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Pubbl. Mer, 13 Set 2023

L´autonomia scolastica tra storia e sistema

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Giancarlo Ruggiero
Dottorando di ricercaNessuna



Il presente contributo intende descrivere l´autonomia scolastica sia dal punto di vista storico sia sostanziale. Dopo un´inquadramento generale dell´istituto, si procederà all´analisi dei principali documenti legislativi di riferimento fino alla legge 107 del 2015.


ENG

The school autonomy between history and the systems

This contribution intends to describe school autonomy both from a historical and a substantial point of view. After a general overview of the institute, we will proceed with the analysis of the main legislative documents up the law 107 of 2015.

Sommario: 1. Introduzione; 2. La genesi dell'autonomia scolastica; 3. La legge 59 del 1997 (cenni); 4.Elementi specifici dell'autonomia scolastica; 5. Ulteriori sviluppi normativi: il D.P.R. 275 del 1999; 6. La legge 107 del 2015; 7. Alcune osservazioni critiche

1. Introduzione

Parlare della scuola non è mai un’operazione semplice. Se è vero che essa costituisce uno degli elementi più importanti e rilevanti in qualsiasi sistema ordinamentale, è altresì vero come si presenti oggetto di una legislazione piuttosto particolareggiata, se non fumosa tanto da rendere lo studio della legislazione scolastica un terreno piuttosto complesso e non di facile lettura.

Tra le principali caratteristiche che la scuola possiede vi è sicuramente quella dell’autonomia oggetto del presente lavoro. Tale autonomia, a motivo della sua prospettiva sui generis e delle sue implicazioni, richiede un’attenzione del tutto singolare vòlta ad indicare e a specificare non solo la sua essenza ma anche le sue implicazioni di riferimento.

Per tali ragioni si ritiene opportuno approcciare il discorso secondo una prospettiva storico – giuridica cercando di cogliere sia le origini di tale forma di autonomia sia le sue manifestazioni concrete. Utile, in questo senso, è lo studio analitico di alcune disposizioni normative di riferimento che, seppur in forma non del tutto omogena, offrono all’interprete la principale risposta rispetto alla qualificazione dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche.

2. La genesi dell’autonomia scolastica

Non è facile definire quale sia il “punto di partenza” dell’autonomia scolastica ma risulta del tutto convincente la tesi di coloro che sostengono come quest’ultimo possa essere individuato nella legge 241 del 1990 con la quale si procedette ad una sistematica riorganizzazione dell’intera attività amministrativa in Italia nonché alla definizione dei principi di riferimento.

Non è questa la sede per un esame approfondito della disposizione ma è opportuno richiamare alcuni dei principi strutturali, i quali si presentano, ai fini del suddetto lavoro, particolarmente rilevanti. Anzitutto il principio di economicità per cui ogni pubblica amministrazione deve raggiungere i propri obiettivi attraverso il minor uso di risorse possibili a cui fa da contrappeso quello di efficienza che può essere racchiuso nel più generico principio del buon andamento così come descritto dall’art. 97 della Costituzione.

A tali principi se ne associano altri tre e più specificamente quello di imparzialità secondo cui la P.A è chiamata ad assicurare un pari trattamento nei confronti di tutti i richiedenti a cui segue quello di pubblicità dall’evidente comprensione ed infine quello di trasparenza che consacra la sussistenza di un vero e proprio diritto d’accesso[1] da parte dei singoli cittadini per gli atti che li riguardano.

Esposti, seppur per sommi capi, gli elementi che costituiscono l’organizzazione dell’attività amministrativa è utile sottolineare come quest’ultimi ebbero una ricaduta piuttosto estesa non soltanto nel già ampio sistema pubblico ma anche in diversi settori di riferimento, tra cui quello della scuola.

Infatti, già all’indomani della promulgazione della già menzionata novella del 1990 si innescò un vasto dibattito alimentato da numerosi giuristi e studiosi della materia circa una possibile riorganizzazione dell’intero sistema scolastico italiano la cui ultima significativa riforma era avvenuta attraverso i c.d. Decreti Delegati[2] del 1974 che avevano predisposto istituti di democrazia partecipata come, per esempio, il Collegio dei Docenti e il Consiglio di Istituto. In effetti, a distanza di più di trent’anni, si può tranquillamente affermare che la legge 241 del 1990 funse da “molla” verso il riconoscimento di un’autonomia in capo alle scuole che ancora risultava piuttosto fumogena o comunque non priva di difficoltà e di incertezze mentre in Europa il cammino dell’autonomia era stato già raggiunto da tempo.

Come suggerito, fu soprattutto l’impegno di alcuni importanti pensatori del panorama accademico italiano a suscitare l’attenzione sul tema qui trattato. Tra tutti non possiamo non ricordare la figura di S. Cassese il quale durante la Conferenza nazionale della Scuola del 1990,oltre a denunciare lo stato di salute di cui era affetta la scuola italiana, proponeva alcuni criteri di riforma sintetizzabili  in quattro punti: a) riconoscere che l’istruzione, essendo servizio pubblico, può essere regolata da istituti autonomi: b) gli istituti scolastici oltre ad una autonomia di carattere didattico sono legittimati a possederne una di carattere contabile e di gestione; c) operare un sostanziale decentramento dei compiti gestionali o organizzativi; d) sopprimere gli uffici provinciali attribuendo le loro funzioni alle singole scuole[3].

Commentando brevemente le proposte di Cassese emerge, a chiare note, la volontà di operare una vera e propria “rivoluzione” smarcandosi da una logica prettamente statuaria e favorendo, al contrario, un’impostazione diversa, tutta a favore delle singole scuole e degli istituti. Oltre a ciò, secondo Cassese, la forte centralizzazione da parte dello Stato, determina una lettura del processo educativo in termini equivoci quasi che sia proprio quest’ultimo ad erogare l’educazione e dunque facendo sì che esista un solo modello educativo sconfessando, tra l’altro, quanto previsto dall’art. 33 della Carta costituzionale. Solo il riconoscimento dell’autonomia scolastica permette di far sì che il processo educativo sia declinato in senso pluralista non solo a livello di proposta formativa ma anche organizzativa e metodologica[4].

I rilievi così indicati possono sembrare, a prima vista, quasi ovvi ma se si guarda in profondità all’assetto italiano antecedente al 1997 si nota come ancora era vivo e ampiamente riconosciuto un modello educativo da un lato e giuridico dall’altro in cui tutta la questione educativa rimaneva di esclusiva competenza dello Stato[5] retaggio di un modello ottocentesco e perciò poco attuabile nella società contemporanea. Interessanti, in questo senso, le considerazioni di L. Benadusi e di F. Consoli secondo i quali il modello dell’autonomia scolastica nasce da almeno tre considerazioni di principio: la necessità di superare una visione “magistrocentrica” a favore di un modello didattico tutto rivolto a favore dell’alunno;  il passaggio da un modello organizzativo di goverment ad una logica di governance ed infine garantire un sistema, come quello scolastico, capace di interagire con la realtà esterna svincolandosi da una dimensione prettamente autoreferenziale[6] .

Come accennato, a partire dalla relazione di Sabino Cassese, la quaestio sull’autonomia cominciò ad essere oggetto di interessanti studi senza che a ciò che si accompagnasse una seria riflessione a livello normativo. Ciò accade fino al 1993 quando all’interno della legge finanziaria n- 537 emerse per la prima volta un riferimento piuttosto esplicito sul tema dell’autonomia. Secondo il comma 4 dell’art. 4 le «scuole e gli istituti di ogni ordine e grado […] hanno personalità giuridica e sono dotati di autonomia organizzativa, finanziaria, didattica, di ricerca e sviluppo nei limiti, con la gradualità e con le procedure previste dal presente articolo». Tuttavia, la suddetta disposizione non ebbe un’effettiva ricaduta pratica a motivo del fatto che la legge delega non fu adottata, nei tempi previsti, dal Governo: ciò nonostante, i principi poc’anzi richiamati non rimasero carta morta ma al contrario costituirono la base intorno alla quale si sarebbe strutturata la legge 59 del 1997 verso cui poniamo ora la nostra attenzione.

3. La legge 59 del 1997 (cenni)

Le considerazioni svolte fino a questo momento hanno permesso di sottolineare, seppur in breve, il processo di sviluppo e di realizzazione, almeno a livello normativo, circa l’autonomia scolastica. A seguito della novella del 1993, si innescò una più seria riflessione intorno alla suddetta questione favorita altresì da un clima meno ostile e più sensibile attorno al mondo della scuola. Punto di arrivo di questo processo è sicuramente rappresentato dalla legge 59 del 1997, meglio nota come Legge Bassanini a motivo del suo principale estensore, la quale, invero, non disciplina esclusivamente il sistema scolastico ma estende il suo raggio d’azione a tutta la P.A in termini di maggiore sistematicità ed economicità rispetto agli obiettivi di sistema.

Scendendo nel dettaglio della predetta legge, è necessario soffermarsi sull’art. 21 poiché tale disposizione rappresenta il primo vero riconoscimento dell’autonomia scolastica riconosciuta da parte dello Stato. Esaminando l’intero testo, rimandando di seguito ad un’analisi più specifica delle singole tipologie, si stabilisce come “L’autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realizzazione e dell’autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema normativo”[7]. Già da queste poche righe è possibile evincere le difficoltà sorte intorno alla disposizione in esame dal momento che si deduce come l’autonomia de qua non significa indipedenza né tantomeno completa separazione rispetto all’ordinamento statale ma, al contrario, come meglio si vedrà, si tratta di una autonomia funzionale rivolta all’espletamento di alcune funzioni senza che questo comporti la scomparsa di un sistema di controllo più generale rivolto da parte dello Stato nei confronti delle singoli istituti.

Soffermandosi ancora sull’intero testo emerge altresì il riconoscimento del principio di sussidiarietà ben espresso dal riconoscimento che le funzioni dell’Amministrazione centrale vengono attribuite alle singole istituzioni scolastiche fermo restando da un lato i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio e dall’altro gli elementi comuni rispetto all’intero sistema di istruzione rimasto di competenza statuale.

Tale nota, per quanto all’apparenza sommaria, rivela, in verità, un significativo spostamento di baricentro: se prima del 1997 l’intero assetto scolastico, in tutte le sue declinazioni tanto strutturali quanto pratiche era concentrato nelle mani dello Stato con la suddetta legge cominciava ad aprirsi uno “spiraglio” in cui la scuola cominciava ad avere una vita propria con un proprio assetto ordinamentale ed organizzativo.

4. Elementi specifici dell’autonomia scolastica

L’art. 21 della legge 59 del 1997 offre, al di là del tenore letterario utilizzato, alcuni spunti di particolare interesse entro cui declinare, in modo più puntuale, le diverse declinazioni dell’autonomia scolastica.

Anzitutto, come già in parte analizzato, la disposizione normativa non concede un potere illimitato in capo alle scuole, ma subordina il riconoscimento dell’autonomia al mantenimento dei «livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto di studio nonché gli elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione definiti dallo Stato»; tale previsione normativa suscitò, in verità, qualche perplessità dal momento che venne letta come una misura limitativa rispetto al pieno riconoscimento dell’autonoma  ma, al contrario, essa intende garantire una visione unitaria del mare magnum dell’istruzione pubblica cosicché, per quanto ciascuna scuola può darsi un proprio regime normativo, esistono dei livelli minimi che definiscono unitarietà e sistematicità[8].

Ciò detto, proviamo ad analizzare più da vicino il tenore del già più e più volte menzionato art. 21.

In primis la legge dispone l’attribuzione della personalità giuridica a tutte le scuole estendendo quanto già previsto per gli istituti tecnici e per quelli d’arte. La norma, piuttosto interessante, stabilisce il passaggio «ad un modello orizzontale, formato da un insieme di comunità scolastiche, nelle quali si fa istruzione, ricerca, formazione, attraverso modelli flessibili, in vista del raggiungimento di obiettivi generali, secondo standard di qualità, fissati da un centro dotato di funzioni strategiche e finalmente liberato da compiti di gestione»[9].

Ovviamente il riconoscimento della personalità giuridica fa sì che le singole istituzioni scolastiche possano e debbano essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri enti pubblici e come tali soggetti tanto di diritti quanto di doveri anche in ambito giurisdizionale e processuale.

A ciò va altresì associato che un simile riconoscimento ha delle conseguenze piuttosto interessanti su diversi campi anzitutto per quanto attiene al riconoscimento di una vera e propria capacità di diritto privato che permette alle singole scuole di tenere rapporti con i singoli enti locali ovvero di concludere accordi o reti con associazioni o pubbliche o private al fine di promuovere specifiche azioni in materia educativa o didattica ovvero di ampliare la propria offerta formativa e curriculare sostenendo, in tal senso, alcuni interessi pubblici particolareggiati propri della singola realtà educativa: in terzo luogo, dal riconoscimento della personalità giuridica deriva l’attribuzione della qualifica dirigenziale ai capi di istituto delle scuole autonome: è questo, come nota la dottrina[10], un passaggio fondamentale poiché permette di individuare sia la persona fisica considerata legale rappresentate dell’ente sia perché permette di prendere decisioni autonome e, nello stesso tempo, rispondere rispetto alle suddette decisioni anche in sede processuale[11].

Al riconoscimento della personalità giuridica, si affianca, come prima “manifestazione” dell’autonomia scolastica, l’attribuzione di una dotazione finanziaria così come descritto dal comma 5 della suddetta legge 59 del 1997. Il punto merita qualche chiarimento: in particolar modo parlare di dotazione finanziaria significa fare riferimento all’assegnazione da parte dello Stato di fondi specifici per il funzionamento didattico ed organizzativo verso ciascuna scuola senza altro vincolo di destinazione se non quello poc’anzi espresso. In altre parole, anche dal punto di vista finanziario, la scuola può gestire autonomamente quanto lo Stato dispone nei suoi confronti a condizione, però, che tali fondi vengano utilizzati per finalità educative o didattiche compreso l’ampliamento dell’offerta formativa.

Tale assegnazione che comprende sia le spese in conto corrente che quelle in conto capitale, viene distinta tra assegnazione ordinaria e assegnazione perequativa. La prima ha carattere uniforme e risponde a dei parametri fissi i cui criteri sono stabiliti attualmente dal D.M. 834 del 2015 come, per esempio, il numero di alunni per classe o il numero dei plessi: l’assegnazione perequativa invece ha natura integrativa venendo irrogata a seconda della tipologia di scuola di riferimento soprattutto nel caso di difficoltà socio- territoriali in cui quest’ultima versa[12].

Continuando la nostra analisi dell’art. 21 della legge 59 del 1997 notiamo come il legislatore abbia puntualizzato, in forma non sempre del tutto chiara, alcune forme di autonomia scolastica le quali, dopo qualche incertezza, costituiscono oggi degli elementi essenziali presenti in ogni singola scuola italiana.

La prima tipologia di autonomia da richiamare è quella organizzativa la quale, secondo il tenore della disposizione normativa, è «finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, all’integrazione e al miglior uso delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale»[13].

Come si può intuire, per il legislatore l’autonomia organizzativa svincola la scuola rispetto ad una logica strettamente procedurale a favore di una di carattere processuale in cui la parola d’ordine sembra, a tutti gli effetti, essere proprio la flessibilità[14]. Quest’ultima, tuttavia, non deve essere intesa come assenza di un centro direzionale da cui promanano delle decisioni ma tende a modulare l’intera azione didattica su criteri più agevoli, declinati a favore dell’alunno ovvero per il suo benessere socioculturale e psicologico.

Tali lineamenti risultano essere piuttosto visibili continuando nella lettura del disposto normativo dal momento che il rimando ai principi dell’efficienza e dell’efficacia e dell’uso delle risorse non va inteso pro docente ma pro discente di modo tale che l’alunno possa trovare, all’interno delle singole scuole, un ambiente dinamico, attento alle sollecitazioni esterne, ben coordinato con il territorio e capace così di sviluppare al meglio la sua personalità non solo in termini educativi ma soprattutto umani.

All’autonomia organizzativa si affianca quella didattica vòlta a garantire il «perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto di apprendere»[15]. Da notare, anche in questo caso, la fraseologia utilizzata. Se da un lato l’autonomia didattica viene declinata con riguardo agli obiettivi generali del sistema nazionale quasi a voler rafforzare una dinamica a forte trazione statuale[16], dall’altro emerge il riconoscimento e il rispetto della libertà di insegnamento ma anche l’individuazione di un vero e proprio ius nei confronti delle famiglie chiamate così a responsabilizzarsi circa la scelta educativa dei loro figli.

Tale tipologia di autonomia appare, in verità, disposta su due raggi d’azione. Il primo, come visto, dispone un sostanziale favor familiae mentre il secondo concerne, più da vicino, i singoli docenti. È infatti riconosciuta – modulando quanto disposto dal d. lgs. 297 del 1994, la libertà di insegnamento la quale prevede una  «[…] scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento da adottare nel rispetto della possibile pluralità di opinioni metodologiche e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale […]»: in altre parole, tale autonomia «[…] diventa il luogo di affermazione delle fondamentali libertà che hanno diritto di cittadinanza e di tutela all’interno della scuola»[17]modulandosi, in forma del tutto congrua, rispetto alla libertà di insegnamento.

Nondimeno, si tratta di una libertà condizionata e soggetta da limiti nei confronti di ambo le parti. Tutto questo risulta ben evidente dal fatto che, se da un lato viene confermata la libertà di scelta educativa delle famiglie, dall’altro queste non possono vantare uno ius absolutum nei confronti del sistema scolastico nazionale il quale presenta obiettivi e finalità che possono essere contrari rispetto ai possibili desiderata delle famiglie. Ma il limite sussiste anche verso i singoli insegnanti poiché il riconoscimento di una maggiore libertà nell’utilizzare strumenti o metodologie adeguate appare legato alla già richiamata libertà di insegnamento, ciò non toglie come l’intera attività didattica debba rispondere a criteri e principi stabiliti non già di volta in volta dal singolo docente ma predisposti a monte ovvero seguendo un’ottica generale ed uguale per tutti[18].

Infine, come ultima forma di autonomia prevista dalla legge Bassanini occorre ricordare quanto previsto dal comma 10 secondo cui le singole scuole hanno anche autonomia di ricerca e di sperimentazione e di sviluppo nei limiti, tuttavia, del «proficuo esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa». Sul punto si tornerà più avanti ma anche in questo caso è interessante sottolineare come, ancora una volta, l’intero discorso sull’autonomia viene de facto limitato ad alcuni elementi generali declinati, con riguardo al caso specifico, in termini educativi di profitto ed impegno al pieno successo formativo dello studente.

Cercando di dettare qualche linea conclusiva a proposito della riforma Bassanini è sufficiente sottolineare come essa, nonostante qualche perplessità, segna un passaggio fondamentale non solo per l’autonomia scolastica ma più in generale per il riordino dell’intero sistema amministrativo italiano. Con riguardo alle istituzioni scolastiche è certamente vero come l’intera disposizione dell’art. 21 presenti alcune lacune significative limitandosi ad alcune disposizioni di principio ma, al di là, del semplice dato linguistico, è evidente lo spostamento di baricentro verso una scuola meno “centralizzata” e più autonoma capace di autoregolarsi e nello stesso tempo di garantire una valida e capillare azione educativa nei confronti dei suoi iscritti.

5. Gli ulteriori sviluppi normativi il D.P.R 275 del 1999

La legge 59 del 1997 rappresenta, come suggerito poc’anzi, una vera e propria svolta per quanto riguarda l’intero sistema scolastico italiano: in altre parole, è attraverso questa legge che il concetto di autonomia fa la sua comparsa all’interno della legislazione scolastica imprimendo un diverso carattere a cosa sia la scuola e soprattutto a cosa fa la scuola.

Già all’indomani della sua promulgazione, non mancarono voci critiche circa una maggiore definizione dell’autonomia scolastica non solo per quanto riguarda la definizione ma anche per i contorni pratici presenti in forma piuttosto labile all’interno della legge 59 del 1997.

In questo senso non stupisce come tra il 1997 e il 1999 furono emanati diversi provvedimenti atti a specificare, in modo più dettagliato, il corretto significato dell’autonomia provvedendo all’uopo anche ad offrire alcune indicazioni concrete sul suo funzionamento. In primo luogo, la nostra attenzione si pone attorno al D.M. 765 del 1997 che permetteva alle singole scuole di adottare, già durante l’anno scolastico 1997-1998, alcune soluzioni indicate nel suddetto decreto.

Ne richiamiamo alcune che, seppur in forma schematica, appaiono abbastanza interessanti: a) adattamento del calendario scolastico; b) flessibilità dell’orario e diversa articolazione della durata della lezione nel rispetto del monde ore annuale complessivo previsto per ciascun curriculum; c) articolazione flessibile del gruppo classe: d) organizzazione di iniziative di recupero: e) attivazione di insegnamenti facoltativi: f) realizzazioni di attività organizzate in concerto con altre scuole: g) iniziative di orientamento.

Si tratta, come si può notare, di indicazioni piuttosto preziose che appaiono come conseguenza del riconoscimento del più ampio e generale principio dell’autonomia scolastica. In altre parole, difronte all’indeterminatezza presente nella legge Bassanini, si è voluto con il presente decreto offrire delle prime indicazioni logistiche favorendo così, un’attività piuttosto sperimentale in capo alle singole scuole e ai singoli insegnanti. Interessante come il concetto chiave sia, ancora una volta, quello della flessibilità che risulta orizzontata verso diverse direzioni procedendo sia verso una organizzazione scolastica differente come, per esempio, l’adattamento del calendario scolastico ma anche verso l’opera dei singoli insegnanti nei confronti della classe a loro affidata.

Da ricordare anche la Direttiva 238 del 1998 concernente l’istituzione di un fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi. La disposizione, piuttosto tecnica nei suoi contenuti, prevede una puntigliosa descrizione dei tempi e delle modalità degli interventi di cui può aver bisogno ciascuna scuola. Da notare, pur se ad un rapido esame, come alcuni di essi vengono definiti prioritari[19] ed in particolar modo prevedendo un ampio quanto puntiglioso elenco delle condizioni e delle modalità con cui i singoli interventi trovano esecuzione[20] lasciando, quasi, un margine d’azione piuttosto residuale.

I due provvedimenti poc’anzi analizzati trovano la loro sintesi nel noto D.P.R 275 del 1999 che offre una descrizione, piuttosto puntale, dell’autonomia scolastica e delle sue implicazioni.

A motivo della sua importanza, ai fini del suddetto lavoro, è utile soffermarsi sul dettaglio dei suoi contenuti i quali vengono divisi in tre capi: I) natura e scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche: II) singole tipologie di autonomia: III) Curriculo dell’autonomia[21].   

Già dalla prima disposizione contenuta emerge il favor con cui il legislatore guarda all’istruzione pubblica sottolineando come  «le istituzioni scolastiche sono espressioni di autonomia funzionale e provvedono alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa,  nel rispetto delle funzioni delegate alle Regioni e dei compiti e di funzioni  trasferite agli enti locali»: ancora una volta quasi a sottolinearne l’enfasi – ritorna una delle parole chiave dell’intero discorso fin qui svolto ovvero quella del flessibilità la quale appare, in questo caso, declinata verso un quadro più concreto e determinato rappresentato dalla dimensione educativa.

Più incisivo il secondo comma in cui si afferma come l’autonomia delle istituzioni scolastiche

«è garanzia di libertà di insegnamento e del pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e delle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento».

La disposizione, chiara nella formulazione, merita qualche attenzione in più. Anzitutto essa consacra una particolare tipologia di autonomia di carattere marcatamente funzionale[22] dal momento che essa è declinata, come si può notare, verso interventi mirati che spaziano dall’ambito dell’educazione a quello dell’istruzione avendo come referente ultimo la persona umana.

Il riferimento alla persona umana e alla sua formazione diventa, in verità, uno degli assi principali entro cui far rientrare, ai fini di sua maggiore specificazione, l’autonomia scolastica. Ciò si evince nel prosieguo dell’analisi del predetto Regolamento e già con riguardo all’art. 3 comma 1 in cui il legislatore tipizza, per la prima volta, uno degli strumenti più importanti dell’autonomia scolastica, ovvero il Piano dell’Offerta Formativa che ogni scuola è chiamata a redigere con la partecipazione di tutti i suoi componenti.

Non è questa la sede per un esame approfondito del predetto istituto[23]  ma è comunque importante sottolineare la rilevanza del suddetto Piano. Esso, infatti, rappresenta una sorta di carta d’identità della scuola[24] in cui si manifesta l’“essenza” di ogni scuola, la sua originalità e l’offerta formativa di cui essa dispone.

Da notare come già nella novella del 1999 si pone l’accento sulle quattro dimensioni costitutive che devono animare il POF ovvero quella curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa pur lasciando, in termini per lo più troppo generali, autonomia ai singoli istituti in merito alla sua redazione. Risulta invece, opportuno il rimando sia alla pluralità delle opzioni metodologiche relative all’insegnamento sia al fatto che il POF deve riflettere le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico. In una parola, essendo la scuola inserita in un dato territorio è del tutto necessario che essa rifletta la situazione di riferimento anche al fine di trovare soluzioni adeguate ad un possibile miglioramento di quest’ultima. Altra opportuna precisazione è quanto previsto dal comma 3 secondo cui il POF viene predisposto dal Collegio dei Docenti ed approvato dal Consiglio d’Istituto.

Tale indicazione è del tutto condivisibile poiché da un lato si valorizza il ruolo e la funzione degli insegnanti che, in forma collegiale, predispongono uno strumento come quello dell’Piano dell’Offerta Formativa – capace di indicare tanto cosa fa quella scuola tanto cosa fanno i suoi insegnanti, mentre dall’altro si valorizza il raccordo con il territorio e con le famiglie degli studenti lasciando al Consiglio d’Istituto la sua approvazione[25]. Infine, il comma 5 che funge da norma di chiusura della predetta sezione, ricorda come il POF «è reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all’atto dell’iscrizione».

Analizzato, seppur per sommi capi, che cosa si intende per Piano dell’Offerta Formativa, il nostro raggio d’azione si sofferma sulle indicazioni, piuttosto particolareggiate, delle diverse modalità in cui si realizza l’autonomia funzionale di cui all’art. 1.

In primo luogo [26], si tipizza l’autonomia didattica invertendo l’ordine di cui alla legge 59 del 1997[27] , tutta rivolta a favore del raggiungimento del successo formativo e del diritto ad apprendere nonché alla crescita educativa di tutti gli alunni. Da osservare la ripetizione dell’aggettivo “tutto” quasi a voler segnare una presa di distanza rispetto alla normativa vigente piuttosto rigida e sequenziale lasciando così un ampio margine di discrezionalità ai singoli docenti pur avendo, come obiettivo ultimo, il raggiungimento da parte di tutti gli studenti degli obiettivi previsti[28].  

Tuttavia, pur lasciando ampi margini d’azione, lo stesso Regolamento fornisce alcuni elementi utili per il fine poc’anzi espresso come per esempio: a) l’articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; b) la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria della lezione: c) l’attivazione di percorsi didattici individualizzati nel rispetto del principio generale dell’integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo anche in relazione agli alunni in situazione di handicap; d)l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; e) l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari[29] .

A tali suggerimenti si aggiungono nei successivi commi alcune indicazioni interessanti e più precisamente nel comma 3 si prevedono percorsi formativi dal carattere transdisciplinare[30]  ma anche iniziative di recupero, sostegno, di orientamento scolastico e professionale svolte di concerto con le azioni degli enti locali[31] ed infine, nel comma 6, si lascia piena autonomia alle scuole per ciò che concerne «modalità e criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionali» nonché «i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi relative all’attività realizzate nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa o liberamente effettuate dagli alunni e debitamente accertate o certificate»[32].

Segue l’autonomia organizzativa a cui è dedicato l’art.5. Anche in questo caso il tenore della normativa risulta essere piuttosto generale limitandosi ad alcuni elementi di principio. Entrando più nello specifico, l’autonomia organizzativa viene descritta in termini di libertà progettuale[33]  offrendo il fianco ad una lettura che favorisca il corpo docente nelle sue diverse iniziative a condizione, tuttavia, che tale libertà sia coerente con gli obiettivi generali e specifici previsti a livello nazionale per ogni singola scuola. Più da vicino, questa seconda species di autonomia risulta essere più legata ad azioni di carattere marcatamente pratico a cui vanno incontro i singoli istituti scolastici riecheggiando, in questo senso, quanto già previsto ed analizzato dalla legge 59 del 1997.

Come già visto a proposito dell’autonomia didattica, anche per quella organizzativa si offrono alcuni exempla, tra cui l’adattamento del calendario scolastico, la flessibilità anche dell’orario delle lezioni fissato in base annuale e inoltre anche in materia di modalità dell’impiego dei docenti a condizione che si rispettino le condizioni generali fissate nei contratti nazionali di lavoro. Tali indicazioni, va ribadito, «[…] sono da considerare mere esemplificazioni e non esauriscono le possibilità offerte alle scuole, ovviamente nel rispetto delle finalità istituzionali e dell’assicurazione del servizio in non meno di cinque giorni settimanali e per il monte ore annuo stabilito per le singole discipline»[34].

Procedendo oltre, l’art. 6 offre indicazioni di ampio raggio per ciò che attiene all’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo. È questo, come accennato, uno degli ambiti più interessanti e nello stesso tempo più contrastanti poiché lascia il fianco ad una lettura piuttosto generica senza un adeguato risvolto concreto. Ancora una volta il Regolamento legge tali forme di autonomia secondo l’opportuno rimando al contesto culturale, sociale ed economico locale quasi a voler suggerire una sorta di foedus tra le scuole e la realtà territoriale in cui esse si inseriscono[35].

Tra le esemplificazioni presenti ricordiamo: a) la progettazione formativa e la ricerca valutativa; b) la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale docente: c) l’innovazione metodologica e disciplinare: d) la ricerca didattica  sulle diverse valenze delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e sulla loro integrazione nei processi formativi: e) la documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola: f)gli scambi di informazioni, scambi e materiali didattici: g) l’integrazione tra le diverse articolazioni del sistema scolastico e, d’intesa con i soggetti istituzionali competenti, fra i diversi sistemi formativi, ivi compresa la formazione professionale.

L’ampio elenco, di per sé non esaustivo, si rivela ad un occhio più attento davvero notevole: al di là del tenore normativo si offre per la prima volta un necessario aggiornamento della stessa attività didattica letta, secondo un’efficace sintesi, non più in termini di “insegnamento muro” ma di “insegnamento ponte”[36] capace, in altre parole, di formare la persona e non semplicemente trasmettere un contenuto: ciò comporta, una vera e propria “svolta copernicana” in cui muta non solo l’insegnamento ma anche la stessa figura dell’insegnante chiamato ad essere un professionista del sapere e non un semplice esecutore dello stesso[37].

Definiti gli elementi costitutivi dell’autonomia didattica, il Regolamento prosegue dando ampio spazio, all’art. 7, alle c.d. reti di scuole ovvero delle forme organizzative in cui ciascun istituto scolastico, senza perdere la propria specificità, “crea” dei canali comunicativi ed organizzativi con altre scuole presenti nel territorio al fine di garantire azioni adeguate al miglioramento dell’offerta formativa[38].

Limitandosi al solo disposto normativo notiamo come tale accordo può avere, per oggetto, attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo ma anche iniziative di formazione per gli insegnanti come, ad esempio, attività laboratoriali da svolgere congiuntamente fino ad un possibile scambio di docenti secondo tempi e modi da stabilire nel dettaglio[39]

Va comunque precisato come la costituzione delle reti ha trovato delle resistenze piuttosto nette complice anche una sostanziale variabilità nella loro adozione: molto spesso, infatti, i singoli accordi sono stati temporanei e non permanenti limitandosi ad attività specifiche senza che a ciò sia seguito un effettivo decorso durato nel tempo[40].

Il capo III del D.P.R. 275 del 1999 tratta di un altro concetto che risuona piuttosto spesso all’interno delle scuole italiane ovvero quello del curriculo. Non possiamo soffermarci nel dettaglio sulla sua definizione[41] ma è sufficiente richiamare come tale termine indica un percorso intenzionale di apprendimento messo in atto da ogni singola scuola in relazione ad obiettivi e attività formative prestabilite[42].

In altri termini il curriculo raccoglie le azioni messe in atto dall’istruzione pubblica in relazione ad alcuni obiettivi di apprendimento che è lo stesso Stato a stabilire come emerge dalla lettura dell’art. 8 del sopracitato regolamento.

Si noti, seppur con rapidità, la puntigliosa descrizione della riserva statutaria che si estende – con riguardo alla normativa allora vigente –, sia agli obiettivi generali del sistema formativo, sia al monte ore annuale previsto per ciascuna disciplina e altri elementi metodologici[43] lasciando all’autonomia scolastica un margine piuttosto residuale dal momento che le scuole dovranno modulare la formazione del proprio curriculo in relazione a quanto previsto in termini nazionali secondo un equilibrio non facile tra il sistema generale d’istruzione e la singola realtà locale a cui lo stesso curriculo non potrà non fare riferimento[44].

Particolarmente interessante quanto previsto dai commi 5 e 6 del suddetto art. 8 i quali descrivono come tale strumento può essere personalizzato tramite accordi e progetti anche di natura internazionale disponendo altresì che eventuali modifiche rispetto ad un curriculo già predisposto devono effettuarsi tenendo conto delle attese delle famiglie e degli studenti consacrando, a tutti gli effetti, come si può intuire, una visione strettamente “personalizzata”, a misura di studente, che tale strumento intende garantire.

Procedendo oltre, l’art. 9 predispone criteri utili per l’ampiamento dell’offerta formativa. La norma si presenta ben delineata soprattutto in relazione all’articolo precedente costituendone de facto la sua principale estensione. Ancora una volta emerge la volontà da parte del legislatore di impostare l’ampiamento della suddetta offerta con riguardo al contesto territoriale di riferimento cercando di adottare soluzioni utili anche in vista di un possibile inserimento nel mondo del lavoro. 

Si ricorda inoltre, nel comma successivo, un possibile arricchimento del curriculum attraverso insegnamenti facoltativi da svolgere insieme alle Regioni e agli enti locali mostrando, come si può osservare e come ricordato già più volte, di voler superare un certo iato istaurato tra il mondo della scuola e quello del lavoro al fine di integrare l’uno e l’altro pro bono discipulorum. In questo senso, i successivi commi appaiono legati al principio poc’anzi espresso per cui si incoraggia la stipula di accordi anche a livello nazionale (comma 3), nonché iniziative adeguate al campo della formazione degli adulti secondo il modello della lifelong learning di cui si cominciava a parlare anche in Europa[45] e la cui eco si manifestava all’interno delle scuole italiane seppur tra problemi di varia entità.

Infine, l’art. 12, pur sottolineando la non immediata applicazione del presente Regolamento, concede la possibilità a tutte le scuole di adottare già le modifiche e le indicazioni previste consacrando, a tutti gli effetti, la piena adozione, nel panorama scolastico italiano, dell’autonomia scolastica e delle sue implicazioni didattiche organizzative e metodologiche.

6. La legge 107 del 2015

Il quadro normativo individuato tanto dalla legge 21 del 1997 che dal Regolamento n.275 del 1999 rimase, per lungo tempo, l’assetto principale dell’autonomia scolastica non solo per ciò che attiene alla sua dimensione sostanziale ma anche pratica. Ciò nonostante, il panorama scolastico italiano a partire dal 1998 fu soggetto a diverse trasformazioni, le quali cambiarono profondamente non solo lo status giuridico della scuola ma anche la sua definizione complice una varietà piuttosto eterogena di documenti promulgati tra il 2004 e il 2015[46].

È in questo contesto, piuttosto fluido, che si inserisce la novella del 2015 la quale ebbe una notevole ripercussione pubblica complice il carattere propagandistico che accompagnò la sua stesura e la sua successiva promulgazione[47]. Limitandosi, in questo contesto, ad alcune considerazioni generali, è opportuno ricordare come la suddetta legge volle offrire una risposta rispetto alla situazione dei docenti in Italia dove a fare da padrona era il precariato complice anche la Direttiva 1999 n.70 della CE la cui mancata attuazione aveva suscitato non poche perplessità e clamori.

Nonostante la portata enfatica manifestata dai suoi estensori, la riforma della c.d. “buona scuola” manifesta, già ad una prima lettura, qualche dubbio a motivo del carattere prettamente generale delle sue disposizioni e delle problematiche da essi afferenti complice altresì la sua stessa struttura: si tratta, infatti, di una legge caratterizzata da un solo articolo e 212 commi.

Già dall’art.1 comma 1 emerge il tenore propositivo della legge presentando una scuola in un contesto post- moderno chiamata a riscoprire il suo ruolo centrale all’interno della società, offrendo sé stessa come una comunità laboratoriale capace così di garantire il pieno successo formativo dei suoi membri. Da sottolineare l’impatto verbale utilizzato caratterizzato da proposizioni finali accompagnate tutte da verbi al mondo infinito quasi a voler preparare il lettore alla concretizzazione di quest’ultimi come si può leggere nei paragrafi successivi[48].

Procedendo oltre, il comma 2  recupera alcuni concetti già precedentemente richiamati attingendo soprattutto alla menzionata legge 241 del 1990 auspicando forme adeguate per garantire la partecipazione alle decisioni degli organi collegiali anche attraverso il miglior uso delle risorse e di strumenti tecnologici di concerto con gli enti locali mentre è il comma 5 ad offrire alcuni criteri utili ai fini del presente lavoro poiché dispone la costituzione del curriculo dell’autonomia formato da docenti stabili, dalla natura funzionale[49] e capace, in altre parole, di offrire e costituire una vera e propria comunità professionale a cui definire la gestione organizzativa della scuola.

Particolarmente interessante risulta certamente il comma 14 che opera una sostanziale modifica rispetto al Regolamento del 1999 per ciò che attiene al Piano dell’Offerta Formativa il cui regime normativo viene de facto rinnovato completamente. Anzitutto a mutare è la sua denominazione: non più Piano dell’Offerta Formativa ma Piano Triennale dell’Offerta formativa rimarcando la natura prettamente sostanziale che tale strumento riceve all’interno di ogni singola istituzione scolastica articolandosi, come ricorda la normativa, in quattro sezioni: curriculare, extracurriculare, educativa ed organizzativa[50]. Interessante notare come per il legislatore il PTOF rappresenti, a tutti gli effetti, uno strumento indispensabile per la via della scuola tanto da dedicare numerose disposizioni inerenti sia alla sua struttura, sia alla sua stesura e revisione indicando, nel contempo, gli organismi preponenti.

Procedendo oltre osserviamo come, ancora una volta, il principio cardine risulta essere quello della flessibilità; quest’ultima risulta essere declinata sia per quanto riguarda gli insegnamenti facoltativi della scuola superiore (comma 28), iniziative per il percorso scuola lavoro (comma 33) con forme di orientamento universitario (comma 40), Viene inoltre dato ampio respiro al processo di digitalizzazione della scuola mediante opportune scelte di innovazione (comma 58 lett.b) ovvero tramite l’adozione di strumenti organizzativi in materia di valutazione e di governance scolastica (comma 58 lett.c). Un ruolo altresì importante viene dato nei confronti dei dirigenti scolastici garantendo azioni adeguate di allocazione di risorse, dei docenti ovvero in materia di direzione, di gestione e di organizzazione mostrando così un’attenzione del tutto peculiare che manifesta il ruolo peculiare che tale figura riveste nel panorama scolastico attuale[51].

Amplissimo risalto è attributo nei confronti dei docenti: limitandosi ad alcune brevi considerazioni, notiamo l’attenzione piuttosto articolata con cui vengono disciplinati i diversi aspetti dell’ordo docendi[52]. Tra le disposizioni più interessanti, il comma 124 in cui si precisa l’obbligo della formazione del corpo docente anche attraverso adeguati sussidi di natura economica miranti alla valorizzazione del loro merito. In questo senso si spiega l’ampio corpus dedicato al comitato per la valutazione di docenti (comma 129), presieduto dal dirigente scolastico con compiti valutativi e dal carattere collegiale[53].

Per ciò che attiene alla c.d. autonomia finanziaria, sono i commi 143 e seguenti a fornire alcuni dati utili. Nel dettaglio si prevede una ampia regolamentazione circa le donazioni in denaro o altre prestazioni di siffatta entità prevedendo l’istaurazione di un credito d’imposta pari al 65% da calcolare nel periodo indicato dal comma 145. Tale credito va comunque riconosciuto solo a condizione che esso sia versato presso un apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato garantendo, nello stesso tempo, piena tracciabilità e trasparenza dell’operazione finanziaria[54]. Sempre a livello economico, da segnare il comma 159 nel quale si prevede l’erogazione di apposti fondi per quanto riguarda l’edilizia scolastica nonché di misure risarcitorie adeguate in termini di assicurazione e protezione sui luoghi di lavoro[55]. Infine, particolarmente rilevante, soprattutto se letto a posteriori, il comma 202 che prevede l’istituzione di un apposito fondo chiamato “La Buona scuola” per l’erogazione seguiamo il tenore della disposizione normativa– di ben 45 milioni di euro per l’anno in corso[56].

Valga qualche breve considerazione.

Da una lettura generale della presente legge emerge la volontà da parte del legislatore di offrire un testo agevole, dinamico e nello stesso tempo però privo di concretezza. In effetti, come è stato notato, l’intera novella del 2015 si pone in termini piuttosto enfatici complice altresì il contesto storico – culturale in cui essa è nata e si sviluppata, rinunciando così a fornire scelte più marcatamente pratiche prediligendo così un approccio marcatamente teorico, interessante nella sua sostanza ma privo di specificità[57].

Se da un lato si potenzia il ruolo e la funzione degli insegnantianche attraverso appositi organismi di controllo e di verifica del merito – dall’altro appare evidente la ridotta dotazione finanziaria concessa alle scuole che appaiono così, ancora una volta, quasi messe al bando rispetto a delle forme di investimento più precise che, in un contesto come quello previsto dalla legge, deve essere prioritario.

In sintesi, limitandosi alla sola legge 107, la “buona scuola” emerge solo come rilievo nominativo e non già sostanziale dal momento che quest’ultima risulta solo teoricamente possibile senza, come già visto, procedere ad una reale concretizzazione degli obiettivi di riforma, sistematizzazione e aggiornamento che la scuola italiana, nel terzo millennio, deve possedere.

7. Alcune osservazioni critiche

Le considerazioni fino a questo punto svolte permettono di tentare una sintesi la quale, senza alcuna pretesa di esaustività, permette di comprendere la difficoltà ma anche l’urgenza di definire in modo puntuale e preciso che cosa si intenda per autonomia scolastica e quali le sue implicazioni.

Come visto, il cammino verso il pieno riconoscimento di quest’ultima non è stato esente da rilievi critici: in effetti guardando con attenzione l’iter di formazione dell’autonomia scolastica, si noti la forte resistenza rispetto al suo riconoscimento sia da un punto di vista concettuale sia da un punto di vista più concreto. Tali difficoltà emersero soprattutto per la resistenza avvertita da parte dello Stato di non rinunciare ad un modello centralizzato, di pieno controllo e di gestione il quale, pur avendo delle sue indubbie motivazioni intrinseche, appariva del tutto superato anche alla luce della normativa europea ed internazionale.

Dai primi tiepidi segnali di richiesta di un simile riconoscimento avvertiti in particolar modo da parte della dottrina, si è arrivati, dopo un lungo periodo di riflessione, ad un pieno riconoscimento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche attraverso appositi provvedimenti legislativi fino alla sopracitata legge 107 del 2015 che rappresenta l’ultimo documento normativo, in ordine di tempo, relativo all’organizzazione dell’istruzione pubblica in Italia.

Mettendo a confronto le prime principali fonti di riferimento ovvero la legge 59 del 1997, il Regolamento del 1999 e la novella del 2015, si può facilmente notare la presenza di una tensione tra un modello centralizzato ed uno più decentrato legato a doppio filo con il più ampio principio di sussidiarietà richiamato dalla riforma costituzionale del 2001. In altre parole, quello che maggiormente emerge è la tendenza a non assicurare una piena autonomia delle singole scuole trincerandosi spesso dietro la logica degli obiettivi uniformi dell’intero sistema, i quali certamente dovranno essere garantiti ma a condizione che ogni scuola possa modulare quest’ultimi mediante scelte autonome e specifiche.

Indubbiamente le tre disposizioni legislative lasciano ampi spiragli di autonomia: se, nulla quaestio, circa l’autonomia organizzativa e didattica, qualche dubbio può sorgere in relazione al munus dei docenti e al raccordo tra scuola e territorio.

Sul primo argomento è bene sottolineare come la normativa attualmente in vigore esprima un particolare favor nei confronti degli insegnanti ma, guardando al carattere pratico, ci si accorge facilmente che la loro valorizzazione spesso si riduce ad un loro isolamento rispetto ad altri settori o ambiti della società. In altre parole, sussiste una certa discrasia tra la teorizzazione della funzione docente e la sua concretizzazione come dimostra la poca attenzione anche da un punto di vista finanziario ed economico.

Sul secondo tema la questione è altresì rilevante. Come è possibile trovare forme adeguate di raccordo tra la scuola e gli enti locali? Indubbiamente qui gioca un ruolo decisivo il PTOF il quale, come accennato, si articola in quattro sezioni di cui una “extracurriculare” deve trovare ampi spazi d’azione nei riguardi della prospettiva locale di riferimento. Ebbene tale aspetto spesso viene trascurato o comunque ridimensionato a favore della sola dimensione curriculare e organizzativa dimenticando, invece, come risulti essere pregnante trovare forme di accordo anche in vista del mondo del lavoro secondo una logica territoriale più sviluppata e più adeguata.

Ulteriore rilievo critico è senza ombra di dubbio rappresentato dall’autonomia finanziaria. Si tratta, invero, di un terreno piuttosto fragile dove appaiono, ancora oggi ampie, le discussioni in merito in particolar modo per la scarsezza di fondi adeguati al mantenimento e lo sviluppo delle scuole.

Ad un esame più approfondito risulta evidente il passaggio da una maggiore autonomia di gestione dei fondi ad un maggiore controllo statale complice altresì una riduzione piuttosto ampia di risorse allocate molto spesso verso altri poli di riferimento e non già verso i bisogni scolastici.

La stessa legge 107 che pure prevede un’ampiezza significativa di disposizioni per ciò che attiene alla dotazione finanziaria non ha trovato una vera e propria applicazione significativa: è vero certamente che i tempi attuali richiedono una maggiore cautela nell’investimento e nella gestione delle risorse ma la scuola deve presentarsi come prioritaria nei diversi campi di riferimento. In effetti, il riconoscimento dell’autonomia finanziaria non comporta solo azioni di mantenimento o di ristrutturazione degli stessi plessi scolastici spesso fatiscenti ma garantisce quella necessaria innovazione tecnologica di cui la scuola italiana ha necessariamente bisogno.

Da ciò che si deduce l’insufficienza o comunque la difficoltà di garantire azioni adeguate dal punto di vista finanziario ed economico non solo per l’evidente scarsezza delle risorse ma anche per una poca attenzione che si manifesta nei confronti della scuola e più in generale dell’educazione stessa.

In conclusione, si può affermare come sia necessario investire e riconoscere l’importanza dell’autonomia scolastica in tutte le sue forme e tipologie. Tale autonomia, infatti, non solo corrisponde ad un bisogno intrinseco della scuola di darsi un proprio ordinamento ma determina scelte educative capillari, differenziate e come tali prodromiche per la persona umana intesa soggetto educato.

L’autonomia scolastica, infatti, non vuol essere un mero bisogno o un “capriccio” delle singole scuole ma si presenta come un elemento essenziale connaturale ad esse investendo ogni membro dell’ente non secondo una logica individuale ma a favore dell’educazione considerata stricto sensu.

Garantire ed investire nell’autonomia scolastica non significa certamente rinunciare ad una visione unitaria dal momento che essa non si pone in contrasto con il ruolo dello Stato centrale ma al contrario, pur nella garanzia degli obiettivi sistematici previsti a livello nazionale, permette di declinare quest’ultimi a seconda della realtà locale di riferimento per garantire la crescita della persona accompagnandola in tutto il suo sviluppo non solo biologico ma culturale e formativo.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Amplissima la letteratura in merito alla legge 241 del 1990. Cfr. M.A. SANDULLI, Principi e regole dell’attività amministrativa, Milano, 2020.

[2] Sui decreti delegati L. CORRADINI, La comunità incompiuta. Cristi e prospettive della partecipazione scolastica, Milano, 1979: cfr. L. SCIOLLA, La partecipazione assente, Rimini Firenze 1977.

[3] Così S. CASSESE, Il governo della scuola. I soggetti istituzionali, in Ministero della Pubblica Istruzione, Atti della Conferenza Nazionale della scuola, Roma 30 gennaio – 3 febbraio 1990, Palermo, 1991, 53.

[4] Cfr. S. CICATELLI,  Introduzione alla legislazione scolastica per insegnanti, Brescia, 2020, 164.

[5] Si segnala G. TURI, Lo Stato educatore. Politiche intellettuali nell’Italia fascista, Roma- Bari, 2002.  

[6] Cfr. L. BENADUSI, F. CONSOLI, La scuola italiana alla prova dell’autonomia, in L. Benadusi, F. Consoli (a cura di), La governance della scuola, Bologna, 2004, 32-37.

[7] Legge 59 del 1997, art. 21 comma 1.

[8] Cfr. S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione, 162-163.

[9] Così A. PAJNO, Commento all’art. 135, in G. FALCON (a cura di),  Lo Stato autonomista, Bologna, 1998,444.

[10] Per tutti S. CICATELLI,  Introduzione alle legislazione, 168.

[11] Va precisato che il punto in questione non è pacifico. Sono numerose infatti le pronunce della Corte Costituzionale in materia di legittimazione delle istituzioni scolastiche in sede giurisdizionale. Per un commento cfr. S. VARONE, Legittimazione attiva e ius postulandi degli Istituti scolastici. Autorizzazione al patrocinio ai sensi dell’art. 5 R.D. 1611/1933, in Rass. Avv. Stato, 2011, 4, 25-29.

[12] Cfr. S. BERTUGLIA, M. DE NOTARIIS, Concorsi scuola 2020, Avvertenze generali. Metodologie didattiche. Guida alle prove scritte ed orali, Milano, 2020, 132.

[13] Così l. 59 del 1997 art. 21 comma 8.

[14] Cfr. E. BRACCI, La scuola dell’autonomia. Analisi di contesto e implicazioni gestionali, Bologna, 2006,85.

[15] L. 59 del 1997 art. 21 comma 9.

[16] Non va dimenticato che ancora nel 1997 si parlava di “programmi” e non ancora di “indicazioni ministeriali”.

[17] Così R. TONI, Il dirigente scolastico, Milano, 2005, 28.

[18] Ibidem, 29.

[19] Come la piena realizzazione dell’autonomia scolastica, l’introduzione della seconda lingua straniera nella scuola media ecc.

[20] Per un commento esaustivo cfr. S. CICATELLI, Introduzione all’insegnamento, 175 – 176 dove l’autore, in forma del tutto condivisibile, sottolinea alcuni limiti della menzionata direttiva del 1998.

[21] Il testo è, in verità, più esteso: tuttavia si è ritenuto più corretto concentrarsi solo su quelle disposizioni inerenti all’autonomia scolastica. Per un commento cfr. L. MOLINARI, P. FELICIONI, C. SABATINI,  Il regolamento in materia di autonomia scolastica. Commento sistematico al D.P. R n. 275 del 1999, Roma, 2015.

[22] Sul punto vi è convergenza della dottrina. Cfr. S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione, 166. C. VIDONI, La scuola dell’autonomia provinciale, Roma, 2006. A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali per il concorso a cattedra,  Torino, 2020,  121-122.

[23] Per un commento al POF, oggi PTOF, si veda R. MURANO, Le innovazioni a scuola. Le funzioni obiettivo strumento del POF, Roma, 2000 e ss. Cfr. A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 150- 158.

[24] Per una valutazione critica cfr. N. PAPARELLA, Il progetto educativo: comunità educante, opzioni, curriculi e piani, II, Roma, 2009, 178 e ss.

[25] Per un approfondimento: S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione, 193 – 205.

[26] DPR 275/1999, art. 4 comma 1.

[27] Il punto è ben sottolineato da S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione scolastica, 173.

[29] DPR 275/1999, art. 4 comma 2.

[30] Utile sarebbe in questo caso un raccordo con l’insegnamento della Religione Cattolica.

[31] DPR. 275/1999, art. 4 comma 4.

[32] Ibidem, art. 4 comma 6.

[34] Cfr. S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione scolastica, 173. Per ulteriori indicazioni L. MOLINARI, P. FELICIONI, C. SABATINI,  Il regolamento in materia di autonomia scolastica, 91. .

[35] Cfr. Ibidem, 93.

[36] Cfr. M. CASTOLDI, Didattica generale, Bologna, 2015, 89.

[37] Cfr. E. DAMIANO, La mediazione didattica: per una teoria dell’insegnamento, Milano, 2016.

[38] Cfr. L. MOLINARI, P. FELICIONI, C. SABATINI,  Il regolamento in materia di autonomia scolastica, 95.

[39] DPR. 275/1999, art. 7

[40] Cfr. S. CICATELLI,  Introduzione alla legislazione scolastica, 171.

[41] Si veda, a titolo meramente esemplificativo, K. FREY,  Teorie del curriculo, Milano, 1977:  B. VERTECCHI, Formazione e curriculo, Firenze, 1994. Fino ai più recenti contributi di M. CASTOLDI, Curriculo per competenze, Roma, 2013: S. CICATELLI,  Guida all’insegnamento della Religione Cattolica, Bologna, 2020, 281 e ss.

[42] Ibidem, 282.

[43] Si veda DPR 275/1999, art. 8.

[44] L. MOLINARI, P. FELICIONI, C. SABATINI,  Il regolamento in materia di autonomia scolastica, 100.

[45] Per una sintesi cfr. A. PORCARELLI, Nuovi percorsi e materiali, 75 e ss.

[46] Si pensi all’amplissima legislazione sulla scuola compiuta dai diversi governi avvicendatisi in Italia tra il 1999 e il 2015. L’attuale assetto ordinamentale è, come noto, descritto dagli interventi legislativi tra il 2010 e il 2012.

[47] Cfr. N. CAPALDO, L. RONDANINI, Nuovi scenari della scuola italiana: dalla legge 107 ai decreti attuativi, Trento, 2015.

[48] Cfr. M. BRUSCHI,  Legge n.107 del 2015 commentata e legislazione a confronto, Napoli, 2015, 45.

[50] Per un commento critico S. CICATELLI, Introduzione alla legislazione scolastica, 180.

[52] Si noti, in particolare la minuzia circa le procedure di reclutamento degli stessi anche in relazione alla già citata Direttiva europea del 1999.

[53] Cfr. S. CICATELLI,  Introduzione alla legislazione scolastica, 202.

[55] La norma, historia docet, non troverà una sostanziale applicazione. Si veda altresì il comma 160 in cui il legislatore dispone un ampio registro di interventi economici da realizzare di concerto tra le amministrazioni locali e quelle centrali.  Tale aspetto viene confermato dal comma 162 in cui le Regioni sono invitate a fornire, entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge, un elenco dettagliato circa gli interventi da prendere in materia di edilizia. scolastica.

[56] Anche qui si noti l’attenzione alle cifre utilizzate.

[57] Cfr. N. CAPALDO, L. RONDANINI, Nuovi scenari della scuola italiana, 98.

 
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