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Pubbl. Sab, 29 Lug 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

I piani di rientro nel sistema sanitario italiano

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Genesio Lizza
CommercialistaUniversità Cattolica del Sacro Cuore



La Costituzione qualifica il diritto alla salute quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, riservando al legislatore ordinario di operare il bilanciamento degli interessi tutelati da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti ed in particolare dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento. La riforma del Titolo V, ampliando le competenze delle regioni in ambito sanitario ha comunque posto due principi: lo Stato deve determinare i L.E.A. e controllare che la spesa delle stesse rispetti gli equilibrio di bilancio. Il regime normativo dei piani di rientro conduce le Regioni che lo hanno sottoscritto ad un regime di autonomia differenziata.


ENG

The Deficit Recovery Plans in the Italian Health System

The Constitution qualifies the right to health as a fundamental right of the individual and an interest of the community, reserving to the ordinary legislator the task of balancing the interests protected by that right with the other constitutionally protected interests and, in particular, the objective limits that the same legislator encounters in relation to the financial resources available to him at the time. The reform of Title V, by extending the powers of the regions in the healthcare sector, has in any case laid down two principles: the State must determine the LEA and check that the expenditure of the same complies with the budget balance. The regulatory regime of the recovery plans leads the Regions that have signed up to it to a regime of differentiated autonomy

Sommario. Parte prima - Il contesto e l’evoluzione normativa del sistema sanitario; 1. Il diritto alla salute nella Costituzione: l’articolo 2 C.; 2. La legge 23.12.1978 n. 833, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale; 3. Il Dlgs 30.12.1992, n. 502 e le riforme degli anni ’90; 4. Dal regime autorizzativo alla programmazione della spesa; 5. Il federalismo fiscale; 6. Il federalismo sanitario “a Costituzione invariata”; 7. La riforma del Titolo V della Costituzione; 8. La stagione pattizia; 8.1. Il primo accordo del 2000; 8.2. Gli accordi integrativi del 2001; 8.3. Il Patto del 23 marzo 2005; 8.4. Il Patto per la Salute del 5 ottobre 2006; 8.5. Il patto del 3 dicembre 2009; 8.6. Il patto del 10 luglio 2014; Parte seconda - I Piani di Rientro; 1. L’ evoluzione e la struttura normativa; 1.1. Gli albori: la legge 23.12.1998, n. 448; 1.2. La “riforma ter” del Dlgs 502/1992; 1.3. La Legge finanziaria per il 2005; 1.4. Le leggi finanziarie per il 2006 e il 2007; 1.5. La legge finanziaria per il 2010; 2. I piani di rientro; 2.1. Definizione e caratteri; 2.2. Il monitoraggio, la verifica e l’affiancamento; 2.2.1. Il Tavolo di verifica degli adempimenti; 2.2.2. Il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA); 2.2.3. Struttura tecnica di monitoraggio (Stem); 2.3. Il commissariamento della sanità regionale; 2.3.1. Il fondamento normativo; 2.3.3. Il commissario ad acta della sanità regionale; 2.3.4. Nomina del commissario ad acta; 2.3.5. La problematica della nomina del Presidente regionale a commissario ad acta; 2.4. I vincoli e le sanzioni derivanti dall’inadempimento; 2.4.1. Per tutte le regioni; 2.4.2. Per le regioni che hanno l’obbligo di predisporre il Piano di rientro; 2.4.3. Per le regioni sotto Piano di rientro e già Commissariate; Conclusioni.

Parte prima. Il contesto e l’evoluzione normativa del sistema sanitario

1. Il diritto alla salute nella Costituzione: l’articolo 32 C.

La Costituzione qualifica il diritto alla salute quale fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, il fatto che il diritto in questione è stato qualificato «come un diritto primario e fondamentale»[1], che coinvolge quindi «il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito individuale della dignità umana»[2], e di conseguenza identifica il bene salute come bene primario e ne impone quindi una piena ed esaustiva tutela e ne evidenzia «il carattere basilare, di presupposto per il pieno e libero esercizio di ogni altra libertà»[3], riservando al legislatore ordinario operare «il bilanciamento degli interessi tutelati da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento»[4]. Sotto il profilo dell’assistenza pubblica, il dettato costituzionale si attua dunque mediante la garanzia riconosciuta al cittadino di accedere a livelli essenziali di prestazioni sanitarie di prevenzione e cura mediante determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione della relativa tutela da parte del legislatore ordinario. Ne consegue che il diritto alla salute «è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento»[5] nella consapevolezza però che «nel bilanciamento dei valori costituzionali operato dal legislatore non deve avere un peso assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute»[6], in quanto ci si troverebbe di fronte «a un esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa»[7]. In sintesi è utile evidenziare che nello svolgimento del presente lavoro si terrà conto dei seguenti punti fermi fissati dalla Corte costituzionale: il riconoscimento del carattere finanziariamente condizionato del diritto alla salute, l’esigenza di un uso bilanciato e ragionevole della discrezionalità del legislatore nella sua attuazione e la necessità che venga fatto salvo, in ogni caso «il nucleo irriducibile o essenziale del diritto alla salute»[8].

2. La legge 23.12.1978 n. 833,  l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

L’articolo 1 c. 3, la legge 23.12.1978 n. 833 così recita: Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. Esplicita risulta la posizione della Corte Costituzionale  «l'infermo assurge, nella novella concezione dell'assistenza ospedaliera, alla dignità di legittimo utente di un pubblico servizio, cui ha pieno e incondizionato diritto, e che gli vien reso, in adempimento di un inderogabile dovere di solidarietà umana e sociale, da apparati di personale e di attrezzature a ciò strumentalmente preordinati e che in ciò trovano la loro stessa ragion d'essere»[9]. Ne consegue che lo stanziamento delle risorse per la spesa sanitaria viene legato alle esigenze degli assistiti, «prescindendo, almeno tendenzialmente, dal rapporto tra prestazione e contributo alla stessa inerente»[10]  , sempre tenendo conto però «della limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario»[11]. La crisi finanziaria del 1992 e la conseguente necessità di contenimento della spesa pubblica portarono ad interventi finalizzati a ridurre il carico degli oneri in capo al Servizio Sanitario Nazionale e da qui la “nuova” posizione della Corte Costituzionale «in presenza di una inevitabile limitatezza delle risorse, non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l'urgenza. È viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute»[12], il legislatore deve quindi operare un’attenta valutazione nell’approntare strumenti volti a concretizzare i valori costituzionalmente protetti e il delicato equilibrio di bilancio. E’ da sottolineare che il sistema sanitario si reggeva sui, principi «della cd. finanza derivata e da trasferimento e cioè l’attribuzione di stanziamenti riferibili non tanto ai reali bisogni della comunità e alla domanda di salute, quanto alle esigenze di bilancio delle amministrazioni, con una forte centralizzazione a livello statale delle scelte di spesa»[13], determinando di conseguenza uno scarso senso di responsabilità delle amministrazioni regionali.

3. Il d.lgs 30.12.1992, n. 502 e le riforme degli anni ‘90

Il sistema delineato dalla legge n. 833/1978 non ha tardato quindi a manifestare una serie di criticità accentuate anche dalla situazione finanziaria dei primi anni novanta facendo emergere la necessità di avviare un profondo processo di rinnovamento culminato nella legge 23.10.1992 n. 421, che autorizzava il Governo a dettare una nuova disciplina dell’organizzazione delle Unità Sanitarie Locali e a completare il riordinamento del Servizio sanitario nazionale, specificando la suddivisione dei compiti tra Stato e Regioni. Il Governo, a seguito della delega, adottò il d.lgs 20.12.1992 n. 502, che all’articolo 1 dispone  “Gli obiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione e le linee generali di indirizzo del Servizio sanitario nazionale nonché i livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale sono stabiliti con il Piano sanitario nazionale, nel rispetto degli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e di tutela della salute individuati a livello internazionale ed in coerenza con l' entità del finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale”. Il nuovo modello di servizio sanitario nazionale, che si è andato delineando a partire dal d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, «è ispirato alla coniugazione del principio di libertà dell’utente con il principio di programmazione delle prestazioni a carico del servizio pubblico»[14]. Il d.lgs  502/92 ha innanzitutto redistribuito compiti e funzioni fra diversi livelli di governo della salute e dalla tripartizione fissata dalle precedenti disposizioni si è passati ad una bipartizione, prevedendo solo due attori: lo Stato e le Regioni escludendo i Comuni. Riservando allo Stato le funzioni di pianificazione nazionale, di definizione degli obiettivi fondamentali, e dei livelli essenziali di assistenza (L.e.a.), parametri di riferimento, quindi, per assicurare uniformemente sull’intero territorio i servizi sanitari prevedendone anche la relativa copertura finanziaria; per le prestazioni extra-L.e.a., la norma prevede la possibilità di erogazione per le regioni, evidentemente condizionata alla relativa copertura delle stesse a carico del bilancio regionale e dunque in autofinanziamento. Alle Regioni, venivano inoltre attribuite le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle modalità di riparto delle competenze attribuite in base alla novella normativa, stabilì che la stessa non si poneva “a danno delle regioni,” in quanto non in contrasto con gli artt. 32 e 38 Cost., infatti «il contrasto con le norme costituzionali che assicurano a ogni cittadino il diritto alla salute e quello all'assistenza non ha alcuna influenza, neppure indiretta, sulla sfera di autonomia costituzionalmente garantita alle regioni e ciò anche se si presupponga una interpretazione della norma impugnata - peraltro non condivisibile - che fa dipendere totalmente gli interventi pubblici in materia sanitaria dalle esigenze finanziarie di bilancio»[15]. Con il d.lgs 19.6.1999, n.229, viene portato a compimento il processo di razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, riconoscendo alle Regioni nuove e più ampie facoltà in sede sia di programmazione sia di gestione dei servizi, « aprendo di fatto la strada a sistemi sanitari tra loro differenziati per organizzazione e funzionamento,  modificando, di conseguenza, la funzione dello Stato che si trasforma da una funzione preminentemente di organizzazione e gestore di servizi, a quella di garante dell’equità sul territorio nazionale»[16]. In sintesi è possibile affermare che il d.lgs 229/99 ha introdotto un modello tendenzialmente federale a Costituzione invariata, improntato al principio di sussidiarietà verticale, riprendendo e ulteriormente sviluppando le indicazioni del d.lgs n.112 del 1998, e l’attività di programmazione, ponendola quale elemento centrale dell’intero Servizio Sanitario Nazionale, distribuendola, tra il Piano sanitario nazionale, di durata triennale, adottato dal Governo e i diversi Piani sanitari Regionali volti a progettare i piani strategici degli interventi in materia di salute e le modalità di organizzazione dei servizi regionali.

4. Dal regime autorizzativo alla programmazione della spesa.

Il sistema delineato dal d.lgs n. 502/1992, non ha avuto completa attuazione avendo trovato «un ostacolo insormontabile nella sua incapacità a  contenere la spesa pubblica sanitaria in quanto sistema fondato sul regime della domanda (quante più prestazioni venivano richieste, tanto più gli erogatori incassavano) sfuggiva ad ogni possibile programmazione economico-finanziaria»[17]. Per questo motivo,  con la legge 28.12.95, n. 549, viene introdotto un controllo della spesa sanitaria destinato ad incidere profondamente sulle modalità di funzionamento ed erogazione del servizio “le regioni e le unità' sanitarie locali, sulla base di indicazioni regionali, contrattano, sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le strutture pubbliche private ed i professionisti eroganti prestazioni sanitarie un piano annuale preventivo che ne stabilisca quantità  presunte e tipologia, anche ai fini degli oneri da sostenere[18]. La norma introduce, quindi, il principio di programmazione della quantità e tipologia delle prestazioni sanitarie, finalizzato a preventivarne i costi ed istituisce  un sistema negoziale di determinazione delle attività di ciascuna struttura pubblica e privata, costituendo l’architrave del futuro sistema sanitario. Con la legge 23 dicembre 1996, n. 663, il legislatore ribadisce che le regioni,  individuano,  nel rispetto dei livelli di spesa stabiliti per l'anno 1997, le quantità  e le tipologie di prestazioni sanitarie che  possono  essere  erogate nelle strutture pubbliche e in quelle private ma affida alla successiva fase di contrattazione, che deve essere preventiva e realizzata in conformità alle indicazioni regionali, il compito di fissare il limite massimo di spesa sostenibile[19]. Infine con l’art. 32, c.8, della legge 27.12.97, n. 449 il parametro del “limite massimo di spesa sostenibile” diventa un parametro ordinario e non più riferito alla globalità della spesa ma a ciascuna struttura pubblica e privata, la portata della norma è ben chiarita dalla Corte Costituzionale «l'evoluzione della legislazione sanitaria fino a circa la metà degli anni Novanta (…) ha messo in luce come, (…) si sia progressivamente imposto il principio della programmazione, allo scopo di realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario, temperandosi, così, il predetto regime (…) attraverso i poteri di programmazione propri delle Regioni e la stipula di appositi “accordi contrattuali” tra le USL competenti e le strutture interessate per la definizione di obiettivi, volume massimo e corrispettivo delle prestazioni erogabili». Tali disposizioni «si configurano dunque essenzialmente come norme di principio della legislazione statale, alla cui stregua le Regioni, nella vigenza sia del “vecchio” testo dell'art. 117 della Costituzione sia del nuovo, debbono indirizzare la propria competenza legislativa in materia volta a garantire ad ogni persona il diritto alla salute come un diritto costituzionale condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento»[20].

5. Il federalismo fiscale

Con l’approvazione della legge 5.5.09 n. 42, “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”, è stato compiuto il primo passo fondamentale verso il riconoscimento della autonomia di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in modo da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica così da responsabilizzarli. La Legge in questione indica i criteri direttivi generali cui l’azione legislativa delegata del Governo deve uniformarsi ed in particolare “la determinazione del costo e del fabbisogno standard”, e, nello specifico, l’articolo 8, comma 1, lett. b), ove si  statuisce che “le spese (..)  sono determinate nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni fissati dalla legge statale in piena collaborazione con le regioni e gli enti locali, da erogare in condizioni di efficienza e di appropriatezza su tutto il territorio nazionale”. Questa impostazione fondata sulla «costruzione di fabbisogni standard e di benchmark di riferimento da parte statale potrebbe legittimare invasioni di campo del legislatore statale rispetto alla autonomia regionale e, d’altra parte potrebbe innestarsi una spirale nella quale le Regione il cui deficit economico e/o strutturale non sia recuperato entro i termini previsti dal legislatore per il passaggio della spesa storica al fabbisogno standard  percepiranno meno risorse e di conseguenza non saranno in grado di garantire i livelli essenziali di assistenza previsti dal livello statale, attivando così i meccanismi sanzionatori ed i poteri sostitutivi previsti dall’art. 120 Cost.»[21].

6. Il federalismo sanitario “a Costituzione invariata”

Con l’adozione del D.lgs n. 56 del 2000 il legislatore ha delineato, «al fine di creare maggiore responsabilizzazione delle regioni nelle proprie politiche della spesa»[22], il primo intervento organico volto alla realizzazione di un sistema di fiscalità regionale con l’introduzione di  nuove fonti di finanziamento delle spese regionali con «l’idea di abbandonare il modello di finanza derivata e da trasferimento e quindi per superare il criterio della “spesa storica”  ma soprattutto quello fondato sui meccanismi di ripiano ex post dei debiti maturati dai servizi sanitari regionali»[23]. Venivano infatti aboliti i trasferimenti erariali, in sostituzione dei quali si stabilivano altre fonti di finanziamento delle spese regionali ed in particolare venivano meno i vincoli di destinazione per le somme assegnate alle regioni «entrando la spesa sanitaria in concorrenza con le altre spese regionali»[24]. L’impatto del d.lgs 56/2000 non è stato così efficace come invece il legislatore sperava, probabilmente per il mancato raggiungimento dell’obiettivo di fondo: «la sostituzione di una regola di governo strutturale della spesa sanitaria in luogo della logica del negoziato politico sui saldi (in disavanzo) delle gestioni finanziarie concluse»[25]. Il sistema previsto dal d.lgs. n. 56/2000 infatti, benché rimasto formalmente in vigore, «ha subito profonde inattuazioni e numerose deroghe in virtù d’interventi normativi successivi»[26]. Infatti, l’anno successivo, con il d.l. 347/2001, in deroga a quanto appena stabilito, sono stati reintrodotti gli stanziamenti statali per il ripiano dei disavanzi di bilancio regionali anche se di carattere premiale.

7. La riforma del Titolo V della Costituzione

E’ opinione comune che non sia stata la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione italiana, introdotta con la legge cost. n. 3/2001, ad inventare il regionalismo in sanità, infatti l’opzione regionalista era già stata ampiamente sperimentata dal legislatore ordinario nelle riforme del Sistema sanitario nazionale (SSN) degli anni Novanta, «anticipando per molti versi la novella costituzionale»[27], quest’ultima ha ampliato le competenze, in particolare legislative, delle regioni in ambito sanitario, pur mantenendo in capo allo Stato non  solo la determinazione dei principi fondamentali della materia “tutela della salute”, ma anche l’individuazione dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti sul territorio nazionale»[28], creando le premesse per una fase di tensione tra centro ed enti territoriali. Si sottolineano, in particolare, le novità intervenute nel riparto della funzione legislativa e quelle volte a garantire «le istanze unitarie e a salvaguardare le dinamiche di collaborazione tra Stato e regioni in ambito sanitario»  (Morana, 2018). Per ciò che riguarda il primo profilo di novità, si evidenzia che la riforma ha ampliato l’ambito materiale della competenze legislative regionali, sostituendo all’originaria voce dell’«assistenza sanitaria ed ospedaliera» quella della «tutela della salute», oggi annoverata tra le materie contemplate nell’art. 117, comma 3, Cost.. Che si tratti di una materia “assai più ampia” rispetto a quella contenuta nel “vecchio” assetto delle competenze è stato sottolineato in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale[29]. «Più ampia perché estesa a tutti i profili che possono incidere sulla tutela della salute (sia come diritto, sia come interesse della collettività) anche se privi di una valenza propriamente assistenziale»[30]. La materia include inoltre i profili organizzativi e gestionali della sanità regionale che pertanto può essere oggetto di differenziazione, ma sempre nel rispetto dei principi fondamentali posti dalle leggi statali, mentre deve escludersi la sussistenza di un distinto ambito materiale relativo alla organizzazione sanitaria riconducibile alla competenza residuale regionale, tale ambito «neppure può essere invocato come “materia” a sé stante, agli effetti del novellato art. 117 Cost., in quanto l’organizzazione sanitaria è parte integrante della “materia” costituita dalla “tutela della salute” di cui al terzo comma del citato art. 117 Cost.»[31]. Vista da questa prospettiva, dunque, non v’è dubbio che la novella del 2001 abbia voluto assicurare un’adeguata copertura costituzionale al favor, già espresso dal legislatore ordinario, nei confronti di un SSN immaginato come «sistema di servizi sanitari regionali ai quali corrispondono distinti centri di produzione normativa»[32]. Da un’altra visuale la riforma costituzionale non ha escluso né marginalizzato il ruolo del legislatore statale, infatti la tutela della salute, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma della Costituzione, rientra nella materia di legislazione concorrente, spettando allo Stato la determinazione dei principi fondamentali ed alle regioni la disciplina di dettaglio, diventando lo Stato il depositario esclusivo della clausola di “uniformità” per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), in quanto la tutela della salute «non può non darsi in condizioni di fondamentale uguaglianza su tutto il territorio»[33] ma anche «attore in grado di vegliare sulla loro effettività, con l’esercizio del potere sostitutivo»[34]  ai sensi dell’art. 120, comma 2 della Costituzione. Va infine sottolineato che la tutela della salute, non si esaurisce nella corrispondente voce dell’art. 117 Cost. comma 3,  ma trova sviluppo in molteplici titoli competenziali, tra i quali, quello relativo al coordinamento della finanza pubblica finalizzato alle esigenze di contenimento della spesa sanitaria e condizionando quindi i poteri regionali in materia della salute e di conseguenza «giustificando una più analitica e penetrante disciplina statale anche negli aspetti connessi all’organizzazione dei servizi sanitari»[35].  « Non meraviglia, dunque, che una parte rilevante del contenzioso dinanzi alla Corte Costituzionale successivo alla riforma del Titolo V sia originato da doglianze regionali nei confronti di una legislazione statale ritenuta lesiva dell’autonomia legislativa e finanziaria delle regioni»[36]. Si può, a tal proposito, esporre sinteticamente l’orientamento della Corte Costituzionale utilizzando alcune considerazioni svolte dalla stessa in alcune sentenze. Innanzitutto la Corte costituzionale ha affermato la necessità che la spesa sanitaria debba essere compatibile con la «limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario»[37] e che «lo Stato ha il compito di realizzare un bilanciamento tra l’esigenza di eguaglianza connessa al godimento del diritto alla salute, da soddisfare nella  misura più ampia possibile e quella di riduzione della spesa sanitaria al fine di renderla compatibile con la citata limitatezza delle disponibilità finanziarie»[38]. Ne consegue che «l’autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute e in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa»[39]. Accanto a questa impostazione, va però evidenziato come, nella giurisprudenza costituzionale più recente, pur ribadendosi la non illegittimità, in astratto, dell’obiettivo di contenere la spesa pubblica, si è con maggiore incisività richiamata l’attenzione sulla necessità che ogni intervento statale finalizzato alla riduzione delle spese «sia ragionevole e tale da non pregiudicare le funzioni assegnate all’ente territoriale»[40]  ribadendo che «l’eccessiva riduzione delle risorse e l’incertezza sulla loro definitiva entità […] non consentono una proficua utilizzazione delle stesse, poiché solo in presenza di un ragionevole progetto di impiego è possibile realizzare una corretta ripartizione delle risorse […] e garantire il buon andamento dei servizi con esse finanziati»[41]. Alla competenza sul coordinamento della finanza pubblica deve quindi ricondursi la disciplina statale che ha introdotto i cosiddetti “piani di rientro” oggetto specifico di questo studio,  in base alla quale le regioni con rilevanti disavanzi di gestione del servizio sanitario regionale provvedono a stipulare un accordo con lo Stato per individuare gli interventi necessari al raggiungimento dell’equilibrio di bilancio sanitario nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza. Alla complessità delle previsioni costituzionali fa naturale eco la disciplina di rango primario, la quale vede i testi normativi recanti le grandi riforme della sanità pubblica distribuire le competenze istituzionali tra i diversi livelli di governo perseguendo, il fine di individuare il miglior equilibrio possibile fra l’entità delle risorse disponibili e la qualità e l’accessibilità ai servizi ed alle prestazioni. Il rapporto tra la competenza statale esclusiva in materia di livelli essenziali di assistenza è stato ricostruito anche dalla giurisprudenza amministrativa che ha individuando due piani logico-giuridici, legati da un evidente criterio di presupposizione, l’uno dedicato all’indicazione del tipo, della natura e delle quantità finanziariamente tollerabili di prestazioni minime garantite ovunque nel territorio della Repubblica, l’altro rivolto ad attuare i metodi e ad identificare i soggetti abilitati per l’implementazione delle prestazioni così stabilite. Per semplificare, si può ragionevolmente concludere che la tutela costituzionale della salute s’attua mediante l’identificazione dapprima dell’an e del quid più efficace ed appropriato della prestazione sanitaria per tutti gli assistiti del SSN e, in un secondo momento, del quando e del quomodo in ciascuna realtà territoriale. Appunto in ciò consiste la suddivisione dei compiti legislativi (ed amministrativi) tra lo Stato e le Regioni, come delineata dall’art. 117, commi II e III, nel senso che è attribuita al primo quella competenza che garantisce il valore della solidarietà e dell'uguaglianza generali, con l’indicazione dei livelli minimi di prestazione sociale, e alle altre la competenza concorrente sull’organizzazione dei servizi, sulla scorta dei principi fondamentali all’uopo fissati dalla legislazione statale. «La fissazione dei LEA sanitari afferisce, quindi, ancor prima che alla tutela operativa della salute, all’individuazione del contenuto stesso del diritto alla salute che l’ordinamento generale deve garantire a chicchessia ed ovunque nel territorio e, perciò, prevale sulla legislazione concorrente regionale in materia sanitaria»[42]. Per concludere, «lo Stato, risulta dotato di un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, ed è nella condizione di cagionare una rilevante compressione dell’autonomia regionale»[43]. Per evitare che tale compressione si traduca in uno “svuotamento” delle competenze delle regioni, «la Corte costituzionale ha individuato una serie di “temperamenti”, proprio in relazione al settore sanitario, a garanzia del ruolo regionale: essi consistono, essenzialmente, nella necessità di una regolazione statale di rango legislativo, almeno di principio (riserva di legge relativa), e nella previsione di adeguate forme di coinvolgimento degli enti regionali»[44],  attraverso una fonte primaria ma sempre con la garanzia del coinvolgimento delle regioni attraverso quindi il ricorso all’intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, dunque  «il modulo collaborativo tra lo Stato e le regioni resta la chiave di volta del sistema delle competenze statali e regionali per la salute»[45],  fondato sul  principio della leale collaborazione, la determinazione dei LEA è un obbligo del legislatore statale, ma la sua proiezione in termini di fabbisogno regionale coinvolge necessariamente le Regioni, per cui «la fisiologica dialettica tra questi soggetti deve essere improntata alla leale collaborazione»[46].

8. La stagione pattizia

L’attuazione del d.lgs. 56/2000 e la riforma della Costituzione hanno  rappresentato per il Servizio sanitario nazionale un nuovo ciclo basato su una diversa dislocazione delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia di governo e gestione sanitaria e su una puntuale definizione delle prestazioni, delle attività e dei servizi configuranti i livelli uniformi ed essenziali di assistenza (LEA) che il Servizio Sanitario Nazionale è impegnato ad erogare, in coerenza con le risorse assegnate su scala nazionale e regionale. Questa nuova impostazione ha favorito un sistema di governo il cui baricentro è fondato sul modello negoziale Stato-Regioni, dove prevale «il rincorrersi di accordi che, con un rovesciamento del tradizionale ordine delle fonti, conformano la successiva disciplina normativa, in genere operata con legge finanziaria»[47].  Di conseguenza, gli attori del sistema, Stato e regioni, hanno inaugurato il cosiddetto “modello pattizio”, fondato sui “Patti per la salute” dove non solo è esclusa l’applicazione di meccanismi coercitivi, atti a superare il dissenso regionale da parte del governo centrale, ma per di più per la formulazione di queste intese «il metodo di lavoro seguito dalla Conferenza è per consenso e si tratta, pertanto, di atti paritari “co-decisi” da parte dei due livelli di governo»[48]  e «nel cui ambito si determina l’entità del “concorso” dello Stato al finanziamento del SSN e i puntuali adempimenti delle regioni»[49]. La Corte costituzionale offre quindi  un riconoscimento espresso al modello pattizio di «regolazione finanziaria tra Stato e Regioni nel settore sanitario»[50] e, di conseguenza, riconosce «piena legittimazione al modello “condizionale” e “incentivante” costantemente connesso, a partire dall’accordo del 3.8.2000, all’incremento delle risorse da parte statale»[51], e perciò conducendo il giudice costituzionale a riconoscere «la duplice natura del tenore degli accordi fra Stato e regioni in materia di finanziamento della sanità: da un lato, ed evidentemente, essi risalgono al problema, ed alla materia, della tutela della salute; contemporaneamente, però, essi sono strettamente connessi agli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa» [52]e quindi di al coordinamento della finanza pubblica «il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale che detta spesa, in considerazione degli obiettivi della finanza pubblica e delle costanti e pressanti esigenze di contenimento della spesa sanitaria, si presta ad essere tendenzialmente manovrata, in qualche misura, dallo Stato»[53]. Per la Corte Costituzionale la responsabilità del disavanzo sanitario non è riconducibile in via esclusiva allo Stato, anche perché «tanto la legislazione, quanto gli accordi che la determinano, introducono l’opposto principio della autonoma responsabilità regionale nella copertura dei disavanzi»[54], ma il modello pattizio impone che anche «gli adempimenti cui la Regione è soggetta debbono sorgere all’esito di una procedura fortemente concertativa»[55]. Questo ciclo coincide con quella fase dei rapporti tra Stato e Regioni che i costituzionalisti hanno definito come «secondo regionalismo»[56], dove la leale collaborazione in campo sanitario, quale base delle relazioni Stato Regioni, ha prevalentemente riguardato gli aspetti affrontati dai Patti e dalle Intese per poi essere recepiti dalle norme soprattutto di carattere finanziario. La valorizzazione del metodo pattizio si coniuga con la travolgente ascesa del ruolo della materia coordinamento della finanza pubblica nella giurisprudenza costituzionale, la quale risulta ormai «costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario (…), per cui il legislatore statale può «legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari»[57]. Il patto, una volta raggiunta l’intesa, viene trasfuso in una legge, normalmente in quella di bilancio e dunque diventa, sotto il profilo delle risorse, il quadro finanziario della politica sanitaria. Una caratteristica di questa stagione è «la notevole instabilità delle norme di dettaglio, soggette alle modifiche rese necessarie dalla programmazione finanziaria e dalla necessità di tamponare emergenze in grado di condizionare l’offerta dei servizi»[58], con la conseguente perdita della struttura programmatoria prevista dal decreto legislativo n. 229/1999  fondata sul piano sanitario nazionale e sui diversi piani regionali. Negli anni si sono susseguite le seguenti intese:1) Accordo Stato-Regioni dell’8 agosto 2001 recepito dal decreto legge n. 347/2001 e dalla legge finanziaria per l’anno 2002 (legge n. 448/2001); 2) Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 sottoscritta in attuazione della legge finanziaria per l’anno 2005 (legge n. 311/2004); 3) Patto per la salute del 5 ottobre 2006, relativo al triennio 2007-2009 recepito nella legge finanziaria per l’anno 2007 (legge n. 296/2006); 4) Patto per la salute del 3 dicembre 2009 per il triennio 2010-2012 recepito nella legge di stabilità per l’anno 2010 (legge n. 191/2009); 5) Patto per la salute del 10 luglio 2014 per il triennio 2014-2016 recepito nella legge di stabilità per l’anno 2015 (legge 190/2014).

8.1. Il primo accordo del 2000

La logica del negoziato programmatico tra Stato e Regioni per la gestione della sanità può essere fatta risalire all’accordo del 3 agosto del 2000. Con questo accordo il Governo si impegnava innanzitutto ad aumentare il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, mentre le  Regioni si impegnavano, in caso di presenza di disavanzi dei bilanci sanitari, a risponderne con risorse proprie oppure con l’aumento di alcuni tributi di competenza regionale. Si prevede inoltre per  "casi singoli",  la possibilità di stipulare accordi tra Governo e Regioni, in analogia con quanto previsto dall’art. 28 della legge n. 448/1998,  per rimuovere le cause strutturali dei disavanzi.  Il Governo si impegnava, inoltre, a presentare entro il 31 dicembre del 2000, una proposta sui Livelli essenziali di assistenza (Lea). Governo e Regioni  si assunsero l’impegno ad attivare le procedure di monitoraggio e verifica dei livelli di assistenza assegnati, nonché degli andamenti della spesa sanitaria  e delle prestazioni sanitarie al fine di identificare i determinanti di tale andamento e le responsabilità della relativa dinamica nonché a concertare programmi di intervento per il controllo dei suddetti fattori.

8.2. Gli accordi integrativi del 2001

Il 22 marzo 2001 viene raggiunta una nuova intesa tra Governo e Regioni[59] che integra quella sancita nell'agosto dell'anno precedente. Questo Accordo presenta un carattere strutturale e sistemico ed infatti completa il processo di piena responsabilizzazione di ciascun livello istituzionale sotto il profilo economico finanziario. In particolare viene  attivato il tavolo di monitoraggio della spesa sanitaria tra i Ministri del Tesoro, Bilancio e Programmazione economica, della Sanità e le Regioni, con il supporto dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali e viene costituito presso la segreteria della Conferenza Stato-Regioni un tavolo che associ a diversi livelli di assistenza e di prestazioni sanitarie i relativi costi. L'8 agosto del 2001 un nuovo accordo va a integrare e modificare gli accordi sanciti nell'agosto del 2000  e nel  marzo 2001, con l'obiettivo di definire regole compatibili con gli obiettivi di finanza pubblica e con il Patto di stabilità e crescita sottoscritto in sede europea. L'accordo ha inoltre l'obiettivo di dirimere definitivamente qualsiasi controversia tra Governo e regioni, relativa all'accordo del 3 agosto 2000 circa la congruità delle risorse finanziarie statali relative all'anno in questione, convenendo  altresì che eventuali ulteriori eccedenze di spesa resteranno a carico dei bilanci regionali fissando il  principio della corrispondenza delle risorse alle responsabilità.

8.3. Il  Patto del 23 marzo 2005.

Il 23 marzo 2005 viene conclusa l'intesa tra Governo e Regioni, valevole per il triennio 2005-2007, con il quale viene previsto un nuovo sistema informativo sanitario (Nsis) e istituiti  il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti, ed il Comitato per la verifica dei Lea, per misurare, monitorare e valutare i livelli di qualità, efficienza e appropriatezza del Ssn. Le Regioni si impegnano inoltre ad adottare una contabilità analitica per centri di costo e responsabilità, che consenta analisi comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati in ciascuna Asl. Viene ribadito l'obbligo, a carico delle Regioni, di garantire l'equilibrio economico finanziario del Servizio sanitario regionale.

8.4. Il Patto per la Salute del 5 ottobre 2006

Questo patto viene stipulato in una fase caratterizzata da una nuova e grave emergenza finanziaria sanitaria[60], sia per ricondurre sotto controllo la spesa sanitaria sia per disegnare una politica sanitaria di medio periodo  e per dare certezza di risorse al Ssn su un arco pluriennale e per  sostenere le azioni necessarie a elevare qualità  e appropriatezza delle prestazioni, a riequilibrare le capacità di fornire servizi di analoga qualità  ed efficacia su tutto il territorio nazionale[61]. Il Governo, determinando il finanziamento  per il triennio 2007-2009, punta a rafforzare la capacità programmatoria e organizzativa delle regioni consentendo  alle stesse la possibilità di ottimizzare, efficienza e massimizzazione nell'uso delle risorse e rendere loro possibile così una programmazione di medio periodo delle azioni necessarie a correggere le inappropriatezze e a riassorbire le inefficienze che minano il controllo della spesa e l'efficacia dei servizi per i cittadini e strutturando quindi  “un programma che rafforza lo schema dell’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, «mirando a coniugare l’offerta delle prestazioni comprese nei livelli essenziali con l’obiettivo di risanamento economico»[62]. Questo aspetto costituisce uno degli elementi di evoluzione del sistema negoziale che fino ad allora, «ancorato alla logica del negoziato annuale, era debole nella progettazione del miglioramento di medio periodo (soprattutto a livello regionale) e distratto dal negoziato di breve periodo»[63]. L’intesa ribadisce la necessità di  un rafforzamento del sistema di monitoraggio circa l'effettiva erogazione dei Lea stabilendo altresì che «il livello centrale svolga non solo una funzione di verifica, ma, quando necessario, anche di supporto, servizio ed affiancamento per le Regioni»[64]. La proceduta prevista dall’Intesa in questione si realizza  attraverso diverse fasi, innanzitutto la preventiva approvazione dei provvedimenti che la Regione intende adottare per perseguire il piano di rientro, a seguire la verifica e il monitoraggio trimestrale dei risultati conseguiti dallo stesso  con il coordinamento dei  Ministeri dell’Economia e Finanze e della Salute, evidenziando una forte incidenza del potere centrale esercitato nelle sedi già istituite a seguito dell’intesa del 2005: «il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti ed il Comitato per la verifica dei Lea, che svolgono l’attività istruttoria relativa alla certificazione del raggiungimento degli obiettivi intermedi previsti dai piani di rientro»[65]. Il Governo si impegna ad istituire, per le regioni che presentano un grave dissesto finanziario e che abbiano sottoscritto un piano di rientro,  un “Fondo transitorio” che, insieme con misure di affiancamento, sostenga tali regioni in un percorso di rientro in grado di portare all'azzeramento dei loro disavanzi entro l'anno 2010. Con il patto per la salute del 2006  viene così a modellarsi un sistema di governance complesso del Ssn, confermando il  superamento del tradizionale sistema di programmazione a cascata del piano sanitario nazionale, ma nel contempo anche evitando  l’erraticità del «governo per accordi»[66] dei precedenti patti, identificando in un sistema di tavoli tecnici e politici «il luogo per una conduzione dinamica ed evolutiva delle politiche pubbliche della salute»[67].

8.5. Il patto del 3 dicembre 2009

Questo patto segna «una modifica nel rapporto tra Governo e regioni tanto da portare nel corso del 2009 ad un periodo di interruzione dei rapporti istituzionali ed al relativo blocco del lavoro delle conferenze»[68]. Cambia l’indirizzo politico, « la programmazione finanziaria prevale sul governo dei contenuti qualitativi e di offerta del servizio sanitario nazionale»[69], così che la struttura delineata Patto del 2006 viene orientata verso un registro di tipo “ragioneristico” concentrata su saldi di bilancio anziché sull’innovazione, sulla qualità e sull’appropriatezza delle cure e nell’assenza di un qualunque riferimento all’adozione dei nuovi Lea. Analizzando il patto si osserva una prevalenza del ruolo del  Ministero dell’economia e delle finanze rispetto al Ministero della  salute, in quanto al primo compete la verifica sull’andamento della spesa sanitaria e il monitoraggio della spesa per tutti i profili attinenti al concorso dello Stato nel finanziamento del Ssn, anche in relazione ai piani di rientro regionali, il potere  di coordinamento delle decisioni di programmazione che comportino profili di carattere finanziario, formalizzando un presidio del ministero dell’economia e delle finanze anche su scelte di dettaglio di governo del Ssn che «meriterebbero soprattutto un apprezzamento tecnico-scientifico, come quelle legate alla ricerca biomedica oppure all’indirizzo degli IRCCS»[70]. Viene  sancito inoltre  l'avvio di un sistema di monitoraggio dei fattori di spesa e sullo stato dei servizi sanitari regionali. All'esito della verifica, in caso di disavanzo non coperto, si stabilisce che andranno confermati non solo l'innalzamento delle aliquote Irpef e Irap, ma andrà potenziato il blocco del turnover e il divieto di effettuazione di spese non obbligatorie.

8.6. Il patto del 10 luglio 2014

I principali interventi prospettati nel Patto per la salute 2014-2016 riguardano, in primo luogo, la determinazione del livello di finanziamento del SSN a cui concorre lo Stato, che deve tenere conto dell'Accordo politico tra Stato e regioni raggiunto in data 19 dicembre 2013. Il nuovo Patto per la Salute propone la ridefinizione del sistema di governo dei piani di rientro con processi di qualificazione dei servizi sanitari regionali volti al raggiungimento di specifici obiettivi, in particolare intervenendo nei nuovi Programmi operativi di riorganizzazione e riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale (SSR) convenendo altresì specifiche norme in caso di commissariamento. Si conviene, inoltre, ferme restando le competenze dell'apposito Tavolo di verifica degli adempimenti, che Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali ) realizzi uno specifico sistema di monitoraggio, analisi e controllo dell'andamento dei singoli SSR, per individuare, tra l'altro, eventuali scostamenti delle performance delle aziende sanitarie e dei sistemi sanitari regionali. Si conviene di modificare le disposizioni concernenti i provvedimenti da adottare, a livello regionale, in caso di squilibrio economico-finanziario della spesa sanitaria[71], in modo che il blocco automatico del turn over operi fino alla conclusione dell'anno successivo a quello di verifica. Si stabilisce altresì di intervenire sulla disciplina che impone il contenimento delle spese per il personale, entro l'ammontare del 2004 diminuito dell'1,4%, stabilendo che la Regione si possa considerare adempiente se consegue tale vincolo gradualmente fino al completo raggiungimento dello stesso entro il 2020. Per il monitoraggio del Patto si stabilisce la costituzione di un Tavolo politico permanente fra il Governo e la Conferenza Regioni e Province autonome che dovrà servire anche da cabina di regia per l'elaborazione di proposte per la revisione della spesa interna al settore sanitario. Vengono inoltre definite le regole volte al rafforzamento della cooperazione fra Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e le Regioni. Questi accordi testimoniano l’impegno congiunto di Governo e Regioni di attuare importanti e concrete misure di programmazione della spesa sanitaria, con l’obiettivo di razionalizzarla, creando anche spazi finanziari da reinvestire nel settore della sanità. Questo Patto ha dunque l’ambizione di considerare il sistema salute governato da un insieme di attori: la salute viene considerata non più e solo come una fonte di costo, bensì anche come un investimento economico e sociale, per questo motivo si delineano percorsi chiari di interazione con i territori e le altre amministrazioni centrali per rafforzare la ricerca e lo sviluppo nel settore biomedico. Grazie alla interazione tra le istituzioni interessate si persegue l’obiettivo, da un lato, di monitorare il prezzo dei farmaci e dei dispositivi, dall’altra di offrire i migliori prodotti per la salute dei cittadini e, nel contempo, di promuovere lo sviluppo del settore. Questo Patto della salute prevede infine una rivalutazione del il rapporto di leale collaborazione fra le parti, istituendo un Tavolo politico permanente fra la il Governo e la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, una cabina di regia a cui è,  demandata l’elaborazione di proposte per la spending review interna al settore sanitario.

Parte seconda.  I Piani di Rientro

1. L’ evoluzione e la struttura normativa

1.1 Gli albori: la legge 23.12.1998, n. 448

L’evoluzione della disciplina della programmazione sanitaria, anche a seguito delle esigenze sempre più pressanti di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica, con l’introduzione dell’istituto del “Patto di stabilità interno”[72], è stata sempre più  caratterizzata dal progressivo accentuarsi del carattere autoritativo della pianificazione, il valore autoritativo e vincolante delle determinazioni in tema di limiti delle spese sanitarie di competenza delle regioni ai sensi dell'art. 32, comma 8, legge 27 dicembre 1997, n. 449, esprime la necessità che l'attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nella cornice di una pianificazione finanziaria. «Tale funzione programmatoria, volta a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, rappresenta, quindi, un dato inabdicabile nella misura in cui la fissazione dei limiti di spesa si atteggia ad adempimento di un obbligo che influisce in modo pregnante sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la  remunerazione delle prestazioni erogate»[73]. La legge 448/1998 dunque ha definito una prima disciplina delle modalità di verifica dei disavanzi sanitari e di identificazione delle cause e delle «azioni di rientro». Il legislatore, introducendo l’istituto del “Patto di stabilità interno”[74], ha proceduto ad un “cambio di passo” anche nella programmazione e nel controllo della spesa sanitaria, infatti «Al fine di verificare i livelli di assistenza assicurati in ciascuna regione e provincia autonoma, di valutare i risultati economico-gestionali e di individuare le cause degli eventuali disavanzi, (…), il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentita la  Conferenza  permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce, gli indicatori e i parametri concernenti  gli  aspetti strutturali e organizzativi dei sistemi sanitari regionali e i livelli di spesa, (…),  nonché le norme e i provvedimenti statali volti a garantire il corretto impiego delle risorse e appropriati livelli di utilizzazione dei servizi sanitari»[75], la Corte Costituzionale ha  affermato che  «non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti»[76]. Sempre con la legge in questione, vengono indicati i soggetti volti a identificare e a valutare la situazione deficitaria delle singole Regioni: «la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano effettua su proposta del Ministro della sanità, (…), la valutazione della situazione delle singole regioni, individua le regioni deficitarie»[77] e quindi per la finalità dell'azione di coordinamento finanziario consegue che a livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì la determinazione di norme puntuali, quali quelle relative alla disciplina degli obblighi di invio di informazioni sulla situazione finanziaria dalle regioni e dagli enti locali alla Corte dei conti. «La fissazione di dette norme da parte del legislatore statale è diretta, infatti, a realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario – che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali»[78]. Viene inoltre definito lo strumento: «le  regioni, in generale, sono chiamate a stipulare appositi accordi con il  Ministro della sanità, il Ministro  del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per individuare gli interventi  necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico-gestionale»[79]. Infine per le regioni che presentano una situazione deficitaria, gli accordi sopra citati devono prevedere anche un programma di interventi per  il  rientro dai disavanzi e le relative modalità  di attuazione, mediante, la definizione di linee generali degli interventi di rientro e di  ripiano, stabilendo altresì che il Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della  programmazione economica,  sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni,  sia chiamato a definire «gli indicatori e i parametri concernenti gli aspetti strutturali e organizzativi dei sistemi sanitari regionali e i livelli di spesa, nonché le norme e i provvedimenti statali volti a garantire il corretto impiego delle risorse e appropriati livelli di utilizzazione dei servizi sanitari»[80].

1.2 La “riforma ter” del d.lgs. 502/1992

Nel giugno 1999, con la cosiddetta riforma ter[81] viene introdotto l’art. 19-ter che costituisce la «disciplina di una embrionale procedura di rientro»[82] e, con il quale si introduce, l’istituto “Programma operativo di rientro dal deficit”  con le relative di attuazione: « Il Ministro della sanità,  in collaborazione dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, determina i parametri di riferimento a livello nazionale e verifica se vi sono scostamenti riguardo l'efficienza,  l'economicità e la funzionalità della gestione dei servizi sanitari regionali; le regioni, in collaborazione dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, procedono ad una ricognizione delle cause di tali scostamenti  ed  elaborano programmi  operativi di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento dei  Servizi sanitari regionali, di durata non superiore al triennio; il Ministro della sanità e la regione interessata stipulano una convenzione redatta sulla, base di  uno  schema  tipo  approvato  dal Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni»[83], «indicante le misure di sostegno al programma operativo di rientro dal deficit e definendo gli obiettivi, le modalità, i tempi e le forme di penalizzazione per i ritardi o inerzie nell’attuazione del programma»[84], così che «l'autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell'ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa»[85]. Si può affermare che con questo provvedimento viene delineata «una strategia per affrontare i disavanzi sanitari tramite una procedura di concertazione tra il livello nazionale e quello regionale»[86] e vengono  delineati i passaggi fondamentali «per l’attuazione: verifica dei disavanzi; ricognizione delle cause; stipula di una convenzione tra livello centrale e regionale, con relativa elaborazione del Piano di rientro triennale di riequilibrio finanziario e di riorganizzazione dei servizi»[87]   dove la stessa «offerta minimale di servizi sanitari non è unilateralmente imposta dallo Stato, ma viene concordata per taluni aspetti con le Regioni in sede di determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA)»[88]. Con questa impostazione vengono riprese ed assumono una connotazione diversa  nell’ambito del più ampio processo di riforma istituzionale in senso federalistico che si stava avviando in quegli anni, sia con atti legislativi di livello ordinario quali il d.lgs. n. 56/2000 sul federalismo fiscale, sia con la riforma la legge costituzionale n. 3/2001 di riforma del Titolo V, Parte II, Cost. «basata sui principi di leale collaborazione sussidiarietà ed adeguatezza»[89]. In questo rinnovato contesto normativo si procede ad avviare una nuova modalità di gestione del sistema sanitario basato su una diversa collaborazione fra Stato e Regioni, «che si spinge negli anni fino a rappresentare un governo condiviso del sistema sanitario»[90], fondato «sui principi di leale collaborazione, sussidiarietà e adeguatezza»[91]. I primi evidenti segni di questa “innovata” gestione sono rappresentati dall’Accordo Stato Regioni del 3 agosto 2000, rivisitato successivamente con l’Accordo 8 agosto 2001, che «rappresenta una svolta nei rapporti tra livelli istituzionali rispetto ad una serie di diritti e di doveri tra le parti, tanto da essere definito “anno zero” nelle relazioni tra Stato e regioni»[92]. Con l’accordo, in particolare, si stabilisce che lo Stato debba destinare, almeno in via tendenziale, al finanziamento del Servizio sanitario nazionale il 6% del prodotto interno lordo, e l’assunzione dello stesso della responsabilità del ripiano dei disavanzi sanitari regionali pregressi. Le regioni si assumono la responsabilità della copertura di disavanzi successivi rispetto a quanto concordato con risorse proprie aumentando le imposte[93]. Lo Stato infine si impegna ad erogare un finanziamento integrativo «alla verifica dell’adozione da parte delle regioni di una serie di adempimenti e della copertura di eventuali disavanzi»[94]. Una frase che ben potrebbe sintetizzare il nuovo rapporto tra Stato e regioni potrebbe essere: lo Stato finanzia ma la Regione è responsabile di quanto e come spende. Infine, per le sole regioni che presentano bilanci sanitari in disavanzo, si prevede la possibilità di stipulare accordi ai sensi dell’art. 28 della L. 448/1998, tra Governo e la regione stessa per rimuovere le cause strutturali del disavanzo.

1.3 La Legge finanziaria per il 2005

Nonostante le sopra esposte disposizioni, il sistema introdotto non riuscì a bloccare il formarsi di un persistente deficit, «imputabile quasi interamente a poche regioni»[95], pertanto si passò «da misure generali, previste per tutte le regioni, a misure selettive e mirate alle realtà con elevati deficit sanitari»[96]. La legge n. 311/2004, stabilì infatti che la regione in cui fossero stati accertati rilevanti disavanzi di gestione del Servizio sanitario regionale il cui ripiano non fosse conseguibile attraverso strumenti ordinari, era tenuta a stipulare «un apposito accordo con lo Stato per individuare gli interventi necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico nel rispetto dei Lea»[97], a corredo dell’accordo veniva previsto anche un Programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del sistema sanitario regionale di durata non superiore al triennio: “il piano di rientro”[98]. La sottoscrizione dell’accordo in questione rappresentava anche la «condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento»[99], condizionandolo altresì alla verifica dell’effettiva attuazione del programma. Laddove la regione non avesse assunto, nei tempi stabiliti dalla norma, provvedimenti adeguati, il Governo previa diffida di adempimento[100], nominava quale  commissario ad acta il presidente della regione con il compito di  approvare il bilancio di esercizio consolidato del servizio sanitario regionale, di determinare l’entità del disavanzo e di adottare i necessari provvedimenti per il  ripiano del disavanzo stesso. Nello specifico mediante l’aumento dell’addizionale IRPEF e la maggiorazione dell’aliquota IRAP. In questa fase inizia a concretizzarsi quindi una nuova strategia che, seppur ancora formalmente legata al rispetto  dei livelli essenziali di assistenza, risulta evidente che l’obiettivo dei programmi riguarda sempre più l’equilibrio di bilancio che non la tutela dei livelli essenziali di assistenza.

1.4 Le leggi finanziarie per il 2006 e il 2007

Nonostante gli auspici  del Governo affinchè le regioni in difficoltà sottoscrivessero i piani di rientro, le stesse «continuavano ad essere riottose nell’adesione di questa modalità operativa probabilmente perché  la regione se da un lato avrebbe potuto ottenere un sostegno  da parte del Governo dall’altro però avrebbe dovuto accettare una invasione della propria autonomia di assoluto rilievo»[101]. Il 28 settembre 2006 viene sottoscritto tra Governo e Regioni un nuovo Patto per la salute 2007-2009, trasfuso in norma dalla legge finanziaria per il 2007[102]. Questo piano,  dopo aver confermato, per quanto ci riguarda, quanto previsto dall’intesa del 23 marzo 2005 inserisce ulteriori disposizioni per favorire l’adesione da parte delle regioni dei piani di rientro.  Questi ultimi sono disciplinati normativamente dalla legge finanziaria per il 2007 e la loro sottoscrizione rappresenta un obbligo nel caso di disavanzi superiori a una specifica soglia del finanziamento complessivo, posta al 7 per cento, hanno una durata triennale ma se la regione, non fosse riuscita a rispettare gli obiettivi di riduzione del disavanzo previsti dal piano, aveva la possibilità di proporre altre  misure di intervento rispetto a quelle standard, previa approvazione preventiva da parte dei Ministeri della  salute e dell'economia e delle  finanze[103] Viene, con la medesima norma, istituito un “Fondo transitorio statale”, destinato alle “regioni in difficoltà”[104], a condizione però che le stesse abbiano stipulato un accordo ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 comprensivo di un piano di rientro[105]. Infine, per quanto riguarda la copertura dei disavanzi pregressi viene ribadito quanto già previsto dall’Intesa del 23 marzo 2005 e cioè che le regioni debbono ripianarli mediante idonei criteri di copertura a carattere pluriennale derivanti da specifiche entrate certe e vincolate[106]. Dopo solo due mesi, però, con  Decreto Legge n. 23/2007, il Governo stabilisce che concorrerà al ripiano del disavanzo sanitario (2001-05) delle sole regioni che sottoscrivono il piano di rientro. Questa disposizione portò, nel volgere di qualche mese, sette regioni a sottoscrivere un piano di rientro: il primo accordo è stato siglato con la Regione Lazio il 28 febbraio 2007, a cui sono seguiti, nello stesso anno, quelli con Abruzzo, Liguria, Molise, Campania, Sardegna e Sicilia; l’iter per la Regione Calabria è risultato più lungo e il relativo PdR è stato sottoscritto solo nel 2009.

1.5 La legge finanziaria per il 2010.

La disciplina normativa dei piani di rientro trova una compiuta sistemazione nel patto per la salute 2010/2012  trasfuso nella legge 191/2009. In particolare la norma, all’articolo 1 comma 77, dopo aver fissato al 5% il nuovo parametro, superato il quale, il disavanzo sanitario di una regione diventa strutturale con la conseguente obbligatorietà della presentazione di in piano di rientro triennale. Il piano di rientro, dopo essere stato redatto ed approvato dalla regione, deve essere valutato da una nuova struttura tecnica di monitoraggio paritetica (STEM) e dalla Conferenza Stato-Regioni prima di essere approvato dal Consiglio dei Ministri per l’immediata efficacia ed esecutività e costituendo, anche  il presupposto per l’accesso al maggior finanziamento dell’esercizio in cui si è verificato il disavanzo e di quelli successivi interessati dal piano di rientro. Gli interventi individuati nel piano di rientro sono vincolanti per la Regione, e quest’ultima non solo è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro, ma viene prevista anche l’ipotesi di esercizio da parte del Governo di poteri sostitutivi «Qualora il Consiglio regionale non provveda ad apportare le necessarie modifiche legislative entro i termini indicati, ovvero vi provveda in modo parziale o comunque tale da non rimuovere gli ostacoli all'attuazione del piano o dei programmi operativi, il Consiglio dei Ministri adotta, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, le necessarie misure, anche normative, per il superamento dei predetti ostacoli»[107]. Infine, la norma stabilisce che i provvedimenti regionali di spesa e programmazione sanitaria, e comunque tutti i provvedimenti aventi impatto sul servizio sanitario regionale indicati nel piano sono trasmessi al Ministero della salute, che, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze,  esprime un parere preventivo[108]. Ad eccezione di quelli legislativi «l'esercizio della funzione legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione sicché non è ipotizzabile una approvazione ministeriale della legge regionale in esame, essendo palese che l'approvazione prevista dall'Accordo si riferisce a provvedimenti amministrativi e non già legislativi che siano adottati dalla Regione»[109]  

2.I piani di rientro

2.1 Definizione e caratteri

I piani di rientro, introdotti dalla legge 311/2004, sono accordi tra Stato e le Regioni registranti disavanzi di una certa entità nei conti della sanità e si fondano sul ricorso a forme di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni con «l’obiettivo non solo di promuovere un contenimento generalizzato della spesa tale da consentire il ritorno al pareggio di bilancio, ma anche di favorire un più efficace governo del sistema che sappia conciliare l’equilibrio economico con la garanzia dell’effettività dei livelli essenziali di assistenza»[110], infatti «la disciplina dei piani di rientro poggia sul collegamento stretto fra la verifica economico-finanziaria e la capacità della Regione di assicurare i LEA, collegamento che deve essere esplicito attraverso un’analitica quantificazione»[111], ne consegue che, in base alla esposta disciplina normativa, come convalidata e interpretata dalla Corte Costituzionale e dalla giustizia amministrativa, «il piano di rientro persegue contestualmente e paritariamente due ordini di obiettivi vincolanti e sottoposti a penetranti controlli nelle sedi nazionali, con conseguenti meccanismi premiali o sanzionatori: a) l’esigenza di ripristinare l’equilibrio economico-finanziario del sistema sanitario regionale interessato; b) la necessità di salvaguardare il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni secondo gli standard acquisiti in campo nazionale»[112]. Per il controllo dell’effettivo e contestuale perseguimento di questi due ordini di obiettivi sono stati istituiti due Tavoli di monitoraggio:  il Tavolo per la verifica degli adempimenti regionali, e  il Comitato permanente per l’erogazione dei LEA. Entrambi i Tavoli di monitoraggio vedono la partecipazione dei due livelli di governo del settore sanitario, lo Stato e le Regioni. Inoltre poiché  il piano «si inserisce organicamente nel contesto normativo e provvedimentale che regola la programmazione sanitaria, costituendo espressione di raccordo fra tutti gli strumenti di programmazione in essere e in corso di adozione»[113],  nello specifico «in presenza di inderogabili vincoli di bilancio il livello essenziale di assistenza sanitaria costituisce un vincolo di priorità all’interno delle risorse disponibili»[114], anche se «il soddisfacimento di tali livelli non dipende solo dallo stanziamento di risorse, ma anche dalla loro allocazione e utilizzazione»[115], ne discende quindi come risulta dalla ricostruzione svolta dell’ordinamento di settore per la spesa sanitaria, «i sistemi normativi che disciplinano piani di rientro e livelli essenziali sono tra loro coerenti e coordinati»[116], pertanto «l’inadempimento regionale anche rispetto ad uno solo di questi due obiettivi, giustifica sia l’intervento sostitutivo dello Stato sia il mantenimento in vita del commissariamento»[117]. La legittimazione costituzionale dei piani di rientro «consegue al riconoscimento della natura di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica»[118], in quanto «il contesto normativo da considerare è quello che consegue alla normativa europea nell’ordinamento italiano»[119], partendo dalla legislazione sulle procedure di bilancio e la contabilità pubblica, e poi con la riforma dell’intero sistema della finanza pubblica che lo ridefinisce organicamente come sistema di rapporti tra Stato, autonomie e Unione Europea ed infine, con la riforma costituzionale sopracitata e conseguente legislazione organica ne è conseguente l’approccio della Corte Costituzionale che afferma: «la norma dello Stato che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica»[120],  evidentemente in un contesto «di programmazione, tesa a garantire la corretta gestione delle risorse disponibili, e quindi assume valenza imprescindibile in quanto la fissazione dei limiti di spesa rappresenta l'adempimento di un preciso ed ineludibile obbligo che influisce sulla possibilità stessa di attingere le risorse necessarie per la remunerazione delle prestazioni erogate»[121]. Con Legge 296/2006, il legislatore compie un ulteriore passo verso la «coercività degli strumenti approntati per il rientro dai disavanzi sanitari, che finiscono per prevalere sugli ordinari strumenti di governo della Regione, a partire dalla legislazione»[122], infatti,  gli  interventi  individuati  dai  programmi  operativi  di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico[123], oggetto degli accordi per la riduzione dei disavanzi, quindi «può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica»[124], e nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza che, sempre secondo la Corte Costituzionale «non riguarda tanto il livelli di prestazioni, quanto piuttosto l'appropriatezza, distinguendo fra ciò che è pratica terapeutica ammessa e ciò che possa ritenersi intervento lesivo della salute e della personalità dei pazienti, come tale vietato, la norma continua affermando che gli accordi di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311»[125], mentre sono vincolanti per la regione che ha sottoscritto l'accordo la natura cogente, «in quanto derivante dal carattere co-decisionale dell’attività diretta a contenere i disavanzi del settore sanitario»[126], a tal punto che le determinazioni in esso previste possono comportare effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi già adottati dalla medesima regione in materia di programmazione sanitaria, con l’obiettivo, tra l’altro di perseguire «di rendere il servizio sanitario più efficiente»[127], la richiesta della regione deve essere infatti corredata «da un documento contenente, oltre la valutazione analitica delle cause strutturali del disavanzo, la formulazione di proposte per la correzione delle diseconomie strutturali»[128], la citata disposizione viene ulteriormente rafforzata dall’art. 2, comma 95, della legge 23 dicembre 2009, n. 191: la Regione non può adottare provvedimenti, anche legislativi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro. La Corte Costituzionale, intervenendo in materia, ha statuito che i piani di rientro per le Regioni che li abbiano sottoscritti, «hanno carattere vincolante» [129], in quanto, per la Corte, gli accordi in questione, «vengono qualificati come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica»[130] che l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione attribuisce alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, «vincolata al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato»[131], ne consegue che il carattere "finalistico" dell'azione di coordinamento esige che al livello centrale si possano collocare non solo la determinazione delle norme fondamentali che reggono la materia, ma altresì «i poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento - che di per sé eccede inevitabilmente, in parte, le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali - possa essere concretamente realizzata»[132],  sempre «in coerenza con il complessivo ordinamento costituzionale e quindi nel rispetto del quadro istituzionale, del sistema delle autonomie, e del nucleo essenziale dei diritti fondamentali»[133]. Naturale conseguenza di questo approccio è «il conseguente affievolimento della potestà legislativa regionale l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa»[134]. Orientamento questo, riaffermato più volte nelle successive pronunce della Corte Costituzionale[135] ed accolto anche dalla dottrina maggioritaria che, pur nel rilievo dell’indubbia ingerenza dei Piani di rientro nell’autonomia (anche legislativa) regionale, sia nella fase della predisposizione sia della successiva attuazione, sottolinea «la costituzionalità tanto dell’accordo Stato-Regioni finalizzato alla riduzione del deficit sanitario, quanto delle conseguenze giuridiche che questo comporta»[136] e  «il suo inserimento nel sistema appare ormai consolidato ed esente da dubbi radicali di compatibilità costituzionale»[137], d’altro canto, «nei sistemi costituzionali contemporanei, è certo che non vi è garanzia di effettività e di rispetto per i diritti fondamentali fuori da un determinato equilibrio di bilancio democraticamente fissato, che garantisca la sostenibilità e la durata dei diritti medesimi, coordini in vario modo i conti tra risorse e prestazioni e tra le generazioni presenti e quelle future»[138], ne consegue che  la legislazione sui Piani di rientro, avendo l’obiettivo di rendere il sistema omogeneo dal punto di vista delle scelte di politica finanziaria, pone lo Stato “coordinatore” ai sensi dell’art. 117, comma 3 C., in quanto garante  dell’interesse nazionale ma, nel contempo emerge la questione che riguarda la necessità di stabilire «qual è il confine rappresentato dal coordinamento della finanza pubblica da parte dello Stato nei confronti delle Regioni»[139]. Sottolinea, a tal proposito, il Consiglio di Stato «il vincolo di bilancio e il rispetto dei diritti fondamentali si commisurano l’uno con l’altro nel senso che il vincolo di bilancio deve includere il rispetto dei diritti e i diritti devono a loro volta commisurarsi ad un nucleo essenziale, che sia di fatto compatibile con una prospettiva di effettiva sostenibilità e di lunga durata»[140]. La Corte costituzionale, pur sancendo la prevalenza del principio di coordinamento rispetto al contenimento della spesa regionale, ha stabilito che « le disposizioni adottate dallo Stato possono essere interpretate proprio quale esercizio del coordinamento della finanza pubblica»[141], fissando  comunque dei limiti e cioè «il coordinamento deve essere configurato in modo consono all'esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente garantite” e l'azione di coordinamento non può mai eccedere i limiti, al di là dei quali si trasformerebbe in attività di direzione o in indebito condizionamento dell'attività degli enti autonomi». Emerge quindi, per la Corte Costituzionale, un parametro: «la competenza in materia di organizzazione dei servizi sanitari, quando si pone in contrapposizione con gli obiettivi della finanza pubblica, deve cedere rispetto all’esigenza di contenere la spesa». Le conseguenze di tale parametro sono penetranti in quanto le medesime finiscono per legittimare l'imposizione agli organi di governo regionali di vincoli ora molto dettagliati e puntuali, ora incidenti sulle scelte programmatiche generali della Regioni, producendo un forte condizionamento del merito delle scelte amministrative e legislative regionali, come anche evidenziato dal Consiglio di Stato in tali regioni, gli spazi discrezionalità si riducono a scelte alternative per conseguire i medesimi risultati.Per evitare che tale condizionamento si traduca in uno “svuotamento” delle competenze delle regioni, la Corte costituzionale ha individuato una serie di “temperamenti”, «a garanzia del ruolo regionale: essi consistono, essenzialmente, nella necessità di una regolazione statale di rango legislativo, almeno di principio (riserva di legge relativa), e nella previsione di adeguate forme di coinvolgimento degli enti regionali»[142]. La giurisprudenza costituzionale infatti  si è occupata di circoscrivere l’impatto che il richiamo, da parte del legislatore nazionale, ai principi del coordinamento della finanza pubblica produce sulla legislazione e sull’amministrazione regionale, consentendo al legislatore statale di intervenire solo attraverso la fissazione di limiti complessivi alla spesa degli enti territoriali, che devono tuttavia lasciare agli enti stessi «ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»[143].  ne deriva che i vincoli statali, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni, devono rispettare due condizioni: devono riguardare l’entità del disavanzo di parte corrente oppure la crescita della spesa corrente e non devono prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi, poiché, se la legge statale vincolasse gli enti territoriali con l'adozione di misure analitiche e di dettaglio, tale disciplina finirebbe per eccedere la fissazione dei principi fondamentali della materia, compromettendo l'autonomia finanziaria di tali enti, ma d’altra parte «nel bilanciamento tra principi dotati di eguale rango costituzionale, la Corte ha stabilito che i limiti posti alla Regione, in virtù del coordinamento finanziario per il raggiungimento del contenimento della spesa, sono da considerarsi legittimi anche se vanno indirettamente ad incidere sull’autonomia regionale di spesa»[144]. Quindi in linea con le prescrizioni della Corte, se da un lato, le norme statali di principio sul coordinamento della finanza pubblica si devono limitare «a fissare gli obiettivi e il metodo, quello, appunto, negoziale, dell’azione di risanamento, senza prescriverne i relativi strumenti normativi, amministrativi ed organizzativi” dall’altro è possibile procedere mediante l’Accordo Stato-Regione, con l’annesso piano di rientro, che opera come norma interposta»[145], coinvolgendo così le Regioni, nell’esercizio del potere di coordinamento esercitato dallo Stato venendo in rilievo una ipotesi di concorso di competenze legislative statali e regionali nonché, «in ragione dell'intreccio delle relative discipline, anche del criterio di leale cooperazione»[146]. La Corte infatti afferma che per l’esercizio in via amministrativa dell’attività statale di indirizzo e coordinamento,  la sola previsione del relativo potere non basta “essendo necessario che la legge detti altresì i principi e criteri direttivi idonei ad orientare e limitare la discrezionalità del governo”, si sopperisce a tale potere di indirizzo e coordinamento con un accordo[147] che abbia i contenuti e, possibilmente, la funzione dell’atto di indirizzo e coordinamento previsto dal legislatore. Questo coordinamento non deve essere unilaterale dello Stato nei  confronti delle regioni, ma una sorta di auto-coordinamento regionale anche se eterodiretto dallo Stato in quanto avendo ben presente le esigenze da perseguire solleciti le  regioni ad assumere una posizione coordinata e condivisa. «L’accordo diviene quindi lo strumento per realizzare quell’indirizzo e coordinamento dell’attività delle regioni  che non poteva più essere realizzato per il tramite dell’esercizio dell’omonimo potere dello Stato per inidoneità (in relazione al parametro di costituzionalità) della norma che lo aveva previsto»[148]. All’eteroindirizzo e coordinamento statale «si sostituisce così una sorta di “autocoordinamento regionale condiviso” con lo Stato stesso che si materializza in un accordo»[149] e, dopo aver stipulato il piano di rientro, la Regione lo ha anche approvato per legge: «si verifica perciò la singolare situazione in cui una legge regionale sembra fungere da parametro interposto per il giudizio di costituzionale di una legge regionale successiva»[150] in quanto «il piano di rientro legificato prevale sulla legislazione regionale pregressa in quanto legge, su quella successiva in quanto piano»[151]. Si precisa che gli accordi sono previsti al fine di coordinare l’esercizio delle rispettive competenze (Stato e Regioni) a svolgere attività di interesse comune  e sono «diretti al perseguimento di obiettivi di funzionalità economicità ed efficacia  dell’azione amministrativa, in applicazione del principio di leale collaborazione»[152], infatti la Corte Costituzionale afferma che, «la norma dello Stato, che assegna a tale Accordo carattere vincolante per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica»[153]. In sintesi, «la promozione dei piani di rientro al rango di atti vincolanti per la legislazione regionale si fonda su due elementi: la leale collaborazione che deve guidare il loro procedimento di adozione, facendo sì che la Regione concordi con lo Stato il contenuto del piano e non si limiti meramente ad accettarlo e il vincolo solidaristico che, legando tutti gli enti che compongono uno Stato unitario, impone a ciascuno di essi di accettare delle limitazioni della propria sfera di competenza per non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi comuni e, in questo caso, il rispetto dei vincoli imposti a livello sia nazionale che europeo»[154]. La Corte Costituzionale evidenzia altresì, «come la scelta di aderire alle intese ed agli accordi sia frutto di una autonoma determinazione regionale, e non può, dunque, ritenersi coartata, dal momento che le Regioni potrebbero pur sempre scegliere di non addivenire alle intese in questione, facendo fronte al deficit con i propri strumenti finanziari ed organizzativi»[155], questo significa che è la Regione che, sottoscrivendo il piano di rientro, vincola l’ordinamento regionale alla sua attuazione anche se va sottolineato che la Regione, quando si trova nella condizione di dover sottoscrivere il piano,  versi già in disavanzo finanziario e laddove  non sottoscrivesse lo stesso, come abbiamo visto, perderebbe i finanziamenti integrativi e quindi si ritiene che la Regione in disavanzo difficilmente si possa sottrarre a tale istituto e dunque  «non sia effettivamente libera, ma di fatto vincolata a contrarre»[156]. Una volta sottoscritto il piano di rientro si crea così un limite nell’ordinamento regionale derivante, come abbiamo visto,  «da un principio di coordinamento di finanza pubblica e di conseguenza vengono posti vincoli molto penetranti, in quanto  ogni intervento che possa aggravare il disavanzo sanitario regionale avrebbe l’effetto di ostacolare l’attuazione del piano di rientro. Ne deriva, perciò, la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost»[157]. Da questo principio discende che tutte le leggi regionali che si pongono in contrasto con gli obiettivi del piano di rientro sono illegittime. «L’indirizzo generale di questa giurisprudenza è certamente nel segno di una difesa forte dei piani di rientro»[158], infatti «l’incostituzionalità della legislazione regionale, infatti, non è dichiarata soltanto in caso di puntuale contrasto fra le norme impugnate e le previsioni del piano di rientro»[159], ma anche quando «la legge disponga interventi in materia di organizzazione sanitaria che non sono contemplati nel piano di rientro dal disavanzo sanitario»[160], laddove vi sia «un generale contrasto con l’obiettivo del contenimento della spesa sanitaria regionale»[161], ovvero  quando «la legge preveda livelli di assistenza sanitaria ulteriori rispetto a quelli essenziali previsti dalla normativa statale, posto che il piano di rientro si ripropone di riequilibrare il profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza e la gestione corrente per il perseguimento del pareggio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza»[162]. Il piano di rientro può altresì diventare  uno strumento di riqualificazione dei servizi, infatti la  legge n. 311/2004 evidenzia che il Piano di rientro debba mirare non solo a ristabilire l’integrità contabile ma anche delineare una nuova governance del sistema che comprenda interventi di potenziamento dei servizi al fine di garantire i Lea[163], quindi il Piano di rientro prevedendo la riorganizzazione, la riqualificazione e il potenziamento del Servizio sanitario regionale si articola in obiettivi generali strutturati sui seguenti  macrolivelli: assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro; assistenza ospedaliera; assistenza territoriale. Macrolivelli che vengono successivamente declinati in obiettivi specifici concernenti la ristrutturazione organizzativa del sistema e realizzati mediante appositi programmi operativi trasposti poi in interventi, comprendenti veri e propri provvedimenti di riforma. Che i Piani di rientro, prima ancora di promuovere misure volte a ristabilire l’equilibrio finanziario, debbano mettere in discussione un inefficiente modello di governance dei servizi è reso evidente da alcune caratteristiche comuni a tutte le regioni sottoposte alla procedura: eccesso di spesa farmaceutica, eccesso di posti letto ospedalieri, servizi territoriali poco sviluppati o inesistenti, alto tasso di ospedalizzazione e significativi indicatori di inappropriatezza, mancanza di un sistema di monitoraggio e di controllo aziendale e regionale, alto debito accumulato in relazione agli alti disavanzi annuali.

2.2 Il monitoraggio, la verifica e l’affiancamento

Il percorso del Piano di rientro richiede una costante attività di monitoraggio, di verifica e di accompagnamento «il monitoraggio del Piano è attività strategica per seguire, tracciare e documentare la sua effettiva attuazione nei tempi e nei modi programmati ovvero per documentarne la mancata attuazione con i conseguenti provvedimenti previsti dalla legislazione»[164]  e dunque, la realizzazione di un monitoraggio dei piani di rientro ha richiesto la definizione di una metodologia che possa consentire la verifica degli effetti dei piani di rientro rispetto al duplice obiettivo di raggiungere l’equilibrio economico finanziario e di garantire i Lea. Per tale motivo l’Intesa Stato-regioni 23 marzo 2005 affida l’attività di monitoraggio a due organismi paritetici: il Tavolo di verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA) ed in particolare la stessa definizione ed effettiva costante operatività del tavolo di monitoraggio dimostra che «gli standard relativi ai livelli essenziali anche nei processi attuativi emergono da processi negoziali e determinativi a livello nazionale, secondo la logica intrinseca al livello essenziale, e non possono ovviamente essere definiti nell’ambito di singole Regioni»[165]. Il sistema di monitoraggio prevede dunque «la verifica dei cronoprogrammi attuativi che, a partire dal provvedimento regionale identificano il relativo processo di implementazione degli atti regionali e aziendali attraverso i quali la regione prevede di dare attuazione all’intervento formalmente previsto»[166] nonché «la verifica periodica dello stato di attuazione degli interventi; la valorizzazione e l’aggiornamento del set di indicatori previsti; individuazione delle aree di criticità»[167]. E’ possibile affermare che, vi sono due fasi temporali del monitoraggio: la prima dove «il monitoraggio è di tipo formale»[168], in quanto volto a verificare che siano stati adottati i provvedimenti regionali utili a riorganizzare il sistema sanitario regionale; «la seconda è di tipo sostanziale»[169], in quanto rivolta agli aspetti attuativi e di risultato e che ha attribuito maggiore enfasi al perseguimento congiunto di obiettivi economici e dei LEA, quest’ultimi in particolare in quanto, come abbiamo visto «costituiscono una prestazione caratterizzata da un livello uniforme che deve essere garantito a tutti i cittadini e che deve essere pertanto determinato a livello statale in rapporto alle risorse disponibili»[170]. Oltre all’attività di monitoraggio, con le legge 296/2006, è stata prevista anche quella di “affiancamento” affidata alla competenza del Ministero della salute, di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze. L’attività di affiancamento si realizza sia ai fini del monitoraggio dei piani di rientro, sia ai fini della predisposizione dei provvedimenti regionali da sottoporre a preventiva approvazione da parte degli organi competenti, sia  dell’attività dei nuclei di affiancamento regionali nell’ambito del Sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria (SiVeAS). L’attuazione delle funzioni di affiancamento si basa «su tre elementi fondamentali e cioè la definizione di strumenti valutativi e metodologici per la misura dei fenomeni sanitari, la stretta interrelazione con i domini organizzativi deputati alla raccolta e gestione dei dati necessari per i processi valutativi e di monitoraggio»[171], il coordinamento interistituzionale tra le diverse regioni e i ministeri a garanzia della corretta realizzazione delle funzioni di affiancamento. In conclusione si può affermare che «il sistema di monitoraggio e di affiancamento completa l’architettura della forma innovativa di governo condiviso del sistema sanitario»[172],  raggiungendo fin da subito «un risultato positivo  richiamando le regioni alla loro responsabilità di governo»[173].

2.2.1 Il Tavolo di verifica degli adempimenti

Istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, il Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti è coordinato da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze e composto da rappresentanti: del Dipartimento degli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri; del Ministero della salute; delle Regioni capofila delle Aree sanità e Affari finanziari, nell'ambito della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome; di una ulteriore regione indicata dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome; dell'Agenzia per i Servizi sanitari regionali; della Segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano;  della Segreteria della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. Il Tavolo tecnico richiede alle singole Regioni la documentazione necessaria alla verifica degli adempimenti dopo di che  procede ad un primo esame della documentazione ed informa le Regioni, prima della convocazione, sui punti di criticità riscontrati, con l’obiettivo di  mettere le stesse nella condizioni di presentarsi all’incontro  con le eventuali integrazioni volte  a superare le criticità individuate. Il Tavolo tecnico fornisce alle Regioni le indicazioni relative alla documentazione necessaria per la verifica degli adempimenti, effettua una valutazione del risultato di gestione, a partire dalle risultanze contabili al quarto trimestre ed esprimendo un proprio parere. Riferisce al tavolo politico su eventuali posizioni discordanti. Nel caso che tali posizioni riguardino la valutazione degli adempimenti di una singola Regione, la stessa viene convocata dal Tavolo politico quest’ultimo  è composto: per il Governo, dal Ministro dell'economia e delle finanze o suo delegato, dal Ministro della salute o suo delegato e dal Ministro per gli affari regionali o suo delegato; per le Regioni, da una delegazione politica della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, guidata dal Presidente o suo delegato. Il Ministero dell'economia e delle finanze, successivamente alla presa d'atto del predetto Tavolo politico in ordine agli esiti delle verifiche sugli adempimenti in questione, provvede per le Regioni adempienti ad erogare il saldo, e provvede nei confronti delle Regioni inadempienti ai sensi dell'art. 1, comma 176, della legge n. 311 del 2004.

2.2.2 Il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA)

Il Comitato è stato istituito con decreto del Ministro della salute del 21 novembre 2005 ed è composto da: quattro rappresentanti del Ministero della salute  due rappresentanti del Ministero dell’Economia e delle Finanze un rappresentante del Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sette rappresentanti delle Regioni designati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. Al Comitato LEA, è affidato il compito di verificare l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale tenendo conto che sono escluse dai Lea: «le prestazioni, i servizi e le attività che non rispondono a necessità assistenziali, le prestazioni di efficacia non dimostrabile o che sono utilizzate in modo inappropriato rispetto alle condizioni cliniche dei pazienti e le prestazioni che, a parità di beneficio per i pazienti, comportano un impiego di risorse superiore ad altre»[174].  L’Intesa specifica che l’attività del Comitato, in materia di monitoraggio dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza,  deve svolgersi sulla base delle informazioni del sistema di monitoraggio e garanzia del Servizio Sanitario Nazionale[175]. Tra le principali attività rientra la verifica degli adempimenti regionali che consente l’accesso alla quota premiale del SSN e a tal fine approva annualmente il questionario per la raccolta della documentazione necessaria e i criteri per la verifica degli adempimenti relativi all’anno precedente a quello in corso.  Il Comitato certifica l’adempienza o meno delle Regioni quale presupposto per la verifica finale degli adempimenti da parte del Tavolo tecnico presso il Ministero dell’economia e delle finanze, di cui all’articolo 12 dell’Intesa Stato-Regioni 23 marzo 2005, «in quanto appare indispensabile garantire che adeguati interventi sul tema dell’appropriatezza da parte delle Regioni siano in grado di prevenire e controllare fenomeni di improprio assorbimento di risorse da parte di un livello assistenziale con conseguente scopertura di altri livelli assistenziali»[176]. Per il monitoraggio e la verifica dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) il Comitato LEA utilizza attualmente il sistema di garanzia che è lo strumento attraverso il quale il Governo assicura a tutti i cittadini che l’erogazione delle prestazioni e dei servizi compresi nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) avvenga in condizioni di qualità, appropriatezza ed uniformità. Il Sistema di garanzia è stato introdotto nel 2000 con il  d.lgs. 56/2000, reso operativo attraverso il d.m. 12 dicembre 2001. Inizialmente ha definito un set di circa 100 indicatori, individuati sulla base delle fonti informative allora disponibili e le conoscenze in materia, rilevanti per il monitoraggio e la valutazione dell’assistenza sanitaria finalizzata agli obiettivi di tutela della salute perseguiti dal Servizio Sanitario Nazionale. Nel tempo il Sistema informativo sanitario del Ministero (NSIS) ha modificato la sua architettura, introducendo flussi informativi su base individuale e con informazioni a livello di singola prestazione erogata e tipologia, per cui sono iniziati i lavori per rendere l’insieme di indicatori più adatto a descrivere le performance e le capacità di risposta dei Servizi sanitari regionali ai bisogni di salute della popolazione, ne è conseguita quindi  la necessità di aggiornare il Sistema di Garanzia. La Griglia LEA rappresenta lo strumento con il quale viene certificato l’adempimento  "Mantenimento dell’erogazione dei LEA”,  che rientra tra gli adempimenti previsti dall’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, ai quali sono tenute le Regioni per accedere al maggior finanziamento del SSN.

2.2.3 Struttura tecnica di monitoraggio (STEM)

Con l’Intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009 viene istituito l’organismo “Struttura tecnica di monitoraggio (STEM)”,  quale struttura  di supporto della Conferenza Stato-Regioni, per lo svolgimento dei compiti di monitoraggio che si affianca ai preesistenti due tavoli tecnici. La STEM deve garantire il proprio impegno per favorire “un’autovalutazione regionale” e “l’avvio di un sistema di monitoraggio” dello stato dei servizi sanitari regionali. Inoltre la STEM deve a provvedere all’aggiornamento degli strumenti di monitoraggio, da sottoporre alla approvazione della conferenza Stato-Regioni, al fine di snellire e semplificare gli attuali adempimenti per l’accesso al finanziamento integrativo del servizio sanitario nazionale, individuando “un set di indicatori per aree prioritarie di particolare rilevanza in materia di ai attuazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza)”, ovviamente tenendo conto degli indicatori già disponibili. Fra i compiti di questa struttura, quello più delicato, è certamente la valutazione dei piani di rientro delle Regioni in disavanzo. La STEM dovrà infatti vagliare ogni piano entro 30 giorni dall’approvazione da parte dalla Regione[177]. Le motivazioni per l’istituzione di questo nuovo organismo derivano dalla necessità delle regioni di definire «un nuovo punto di equilibrio tra Stato e Regioni nelle modalità di monitoraggio e individuare una sede con cui le regioni possono confrontarsi»[178].

2.3. Il commissariamento della sanità regionale

2.3.1 Il fondamento normativo

Come già visto nel primo capitolo, la riforma del Titolo V della Costituzione ha innovato profondamente il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione delineato nel nuovo articolo 117 Cost.. Il riparto di competenze ruota attorno a due elenchi di materie: il primo, reca le materie di legislazione esclusiva statale; il secondo individua le materie di legislazione concorrente dove sono chiamate a concorrere sia la disciplina statale sia quella regionale. Nelle materie di legislazione concorrente, l’operatività delle due fonti è regolata dalla “qualità” dell’intervento: «allo Stato spetta predeterminare i principi fondamentali della materia e quindi a dettare norme che, almeno in astratto, non possono autoapplicantesi e che lasciano (un doveroso) spazio ad uno sviluppo da parte della regione cui, quindi, è affidata l’adozione di una disciplina di dettaglio»[179]. La rigidità del riparto di competenze legislative insito nel ricorso, da parte dell’art. 117 Cost., alla tecnica dell’enumerazione delle materie «è stato attenuato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, attraverso tre meccanismi collegati a tre principi: prevalenza, leale collaborazione e sussidiarietà»[180]. Il criterio della prevalenza è utilizzato dalla Corte Costituzionale  «per individuare il titolo di competenza che legittima l’intervento legislativo»[181], quando il controllo di costituzionalità incide su più materie, «valorizzando l’appartenenza del nucleo essenziale (dominante) di un complesso normativo una materia piuttosto che ad un’altra»[182]. Il criterio «della leale collaborazione, opera generalmente in materie di competenza residuale delle regioni»[183]ma non solo ed infatti a volte «è invocato dalla Corte anche in materie di competenza esclusiva dello Stato che coinvolgono l’adempimento delle regioni e comunque questo principio  non può fungere da parametro del sindacato degli atti legislativi»[184], infatti la Corte Costituzionale ha ribadito che «non è individuabile un fondamento costituzionale dell'obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni”[185], salvo i casi in cui «l’osservanza del principio in parola sia imposto, direttamente o indirettamente dalla Costituzione, per l’esercizio della funzione amministrativa»[186]. Si sottolinea che poichè detto principio, si fonda essenzialmente sullo strumento dell’intesa tra Stato e Regioni, è necessario ricorrere non soltanto nella fase fisiologica della realizzazione della competenza legislativa concorrente, ma anche nella sua fase patologica e cioè in quella che ha indotto lo Stato ad attivare il suo potere sostitutivo. Il criterio della chiamata in sussidiarietà viene applicato quando sussiste un’esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative[187], e quindi lo Stato è legittimato a regolare tale esercizio mediante propria legge anche se si tratta di funzioni riconducibili a materia di legislazione concorrente o residuale. Infine, come ha affermato la Corte Costituzionale «la deroga al riparto delle competenze, ai fini dell’allocazione di competenze amministrative a livello statale, è  ammissibile soltanto ove ricorrano i presupposti del loro esercizio unitario e, più specificamente, laddove la valutazione di tale interesse unitario sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza e sia oggetto di un accordo con la Regione interessata»[188].   Quest’ultima condizione porta ad aggiungere una nuova materia a quelle dell’elenco dell’art. 117, comma 2 che «potrebbe chiamarsi individuazione e disciplina delle funzioni amministrative statali nelle materie di potestà legislativa regionale»[189].

2.3.2 Il potere sostitutivo ex art. 120, secondo comma, della Costituzione

L’articolo 120, secondo comma della Costituzione stabilisce che: «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, (…) quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, (…). La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione» . Questa disposizione, “integra” e “chiude” il sistema costituzionale di allocazione delle competenze fra lo Stato e le autonomie territoriali, conferendo all'esecutivo un potere d'intervento teso a fronteggiare, in deroga a quel medesimo sistema, talune situazioni di emergenza che mettono a repentaglio l'unità e l'indivisibilità della Repubblica, pertanto, lo Stato interviene da un lato per garantire sull’intero territorio nazionale i livelli essenziali di assistenza e dall’altro per far tornare in equilibrio i bilanci delle Regioni interessate. Il principio di leale collaborazione, che deve sempre «governare i rapporti fra lo Stato e le Regioni nelle materie e in relazione alle attività  in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi»[190], «non si può attenuare nel contesto della relazione che si instaura fra Stato e regione quando il primo esercita i suoi poteri sostitutivi nei confronti della seconda»[191], anzi, continua la Corte «il principio è affermato all’art. 120, secondo comma, proprio in relazione all’esercizio del potere sostitutivo statale, che chiaramente attiva una relazione complessa tra Stato e regioni, nell’ambito della quale un potere tipicamente statale interseca competenze regionali»[192].Viene inoltre sottolineato il fatto che sebbene l’art. 120, secondo comma, Cost. «richiami la leale collaborazione come limite del potere sostitutivo statale, è implicito nella stessa natura relazionale del principio che esso debba essere rispettato anche da parte della regione»[193] e  quindi «detto principio si traduce in concreto in doveri e aspettative di informazione, di previsione di strumenti di raccordo e, in generale, di comportamenti realmente collaborativi, corretti e non ostruzionistici, in definitiva, appunto, leali, che non possono che essere reciproci»[194]. Come si è già evidenziato, i possibili livelli di intervento statale in materia di gestione del servizio sanitario sono due: il primo attiene all’accordo tra Stato e Regioni riguardante il piano di rientro; il secondo corrisponde all’eventuale commissariamento della sanità regionale, mediante la sostituzione dello Stato alle Regioni ex art. 120, comma 2, Cost., al quale il Governo vi ricorre in caso di reiterato inadempimento da parte delle Regioni del piano di rientro sottoscritto. Per la sua estrema genericità, «questa condizione finalistica è potenzialmente idonea a riflettersi sull'intera attività degli enti sostituibili»  (Oddi, 2017); anche perché, coerentemente con gli artt. 2 e 3 Cost., la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che dovendo essere garantiti su tutto il territorio nazionale fanno sì che la competenza sia esclusivamente Statale (Art. 117, 2 c., lett. m), Cost.). Inoltre, come puntualizzato dalla Corte costituzionale, «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali non è tanto una "materia" in senso stretto, quanto una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle»[195]. L'esigenza di assicurare, ad un tempo, l'unità economica della Repubblica e i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute  giustifica l'intervento sostitutivo nei confronti delle Regioni che non adempiano agli obblighi derivanti dai piani di rientro dal disavanzo sanitario concordati con lo Stato, «l’inadempimento regionale, anche rispetto ad uno solo di questi due obiettivi, giustifica, pertanto, sia (e in origine) l’intervento sostitutivo dello Stato sia (di conseguenza e dopo l’attivazione del potere sostitutivo) il mantenimento in vita del commissariamento»[196]. Al riguardo, la Corte Costituzionale  ha ribadito che «l'attività del commissario ad acta nominato dal Governo per l'attuazione di detti piani, sebbene rivesta carattere amministrativo, deve restare al riparo, fino a che non sia terminata, da ogni interferenza (pur meramente potenziale) degli organi regionali, quand'anche questi agiscano per via legislativa, pena giustappunto la violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost.» [197]. Per quanto riguarda «il riparto delle funzioni amministrative in materia di tutela della salute oggi vigente rappresenta il frutto delle scelte operate dal legislatore statale nel corso degli anni novanta»[198] e poiché la competenza amministrativa è tendenzialmente inderogabile, attesa la riserva di legge posta dall’articolo 97 Cos., non è possibile operare  alcun trasferimento della stessa da un organo all’altro con un semplice provvedimento amministrativo ma è necessario un atto normativo. L’ordinamento peraltro conosce degli istituti che, senza incidere sulla titolarità delle competenze, determinano uno spostamento nell’esercizio delle stesse ovvero dell’avocazione, della sostituzione e della delega. Oggetto del presente approfondimento, nell’analisi del commissariamento, è l’istituto della sostituzione in quanto, «il governo centrale si sostituisce al governo regionale nella materia della tutela del diritto alla salute il commissario è chiamato unicamente all’attuazione del piano» [199], ovvero la norma «affida alla gestione commissariale la mera prosecuzione del piano di rientro»[200] e tale limite è confermato dalla possibilità di nomina di uno o più subcommissari, con il compito di affiancare il commissario nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell’incarico commissariale. Al pari dell’avocazione, la sostituzione presuppone un rapporto di gerarchia tra l’organo sostituto e quello sostituito, anche se il rapporto tra Stato e Regioni non può essere definito gerarchico, ma di autonomia delle seconde nei confronti del primo, a differenza dell’avocazione, la sostituzione può avere luogo solo in presenza di un’inerzia o di un inadempimento del soggetto sostituito presupponendo non solo l’iniziale inadempimento o l’inerzia nel compimento di un determinato atto, ma anche l’ulteriore inerzia dell’organo sostituito a seguito di formale diffida ad adempiere. Si può affermare  quindi che «il commissariamento della sanità regionale si configura quale sanzione all’inadempimento da parte delle Regioni dei piani di rientro dal disavanzo economico»[201]concordati dal Governo con le Regioni interessate da criticità nella gestione finanziaria del SSR. Questa sanzione si applica qualora si verifichi l’ipotesi in cui l’ente regionale in disavanzo sanitario ovvero l’incapacità della Regione di assicurare i LEA,  non abbia presentato oppure, avendolo sottoscritto, non provveda all’attuazione degli obiettivi del Piano di rientro. In termini più generali, si potrebbe affermare che «la procedura del commissariamento della sanità regionale finisce per incidere  sul principio di separazione dei poteri, in quanto i poteri che la Regione poteva esercitare istituzionalmente ex art. 117, comma 3, Cost. ad un certo punto non può più esercitarli, essendo gli stessi come assorbiti dallo Stato in una sorta di chiamata in sussidiarietà, realizzata mediante il potere sostitutivo di cui all’art. 120, comma 2, Cost»[202]. La Corte Costituzionale è intervenuta individuando argomentazioni a sostegno della legittimità del potere sostitutivo. Innanzitutto, per la Corte «il Commissario ad acta sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti – malgrado il carattere vincolante dell’accordo concluso dal Presidente della Regione – ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica, per il  Governo  quindi l’esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è quello alla salute»[203]. Ne consegue non solo l’esigenza di assenza di contrasto fra norme di legge regionale e attività del commissario, ma un ben più penetrante «principio di non interferenza e dunque le funzioni amministrative del commissario (…) devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali»[204].

2.3.3 Il commissario ad acta della sanità regionale

L’articolo 8  della legge 131/2003, disciplina l’esercizio del potere sostitutivo governativo per i casi e le finalità previsti dal secondo comma dell’articolo 120 della Costituzione. Trattasi di due distinte ipotesi di intervento sostitutivo: una “ordinaria”, esercitabile previa diffida ad adempiere ed eventualmente attraverso commissario ad acta; l’altra, che si può essere  definita “d’urgenza”, consistente nell’adozione immediata da parte del Consiglio dei ministri dei provvedimenti necessari. La situazione prevista da detto articolo rientra nella casistica della tutela dell’unità giuridica, dell’unità economica e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e si realizza attraverso comportamenti omissivi delle Regioni che hanno sottoscritto un piano di rientro e che rimangono inerti rispetto ad attività da compiersi per conseguire le finalità previste dalla norma oppure mediante comportamenti commissivi consistenti nell’adozione di atti contrastanti con le suddette finalità. L’intervento sostitutivo governativo si può realizzare secondo due modalità: una, con l’adozione dei provvedimenti dovuti o necessari nel caso di inerzia degli enti territoriali, l’altra,  attraverso l’eliminazione dei provvedimenti che non avrebbero dovuto essere adottati.

2.3.4 Nomina del commissario ad acta

2.3.4.1 Procedura ai sensi dell’art. 4 del d.l. 159/2007

Questa procedura sostitutiva interviene qualora la Regione, a seguito del procedimento di verifica e monitoraggio del  Piano di rientro, effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli  essenziali  di assistenza, risulti inadempiente  rispetto agli impegni assunti in sede di sottoscrizione del piano di rientro ed in particolare, la realizzabilità degli equilibri finanziari programmati, tale da mettere in pericolo la tutela dell'unità economica e dei livelli essenziali delle prestazioni, ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, diffida la regione ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel Piano. Laddove la regione non adempia alla diffida, oppure ponga in essere  atti ed azioni valutati inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, il Consiglio dei Ministri, nomina un commissario ad acta, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, per l'intero periodo di vigenza del singolo Piano di rientro con «il compito di realizzare la puntuale attuazione del piano di rientro il commissario è chiamato unicamente all’attuazione del piano, di cui i piani operativi costituiscono strumenti operativi che devono necessariamente muoversi nell’ambito del medesimo»[205] e ciò implica il contestuale riconoscimento in capo al commissario ad acta del potere regolamentare (“provvedimenti normativi” e cioè atti formalmente amministrativi ma a contenuto normativo) e legislativo (“atti normativi”), accanto all’attribuzione del distinto e concorrente potere di adottare atti amministrativi ed organizzativi nonchè misure gestionali (relative cioè ai rapporti di lavoro) secondo la ratio di disposizione di chiusura finalizzata a conferire al commissario tutti i poteri, nessuno escluso, necessari ad assicurare, comunque, la piena attuazione del piano di rientro; poiché dunque «la disposizione è strutturata come norma di chiusura del sistema dei poteri commissariali, deve concludersi, anche dal punto di vista dell’interpretazione teleologica, che la voluntas legis sia quella di riconoscere al commissario ad acta anche la facoltà di esercizio del potere legislativo o, in ogni caso, di un atipico potere normativo derogatorio delle norme di legge regionale»[206], poteri che sono stati congegnati per garantire l’obiettivo del rientro dai disavanzi regionali senza specificazione degli atti da compiere, se non «in relazione alla relativa natura (normativi, amministrativi, organizzativi, gestionali»[207], ne consegue che  «più che a un commissario ad acta,  ci si trova di fronte a un “commissario ad functionem”, i cui poteri sono stati individuati in rapporto all’obiettivo di sanare il disavanzo sanitario della regione interessata all’asserito scopo di garantire i livelli essenziali delle prestazioni in materia sanitaria, e che assomma in sé i caratteri della sostituzione e della chiamata sussidiarietà di funzioni amministrative»[208]. Inoltre, il Consiglio dei Ministri, può nominare, uno o più subcommissari di qualificate e comprovate professionalità  ed esperienza in materia di gestione sanitaria, con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale.

2.3.4.2 Procedura ai sensi  dell’articolo 2, c. 79, 83 e 84 Legge 191/2009

La norma in questione, stabilisce che la regione che risulta in squilibrio economico è tenuta a presentare un piano di rientro di durata non superiore al triennio, che contenga: le misure di riequilibrio del profilo  erogativo dei livelli essenziali di assistenza, per renderlo conforme a quello desumibile dal vigente piano sanitario nazionale e dal vigente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di fissazione dei medesimi livelli  essenziali di assistenza; le misure per garantire l'equilibrio  di  bilancio sanitario in ciascuno degli anni compresi nel piano stesso. Il piano di rientro, approvato dalla regione, viene valutato dalla Struttura tecnica di monitoraggio (STEM) e dalla Conferenza permanente per i  rapporti  tra lo Stato, le regioni affinchè esprima un parere. Il  Consiglio  dei  ministri, accerta l'adeguatezza del piano presentato, in caso di riscontro positivo, il piano è approvato dal Consiglio dei ministri ed è immediatamente efficace ed esecutivo per la regione. Nel caso invece di un riscontro  negativo, ovvero in mancanza della presentazione del piano, il Consiglio dei ministri, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, nomina un commissario ad acta per la predisposizione del piano di rientro e per la sua attuazione per l'intera durata del piano stesso. Gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e non solo infatti la Corte Costituzionale  ha stabilito che «l'illegittimità costituzionale della legge regionale sussiste anche quando l'interferenza è meramente potenziale e, dunque, a prescindere dal verificarsi di un contrasto diretto con i poteri del commissario incaricato di attuare il piano di rientro»[209]

E’ opportuno segnalare che la Corte Costituzionale «richiamando la leale collaborazione come limite del potere sostitutivo statale è implicito nella stessa natura relazionale del principio che esso debba essere rispettato anche da parte della regione,  traducendosi  in concreto in doveri e aspettative, di informazione, di previsione di strumenti di raccordo e, in generale, di comportamenti realmente collaborativi, corretti e non ostruzionistici, in definitiva, appunto, leali che non possono che essere reciproci»[210]. Ne consegue che, la considerazione per cui «il divieto di interferenza con le funzioni commissariali si traduce, dunque, in un “effetto interdittivo” di qualsiasi disposizione incompatibile con gli impegni assunti ai fini del risanamento economico-finanziario del disavanzo sanitario regionale»[211]. A tale scopo, qualora, in corso di attuazione del piano adottato o dei programmi operativi assunti dalle le regioni già sottoposte ai piani di rientro e già precedentemente commissariate gli ordinari organi di attuazione del piano o il commissario ad  acta  rinvengano ostacoli derivanti da provvedimenti legislativi regionali, li trasmettono al Consiglio regionale, indicandone puntualmente i motivi di contrasto con il Piano di rientro o con i programmi operativi. Il Consiglio regionale, entro i successivi sessanta giorni deve apportare le necessarie modifiche alle leggi regionali in  contrasto, oppure le sospende, o le abroga. Qualora il Consiglio regionale  non  provveda  ad apportare le necessarie modifiche legislative entro i termini indicati, ovvero vi provveda in modo parziale o comunque tale da  non rimuovere gli ostacoli all'attuazione del piano o dei programmi operativi, il Consiglio dei Ministri  adotta, ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, le necessarie misure, anche normative, per il superamento dei predetti ostacoli. La verifica dell'attuazione del piano di  rientro avviene con periodicità  trimestrale e annuale. Qualora dall'esito delle verifiche emerga l'inadempienza della regione,  il Consiglio dei ministri, diffida la regione interessata ad attuare il piano, adottando altresì tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi in esso previsti. In caso di perdurante inadempienza,  accertata  dal  Tavolo  tecnico  per  la verifica degli adempimenti regionali e dal Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, il  Consiglio  dei  ministri, in attuazione dell'articolo 120 della Costituzione nomina un commissario ad acta per l'intera durata  del  piano  di  rientro. Il commissario adotta tutte le misure indicate nel  piano,  nonché  gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti  o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano. Il commissario verifica altresì  la piena ed esatta attuazione del piano a tutti i livelli di  governo  del  sistema  sanitario  regionale. «L’interpretazione letterale della previsione contenuta nella legge del 2009 sembrava dare la possibilità al Commissario ad acta di sostituirsi al consiglio regionale per adottare atti di natura legislativa»[212], anche se parte della dottrina non lo condivideva, si tratta infatti di figure non previste espressamente dalla Costituzione ed alle quali non sembra possa riferirsi la possibilità di adottare i provvedimenti necessari, anche normativi, che l’art. 8 della legge n. 131/2003 riserva letteralmente al solo Consiglio dei Ministri. «Ciò comporta che l’attribuzione ai commissari ad acta della possibilità di esercitare il potere legislativo in via sostitutiva si risolverebbe nell’appropriazione di una competenza che l’art. 121 Cost. attribuisce al Consiglio regionale in mancanza di una sicura base costituzionale che ciò autorizzi»[213], a tal proposito, il legislatore statale ha fornito un’interpretazione differente con la previsione contenuta nel d.l. n. 98 del 2011 con cui si è modificato l’articolo 2, co. 80, della legge n. 191 del 2009. Infatti la nuova procedura prevede che nell’eventualità in cui il Commissario ad acta dovesse rinvenire ostacoli derivanti da provvedimenti legislativi in contrasto con il Piano di rientro deve provvedere a darne immediata comunicazione al Consiglio regionale, che apporta le necessarie modifiche alle leggi regionali in contrasto, o le sospende, o le abroga. La soluzione adottata dal legislatore risponde, del resto, alle indicazioni di una parte della dottrina per la quale il fondamento di decreti-legge sostitutivi di atti legislativi regionali «andrebbe ricercato nell’art. 120, secondo comma, Cost., letto in combinato disposto con l’art. 77 Cost. ed in base a tale lettura, la deroga alla distribuzione costituzionale delle competenze legislative sarebbe pertanto ammissibile unicamente nei casi specificati dall’art. 120, secondo comma, Cost. per ragioni di necessità ed urgenza»[214] e dunque sarebbe possibile  avallare l’andamento della prassi, che in diverse circostanze ha permesso di registrare il ricorso a decreti-legge sostitutivi di leggi regionali sulla base dell’art. 120, secondo comma, Cost. che, dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, aveva ritenuto che «il  potere sostitutivo del Governo nei confronti delle leggi regionali poteva  essere esercitato solo a mezzo di un decreto legge»[215]. La Corte costituzionale ha ribadito la tesi per la quale volendosi interpretare la surrichiamata disposizione costituzionale come tale da legittimare il potere del Governo di adottare atti con forza di legge in sostituzione di leggi regionali, e quindi eccezionalmente derogando al riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni, tramite l’esercizio in via temporanea dei propri poteri di cui all’art. 77 Cost., sottolineando altresì che la disciplina contenuta nel secondo comma dell’art. 120 Cost. «non può essere interpretata come implicitamente legittimante il conferimento di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia stato nominato Commissario del Governo, che è invece un potere proprio del solo organo rappresentativo della Regione»[216]. In conclusione l’esercizio dei poteri esercitati dal Commissario ad acta, nei limiti e nel rispetto del Piano di rientro, «non determina la violazione dell’articolo 120, co. 2, Cost. o dei principi di autonomia sanciti in Costituzione anzi l’esercizio dei poteri, rappresenta una forma di garanzia «forte» tanto dell’unità giuridico-economica del Paese, quanto dei livelli essenziali di assistenza»[217]. Nei casi di riscontrata difficoltà in sede di verifica e monitoraggio nell'attuazione del piano, nei tempi o nella  dimensione finanziaria ivi indicata, il Consiglio dei  ministri,  in  attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, sentita la regione interessata, nomina uno o più  commissari ad  acta  di  qualificate  e  comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione  sanitaria  per l'adozione e  l'attuazione degli atti indicati nel piano e non realizzati. Qualora il commissario ad acta per la redazione e l'attuazione del piano, a qualunque titolo nominato, non adempia in tutto o in parte all'obbligo di redazione del piano o  agli  obblighi,  anche temporali, derivanti dal piano stesso, indipendentemente dalle ragioni dell'inadempimento, il Consiglio dei ministri, in  attuazione dell'articolo 120 della Costituzione, adotta tutti gli atti necessari ai fini della predisposizione del piano di rientro e della sua attuazione. Per le regioni già sottoposte ai piani di rientro e già commissariate alla data di entrata in  vigore della  presente  legge possono presentare un nuovo piano di rientro ai sensi della disciplina recata dall’articolo 2 della legge 191/2009 ed a seguito dell'approvazione del  nuovo  piano cessano i commissariamenti, secondo i tempi e le  procedure  definiti nel medesimo piano per il dalla  gestione  straordinaria commissariale alla gestione ordinaria  regionale. In questo contesto viene in evidenza la questione riguardante l’inquadramento giuridico dell’intervento ovvero se l’inadempienza sanzionata come sopra  possa interessare  solo le funzioni amministrative oppure anche quelle legislative. Il giudice costituzionale «conferma che il commissario è titolare di funzioni amministrative, e quindi i relativi atti amministrativi sono imputabili direttamente all’ente sostituito»[218], di cui il commissario ad acta dovrebbe pertanto essere considerato «organo straordinario»[219]e dunque «definibile organo della stessa amministrazione,  anche se non fa parte della sua organizzazione stabile» (D’amico, 2020), realizzando quel rapporto di immedesimazione organica, che caratterizza il funzionamento della pubblica amministrazione. L’istituto in questione si differenzia dal commissario ad acta nominato dal giudice amministrativo nell’ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all’amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta (art. 21, d.lgs. 104/2010). Le ipotesi in cui il G.A. ricorre alla nomina del detto organo ausiliario corrispondono essenzialmente al caso in cui accerti l’obbligo di provvedere della pubblica amministrazione nell’ambito del ricorso avverso il silenzio ex art. 117, comma 3, d.lgs. 104/2010 e il caso della mancata ottemperanza al giudicato da parte della P.A. ex art. 114, comma 4, lett. d), d.lgs. 104/2010, mentre il rapporto instaurato con la nomina del commissario  ad acta di cui stiamo trattando  si pone su un piano del tutto differente e afferisce ad una relazione instaurata tra detto soggetto e la P.A. che «può definirsi di servizio onorario, con attribuzione di pubbliche funzioni, costituente espressione di incarico conferito con scelta discrezionale di alta amministrazione nell’ambito di poteri pubblicistici»[220], si tratta quindi, di un potere straordinario, come straordinarie (in quanto eccezionali) sono le circostanze che ne legittimano l'utilizzo,  anche se i poteri sostitutivi di cui stiamo parlando non possono essere interpretati «come legittimanti il conferimento di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia stato nominato commissario del Governo»[221] con la conseguenza che  il commissario non può con propri atti abrogare una legge regionale. Il procedimento di nomina del commissario ad acta, che lo stesso legislatore qualifica quale attuazione dell’art. 120, co. 2 della Costituzione, fa affermare alla Corte Costituzionale  che «lo stesso deriva palesemente dalla preoccupazione di assicurare comunque, in un sistema di più largo decentramento di funzioni quale quello delineato dalla riforma, la possibilità di tutelare, (…), taluni interessi essenziali, che il sistema costituzionale attribuisce alla responsabilità dello Stato»[222]. In conclusione, il potere sostitutivo trova dunque la propria giustificazione nell’esigenza di svolgimento dei compiti pubblici e di soddisfacimento dei diritti dei cittadini: l’inerzia che giustifica l’intervento sostitutivo va dunque intesa come mancato rispetto del dovere di amministrare, che non si verifica solo in caso di condotta omissiva, ma in tutti i casi in cui «la condotta del sostituito rischia di pregiudicare l’interesse di cui è portatore il titolare del potere sostitutivo»[223].

2.3.5 La problematica della nomina del Presidente regionale a commissario ad acta

La legislazione in esame inizialmente era presente inequivocabilmente l’automaticità della nomina a commissario ad acta del Presidente della regione, e «tale disposizione trova applicazione anche ai  commissariamenti sorti in forza dell’art.4, comma 2 del d.l. 159/2007»[224]. Questa impostazione se da un lato si collega all’esigenza di conciliare gli interventi per un ripiano rapido del deficit di bilancio con gli strumenti strutturali di riorganizzazione complessiva dei sistema dei servizi sanitari regionali dall’altro però «lascia aperti i problemi della compresenza in un unico soggetto delle funzioni di controllore e controllato»[225], creando così profili problematici evidenti, il perdurante conflitto di interessi in capo al Presidente della Regione, che, sia pure fondata su ragioni di pragmatismo politico, unifica in capo a un’unica figura competenze che, in attuazione dei principi di imparzialità e di separazione dei poteri, dovrebbero restare rigorosamente distinte, ed appare foriera di possibili conflitti tra organi dello stesso ente, o, addirittura, «tra i diversi livelli di governo»[226], proprio perché, con questa scelta  legislativa, il Commissario ad acta si trovava a controllare ed anche  sospendere atti adottati anche con il concorso della propria attività in qualità di Presidente della Giunta Regionale, realizzando così «una sovrapposizione tra la responsabilità politica ed amministrativa la coincidenza tra le figure di commissario e governatore crea una singolare continuità tra la presidenza dell’ente inadempiente e l’organo straordinario nominato per surrogarlo nel perseguimento degli obiettivi fissati dal Piano»[227], ma non solo in quanto la funzione sostitutiva andrebbe ad essere esercitata dai commissari dei commissariati, «ovverosia dagli stessi che hanno originato il commissariamento, attraverso “trascuratezze” gestionali non di poco conto»[228], con la probabile conseguenza che potrebbe risultare difficile dimostrare se l’assunzione di determinate scelte debba imputarsi alla persona del Presidente della Regione o a questo nelle vesti di Commissario ad acta come evidenziato anche dalla Corte costituzionale  «la necessaria coincidenza personale tra la figura del commissario governativo e quella del Presidente della Regione non è sufficiente a superare il rilievo che le due figure sono istituzionalmente e giuridicamente diverse e che nella legge di delega lo scioglimento era prospettato come sanzione alle gravi violazioni di legge che portino al dissesto compiute dal Presidente, non già dal Commissario nominato dal Governo»[229]. Il quadro normativo muta notevolmente con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, non soltanto perché, da un lato, si prevede  l’incompatibilità tra incarichi istituzionali regionali e la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l’adozione e l’attuazione del piano di rientro effettuata ai sensi dell’art. 2, commi 79, 83 e 84, della citata legge n. 191 del 2009, e si estende  tale incompatibilità anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l.159/2007;  ma, anche perché, dall’altro viene abrogato il riferimento al Presidente della Regione. Ne consegue che, dopo la legge n. 190 del 2014, da un lato, con la previsione espressa dell’incompatibilità, si è stabilito che il Presidente della Regione non potesse essere commissario ad acta; dall’altro, attraverso la modifica delle disposizioni che contenevano l’espresso riferimento al Presidente della Regione, è venuta meno la regola della nomina automatica di quest’ultimo. La situazione muta nuovamente e parzialmente con la legge 11 dicembre 2016, n. 232, la quale (art. 1, comma 395) ha derogato al generale regime di incompatibilità introdotto nel 2014 in riferimento però ai soli commissariamenti disposti ai sensi dell’art. 4, comma 2, d.l. n. 159 del 2007, statuendo che le disposizioni di cui al comma 569 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, non si applicano alle regioni commissariate ai sensi dell’articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1º ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222 e non anche a quelli sorti in forza dell’art. 2, commi 79, 83 e 84, della legge n. 191 del 2009. Pertanto, l’art. 1, comma 395, della legge n. 232 del 2016, stabilendo che le disposizioni di cui al comma 569 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 non si applicano alle Regioni commissariate ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, nel superare la regola dell’incompatibilità, introdotta dalla legge n. 190 del 2014, non ha determinato (e non avrebbe potuto determinare) il ripristino delle norme abrogate da quest’ultima.

2.4 I vincoli e le sanzioni derivanti dall’inadempimento

2.4.1 Per tutte le regioni

Ai sensi dell’ articolo 1, comma 174 della legge 311/2004, per tutte le regioni, sulla base dei risultati del IV trimestre dell’esercizio, analizzati nel periodo di febbraio-marzo dell’anno successivo, il Tavolo verifica  la sussistenza dell’equilibrio di bilancio. Qualora venga rilevato, nella singola regione,  un disavanzo di gestione a fronte del quale non sono stati adottati in corso d’anno gli idonei provvedimenti di copertura, il Presidente del Consiglio diffida la regione interessata a provvedervi entro il 30 aprile. La disposizione prevede inoltre che, qualora la regione non adempia, entro i successivi trenta giorni il Presidente della Regione, in qualità di Commissario ad acta, adotti i necessari provvedimenti per il suo ripianamento, ivi inclusi gli aumenti delle aliquote fiscali. Qualora i provvedimenti necessari per il ripianamento del disavanzo non vengano adottati dal Presidente della regione, in qualità di Commissario ad acta, entro il 31 maggio, nella regione interessata, si applicano comunque automaticamente gli aumenti nella misura massima prevista dalla vigente normativa dell’IRAP (+ 1%) e dell’addizionale IRPEF (+0,5%), «con l’obiettivo politico di rendere consapevoli i cittadini sulle difficoltà di governo del sistema»[230]. Su questa procedura automatica di copertura del disavanzo si è pronunciata la Corte Costituzionale dichiarandone  la legittimità sulla base che «l’impostazione fiscale è di competenza esclusiva statale l'attribuzione alle Regioni, in tutto o in parte, del gettito di imposte statali, non ne altera la natura erariale; sicché compete allo Stato (e non alla Regione, se non nei limiti previsti dalla legge statale) la disciplina del tributo, se del caso mediante norme di dettaglio» (Corte cost. 193/2007). Inoltre, ai sensi delle modifiche introdotte alla disposizione dall’articolo 2, comma 76 della legge 191/2009, si applicano, alle regioni inadempienti,  anche il blocco automatico del turn over del personale del servizio sanitario fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in corso e per il medesimo periodo il divieto di effettuare spese non obbligatorie.

2.4.2 Per le regioni che hanno l’obbligo di predisporre il Piano di rientro

Nel caso di superamento dello standard di disavanzo strutturale[231], oltre all’obbligo di predisporre un Piano di rientro di durata non inferiore al triennio. Le regioni sottoposte al Piano hanno anche l’obbligo dell’innalzamento delle aliquote fiscali al livello massimo previsto dalla vigente legislazione. Gli automatismi restano fermi nei tre anni ma possono essere ammorbiditi al raggiungimento di obiettivi intermedi. In questa situazione è necessario distinguere: A.1 Nel caso della mancata presentazione del piano di rientro, oppure qualora lo stesso sia stato considerato inidoneo sono previste le seguenti sanzioni: oltre all’applicazione, se già non intervenute delle sanzioni sopra indicate (incremento automatico delle aliquote fiscali, blocco del turn-over e divieto di effettuare spese non obbligatorie) si aggiungono la nomina del Presidente della Regione quale commissario ad acta per la predisposizione e l’attuazione del Piano, la sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, la decadenza dei Direttori Generali, amministrativi e sanitari degli enti del SSR e dell’assessorato alla sanità e il super-incremento delle aliquote fiscali, cioè ulteriore 0,15% di IRAP e ulteriore 0,30% di addizionale IRPEF. Qualora il piano di rientro pur giudicato idoneo, venisse successivamente non rispettato dalla regione, dopo una diffida da parte della Presidenza Consiglio la regione sarebbe soggetta alle predette sanzioni, ai sensi dell’articolo, 2, comma 83, della legge 191/2009. A.2 Nel caso di inadempienza della regione, nell’attuazione del Piano, scattano le seguenti sanzioni: le medesime di cui al precedente punto A.1, compresa la nomina del Presidente come Commissario per l’attuazione. A.3. Nel caso di accertamento, in sede di verifica annuale, di mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel Piano, scatterà la sanzione del super-incremento delle aliquote fiscali..

2.4.3 Per le regioni sotto Piano di rientro e già Commissariate

In caso di inadempienza del Presidente-Commissario scattano le seguenti sanzioni: il Presidente del Consiglio dei Ministri nomina uno o più Commissari ad acta per l’adozione degli atti indicati nel Piano e non realizzati in applicazione  dell’articolo 2, comma 84, della legge 191/2009.

Conclusioni

Giunti al termine riteniamo di introdurre alcune considerazioni di insieme sulla vicenda dei PDR, dedicate principalmente all’assetto delle competenze in materia di tutela della salute. Gli obiettivi dei piani di rientro, come abbiamo visto, sono sostanzialmente due: l’ottenimento di un equilibrio di bilancio e la garanzia che la Regione rispetti i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) costituzionalmente garantiti nell’offerta dei suoi servizi sanitari. «Le Regioni devono infatti essere in grado “di tutelare la salute dei propri cittadini nel rispetto dell’equilibrio di bilancio tramite la razionalizzazione della spesa»[232] ed il regime normativo, amministrativo-finanziario dei piani di rientro rende le Regioni che lo hanno sottoscritto «soggette ad un regime di autonomia differenziato rispetto alle altre»[233] e poichè, come abbiamo visto, la tutela della salute deve essere intesa in modo «assai più ampio rispetto alla precedente materia assistenza sanitaria e ospedaliera»[234],  conduce ad affermare che la tutela della salute non sia sempre considerata competenza concorrente per tutte le Regioni, in quanto le Regioni sottoposte ai piani di rientro perdono la competenza effettiva ed autonoma in materia di tutela della salute. Come abbiamo visto, infatti, risulta evidente che i limiti e i vincoli che si determinano una volta sottoscritto il PDR, producono conseguenze sul piano amministrativo, finanziario, ma innanzitutto normativo regionale.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Corte cost. 40/1991

[2] Corte cost. 509/2000

[3] G. SCIACCA, L’articolo 32 in, La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, a cura di  Clementi F., Cuocolo L., Rosa F., Vigevani G.E., , Vol. I, Bologna, Il Mulino,  214

[4] Corte cost. 455/1990

[5] Corte cost. 304/1994

[6] Corte cost. 304/1994

[7] Corte cost. 304/1994

[8]  D. MORANA, La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, Osservatorio costituzionale Fasc. 1/2018, 19

[9] Corte cost. 175/1982

[10] N.VICECONTE, Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, in Manuale di diritto sanitario, a cura di Balduzzi e Carpani, Bologna, Il Mulino, 372

[11] Corte cost. 111/2005

[12] Corte cost. 356/1992

[13] Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cit., 372

[14] Cons. St. 2/2012

[15] Corte Cost. 355/93

[16] L. LAMBERTI, Diritto sanitario, Milano, IPSOA, 2019, 25

[17] Ibid.

[18] Art. 2, L. 549/1995

[19] Art. 1, c. 32, L. 663/1996

[20] Corte cost. 200/2005

[21] Diritto sanitario, cit., 41

[22] Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale,  cit., 374

[23] Ibid.

[24] Ibid.

[25] R. FINOCCHI GHERSI, A. TARDIOLA, Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, a cura di  De vincenti, Finocchi Ghersi, Tardiola, La sanità in Italia. Organizzazione, governo, regolazione, mercato, Bologna, Il Mulino,  3

[26] Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cit., 374

[27] La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, cit., 3

[28] L. CUOCOLO, A. CANDIDO,  L’incerta evoluzione del regionalismo sanitario in Italia,   www.forumcostituzionale.it, 2013,  p. 8

[29] Corte cost. 270/2005, Corte cost. 181/2006, Corte cost. 328/2006, Corte cost. 162/2007, Corte cost. 207/2010

[30] La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, cit., 3

[31] Corte cost. 371/2008

[32] La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, cit., 5

[33] Ibid.

[34] Ibid.

[35] Corte cost. 36/2005

[36] G. CARPANI, D.MORANA, Manuale di diritto sanitario, a cura di Balduzzi, Carpani,  Il Mulino, BO, 2013, 121

[37] Corte cost. 111/2005

[38] Corte cost. 149/2010

[39] Corte cost. 193/2007

[40] Corte cost. 169/2017

[41] Corte cost. 169/2017

[42] T.A.R. Lazio 6252/2002

[43] Corte cost.  88/2003

[44] La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, cit., 10

[45] Ibid.

[46] Ibid.

[47] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 4

[48] P. COLASANTE, A. LACOVIELLO,  Prassi e potenziali sviluppi dell’intergovernmental management Nell’ordinamento italiano. Riflessi sul principio di leale Collaborazione, Associazione Italiana Costituzionalisti, 3, 2017, 16

[49] Corte cost.,36/2005

[50] Ibid.

[51] S. CALZOLAIO, (2014), Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, Federalismi, 23, 2014, 27

[52] Ibid. 

[53] Corte cost. 94/2009

[54] Corte Cost. 98/2007

[55] Corte Cost. 98/2007

[56] Prassi e potenziali sviluppi dell’intergovernmental management  nell’ordinamento italiano. Riflessi sul principio di leale collaborazione, cit., 3

[57] Corte cost. 141/2010

[58] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit. 5

[59] Accordo 22 marzo 2001

[60] Ci si riferisce in particolare  alla crisi della Regione Lazio

[61] Intesa del 5 ottobre 2006, Patto sulla salute

[62] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 6

[63] Ibid.

[64] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 13

[65] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 6

[66] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 7

[67] Ibid.

[68] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 10

[69] Il federalismo istituzionale e fiscale e l’assetto di governance del SSN, cit., 11

[70] Ibid.

[71] art. 1, co. 174, L. 311/2004

[72] Art. 28 L. 448/1998

[73] Art. 28, commi 10-12, L. 448/1998

[74] Art.28, c. 1 L. 448/1998

[75] art. 28, c.10, L. 448/1998

[76] Corte cost. 36/2004

[77] Art. 28, c.11, L. 448/1998

[78] Corte cost. 376/2003

[79] Art. 28, c. 12 L. 448/1998

[80] Art. 28, c. 10, L. 448/1998

[81] d.lgs. 502/1992

[82] Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, cit., 10

[83] art. 19-ter d.lgs. 502/1992

[84] BELLENTANI e BUGLIARI, La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, Balduzzi, a cura di  De vincenti, Finocchi Ghersi, Tardiola, La sanità in Italia. Organizzazione, governo, regolazione, mercato, Bologna, Il Mulino,  392

[85] (Corte cost., 193/2007)

[86]  Ibid.

[87] Ibid.

[88] Corte cost. 98/2007

[89] Ibid.

[90] Ibid.

[91] Ibid.

[92] Ibid.

[93] Punto A.2, Accordo 3 agosto 2000

[94] Ibid.

[95] La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, cit., 393

[96] Ibid.

[97] Ibid.

[98] Art.1,  c.180, L. 311/2004

[99] Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, cit., 14

[100] art. 1, c.164, L. 311/2004

[101] Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, cit., 18

[102]  L. 296/2006

[103] Punto 3.1. b dell’Intesa 5 ottobre 2006

[104] Secondo il Patto si definiscono “Regioni in difficoltà” quelle che presentano un disavanzo pari o superiore al 7% nell’anno precedente e/o nelle quali sia entrata in vigore la massimizzazione dell’aliquota di addizionale Irpef e della maggiorazione dell’Irap

[105] Art. 1, c. 796, b) L. 296/2006

[106] p.1.4 dell’Intesa 5 ottobre 2006 come recepito dall’ art. 1, c. 796, lett. e),  L. 296/2006

[107] Art. 2, c. 80, L. 191/2009

[108] Art. 2, c.81, L. 191/2009

[109] Corte cost. 100/2010

[110] E. GRIGLIO, La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari: possibile la ratifica, non la conversione in legge, del piano, AIC, 3, 2012, 3

[111] Corte cost. 255/2019

[112] Cons. St. 604/2015

[113] TAR Abruzzo 292/2011

[114] Cons. St. 1894/2014

[115] Corte cost.  36/2013

[116] Cons. St. 604/2015

[117] Corte cost.  255/2019

[118] Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, cit., 29

[119] Cons. St. 604/2015

[120] Corte cost. 100/2010

[121] Cons. St. 3,4/201

[122] La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari: possibile la ratifica, non la conversione in legge del piano, cit., 4

[123] Art.1, c.796, lett b) L. 296/2006

[124] Corte cost. 141/2010

[125] Ibid.

[126] TAR Abruzzo 292/2011

[127] Corte cost. 98/2007

[128] TAR Abruzzo 292/2011

[129] Corte cost. 100/2010

[130] Ibid.

[131] Corte cost. 376/2003

[132] Ibid.

[133] Cons. St. 604/2015

[134] Corte cost. 193/2007

[135] Corte cost. 123 e 163 del 2011; Corte cost. n. 91/2012, Corte cost.51, 79, 104 e 180 del 2013

[136] A. PATANÈ, La difficile “metabolizzazione” regionale del ruolo del Commissario ad acta nell’attuazione dei piani di rientro e la ferma posizione della Corte costituzionale, Corti supreme e salute, 1, 21

[137] R. BALDUZZI, Una proposta che coniuga l’autonomia con la coerenza di sistema, Monitor, 27,  2010, 5

[138] Cons. St. 604/2015

[139] La difficile “metabolizzazione” regionale del ruolo del Commissario ad acta nell’attuazione dei piani di rientro e la ferma posizione della Corte costituzionale, cit., 22

[140] Cons. St. 604/2015

[141] Corte cost. 237/2009

[142] La tutela della salute fra competenze statali e regionali: indirizzi della giurisprudenza costituzionale e nuovi sviluppi normativi, cit., 10

[143] Corte cost. 417/2005

[144] La difficile “metabolizzazione” regionale del ruolo del Commissario ad acta nell’attuazione dei piani di rientro e la ferma posizione della Corte costituzionale, cit., 22

[145] La legislazione regionale alla prova dei piani di rientro dai disavanzi sanitari: possibile la ratifica, non la conversione in legge, del piano, cit., 8

[146] Corte cost. 240/2007

[147] Art. 4, d.lgs. 281/1997

[148] M. DI FOLCO, Le funzioni amministrative, , in Manuale di diritto sanitario, a cura di Balduzzi e Carpani, Bologna, Il Mulino, 2013, 168

[149] Ibid.

[150] Corte cost. 91/2012

[151] Il Titolo V alla prova dei piani di rientro: delegificazione dei principi fondamentali e asimmetria fra Stato e Regioni nel rispetto delle procedure di leale collaborazione, cit., 214

[152] Le funzioni amministrative, cit., 169

[153] Corte cost. 100/2010

[154] T. CERRUTI, I piani di rientro dai disavanzi sanitari come limite alla competenza legislativa Regionale, Associazione Italiana Costituzionalisti AIC,  4, 2013, 4

[155] Corte cost. 2/2010

[156] Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, cit., 30

[157] Corte cost. 18/2013

[158] Il Titolo V alla prova dei piani di rientro: delegificazione dei principi fondamentali e asimmetria fra Stato e Regioni nel rispetto delle procedure di leale collaborazione, cit., 213

[159] Corte cost. 180/2013

[160] Corte cost. 131/2012

[161] Corte cost. 77/2011

[162] Corte cost. 32/2012

[163] Art. 1, c. 180, L. 311/2004

[164] A. ADDUCE, I piani di rientro dal punto di vista del monitoraggio della spesa sanitaria, www.salute.gov.it,  7, 2011, 7

[165] Cons. St. 604/2015

[166] La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, cit., 402

[167] Ibid.

[168] Ibid.

[169]Ibid.

[170] Cons. St. 604/2015

[171] Ibid.

[172] La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, cit., 403

[173] Ibid.

[174] Cons. St. 604/2015

[175] d.m. dicembre 2001 - G.U. Serie Generale , n. 34 del 09 febbraio 2002

[176] Cons. St. 64/2015

[177] entro 45 giorni dall’approvazione delle Regione  dovrà essere esaminato dalla Conferenza Stato-Regioni

[178] La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, cit., 408

[179] G. Carpani, D. Morana, Le competenze legislative in materia di “tutela della salute”, a cura di  Balduzzi, R., Carpani, G., Manuale di diritto sanitario, Il Mulino, BO, 2013, 91

[180] Le competenze legislative in materia di “tutela della salute”, cit., 93

[181] Ibid.

[182] Ibid.

[183] Ibid.

[184] Ibid.

[185] Corte cost. 9/2008

[186] Ibid.

[187] Art. 118, c.1, Cost.

[188] Corte cost. 232/2011

[189] Le competenze legislative in materia di “tutela della salute”, cit., 94

[190] Corte cost. 242/1997

[191] Corte cost. 217/2020

[192] Ibid.

[193] Ibid.

[194] Corte cost. 217/2020

[195] Corte cost. 62/2013

[196] Corte cost. 255/2019

[197] Corte cost. 106/2017

[198] Le funzioni amministrative, op.cit., 132

[199] TAR Abruzzo 292/2011

[200] Ibid.

[201] Il commissariamento della sanità regionale, 1

[202] Il commissariamento della sanità regionale, 1

[203] Corte cost. 78/2011

[204] Ibid.

[205] TAR Abruzzo 292/2011

[206] TAR Molise 727/2013

[207] R. DICKMANN, Poteri sostitutivi, avocazione in sussidiarietà e poteri di ordinanza. Una lettura di sistema, www.Federalismi.it , 19, 29, 2012

[208] Ibid.

[209] Corte cost. 106/2017

[210] Corte cost. 217/2020

[211] Corte cost. 106/2017

[212] G. D’ALESSANDRO,  Una «mera parvenza» di legge regionale al giudizio della corte costituzionale, https://www.giurcost.org/studi/, 6, 2010, 5092

[213] E. GROSSI, La legge con l’asterisco,  Paper di Forum di Quad. cost., 27.07.2010, https://www.forumcostituzionale.it, 7

[214] V. TAMBURRINI,  Sull’esercizio in forma indiretta dei poteri sostitutivi statali. lo strano caso della legge commissariale, Rassegna Parlamentare,  2, 2011,  4

[215] Sull’esercizio in forma indiretta dei poteri sostitutivi statali. lo strano caso della legge commissariale, cit., 2

[216] Corte cost. 361/2010

[217] La difficile “metabolizzazione” regionale del ruolo del Commissario ad acta nell’attuazione dei piani di rientro e la ferma posizione della Corte costituzionale, op. cit., 29

[218] Corte cost. 361/2010

[219] Il commissario ad acta può esercitare il potere sostitutivo in via normativa?, cit., 32

[220] Il commissariamento della sanità regionale, cit., 1

[221] Corte cost. 78/2011

[222] Corte cost. 43/2004

[223] C. TUBERTINI, La governance del sistema sanitario nazionale tramite le c.d. gestioni Commissariali: i nodi irrisolti, in DE VINCENTI C., FINOCCHI GHERSI R., TARDIOLALA  A., La sanità in Italia. Organizzazione, governo, regolazione, mercato, Bologna, Il Mulino, 2011, 3

[224] Corte cost. 255/2019

[225] La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, cit., 404

[226] La governance del sistema sanitario nazionale tramite le c.d. gestioni Commissariali: i nodi irrisolti, cit., 37

[227] Corte dei Conti, 22/2009

[228] E. JORIO, La Corte dei Conti boccia i Piani di rientro regionali del debito pregresso della sanità, in Federalismi, 2010, n.2, 2

[229] Corte cost. 219/2013

[230] La logica dei piani di rientro e il difficile equilibrio tra autonomia e responsabilità, cit., 393

[231] Art. 2, c. 77, L.191/2009

[232] M. BORDIGNON, S. CORETTI, G. TURATI, I Piani di Rientro della sanità regionale: quali risultati finora?, Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, Università Cattolica del S. Cuore, 2019 www.osservatoriocpi.unicatt.it, 2

[233] Il modello dei piani di rientro dal disavanzo sanitario dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio, cit. 45

[234] Corte cost. 328/06Bibliografia

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