casu, Parcheggi Ponte. Valutazione dei diritti di utilizzo dei posti auto, in Riv. not., 2010, 146.

[59] Trib. Civ. Messina, Sez. Stralcio, 03 gennaio 2006, in Vita not., 2005, 1437 ss.

[60] Ciò senza nemmeno prevedere alcun indennizzo, violando l’art. 43, terzo comma, della Costituzione. Cfr. CNN, Studio n. 19-2006/C, Il Regime di circolazione dei Parcheggi “ponte” dopo la legge di semplificazione del 2005 (L’art. 12, comma 9 della legge 28 novembre 2005, n. 246), est. M. Ruotolo - A. Ruotolo.

[61] Cass., Sez II, 24 febbraio 2006, n.4264, in Riv. Notariato, 2006, 834 ss.

[62] Ivi.

[63] Ivi.

[64] Ivi; Conforme Cass., 01 agosto 2008, n.21003, in Riv. not., 2010, 149 ss., con nota di G. Casu, Parcheggi Ponte. Valutazione dei diritti di utilizzo dei posti auto; Cass., Ordinanza, 05 giugno 2012, n.9090; App. Salerno, 01 marzo 2006; in dottrina v. Sirena, Il regime transitorio dei parcheggi dopo la legge di semplificazione n. 246/2005: opinioni a confronto, in Notariato, 2006, 334; per una revisione critica della pronuncia commentata si v. Torroni, Posti auto legge Ponti e posti auto legge Tognoli: doppio tentativo di liberalizzazione, in Riv. del Notariato, 5, 2014, 1052 ss.

[65] Luminoso, Ancora sulla commerciabilità dei parcheggi di cui alla c.d. legge ponte: si profila un nuovo orientamento restrittivo della giurisprudenza?, in Riv. not., 2009, 1128 ss.

[66] Cfr. Ivi, 1134; si v. anche Casu, Parcheggi ponte o parcheggi obbligatori. Novità legislativa, in Riv. not., 2006, 1047 ss.

[67] Cfr. Domenici, La circolazione degli spazi a parcheggio alla luce delle recenti modifiche legislative, in Not, 2013, 73.

[68] Ditta, Terzago, La disciplina dei parcheggi, Milano, 1998, 95.

[69] Modifica introdotta con l’ art. 2, 2° co., L. 122/1989.

[70] Art. 9, L. 122/1989, il quale, al quarto comma prevede altresì che «i comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzione o di società anche cooperative, possono prevedere, nell'ambito del programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse». All’uopo dovrà essere stipulata una convenzione nella quale siano indicate: «a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a novanta anni; b) il dimensionamento dell’opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione; c) i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e la esecuzione dei lavori; d) i tempi e le modalità per la verifica dello stato di attuazione nonché le sanzioni previste per gli eventuali inadempimenti». Per un’ampia disamina dei parcheggi Tognoli si v. CNN, La nuova disciplina dei Parcheggi Tognoli, Studio n. 210-2012/C, reperibile online all’indirizzo www.notariato.it.

[71] Cfr. Cons. Stato, Sez IV, 31 marzo 2010, n.1842, in Red. amm. CdS, 2010, 3; Cons. Stato, Sez IV, 18 ottobre 2010, n.7549, in Immobili e proprietà, 2011, 223 ss., con nota di D. Chinello, I parcheggi interrati della «legge Tognoli» possono realizzarsi su aree pertinenziali esterne di terzi.

[72] In un primo momento per la realizzazione dei parcheggi Tognoli era prevista un’autorizzazione gratuita, successivamente poi si è resa necessaria la presentazione della denuncia di inizio attività di cui all’art. 137 del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 378.

[73] Cfr. Cass. pen., Sez III, 5 dicembre 2011, n.45068, in Riv. not., 2012, 675 ss; Cass. pen., Sez. III, 03 marzo 2009, n.14940; Cass. pen., Sez. III, 15 gennaio 2008, n.8693; Cass. pen., Sez. III, 09 novembre 2001, n.44010, in Cass. pen., 2002, 3865; contra T.A.R. Abruzzo 12 aprile 2006, n.247, in Foro amm. TAR, 2006, 1401; Cons. Stato, sez. V, 26 maggio 2003, n.2852, in Foro amm. CdS, 2003, 1638.

[74] Cfr. Cass., 03 febbraio 2012, n.1664, in Foro it., 2012, 7.

[75] Decreto legge 05 ottobre 1993 n. 399.

[76] Tra i due interventi normativi si è emanato altresì il decreto legge 30 novembre 1994 n. 660.

[77] Così infatti recitava l’art. 15 del decreto legge 31 gennaio 1995, n. 28, il quale modificava l’intero articolo 9 della legge n. 122/1989 e al comma 4 della nuova versione disponeva: «Gli atti di trasferimento dei parcheggi possono essere disposti esclusivamente a favore di soggetti residenti o dimoranti nel territorio del Comune. Gli atti di cessione a soggetti diversi sono nulli».

[78] Si precisa che l’ultimo inciso della disposizione «ad eccezione di espressa previsione contenuta nella convenzione stipulata con il comune, ovvero quando quest’ultimo abbia autorizzato l’atto di cessione» è stato inserito dalla legge di conversione 4 aprile 2012, n. 35.

[79] Detta prassi è stata definita «praeter legem». Ruotolo, Il regime dei posti auto realizzati successivamente alla edificazione del fabbricato dopo il testo unico dell’edilizia e la legge Lunardi, in Studi e materiali, 2002, 478 ss.

[80] CNN, La nuova disciplina dei Parcheggi Tognoli, Studio n. 210-2012/C, cit., 12.

[81] In taluni casi è opportuno che il notaio rogante renda edotte le parti di tale limite legale.

[82] È anche possibile che il titolare del posto auto possa spostare il vincolo pertinenziale ad altra unità immobiliare di sua proprietà sita nello stesso Comune. In tal caso tale volontà deve risultare in un atto unilaterale d’obbligo nei confronti del Comune che verrà opportunamente trascritto nei Registri Immobiliari. Per un approfondimento sul punto si v. Torroni, Posti auto legge Ponti e posti auto legge Tognoli: doppio tentativo di liberalizzazione, cit., 1062.

[83] Cass., 27 ottobre 2022, n.31799, cit.

[84] Art. 9, Circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 3210 del 28 ottobre 1967, in RGE, cit.

[85] Cass., 27 ottobre 2022, n.31799, cit.

[86] Cass., 27 ottobre 2022, n.31799, cit.

[87] Ibidem che richiama Cass., Sez. II, 18 gennaio 2022 n.1445; Cass., Sez. II, 06 maggio 1988, n.3370; Cons. Stato Sez. 5, 07 agosto 2014, n.4215; Cons. Stato Sez. 4, 28 gennaio 2012, n.6033; Tar. Veneto Sez. II, 15 gennaio 2020, n.40; Tar Sicilia Sez. II, 11 aprile 2017, n.1001; Tar Emilia-Romagna Sez. I, 23 giugno 2014, n.674; Tar Molise Sez. I, 11 giugno 2014, n.377; Tar Liguria Sez. I, 28 maggio 2014, n.807; Cons. giust. amm. Sicilia, 22 ottobre 2009, n.978; Tar Sicilia, Sez. I, 28 maggio 2008, n.979; Tar Basilicata Sez. I, 16 maggio 2008, n.210.