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Pubbl. Sab, 15 Lug 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

In attesa della regolamentazione delle Lobby

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Giuseppa La Masa
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Enna Kore



Lo scopo del presente lavoro è quello di illustrare l´origine e l´evoluzione giuridica del fenomeno lobbistico alla luce del progetto di legge approvato dalla Camera il 22 gennaio 2022, in assenza di una normativa ad hoc. A tal proposito cercheremo di illustrare come le lobby, ossia i gruppi di pressione che influenzano il decisore pubblico, sia a livello nazionale che internazionale, possono rappresentare degli utili strumenti democratici per il bene della collettività.


ENG

Waiting for lobby regulation

The purpose of this work is to illustrate the origin and legal evolution of the lobbying phenomenon in the light of the bill approved of Chamber on 22 January 2022, in the absence of ad hoc legislation. In this regard we will try to illustrate how the lobbies, or rather the pressure groups that influence the public decision maker, both nationally or internationally, can represent useful democratic tools for the good of the community.

Sommario: 1.  Introduzione: finalità e scopo dell’indagine; 2. L’origine delle lobbies; 3. Il fenomeno lobbistico negli USA; 4. Il caso europeo; 5. il fenoemno lobbistico in Italia; 6. Traffico di influenze illecite e lobbying; 7. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione: finalità e scopo dell’indagine

Lo scopo del presente elaborato è quello di analizzare l’origine e l’evoluzione storica e giuridica del fenomeno lobbistico, ossia la presenza dei gruppi di pressione nei vari stati. Tale fenomeno è abbastanza radicato nella cultura giuridica occidentale e presenta delle caratteristiche importanti per i sistemi democratici-liberali. A tal proposito occorre chiarire come le lobby siano nate, si siano affermate nel panorama internazionale e come le stesse riescano ad influenzare il decisore pubblico.

Negli ultimi anni i gruppi di pressione sono diventati una costante e un punto di riferimento per il legislatore, poiché si presentano come portatori di interessi collettivi e individuali. L’indagine sulla regolamentazione dell’attività di lobbying deve prendere le mosse dall’analisi di quale possa o debba essere il ruolo dei gruppi di interesse all’interno dello Stato e per gli organi decisionali.[1]

La dottrina si è divisa tra chi ha evidenziato il profilo negativo e non funzionale del fenomeno, vedendola quasi come una malattia e chi, viceversa, ne ha valorizzato la presenza per i sistemi di democrazia pluralista. Sulla base della visione di Esposito[2] , in Italia il mancato riconoscimento costituzionale delle lobby si deve leggere come un rifiuto nel porre tali gruppi come rappresentanti degli interessi collettivi, sulla base del fatto che l’art. 49 Cost. ha individuato nell’associazione in partiti politici lo strumento tramite cui «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», escludendo di fatto i gruppi di interesse nella realtà normativa dell’ordinamento.

A partire dal XX secolo il panorama italiano fu caratterizzato dalla crisi del modello dei partiti che spinse allo sviluppo di modelli alternativi e allo sviluppo di gruppi di pressione.[3]Una crisi che si rinviene nei cambiamenti sociali, economici e culturali della società e che porta ad una perdita di fiducia del cittadino, che diviene sempre più esigente nei confronti della politica.

Occorre evidenziare come lo sviluppo delle lobby sia in Europa e sia in Italia è un fattore relativamente recente, mentre negli USA non solo è regolamentato ma vi è anche la presenza di una ricca giurisprudenza a riguardo. L’assenza di una normativa ad hoc ha portato gran parte dei cittadini a vedere le lobby come “gruppi loschi” che agiscono senza controlli e nel non rispetto delle regole. A tal proposito va precisato come vi sono molti interrogativi che ruotano attorno al termine lobby e a tali interrogativi ancora non è possibile rispondere a causa dell’assenza di una legislazione che consenta di poter collocare e comprendere la portata di tali gruppi all’interno della società. Nel presente articolo oltre a collocare storicamente la nascita dei gruppi di pressione, si cercherà altresì di comprendere gli interventi a livello europeo e a livello nazionale che lentamente si stanno aprendo al riconoscimento e alla regolamentazione delle lobby[4]. Il problema che viene rilevato è quello della poca trasparenza dei lobbisti a causa della mancanza di una legge che li disciplini e che li riconosca come lobbysti a livello professionale. Infatti fin dall’inizio l’attività di lobbying viene vista come il rapporto di interesse che nasce per rapporti clientelari e di parentela per scopi corruttivi. Le difficoltà incontrate dai paesi europei nel disciplinare le lobby nascono non solo dalla necessità di dare una definizione puntuale dell’attività di lobbying e del termine lobby ma anche dal definire i confini e il tipo di interesse che emerge, che non è solo di tipo economico. Dunque la varietà di soggetti porta a definire le lobby come centri di imputazione che esprimono gli interessi di determinate categorie e che influenzano le decisioni politiche e amministrative.

Al fine di disciplinare il fenomeno in esame si deve necessariamente introdurre una regolamentazione che si occupi di trasparenza e vigilanza per evitare i fenomeni corruttivi; infatti molti stati hanno introdotto un registro per consentire ai vari lobbysti di iscriversi, e in Italia la vigilanza spetta All’ANAC. L’Italia ispirandosi al modello europeo con riguardo al Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea, ha istituito un apposito registro obbligatorio presso l’ANAC per controllare l’iscrizione dei lobbysti. A ben vedere l’ANAC non dovrebbe solo visionare l’iscrizione dei lobbisti all’interno del registro, ma il potere di vigilanza dell’Autorità dovrebbe essere previsto per tutta la durata dell’attività di lobbying.

Se vogliamo essere precisi nell’analisi del fenomeno occorre una espressa previsione legislativa con sanzioni e controlli che ne garantiscono la correttezza.

L’agenda degli incontri istituita il 14 febbraio del 2019 concernente i rapporti tra ANAC e portatori di interesse, si rivolge solo all’attività di lobbying riferita al Presidente, ai componenti del Consiglio, al Segretario Generale e ai dirigenti qualificati come decisori pubblici interni. Ovviamente sono esclusi i rapporti con gli altri soggetti che non sono qualificati decisori pubblici interni, creando così il problema dell’istituzione di ulteriori registri.

Le problematiche sottese all’attività di lobbying potrebbero essere risolte solo in seguito all’approvazione del progetto di legge approvato dalla Camera il 22 gennaio 2022, che potrebbe regolamentare le lobby e il loro ruolo nella società.

2. L’origine delle lobbies

Per comprendere meglio l’attività di lobbying si deve certamente comprendere l’origine del termine lobby, che nella sua forma attuale potrebbe sembrare un termine inglese ma in realtà discende dal latino tardo laubia che vuol dire letteralmente loggia.

Nel diritto anglosassone il lobbying è molto risalante e si evolve storicamente con la Magna Carta del 1212 che consentiva di poter rivolgere petizioni al governo. Tale termine fu usato anche da Thomas Bacon nel 1553 e poi successivamente da William Shakespeare.

Nel XIX secolo con “lobby” si intendeva, nella House of Commons, una grande anticamera i cui membri del Parlamento usavano votare durante una division e da quel momento si iniziò a far uso dei termini lobbyist e lobbying.

Le lobby fanno riferimento a degli attori esterni che riescono ad influenzare i processi decisionali del decisore pubblico. Tali attori esterni sono gruppi di persone che, senza appartenere a un corpo legislativo e senza incarichi di governo, si propongono di esercitare la loro influenza su chi ha facoltà di decisioni politiche, per ottenere l’emanazione di provvedimenti normativi, in proprio favore o dei loro clienti, riguardo a determinati problemi o interessi[5].

Spesso al termine lobby è data un’accezione negativa, ossia l’attività volta a distorcere i processi decisionali democratici. Ovviamente tale visione negativa delle lobby si ha solo in quei paesi in cui vi è l’assenza di una normativa ad hoc volta a garantire i processi decisionali e la trasparenza[6].

Nell’attività di lobbying due figure sono emblematiche: il decisore pubblico e il lobbista, presenti in qualsiasi epoca e in ogni forma di governo. Si può così affermare che l’attività di pressione svolta dalle lobby ha il compito di influenzare e persuadere il decisore pubblico. A tal proposito è bene evidenziare che il decisore pubblico è il soggetto che detiene il potere e che prende le decisioni di portata generale. In tal senso si può fare riferimento ad una definizione del lobbying come “un processo realizzato da un soggetto rappresentativo di un interesse socialmente legittimato, finalizzato a influenzare gli orientamenti e le scelte del decisore pubblico e dei suoi influenti”.[7]

Dallo studio di tale fenomeno emerge che la rappresentanza di interessi è presente in qualsiasi società e determina i processi decisionali.

Si deve tenere in considerazione che il fenomeno lobbistico non è solo presente nelle società democratiche ma anche nei regimi autoritari; e questo sfocia nella corruzione in assenza di regole ben definite.

Il ruolo di maggior rilievo, per le lobby, si ebbe nel 1787, quando James Madison, uno dei padri fondatori della Costituzione statunitense, in una serie di scritti fece riferimento a dei gruppi organizzati dai cittadini che potevano influenzare le scelte politiche. Ma solo nei primi del ‘900 in California cominciarono a diffondersi ancora di più i gruppi di pressione, poi divenuti dominanti dopo il 1929 a seguito della grande depressione.

L’influenza statunitense riguardante le lobby giunse in Europa nella seconda metà del 900 e divenne predominante grazie all’Unione Europea.

3. Il fenomeno lobbistico negli USA

Il fenomeno lobbistico negli USA ha trovato la sua massima realizzazione e disciplina a Washington.

Infatti il diritto di petizione negli Stati Uniti D’America, è stato codificato nel 1641 con il Body of Liberties dal Massachusetts Bay Colony Assembly, divenendo uno dei documenti rilevanti a livello costituzionale nelle colonie.[8] Nel 1971 il diritto di petizione fu inserito nel Bill of Rights, e inserendosi di diritto nel Primo Emendamento, che garantisce il diritto ai cittadini di poter inoltrare petizione per riparare i torti subiti.[9]

Una delle prime Costituzioni Americane che aveva fatto riferimento al sistema lobbistico fu quella della Georgia nel 1877, e successivamente la California nel 1879 aveva inserito sanzioni per coloro che influenzavano i politici a commettere reati.

Una legge del Massachusetts del 1890 introdusse l’obbligo per i lobbisti di registrarsi in un apposito registro e si prevedevano altresì sanzioni qualora i lobbisti incitavano nella commissione di reati.

Nel 1919 il Congresso con la legge Lobbying With Appropriated Moneys che prevedeva un divieto generale per l’utilizzo dei fondi pubblici per finanziare l’attività di lobbying[10].

I principali atti che hanno regolato l’attività di lobbying sono The Federal Regulation of Lobbying Act, che prevede l’iscrizione in un registro dei gruppi di interesse e impone il rispetto di un codice di condotta; The Bird Amendment, che stabilisce limiti e divieti concernenti l’utilizzazione dei fondi federali per le attività di lobbying; The Foreign Agents Registration Act, che prevede obblighi di registrazione per chi intenda operare come agente di lobby che rappresenta interessi stranieri.

Ulteriori progetti di legge per la regolamentazione delle lobby furono il Legislative Activities Disclosure Act of 1957 e il Public Disclosure Lobbying Act del 1976 che non furono però approvati.

Solo nel 1995 il Congresso approvò la legge principale, vigente tutt’ora che regola il sistema lobbistico, ossia il Lobbying Disclosure Act of 1995.

Il fenomeno lobbistico in America va esaminato anche alla luce delle sentenze emesse dalla Corte Suprema.[11]

La questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte con riguardo alla validità delle lobbies e al principio di libertà di espressione, ha portato alla celebre sentenza US vs. Harriss, in cui i giudici americani hanno riconosciuto il “right to petition the Governament for a redress of grievances” ai lobbisti e dunque considerare il lobbying attività lecita.[12]

A tal proposito la Corte ha chiarito che affinché si possa parlare di lobbista ai sensi del Lobbying Act, il lobbista deve possedere tre requisiti: la persona deve avere sollecitato o raccolto o ricevuto contribuzioni; uno dei principali scopi di tale persona o di tali contributi deve essere quello di influenzare l’approvazione o il rigetto di legislazione da parte del Congresso; il metodo che ci si propone di seguire deve essere quello della comunicazione diretta con il Congresso. [13]

La questione fondamentale della protezione costituzionale è stata affrontata in Harriss e successivamente ribadita in altri due casi conosciuti come le c.d. Noer-Pennigton doctrine. Il primo caso è l’Eastern Railroads President Conference v. Noerr Motor Freight Inc.[14],che riguardava una controversia tra una società di trasporto di camion e una società ferroviaria, dove le prime imputavano alle seconde la violazione della disciplina concorrenziale contenuta nel c.d. Sherman Act. In particolare la controversia riguardava una campagna pubblicitaria contro gli autotrasportatori influenzando il decisore pubblico per delle leggi favorevoli ai trasporti ferroviari.

La Corte si era espressa in favore della ferrovia affermando che non vi era stata alcuna violazione della disciplina concorrenziale in quanto era nel pieno diritto delle lobby ferroviarie influenzare l’opinione del legislatore in virtù del diritto di petizione riconosciuto dal Primo Emendamento.[15]

La decisione della Corte espressa nel caso Noerr fu poi ribadita nella sentenza United Mine Workers of America v. Pennigton, dove si chiarì ulteriormente che l’accordo tra grandi imprese e sindacati volti ad escludere dal mercato alcune aziende non poteva considerarsi anticoncorrenziale e rientrava nell’attività di lobbying.

Un caso antecedente alla storica sentenza Harriss si tratta di United States v. Rumely,[16] con riferimento ad un procedimento penale contro il segretario dell’organizzazione Committee for Costitutional Governament, che vendeva libri che criticavano il sistema del Welfare State. Tali libri attirarono l’attenzione della Camera che aprì un’indagine affidata allo House Committee on Lobbying Activities. Dopo una prima sentenza che aveva portato alla condanna di Rumely, l’appello successivo della sentenza portò all’assoluzione completa in virtù del principio contenuto nel Primo Emendamento che consentiva di esprimere il proprio pensiero liberamente anche attraverso l’uso di libri, riviste, giornali o qualsiasi mezzo digitale. In Rumely i giudici tracciarono la netta distinzione tra lobbying in senso stretto che riguardava l’influenza nei confronti del decisore pubblico e il grassroots lobbying o lobbying indiretto, che attraverso la manifestazione del pensiero influenzava l’opinione pubblica.[17]

Inoltre una problematica che occorre evidenziare riguarda la possibilità o meno di utilizzare i fondi pubblici per finanziare le attività di lobbying. Il legislatore americano intende evitare che i soldi pubblici siano utilizzati dalle lobby. A tal proposito alcune disposizioni sono l’Anti-Lobbying Act, il Federal Acquisition Regulation e il c.d. Bird Amendament; mentre le prime due disposizioni sono state disapplicate, il Bird Emendament, una disposizione aggiunta al Department of the Interior and Related Agencies Appropriations Act del 1990, codificato come 31 USC 1352 ossia Limitation on use of appropriated funds to influence certain Federal contracting and financial transactions. Il Bird Emendament si occupa di un divieto di finanziare le attività di lobbying per coloro che abbiano ricevuto fondi federali, salvo le eccezioni previste dalla Section.

Tale Bird Emendament, alcuni anni fa, fu oggetto di una pronuncia incostituzionale per violazione del primo Emendamento nel celebre caso United States v. National Training and Information Center. La Corte Suprema si espresse riconoscendo la non violazione del Primo Emendamento per il fatto che non vi è alcun diritto a vedere la propria manifestazione del pensiero sussidiata dal governo.[18]

Ulteriori conferme che negano la possibilità di finanziare le lobby furono date sia dal caso Cammarano v. United States e dal caso Regan v. Taxation with Representation.

Un ulteriore sentenza Citizens United vs FEC ha specificato come lobby non può essere intesa solo in senso negativo o collegata al fenomeno corruttivo, respingendo così l’idea che in nome dell’uguaglianza politica possa essere limitata la libertà di espressione, sancita nel Primo Emendamento, che trova realizzazione anche attraverso il finanziamento ai partiti. Con tale pronuncia vengono legalizzati i finanziamenti elettorali diretti da parte di società e organizzazioni.

Come si può ben capire il lobbying è tutelato a livello costituzionale come libertà di espressione e di parola per poter convincere il decisore pubblico.

Bisogna tenere in considerazione come la società americana vede le lobbies non come un’attività tenebrosa ma come gruppi di pressione che esercitano un diritto fondamentale (riconosciuto dalla Costituzione) ed essenziale per il corretto funzionamento del sistema democratico.

Una normativa completa sul lobbismo negli Stati Uniti arrivò nel 1995, con il Lobbying Disclosure Act, che obbligò i gruppi a seguire un preciso codice di condotta nel loro rapporto con la politica.

Durante gli anni 80, negli USA sono nate anche le lobby di massa caratterizzate dalla presenza di cittadini che cercano di raggiungere determinati obiettivi e si sciolgono dopo averli raggiunti.

Va evidenziato come la politica di Barack Obama fu improntata a contrastare il ruolo dei lobbisti che influenzavano eccessivamente la politica, ma tale esigenza di cambiamento non riuscì ad avere la meglio a causa del fatto che il fenomeno lobbistico è intrinseco e radicato nel sistema.

A mio parere risulta chiaro che il politico americano per emergere avrà bisogno del ruolo dei gruppi di pressione non solo per i consigli ma anche per i finanziamenti pubblici[19].

Una famosa frase del presidente Kennedy (“Il lobbista mi fa capire in tre minuti quello che un mio collaboratore mi spiega in tre giorni”) sintetizza in poche parole quali erano le caratteristiche del lobbista e fa comprendere la sua particolare importanza. Il lobbista è fondamentale per la pubblica amministrazione e consente al decisore pubblico quello che c’è da sapere su un determinato argomento in tempi rapidi[20]. Secondo tale accezione il lobbista può essere inteso come un «semplificatore della realtà», ovvero come un professionista che riesce a divenire una fonte di informazione autorevole per il decisore pubblico.[21] Ovviamente quello che dobbiamo comprendere è che i gruppi di pressione non sono dei soggetti che gratuitamente per il bene mondiale offrono la loro consulenza ai politici, ma agiscono per assicurarsi delle leggi e dei provvedimenti a loro favorevoli, in cui il legislatore rappresenta il lato dell’offerta nel mercato politico e i lobbisti cercano di acquistare dai decisori pubblici la legislazione più vantaggiosa.

Come afferma Roberto Di Maria, in un saggio che tratta del delicato argomento delle lobby, il sistema normativo statunitense fa esplicito riferimento alla presenza costante dei gruppi di pressione, ma regolamentandone qualsiasi aspetto in modo tale da garantire la tracciabilità e la trasparenza nei contatti tra rappresentanti di interessi e decisore politico.

Quello che si può notare negli Stati Uniti è la presenza di innumerevoli associazioni attive nella vita sociale, portando così alla realizzazione di un sistema di rappresentanza degli interessi non istituzionalizzato, che permette la piena partecipazione della società attraverso opere di intermediazione. Quest’opera di intermediazione viene effettuata in maniera prevalente dalle lobby, le quali hanno un ruolo centrale per far comprendere al decisore pubblico quali sono gli interessi maggioritari e mostrare le caratteristiche essenziali della democrazia.

Come affermava Tocqueville “è proprio la partecipazione che rende l’uomo cittadino poiché partecipando alla legislazione, l’americano impara a conoscere le leggi, governando s’istruisce sulle forme del governo”.[22]

 4. Il caso europeo

Il ruolo delle lobbies non è stato fondamentale solo negli USA ma anche nel vecchio continente. A tal proposito ci sono stati numerosi studiosi che hanno effettuato un’attenta analisi dei processi decisionali all’interno del contesto europeo.

Il rapporto tra Commissione europea e Gruppi di Interesse inizia con la nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1951 e con la Comunità Economica Europea (CEE) istituita nel 1957, ma ancor di più con l’evoluzione del sistema economico, legislativo e sociale dell’Unione Europea. I grandi cambiamenti istituzionali nello scenario europeo hanno dato luogo anche a importanti adattamenti sul fronte dell’organizzazione delle lobby e delle strategie che queste sviluppano.

La presenza forte dei rappresentanti degli interessi ha spinto Bruxelles a regolamentare tale fenomeno cercando di garantire trasparenza nelle relazioni tra questi attori esterni e il decisore pubblico.

Per dare una definizione di lobbying a livello europeo si tengono in considerazione “tutte le attività (...) svolte con l'obiettivo di influenzare direttamente o indirettamente la formulazione o l'attuazione delle politiche e i processi decisionali delle istituzioni dell'Unione, indipendentemente dal luogo in cui sono intraprese e del canale o mezzo di comunicazione utilizzato”.[23]

Dallo studio di tale fenomeno ho avuto modo di constatare come le lobby rappresentano un utile strumento per reperire informazioni per il procedimento legislativo europeo.

La funzione principale del lobbying in Europa è quello di spingere gli organi legislativi europei ad approvare leggi che favoriscano gli interessi che rappresentano.[24]

Il lavoro dei lobbisti consiste nell’incontro con chi prende le decisioni all’interno delle istituzioni europee e chiarire la loro posizione tramite una pubblica riunione in cui devono fornire le proprie generalità e il motivo dell’incontro.

Tale soluzione è adottata, in particolar modo, per dare ai cittadini la trasparenza e la chiarezza per qualsiasi attività venga intrapresa a livello europeo. Si tratta di una parte della cosiddetta accountability, ovvero della responsabilità, da parte di chi ha un ruolo pubblico, di rendicontare come usa le risorse pubbliche e di far comprendere gli interessi nonché le relazioni che il settore pubblico intrattiene con i diversi gruppi di interesse[25].

La presenza costante dei rappresentanti degli interessi nello scenario europeo ha spinto ad una modifica delle regole del sistema lobbistico e nel 2021 il Consiglio dell’Unione Europea, la Commissione ed il Parlamento ha previsto l’iscrizione di questi attori esterni in un registro per la trasparenza. L’iscrizione al registro è subordinata al rispetto di un codice di condotta e l’obbligo di pubblicazione degli incontri.[26]

In particolare, si è inteso tutelare la professione dei rappresentanti dei gruppi d’interesse, come organizzazioni o liberi professionisti, la cui attività è definita dalla capacità di «esercitare una funzione essenziale nel dialogo aperto e pluralista su cui si basa un sistema democratico costituendo per i parlamentari una fonte importante di informazioni nell’ambito dell’esercizio del loro mandato». Il Registro comune mette a disposizione dei cittadini l’accesso diretto alle informazioni su chi svolge attività di pressione all’interno del processo decisionale dell’Unione europea; tutela il potere del Parlamento di fronte ai possessori di badge di accesso; prescrive la registrazione da parte dei deputati di interessi finanziari, da modificare qualora vi sia un cambiamento del suo status. Secondo le intenzioni dell’accordo, il Registro per la trasparenza è un attestato ufficiale di garanzia a certificazione dell’attività professionale registrata. Il lobbying diventa, quindi, anche in Europa una professione riconosciuta[27].

Negli ultimi anni nonostante l’impegno degli organi dell’unione a prevenire forme corruttive si sono verificati casi in cui la poca trasparenza negli incontri e le c.d. “porte girevoli”, ossia il fatto che alla fine del mandato i componenti degli organi dell’UE possono entrare a far parte delle lobbies, ha portato a scandali nello scenario politico sovranazionale. Tutto ciò dimostra la necessaria e urgente misura per creare chiare regole di trasparenza e di strumenti contro la corruzione tanto nelle istituzioni europee quanto a livello nazionale. Gli studiosi della materia hanno ipotizzato la creazione di lobby anche da parte dei cittadini per cercare di contrastare i poteri forti delle multinazionali, che, come hanno più volte sottolineato Corporate Europe Observatory & Lobby Control, sono le industrie chimiche e del Big Tech.

Tra le proposte in discussione per la modifica delle regole sui gruppi di pressione c’è da un lato l’introduzione di un registro a iscrizione obbligatoria per i lobbisti e l’estensione per il Consiglio dell’UE delle regole vigenti in materia di lobbying, dall’altro la richiesta di autoregolamentazione dei gruppi di pressione, che però non garantirebbe un controllo efficace sui gruppi[28].

L’esigenza di cambiamento per garantire una maggiore stabilità e trasparenza ha portato il Commissario europeo alla trasparenza a nominare un gruppo di esperti per chiarire quali procedimenti e modifiche adottare affinché sia assicurata una maggiore trasparenza. Il gruppo di esperti ha evidenziato che i gruppi di pressione dovrebbero essere tenuti sotto controllo anche dai tenutari del registro e l’iscrizione allo stesso dovesse divenire obbligatoria. Come abbiamo potuto rilevare, nonostante l’invito ad effettuare tali modifiche, ancora rimane lontana l’idea del cambiamento che potrebbe essere l’input per uno sviluppo di tutta l’Europa[29].

La regolamentazione delle lobby rappresenta per l’Unione una lunga e faticosa conquista dovuta all’assenza di una mentalità pluralista come si ha negli USA e all’assenza del principio costituzionale presente nel Primo Emendamento Americano del c.d. right to petition. La differenza tra il sistema americano delle lobby e quello europeo è oltre che storico relativo alla più ampia forma di pubblicizzazione dell’attività lobbistica in America che garantiva una maggiore trasparenza e una partecipazione ampia dei diversi gruppi di interessi.

Occorre chiarire come solo nel 2002 con la Comunicazione sui “Principi generali e requisiti minimi per la consultazione delle parti, la Commissione ha spiegato chiaramente cosa volesse dire “consultazione delle parti”, ossia quel procedimento mediante il quale dei soggetti esterni influenzano le decisioni del decisore pubblico, ma chiarendo altresì i confini della loro influenza nel sistema complesso di decision making.

Inoltre la Commissione è l’organo in cui i diversi gruppi di interesse fanno riferimento in quanto svolge la funzione legislativa, elabora i regolamenti e si pone l’obiettivo di regolare i rapporti a livello internazionale. L’interesse della Commissione ai gruppi di interesse è connesso al «rafforzamento delle proprie strategie informative», al «miglioramento della valutazione di impatto economico, amministrativo e politico delle proprie proposte» e, correlativamente, alla «ottimizzazione della qualità della legislazione».[30] Nel corso degli anni la stessa Commissione si è servita dei gruppi di pressione per ottenere delle informazioni importanti per le creazioni di leggi che mirassero a raggiungimento dell’interesse della collettività europea. L’intensificarsi del rapporto tra le lobby e i vari organi europei ha portato all’emanazione del c.d. Libro Bianco e del c.d. Libro Verde per una regolamentazione completa dell’attività di lobbying incentrata sulla trasparenza, sulla partecipazione e sulla pubblicizzazione del processo decisionale.

Come viene affermato da Antonucci “se tutte le parti in gioco nell’elaborazione di una politica della Commissione, così come l’opinione pubblica sono in grado di identificare (…) i gruppi portatori degli interessi coinvolti…l’origine del finanziamento e le finalità dell’azione lobbistica”[31] si otterrebbe una completa trasparenza nella gestione del sistema decisionale.  Inoltre la Commissione considera tale fenomeno quale «componente legittima dei sistemi democratici, a prescindere se sia svolta da singoli cittadini o società, da organizzazioni della società civile o da altri gruppi di interesse o ditte che lavorano per conto di terzi»[32]

Un esame più attento del fenomeno lobbistico a livello comunitario ha portato ad evidenziare come la struttura politico-istituzionale dell’Unione europea ha reso i gruppi di pressione attori vitali del sistema decisionale nonostante l’assenza di partiti politici europei; infatti va menzionata la differenza con gli USA dove sono gli stessi partiti contattati dalle lobby.[33] 

Ulteriore aspetto che va rilevato la totale assenza a livello giurisprudenziale di un diritto delle lobby ad intervenire o influenzare il decisore pubblico; infatti la Corte di Giustizia dell’UE non si è mai espressa sul diritto a partecipare ad un procedimento legislativo in capo a individui o a gruppi a differenza della Corte Americana, la quale ha più volte sancito la costituzionalità delle lobby.

Dunque a differenza dei giudici americani la Corte di Giustizia dell’UE non ha riconosciuto un diritto fondamentale al lobbying e sembrano spesso non prendere alcuna posizione.

Il crescente fenomeno lobbistico ha portato le istituzioni europee ad una rapida regolamentazione di tale fenomeno e a richiedere agli stati membri il riconoscimento dell’attività di lobbying. Secondo la visione europeista il lobbying appare fondamentale per l’esercizio e per il buon funzionamento della democrazia; infatti occorrerebbe vedere le lobby non tanto come espressione di un diritto degli individui a farsi ascoltare dal decisore pubblico ma quanto per fornire informazioni utili per il raggiungimento degli interessi collettivi. Secondo Scharpf proprio le lobby sarebbero lo strumento adeguato a superare il deficit democratico europeo.[34]

Possiamo di certo concludere affermando l’utilità del lobbying in un sistema democratico come quello europeo anche se si tratta ancora di un modello che si deve consolidare e sviluppare, proprio per evitare fenomeni corruttivi come quello che si è verificato recentemente a seguito della corruzione del vicepresidente dell’Eurocamera. Questo scandalo ha portato ulteriori dubbi con riguardo alle norme vigenti sull’attività di lobbying che appaiono molto sintetiche e non garantiscono un controllo continuo.

5.  il fenomeno lobbistico in Italia

L’Italia è uno dei pochi paesi europei che non ha ancora regolamentato con una normativa ad hoc la disciplina dei gruppi di pressione nonostante siano presenti e radicati all’interno dello Stato[35].

Fondamentalmente l’inesistenza di una disciplina per i rappresentanti degli interessi non impedisce ai gruppi di interesse di utilizzare diversi canali per i rapporti con i diversi organi dello stato.

Nel sistema giuridico italiano il riconoscimento dei gruppi di interesse si basa sull’articolo 18 Cost. che sancisce il principio di libertà di associazione per scopi non vietati dalla legge penale.[36]

Le lobby, nell’immaginario collettivo, sono state associate ai partiti politici, dato che “entrambi raccolgono la domanda politica, mediano tra società e governo, partecipano alle scelte politiche, rappresentano occasioni di integrazione sociale”[37]. Occorre però puntualizzare che le lobby a differenza dei partiti politici non partecipano alle elezioni, non hanno una funzione di rilievo costituzionale e hanno l’obiettivo di influenzare le decisioni del decisore pubblico. Secondo la visione di Ruffilli[38]la mediazione esercitata dai partiti, sindacati e vari organismi ha rilegato i gruppi di interesse a posizioni marginali e la promozione degli interessi avviene con strumenti informali. In quest’ottica possiamo certamente fare riferimento all’opinione di Trupia, il quale afferma che «la lobby rappresenta, per il politico di professione, un canale di comunicazione formale tecnicamente strutturato per entrare in contatto con gli interessi reali e fare, ordinatamente, scambio politico»[39] .

Bisogna precisare come lo stretto collegamento tra dimensione negoziale e dimensione partecipativa risale agli anni Ottanta quando la negoziazione della legge veniva fatta risalire alla visione democratica della partecipazione all’attività legislativa[40]e rientrava nel più ampio principio pluralista, come confermano le disposizioni presenti nella Costituzione con riguardo alla partecipazione del cittadino-elettore e la promozione delle formazioni sociali.

La non conoscenza del fenomeno ha fatto sviluppare una visione negativa delle lobby, viste come privilegio di casta, che ha inciso negativamente anche sull’opinione del legislatore bloccando e vanificando la legislazione nel settore lobbystico[41].

La presenza dei gruppi di pressione in Italia si consolidò nel 1993, quando concorsero ad influenzare le decisioni pubbliche nella formazione delle leggi.

L’attività di lobbying spesso viene considerata come un’attività criminosa e mancano delle leggi che disciplinano il fenomeno ad eccezione di alcune leggi, quali leggi n. 349/198, 281/1998 e 262/2005, che tengono in considerazione seppur minimamente la disciplina della rappresentanza degli interessi.

Nonostante il forte contrasto da parte dei partiti politici alle lobby, quest’ultime hanno avuto la meglio nello scenario politico italiano sia per la presenza delle stesse in ambito europeo sia per la crisi della democrazia causata dalla debolezza del sistema politico e dal vuoto di legittimazione in cui sono incorsi i partiti politici. A tal proposito in Italia era radicata l’idea che fossero i partiti politici gli unici rappresentanti degli interessi e la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità delle lobby attraverso la sentenza n. 379/2004.

La legislazione ordinaria ha altresì dimostrato nel corso degli anni un’apertura verso il riconoscimento della rappresentanza di interessi ed in particolare lo si denota dall’art. 14 della legge 246/2005 e dagli articoli 144 e 48 dei Regolamenti di Camera e Senato.

Da anni oramai gli studiosi e gli esperti del settore richiedono al Parlamento una legge che disciplini il lobbying e proprio per evitare che non vi fossero regole per disciplinare tale fenomeno la Giunta per il regolamento della Camera dei Deputati adottò nel 2016 il Codice di condotta dei deputati e la Regolamentazione di rappresentanza di interessi .

Il codice di condotta fa riferimento alle norme di comportamento per garantire il rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità da parte di ogni deputato, prevedendo anche delle sanzioni in caso di violazioni al Codice. La Regolamentazione invece tiene in considerazione le attività di rappresentanza di interessi che vengono svolte nei confronti dei deputati. I soggetti che svolgono tali attività devono essere iscritti in un apposito registro e sono tenuti a presentare un resoconto annuale a Montecitorio. 

Risulta anche evidente come il sistema italiano è frammentario e consente ai diversi organi dello Stato di adottare provvedimenti diversi; infatti, mentre la Camera ha cercato di regolamentare la rappresentanza di interessi per un processo decisionale più trasparente, lo stesso non può dirsi per il Senato della Repubblica che non ha adottato alcun provvedimento.

Finalmente alla Camera è stato presentato un disegno di legge che ha avuto l’approvazione di tutti i deputati (22 gennaio 2022) e che aspetta il parere favorevole del Senato, il quale ha istituito un comitato di esperti per (eventualmente) apportare delle modifiche al disegno di legge che riguarda le lobbies. I principi ispiratori previsti anche a livello europeo sono: pubblicità, partecipazione democratica, trasparenza, conoscibilità dei processi decisionali. Risulta essenziale che per il corretto funzionamento del nostro sistema democratico gli organi decisionali agiscano nella massima trasparenza. Una legge chiara in questo senso potrebbe portare a una maggiore responsabilizzazione della classe politica che dovrebbe tenere in considerazione tutti gli interessi in gioco.

La proposta di legge sulle attività di lobbying è il risultato dell’unione di tre proposte precedenti, presentate tra il 2018 e il 2019, e successivamente approvata dalla Camera il 22 gennaio 2022 (A.S. 2495). L’esigenza di garantire la trasparenza nel processo decisionale ha più volte portato il Parlamento italiano, spinto anche dall’Unione Europea, a chiedere la regolamentazione di questi aspetti che pur sempre sono presenti all’interno dello stato italiano.

Il testo del d.d.l. prevede l’istituzione di un apposito registro nazionale che consenta l’iscrizione di quei soggetti che intendono svolgere l’attività di relazione per la rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici. Inoltre, tale registro istituito presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato potrà essere consultato facilmente dal cittadino.

Il testo prevede altresì una specifica agenda degli incontri, un comitato di sorveglianza istituito presso l’Antitrust e la previsione di un codice deontologico per evitare comportamenti illeciti da parte dei lobbisti. Inoltre, i decisori pubblici che intendono proporre atti normativi possono decidere di aprire una procedura di consultazione dandone comunicazione nel registro alle lobby interessate.

I rappresentanti di interesse che non si iscrivono al registro o forniscono informazioni false rischiano una multa che va dai cinque mila ai quindici mila euro.

Con riferimento all’attività parlamentare, le funzioni del Comitato di sorveglianza sono svolte da una Commissione parlamentare bicamerale composta da cinque deputati e cinque senatori.

Il testo è stato approvato alla Camera senza alcun voto contrario, ma gli studiosi hanno rilevato che vi sono dei punti deboli che si spera siano risolti dal comitato ristretto nominato dal Senato per studiare il disegno di legge e approvarlo con gli emendamenti.

Uno dei punti deboli che viene evidenziato ulteriormente è l’esclusione dagli obblighi di trasparenza per alcuni lobbisti quali organizzazioni sindacali e imprenditoriali.

Un altro problema riscontrato riguarda il lasso di tempo troppo breve, che secondo la normativa intercorrerebbe tra la cessazione di un mandato da decisore pubblico e la possibilità di agire privatamente in un gruppo di interesse, favorendo così un attore esterno che conosce tutti punti salienti di un determinato settore dato l’incarico che precedentemente rivestiva. Si comprende benissimo come l’interazione tra le lobby e l’autorità pubblica è fondamentale per soddisfare gli interessi della collettività.

In quasi tutti i paesi democratici l’attività dei gruppi di pressione viene considerata legittima e si svolge attraverso una serie di norme che garantiscono il corretto funzionamento del sistema e la trasparenza perché il rischio che si verifichino dei fenomeni corruttivi risulta molto alto.

Il testo come detto precedentemente prevede un registro per la trasparenza nel quale dovranno iscriversi i rappresentanti degli interessi e un codice di condotta che dovranno seguire i lobbisti.

Il provvedimento prevede altresì l’istituzione di un’agenda pubblica degli incontri, proprio perché il cittadino deve essere al corrente di tutte le discussioni o degli interessi che sono considerati prevalenti rispetto ad altri.[42]

Il disegno di legge, all’articolo 1, individua qual è l’oggetto dell’intervento legislativo ossia la disciplina riguardante la rappresentanza di interessi. I principi su cui si fonda la normativa sono quelli di pubblicità, trasparenza e conoscenza dei processi decisionali.[43]

L’articolo 2 individua i soggetti che esercitano la rappresentanza di interessi, le caratteristiche delle lobby, le diverse categorie di decisori pubblici e la definizione di processi decisionali pubblici.

Ovviamente il testo non trova applicazione nei riguardi di giornalisti, funzionari pubblici, organizzazioni sindacali e organizzazioni imprenditoriali come viene specificato all’articolo 3.

Un elemento di novità riguarda l’articolo 10 che disciplina la procedura di consultazione che ciascun decisore pubblico può indire, qualora intenda proporre un atto normativo. La procedura di consultazione deve essere pubblicata nel Registro inserendo l’oggetto e le caratteristiche dell’atto.

Coloro che sono interessati a conoscere l’atto, in particolar modo i rappresentanti di interessi, i quali possono partecipare alla consultazione identificandosi mediante codice personale.  La consultazione dura 20 giorni, nel corso dei quali gli interessati possono presentare le proprie istanze e in casi urgenti si può chiedere un’abbreviazione dei tempi. Dopo aver terminato le consultazioni il decisore pubblico pubblica le modalità utilizzate per la procedura e le varie istanze presentate dagli interessati.

Qualora dovessero esserci delle violazioni degli obblighi previsti dal Codice deontologico o nelle modalità di partecipazione alla consultazione in base all’art. 11 possono essere irrogate delle sanzioni dal Comitato di sorveglianza presso AGCM.

Dopo un’attenta analisi si può comprendere benissimo come il Parlamento non è riuscito a porre argine al potere delle lobby sia per il fatto che il potere politico è strettamente legato ai vari gruppi di pressione sia per l’instabilità della politica italiana[44]. Infatti, negli anni 90 la crisi partitica ha portato sempre più all’affermazione delle lobby che oramai partecipano attivamente al processo decisionale, con la creazione di una grande diseguaglianza presente nelle leggi dello Stato[45].

Si può certamente avvalorare il fatto che il vuoto normativo in materia lobbistica produce la forte diseguaglianza tra le diverse corporazioni con situazioni di favore verso quelle più forti, perdendo così l’interesse generale. Come più volte affermato il correttivo affinché tale situazione di squilibrio non si verifichi sta nella creazione della normativa che regoli i gruppi di pressione.

Secondo la visione di Petrillo il problema principale in Italia con riguardo al riconoscimento delle lobby sta nell’assenza oltre che di norme anche di giurisprudenza che possa riuscire a far regolare il fenomeno. Ovviamente l’assenza normativa e giurisprudenziale è una scelta ben precisa del Governo italiano, scelta che può essere ricondotta sia alla struttura economica italiana caratterizzata dalla presenza di un gran numero di imprese non coalizzate tra loro, sia alla presenza dei partiti come rappresentanti e mediatori degli interessi della collettività.

In Italia ancora oggi si cerca di comprendere quale sia la natura delle lobby e come riuscire a definirle secondo lo schema europeo o farle rientrare nel più ampio principio di libertà di espressione, considerandolo uno strumento di democrazia. Del resto il lobbying viene sempre più inteso come un’attività in grado di condizionare il policy process, ovvero il tentativo di influenzare l’attività delle istituzioni pubbliche e di dettarne l’agenda politica in modo tale che il lobbista dovrà e svolgere un’attenta e accurata analisi della programmazione dei lavori parlamentari, del Governo e delle Regioni e dovrà preparare  una campagna di comunicazione che dovrà essere in grado non solo di influenzare il decisore pubblico, ma anche l’opinione pubblica.[46]

In tale prospettiva occorre chiarire che la presenza dei gruppi di pressione nel sistema democratico italiano potrebbe essere il mezzo per realizzare gli interessi dei cittadini o risolvere i problemi nati a causa della crisi dei partiti. Secondo il pensiero di Madison: “tutte le voci vanno ascoltate in modo tale che l’ambizione possa contrastare l’ambizione”[47], creando così un sistema con un gran numero di partiti che non abbia l’interesse di calpestare gli interessi della società.

La libertà di pensiero e di espressione deve essere vista così come un elemento positivo per la società perché lo scontro e il confronto delle idee è il migliore metodo per far prevalere le migliori soluzioni.

Gli studi condotti sul processo di negoziazione legislativo italiano ci porta a considerare come la presenza dei gruppi di pressione che influenzano il decisore pubblico siano una costante e l’assenza di una regolamentazione fa sorgere l’arbitrarietà e la poca trasparenza nelle decisioni. A tal proposito si evidenzia come un segno di regolazione sia intervenuto a livello regionale, ministeriale, con regolamenti delle Camere e con regolamenti delle Autorità Amministrative Indipendenti. A proposito alle Autorità Amministrative Indipendenti (AAI), il deficit democratico del loro potere ha condotto alla ricerca di canali di contatto con le rappresentanze degli interessi[48]. Le forme di partecipazione dei gruppi di pressione sono rappresentate dalle riunioni informali, dalle audizioni pubbliche e osservazioni e proposte mediante consultazioni pubbliche svolte on line. In tal senso l’Autorità nazionale anticorruzione ha approvato un regolamento approvato nell’Adunanza del 6 marzo 2019 con delibera n. 172, che disciplina i rapporti fra ANAC e i gruppi di pressione presso l’Autorità nazionale anticorruzione e che prevede l’istituzione dell’Agenda pubblica degli incontri.

Sicuramente la regolazione non è facile da effettuare per via delle difficoltà che sorgono in relazione all’individuazione dei soggetti destinatari e degli interessi che dovrebbero essere tutelati e non meno importante alla luce del nuovo delitto di traffico di influenze illecite, che ha cercato di delineare i confini tra attività di lobbying lecita e lobbying illecita.[49]

Quindi si può di certo affermare che la presenza delle lobby nei sistemi democratici esprime sicuramente un certo grado di democraticità e proprio la ricerca di un dialogo tra gruppi di pressione e decisore pubblico non sembra derivare solo dall’esigenza di promuover egli interessi nei confronti delle Istituzioni, ma anche dall’intenzione pubblica di individuare i molteplici interessi privati e diffusi da tutelare.[50]

A mio avviso la regolamentazione delle lobby con questo decreto-legge potrà garantire la trasparenza nei rapporti di mediazione tra il decisore pubblico e gli attori esterni e garantire chiarezza ai cittadini.

6. Traffico di influenze illecite e lobbying

L’attività di mediazione tra il privato e il pubblico e l’influenza sulle decisioni pubbliche da parte dei gruppi di pressione rappresenta il punto focale dello sviluppo democratico di un paese moderno. Bisogna però tenere in considerazione come tale aspetto presenti delle criticità che il Legislatore ha cercato di risolvere introducendo il delitto di traffico di influenze illecite, con tale norma si vuole punire attività anticipatorie o di future corruzioni.

Nel 2019 la fattispecie penale è stata modificata dalla c.d. legge “spazzacorrotti” in risposta alle sempre più richieste di trading to influence con lo scopo di limitare le intermediazioni che prevedevano una modifica del processo decisionale in ambito pubblico con fenomeni corruttivi. La riforma della fattispecie penale ha portato ad una rilevante ampliamento della punibilità rispetto alle possibili finalità della mediazione ed anche le pene risultano essere più severe[51].

 L’art. 346-bis del Codice penale punisce sia il mediatore che “sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite” con un funzionario pubblico riceve il compenso (indebito) per l’attività di mediazione (illecita), sia la persona che lo incarica. Ovviamente come abbiamo potuto constatare il lobbying è un’attività che si basa essenzialmente sulla pressione esercitata nei confronti del decisore pubblico e che potrebbe sfociare in attività illecite per la mancanza della normativa che garantisca la trasparenza. Proprio per tale motivo si può stabilire che si tratta un confine concettuale, attualmente sin troppo labile, che da un punto di vista penalistico si traduce inevitabilmente nella potenziale sussunzione dell’attività di mediazione lobbistica all’interno delle allargabili e non ben definite maglie dell’art. 346 bis del Codice penale.

Occorre così comprendere come le attività di lobbying svolte in modo professionale sono da considerare lecite e non rientrano nella sfera dell’art. 346 bis c.p. Salvo il caso in cui si presentino attività illecite. Lo studio della norma presenta sicuramente delle difficoltà nella comprensione di quali siano i contorni della mediazione lecita in quanto il legislatore ha scritto la norma come se esistesse una regolazione normativa e proprio in assenza di norme che regolino tale fenomeno sarà la giurisprudenza a dare una definizione di influenza o mediazione illecita[52].

La sentenza della Corte di cassazione Penale n. 40518/2021 ha evidenziato come con l’art. 346-bis c.p., “il legislatore abbia inteso punire, in via preventiva e anticipata, il fenomeno della corruzione, sottoponendo a sanzione penale tutte quelle condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi aventi ad oggetto le illecite influenze su un pubblico agente che uno dei contraenti (il trafficante) promette di esercitare in favore dell’altro (il privato interessato all’atto) dietro compenso (per sé o altri o per remunerare il pubblico agente)“.

La sentenza specifica che la lettura della norma “consente di individuare il nucleo dell’antigiuridicità della condotta penalmente sanzionata non nel mero sfruttamento (vero o vantato) di relazioni con il pubblico agente (che costituisce piuttosto il mezzo attraverso il quale il soggetto agente riesce ad ottenere dal privato la dazione indebita, anche solo come promessa), bensì in tutte quelle forme di intermediazione che abbiano come finalità “l’influenza illecita” sulla attività della pubblica amministrazione. Le parti devono avere di mira un’interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente; la norma, peraltro, non chiarisce quale sia la influenza illecita che deve tipizzare la mediazione e non è possibile, allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (c.d. lobbying), attualmente non ancora regolamentata”.

A tal proposito un ulteriore aiuto nella comprensione del difficile legame che intercorre tra l’art. 346 bis del codice penale e la rappresentanza di interessi si è avuto grazie ad una recentissima sentenza n 1182/2022 della Corte di cassazione, la quale ha ritenuto che “in assenza di una regolamentazione legale dell’attività dei gruppi di pressione, la illiceità della mediazione in questo caso non può che trarsi dallo scopo dell’influenza, che deve consistere nella commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi al committente”.

In questa prospettiva appare chiaro che la creazione di una normativa ad hoc sarebbe d’aiuto per definire meglio l’argomento, chiarire quali siano i campi d’azione e i limiti del fenomeno lobbistico in modo tale da limitare i fenomeni corruttivi e procedere ad un miglioramento del sistema democratico.

7.  Considerazioni conclusive

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte si può di certo affermare che la regolamentazione dell’attività di lobbying non è più procrastinabile data la presenza ampia e diffusa delle lobby nel nostro sistema. Il fenomeno lobbistico non può essere lasciato nell’oblio giuridico e la sua attività deve essere regolamentata da una disciplina ad hoc che consenta di poter garantire trasparenza, pubblicità e correttezza. Tale visione è stata altresì accolta dalla Corte Costituzionale con sentenza 379 del 2004 che tali gruppi di pressione “non sono certo finalizzati ad espropriare dei loro poteri gli organi legislativi o ad ostacolare o a ritardare l’attività degli organi della pubblica amministrazione, ma mirano a migliorare ed a rendere più trasparenti le procedure di raccordo degli organi rappresentativi con i soggetti più interessati dalle diverse politiche pubbliche”.

Come abbiamo più volte rilevato le lobby[53] sono viste come “presenze oscure” che cercano di influenzare il processo decisionale corrompendo il politico di turno. Il nostro studio ha rilevato una visione diametralmente opposta a quella della società, vedendo questi gruppi di pressione fondamentali per il sistema democratico, in quanto cercano di far reperire le informazioni utili al decisore pubblico e garantiscono degli interessi considerati prevalenti nella società civile. Ne deriva che il ruolo delle lobby è considerato di estrema importanza, in quanto si fanno portavoce di diversi punti di vista in grado di aiutare i politici ad avere una visione unitaria della problematica.

A livello internazionale numerosi paesi, vista l’entità del fenomeno, hanno regolamentato la presenza di questi attori esterni che cercano di mediare nel processo decisionale; in Italia invece appare evidente la presenza di un vuoto normativo che per certi versi e per alcuni aspetti viene colmato dalla giurisprudenza.

È innegabile l’urgente pressione che l’Unione europea fa all’Italia per regolare questo aspetto che garantirebbe trasparenza nel processo decisionale oltre al fatto di trovare un riconoscimento professionale alle lobby e alla figura del lobbista.

L’obiettivo di tale riconoscimento consiste nel rispondere alle esigenze del cittadino e non creare barriere burocratiche che impediscano alle istanze di giungere all’attenzione dei rappresentanti.

Un intervento legislativo attento e mirato porterebbe altresì ad eliminare i problemi interpretativi riguardanti l’ipotesi di reato di traffico di influenze illecite, definendo il lobbying lecito da quello che viene realizzato per la commissione di reati.

Inoltre la democrazia italiana, caratterizzata da un periodo politico e storico di crisi, grazie alla presenza di lobbisti professionali e regolamentati dalla legge, potrebbe ottenere il corretto funzionamento del processo decisionale e risolvere il problema riguardante l’esistenza di gruppi di intermediazione degli interessi frammentari e inefficienti[54].

Infine, occorre evidenziare come negli ultimi anni sono stati compiuti dei veri e propri passi per il riconoscimento dell’attività lobbistica da parte delle istituzioni e della società, ma la strada per la totale regolamentazione rimane ancora lunga. In risposta alla crisi della rappresentanza democratica, la regolamentazione del lobbying potrebbe rappresentare un mezzo “ausiliario” dei processi democratici, portando trasparenza e qualità, mediante l’apporto di informazioni e di una maggiore responsabilità dei gruppi.


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[33]  P.L.Petrillo, Teorie e tecniche del lobbying, il Mulino, Bologna, 2019

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[50] R.RUFFILLI, Autonomie e pluralismio nelle posizione dei partiti e delle parti, il Mulino 1981

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