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Pubbl. Mer, 16 Ago 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Dalla crisi ideologica della pena detentiva alle prospettive pratiche della giustizia riparativa: il panorama italiano

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Roberta De Paolis
Dottore di ricercaScuola superiore Sant´Anna



Il contributo ambisce a comprendere se ed in che misura è possibile declinare la giustizia riparativa nell’ordinamento italiano, tradizionalmente affezionato alle premesse filosofiche e storiche su cui si basa la pena detentiva. Si sostiene che una riforma organica della giustizia riparativa è quella che considera gli strumenti riparativi- intesi come una via di mezzo tra le sanzioni riparatorie e le pratiche e i metodi della giustizia riparativa - applicati al sottosistema dei reati economici, ontologicamente più affini a privilegiare logiche di riparazione dell’offesa in luogo di paradigmi meramente afflittivi.


ENG The paper aims to understand whether and to what extent it is possible to introduce the restorative justice in the Italian legal system, which has traditionally bound by philosophical and historical premises of prison sentencing. It addresses an organic reform of restorative justice that considers restorative tools -as a middle ground between restorative sanctions and restorative justice practices and methods- applied to economic crimes, more akin to privileging logics of offense’s reparation instead of merely afflictive paradigms.

Sommario: 1. Premessa; 2. La pena, le sue funzioni, la sua crisi; 3. Un ripensamento della pena: la riparazione; 4. Giustizia riparativa e criminalità economica; 5. Criminalità economica e strumenti riparativi.

1. Premessa

Con l’approvazione del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150[1], attuativo della legge delega 27 settembre 2021, n. 134[2], l’ordinamento italiano accoglie ufficialmente la giustizia riparativa, ossia quella modalità di gestione del reato attraverso programmi che consentano “alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore”.[3] Tale introduzione si dimostra particolarmente innovativa, anche alla luce del fatto che la materia è stata inizialmente relegata alla giustizia giovanile[4] e poi ha ricevuto un’attenzione frammentaria e discontinua per quanto riguarda la giustizia penale degli adulti.[5]

Un simile cambio di passo del legislatore rappresenta dunque la risposta a quella che è stata definita la “crisi del carcere” o, detto diversamente, la crisi della pena detentiva, orientandosi verso qualcosa che fosse «più accorto ed umano del diritto penale»[6], capace di “gestire”[7]  il fatto di reato e dirigere l’attenzione sull’impatto che questo comporta nelle relazioni umane e sociali.

Tuttavia, a ben vedere, il legislatore ha esplicitato che “i programmi di giustizia riparativa sono accessibili senza preclusioni in   relazione   alla fattispecie di reato o alla sua gravità”[8], prefigurando dunque una generalizzazione dell’istituto che un doveroso realismo impone di scongiurare, laddove non ogni crimine provoca ferite che possono essere riequilibrate attraverso la riaffermazione simbolica della regola[9].

Di seguito si tenta pertanto di individuare contorni e modalità più precise che valorizzino la portata della giustizia riparativa senza che questa si sovrapponga completamente alla (minaccia della) sanzione punitiva, quale strumento ancora prediletto per orientare ed accreditare i valori fondamentali a garanzia della stabilizzazione sociale[10]. A questo scopo, dopo un inquadramento del contesto in cui la giustizia riparativa si colloca, ossia a cavallo di una profonda crisi della penologia tradizionale, si sostiene che la complementarità tra il paradigma riparativo e le pene più squisitamente retributive si rinviene nel sottosistema dei reati economici, ontologicamente più affini a privilegiare logiche di riparazione dell’offesa in luogo di paradigmi meramente afflittivi.

2. La pena, le sue funzioni, la sua crisi

La riforma Cartabia si inserisce in una più ampia esigenza di sistema nascente da quella che è stata definita la “crisi del carcere”, o detto in termini più globali, la crisi della pena detentiva. La pena detentiva si pone come strumento principe del diritto penale, il quale, in quanto “extrema ratio” del controllo sociale, può minacciare di pena solo quei comportamenti la cui punizione è strettamente necessaria affinché non vengano messi in pericolo o non siano violati interessi fondamentali del singolo o della collettività.[11]  In questo contesto, il diritto penale agisce attraverso la negazione o riduzione di diritti o di bisogni allo scopo di determinare una relazione di senso verso il destinatario che punisca corrispettivamente la violazione di una regola dell’ordine giuridico (funzione retributiva)[12], prevenga i consociati dal commettere il reato (funzione general- preventiva) [13]  e il reo stesso dal reiterarlo (funzione special-preventiva), educhi quest’ultimo al reinserimento sociale (funzione rieducativa) [14].

La Costituzione italiana ha accolto un’interpretazione della funzione della pena che valorizza l’instaurazione di un dialogo tra l’ordinamento ed il condannato affinché quest’ultimo assuma un atteggiamento responsabile verso i beni giuridici offesi[15], si allontani dal disvalore delle sue azioni e venga reinserito in un contesto finalmente inclusivo. In questo senso, la Costituzione italiana cristallizza il significato di responsabilità penale e la funzione della pena nel comma terzo dell’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale principio trova conferma nella legge sull’ordinamento penitenziario per cui «nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi»[16], oltre che nell’art.1 del Regolamento penitenziario[17] che identifica la pena come diretta a «promuovere un processo di modificazione degli atteggiamenti che sono di ostacolo ad una costruttiva
partecipazione sociale»[18]. Alla luce di quanto brevemente accennato, risulta chiaro come non sia possibile stabilire aprioristicamente «una gerarchia statica ed assoluta che valga una volta per tutte ed in ogni condizione», dovendo piuttosto discernere quale tra le diverse funzione debba «tendenzialmente prevalere, di volta in volta […] e a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata»[19].  È pertanto in questo contesto che emerge il concetto di “polifunzionalità della pena” propugnato dall’ordinamento italiano, ossia quell’unificazione “dialettica” tra le diverse finalità della pena[20] di modo che i loro aspetti positivi si integrino e si condizionino reciprocamente perseguendo un modello di giustizia penale preventivo e socialmente costruttivo[21]. Di conseguenza, non solo la pena dovrà costantemente ispirarsi al principio di proporzionalità espresso dagli artt. 3 e 27, comma I, Cost. (quale corollario virtuoso della funzione retributiva), escludendo pertanto che il legislatore possa prevedere una pena del tutto sproporzionata al disvalore del fatto commesso e alla colpevolezza del soggetto[22], ma altresì orientare la sua applicazione alla difesa sussidiaria dei beni giuridici e della risocializzazione del condannato[23].

Tuttavia, se si volge lo sguardo verso il sistema penale nella sua realtà contemporanea, la funzione della pena nel diritto penale – e dunque della pena detentiva come massima espressione di esso – registra una profonda crisi[24]. È una crisi prima di tutto ideologica, ma anche di efficienza e di effettività, nonché umanitaria[25]. È una crisi dell’“idea” della pena e dell’“idea incarnata” di essa nella realtà delle cose.

È una crisi ideologica poiché, indagando le cifre costitutive della sua polifunzionalità, ognuna di essa sembra mal rispondere al progressivo logorarsi delle condizioni storiche, economiche e culturali che ne erano all’origine[26]. È una crisi di efficienza a fronte degli alti tassi di recidiva prodotti dal carcere[27], con la paradossale conseguenza che il carcere è finalisticamente votato a prevenire una criminalità che esso stesso contribuisce a produrre[28]. È altresì una crisi di effettività a causa dello scarto tra pena minacciata e pena eseguita: sia per la “cifra oscura” di alcuni reati che fisiologicamente sottrae criminali alla pena, sia per la presenza di meccanismi giuridici tali (dalla prescrizione alle misure alternative) che rende la minaccia della pena un flebile monito. Così, l’impronta della concezione retributiva pare riemergere periodicamente con rinnovato vigore[29]: dinanzi al declino dell’ideale riabilitativo[30] e al progressivo abbandono da parte del sistema punitivo delle sue funzioni sociali[31], ritornano in auge quei meccanismi irrazionali ed inconsci della società punitiva[32]. In altre parole, a fronte di società sempre più investite da un profondo senso di insicurezza[33], i sistemi occidentali sono costantemente lacerati da istanze di stampo retribuzionista[34] volte a rispondere a bisogni emotivi, regressivi e catartici[35] con un catalogo di risposte draconiane, rigidamente proporzionali che nulla dicono del profilo motivatore a scelte convinte ed autonome in favore della legalità. Peraltro, un approccio che corrisponde male al male finisce per ignorare che buona parte dei reati produce profitti o altri vantaggi economici, spesso a favore di una cerchia di soggetti che va ben oltre l’ambito degli esecutori immediati di un reato: in altre parole, la domanda di accesso ad attività lucrative è sempre superiore all’offerta, cosicché i “posti di lavoro criminale” lasciati liberi dai soggetti neutralizzati saranno comunque coperti da altri[36]. Allo stesso modo, il principio di proporzionalità, quale corollario virtuoso della teoria retributiva, pare fondarsi su di un impianto teorico non del tutto immune da distorsioni in senso repressivo. Il presupposto dell’idea regolativa della proporzione retributiva si radica sulla convinzione che solo un sistema in cui l’intensità della pena è inscindibilmente vincolata al disvalore del fatto sarebbe idoneo a garantire i diritti fondamentali, scongiurando così uno sconfinamento dell’intervento punitivo[37]; tuttavia il vincolo proporzionale, oltre a non essere né verificabile né falsificabile[38], il più delle volte dipende dal contesto legislativo e culturale di riferimento[39]. Al riguardo, non è infatti un caso che l’affermazione della proporzionalità sia concomitante a quella della pena detentiva, la cui frazionabilità la rende particolarmente funzionale ad esigenze di graduazione[40]. Infine, non si può mancare di sottolineare che un simile criterio, sebbene al servizio di quelle esigenze di delimitazione e graduazione del potere punitivo, di fatto è troppo fluido e aperto a valutazioni le più svariate, tanto da apparire un «un appiglio nel buio» («Griff ins Dunkle»)[41] che lascia spazio a disuguaglianze in concreto[42]. Un esempio di quest’ultima distorsione è offerto proprio dall’ordinamento italiano, laddove la proporzionalità nella commisurazione della pena appare sempre più evanescente: da una parte, vi sono numerosi istituti che incidono sensibilmente sulla sua determinazione giudiziale[43], dall’altra la facoltà riconosciuta al giudice di ridimensionare il vincolo della proporzione in vista di scopi di prevenzione speciale rimane inevitabilmente oscurato dal divieto di effettuare una perizia criminologica, unico strumento che permette  prognosi sulla condotta futura del reo e sulle sue esigenze risocializzative[44].

Per altro verso, anche il presupposto originario della funzione preventiva della pena - ossia condurre l’animo degli individui «ad un fine opposto di quello per dove cerca d’incamminarlo la seducente idea dell’infrazione della legge»[45]- sembra sopravvivere precariamente. Difatti, non è sempre detto che in presenza di un rischio di pena sufficientemente elevato, il potenziale reo, alla stregua di un soggetto capace di operare scelte su base razionale, sceglierebbe di rispettare precetti e divieti posti dall’ordinamento. In questo contesto, più problematico risulta stabilire quale sia il livello sanzionatorio minimo oltre il quale la pena smetterebbe di rappresentare un disincentivo, senza dunque scadere in una regolazione che si affida al mero e progressivo innalzamento delle pene e rischia di generare «i mostri delle condanne esemplari»[46]. In ultimo, pare che lo stesso ideale rieducativo venga sconfessato in radice dall’atmosfera culturale, sociale e politica dominante che aderisce sempre più a quel “mito securitario”[47] il quale, capitalizzando il cronico senso di vulnerabilità dei cittadini, tende a trasformare talune minacce in altrettante emergenze[48] e controllare l’agire sociale in direzione discordante rispetto alla vocazione rieducativa. La combinazione tra crisi ideologica, di efficienza e di effettività si traduce, in ultima istanza, in una vera e propria crisi umanitaria, laddove «la dimensione espulsiva continua a costituire la teleologia profonda della pena»[49], costringendo, tra le altre cose, più individui delle risorse disponibili, in termini di operatori ed attività trattamentali, in un contesto deteriore e deteriorato, artificiale ed estraneo rispetto al contesto in cui si dovrebbe venire reintegrati[50]. Il punto di rottura di una simile situazione appare evidente se si guarda all’incremento del ricorso alla detenzione che ha condotto ad un tasso di prisonizzazione mai registrato nell’Italia repubblicana[51], tanto da ricevere una condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo la quale ha giudicato il sistema penitenziario italiano disfunzionale ed incapace di garantire condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana.

3. Un ripensamento della pena: la riparazione

La giustizia penale sembra oramai regolare per difetto i problemi sociali, sfornita di quell’equipaggiamento necessario a ricreare una pace durevole per le parti, privata di quel “senso di possibilità”[52] che dovrebbe guidare le scelte politico-criminali. In altre parole, pare che la giustizia penale tradizionale risponda ai problemi di più rilevante dimensione e complessità[53] con il medesimo strumento: la privazione di diritti individuali - libertà personale o patrimonio- che risulta tanto più incisiva quanto più è grave il fatto di reato commesso, esaurendo così la risposta punitiva in una ferita aggiuntiva che nulla ha che fare con l’offesa generata dal reato[54]. Così, a fronte della crescente domanda di intervento nella vita sociale, il diritto penale si dimostra capace di rispondere unicamente attraverso una pena retributiva coperta da una fragile parvenza di prevenzione[55]. Peraltro, anche laddove lo scopo annunciato è preventivo, si ingenera un’inevitabile divaricazione tra quest’ultimo e gli effetti concretamente generati dagli strumenti repressivi[56].

Se il dibattito sullo scopo e sui contenuti della sanzione penale sembra intrappolato in un orizzonte segnato dall’idea di una risposta analoga in negativo al reato, allora solo una nuova logica può sconfiggere una logica vetusta[57]: una logica che trasformi in positivo il rapporto di analogia reato-pena e che sia capace di “gestire”[58] il fatto di reato, avvalendosi dei suoi contenuti e dirigendo l’attenzione sull’impatto che questo comporta nelle relazioni umane e sociali. È in questa profonda necessità che emerge il dirompente paradigma della giustizia riparativa che, allontanandosi dalle modalità punitive costruite sul terreno della corrispettività e ritorsività della risposta statale[59],  favorisce la concezione della pena alla stregua di un “progetto”. In prima approssimazione, è importante rilevare che non esiste una definizione unica e condivisa di “giustizia riparativa”[60] poiché essa, ancor prima di costituire una teoria della pena, esprime un concetto astratto, una filosofia della giustizia volta a restituire centralità all’uomo e, nella specie, ai protagonisti del conflitto [61]. In altre parole, la giustizia riparativa rappresenta un paradigma che coinvolge volontariamente il reo, la vittima e la comunità al fine di promuovere rispettivamente la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo attraverso il riequilibrio tra la ferita causata dal reato e la riaffermazione simbolica della regola. Tuttavia, nella pratica, immaginare una completa sostituzione del paradigma punitivo con la giustizia riparativa peccherebbe di ingenuità, oltre che ignorare che non tutti i reati possono essere interpretati come rottura di previsioni collettive condivise in cui l’oltraggio causato è riparabile dall’attivazione del reo[62].

A fronte di queste premesse, e stante il già citato rischio di generalizzazione derivante dalla formulazione della Riforma Cartabia, è bene indagare se ed in che misura è possibile declinare la giustizia riparativa nell’ordinamento italiano, tradizionalmente affezionato alle premesse filosofiche e storiche su cui si basa la pena detentiva.

4. Giustizia riparativa e criminalità economica

La giustizia riparativa rivela una particolare idoneità nell’affrontare la criminalità economica, laddove essa sembra sollevare più di altri fenomeni criminali esigenze di ricomposizione dei nessi sociali distrutti e di riparazione dei danni verso chi subisce le conseguenze del reato[63]. Difatti, la giustizia riparativa e la criminalità economica condividono definizioni dai contorni piuttosto sfumati, tanto da richiedere con frequenza un approccio che sia il più olistico possibile e capace di cogliere tutte le sfaccettature di fenomeni fisiologicamente complessi[64]. In questo contesto, il sistema penale tradizionale riscontra frequenti difficoltà, in termini di costi e tempi, nel perseguire simili reati[65], soprattutto a fronte della costante “cifra oscura” ad essi caratteristica e della platea di destinatari degli effetti dannosi da essi prodotti -per lo più diffusi e aggregati- difficilmente misurabili e circoscrivibili[66], laddove le stesse vittime spesso possiedono una debole consapevolezza circa il proprio status[67].

Per altro verso, il fatto che si tratti di reati di pericolo e per la maggior parte contro beni dello Stato (ordine economico, amministrazione, finanze, pianificazione territoriale, ecc.), ovvero beni spesso indisponibili o comunque indivisibili[68], non esclude che si producano danni suscettibili di riparazione. In quest’ultimo senso, l’intrinseca vocazione universale della giustizia riparativa risulta particolarmente adatta a contenere tutte le ripercussioni dalla criminalità d’impresa, materiali ed immateriali: tra le molte, la perdita di fiducia dei cittadini nei confronti di certe realtà istituzionali ed aziendali, il danno reputazionale sofferto dal trasgressore, ma altresì dai lavoratori e dalla stessa azienda coinvolta, interessando tutti coloro che lavorano in maniera diretta o indiretta nel medesimo settore[69]. In ultimo, proprio il complesso e fluido contesto dei reati economici illuminerebbe il principio alla base della giustizia riparativa, stante il particolare profilo criminologico del cosiddetto “colletto bianco” e la tendenza all’ “irresponsabilità organizzativa” [70], entrambi casi in cui non si registra l’interiorizzazione della responsabilità del singolo colpevole. Difatti, per un verso, si parla di una psicologia d’autore tendenzialmente narcisista e priva di empatia, di un soggetto estremamente capace di manipolare e utilizzare il sistema in cui è inserito,[71] ritenendo piuttosto che la sconsideratezza della sua condotta sia il risultato di una sfortunata evoluzione dell’affare[72]. Per altro verso, non è raro che la completa interiorizzazione della responsabilità del singolo sfuma -e spesso si confonde e annulla- in quella dell’impresa di appartenenza[73]. Alla luce di quanto brevemente accennato, è stato obiettato che per alcuni tipi di reato – di cui quelli economici risultano certamente i più paradigmatici - la risposta dell’ordinamento possa sufficientemente esaurirsi nella comminazione di una punizione[74], soprattutto laddove vi sono degli ostacoli strutturali ad un approccio non direttamente rivolto a rispondere corrispettivamente alla frattura da esso prodotta[75]. In altre parole, il principio per cui il crimine rappresenterebbe un modo disfunzionale di “dire qualcosa” e la punizione un modo altrettanto disfunzionale di “rispondere” mal aderisce a quell’ “idealtipo di homo penalis”[76] in grado di calcolare attentamente i termini del proprio agire[77]. Purtuttavia, se è indubbio che criminali particolarmente razionali sono, in linea teorica, più sensibili alla prospettiva di essere privati della propria libertà personale, non ci sono ancora dati empirici decisivi sul fatto che pene più dure abbiano un maggior effetto deterrente, soprattutto ove è stato viceversa provato che le cosiddette “sanzioni informali”[78] hanno un peso specifico maggiore nell’indirizzare la motivazione nei crimini d’impresa. In buona sostanza, la vergogna, la censura sociale, la perdita di rispetto all’interno dell’ambito lavorativo ed in quello esterno e tutte le considerazioni ad essi connesse, avrebbero un effetto sostanziale sulla decisione di commettere reati d’impresa, talvolta prescindendo totalmente da considerazioni razionali sul rapporto costi-benefici rispetto alla pena[79]. È proprio in quest’ultimo senso che si è parlato del potenziale della cosiddetta “vergogna reintegrativa” conseguente alla pubblicizzazione dell’identità del colpevole e dei dettagli del reato[80]. Difatti, laddove un trasgressore vi è stato, esso sperimenta comunque tutta una serie di effetti dalla propria condotta che ben aderiscono ai presupposti e alle finalità dei processi riparativi: la diminuzione dell'integrità, la perdita di prestigio, la perdita di legami, la perdita di autocontrollo, la vergogna, la diminuzione delle prospettive personali e sociali, il debito morale e il senso di obbligo nei confronti delle loro vittime[81].

5. Criminalità economica e strumenti riparativi

Applicare il paradigma riparativo alla criminalità economica risulta plausibile soprattutto se si considera che i sistemi occidentali si avvalgono sempre più di forme di collaborazionismo le quali, benché prevedano spesso pene mitigate[82], con altrettanta frequenza rischiano di tradursi in semplici versamenti di somme di denaro oppure mere trattative in cui si negozia una sentenza in cambio di un parziale riconoscimento dei fatti[83]. È in questo frangente che appare imperativo interrogarsi sulle possibili modalità in cui, lungi dallo scadere nell’utopistico totale sradicamento della più tradizionale idea di reazione al crimine,  l’opzione riparativa possa effettivamente contribuire all’avanzamento del sistema della giustizia penale senza appianarsi su strumenti – peraltro già ampiamenti conosciuti nel nostro ordinamento – limitati a modellare il contenuto riparativo esclusivamente sulle conseguenze civili o su quelle dannose e pericolose del reato. In altre parole, se da un lato, per ovvie ragioni di politica criminale, appare irrealistica la completa sostituzione alla giustizia penale con pratiche e metodi della responsabilità interiorizzata scevri da qualsiasi carattere sanzionatorio, dall’altro l’attuazione di mere sanzioni a contenuto riparativo tradirebbero l’essenza stessa della giustizia riparativa. A fronte di ciò, pare fondamentale rinvenire un punto di complementarità tra la pena classica e l’ideale riparativo, laddove quest’ultimo, pur contenendo matrici ideologiche estranee alla penologia tradizionale[84], non costituisce necessariamente una rigida alternativa alla pena classica, ma piuttosto un correttivo che le si affianca – appunto, complementarmente[85]- e ne propone una declinazione “attiva”, una pena “agita”[86]. In questo senso il recupero di una dimensione punitiva concepita in positivo ben si confà a porsi come un’alternativa “nel” diritto penale e non un’alternativa “al” diritto penale[87].

Alla luce di quanto sinora considerato, è proprio nella predisposizione di risposte punitive che si avvalgono di strumenti riparatori che sembra risiedere uno spiccato potenziale preventivo. Si tratta, dunque, di confezionare un modello di reazione repressiva che, pur avendo un contenuto positivo, non evochi una rinuncia all’effettività della minaccia né un sacrificio della pretesa punitiva. Difatti, sul piano della prevenzione generale positiva, la condotta riparativa ribadisce la regola di condotta sancita dalla norma incriminatrice e ricompone la pacifica convivenza civile disturbata dalla commissione di un fatto di reato: in buona sostanza, non solo sembra in grado di rompere il ciclo negativo di una prassi combattuta tra la pena detentiva e l’impunità[88], ma fornisce altresì quella tutela a favore della vittima e della collettività indispensabile per la tenuta globale dell’ordinamento[89].
Tale prospettiva è inoltre favorevole nel senso di recuperare il significato critico-propulsivo dell’idea rieducativa dell’ordinamento italiano[90]. Difatti, la reazione punitiva a contenuto riparatorio ben potrebbe rappresentare il catalizzatore del messaggio solidaristico dell’art. 27, comma 3 Cost.[91], dando finalmente concreto supporto a quella spinta culturale che plasma l’intera Carta costituzionale. In questo senso, l’impegno del reo nel farsi carico degli interessi della vittima e nell’adempiere ai doveri di solidarietà sociale alla base della convivenza civile, possiedono un indiscutibile significato special-preventivo poiché finalizzata a ricostruire i valori infranti del reato[92]. Di conseguenza, proponendosi come coerente sviluppo dell’ideale rieducativo, la prospettiva aperta dalla condotta riparatoria non solo consente di allargare l’orizzonte della finalità rieducativa della pena –sino a ricomprendere quella dimensione complementare delle conseguenze sociali del reato- ma sancisce anche il superamento dell’approccio retrospettivo al fatto di reato commesso a favore di uno sguardo rivolto al ripristino dei legami solidaristici da esso spezzati[93].

In definitiva, la condotta riparatoria, pur mantenendo quei contenuti afflittivi minimi perché si possa continuare a parlare di pena, soddisfa i bisogni della vittima e della collettività – sia sul piano materiale che su quello simbolico[94]- perseguendo al contempo finalità special-preventive laddove richiede al reo di assumere un impegno attivo e solidaristico per ricostruire l’interesse violato.

 
 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Sul tema: M. BOUCHARD, Commento al Titolo IV del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 sulla disciplina organica della giustizia riparativa, in Questione Giustizia, 7 febbraio 2023; A. MADEO, Procedibilità a querela, messa alla prova e non punibilità per particolare tenuità del fatto: una ratio deflativa comune nella “riforma Cartabia”, in Legislazione penale, 2022; D. GUIDI, Profili processuali della giustizia riparativa, in Discrimen.it, 2022; M. BORTOLATO, La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, in Questione giustizia, 2022.

[2] Sul tema: F. PARISI, Giustizia riparativa e sistema penale. Considerazioni a partire dalla «legge Cartabia», in Foro italiano, 4/2022, V, 142 ss.; G. MANNOZZI, Nuovi scenari per la giustizia riparativa. Riflessioni a partire dalla legge delega 134/2021, in Archivio penale, 2022; L. EUSEBI, Il cantiere lento della riforma in materia di sanzioni penali. Temi per una discussione, in Archivio penale, 2022; M. BOUCHARD, F. FIORENTIN, Sulla giustizia riparativa, in Questione giustizia, 2021, 18 ss.

[3] Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, art. 42.

[4] In particolare gli artt. 9 e 28 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.

[5] E. MATTEVI, Una giustizia più riparativa, Napoli, 2017, 259.

[6] G. RADBRUCHT, Rechtsphilosophie, Lepzig, 1932, 136.

[7] L. EUSEBEI, «Gestire» il fatto di reato. Prospettive incerte di affrancamento dalla pena «ritorsione», in La pena, ancora: fra attualità e tradizione, Milano, 2018, 226.

[8] Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, art.45.

[9] In materia, si veda: J. FEINBERG, The espressive function of punishment, in The Monist, 1965, 73 ss.

[10] F. PALAZZO, Crisi del carcere e cultura di riforma, in Diritto Penale Contemporaneo, IV, 2017, 10.

[11] W. HASSEMER, Warum Strafe sein muss. Ein Plädoyer,  Berlin 2009, 153 ss.

[12] G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto (1821), trad. it. it. Vidari, Bari, 1987, 95 ss.

[13] L. EUSEBI, Il diritto – enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, Bergamo, 2007, p. 85

[14] S. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore.  Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, 61;G.  INSOLERA Introduzione al sistema penale, Torino, 1997, 357.

[15] L. EUSEBI, Il diritto – enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, Bergamo, 2007, 87.

[16] L. 26 luglio 1975, n. 354, Art. 1. co. 4.

[17] D.p.r. 29 aprile 19746, n. 431.

[18] Prevedendo la necessità di modificare le inclinazioni soggettive del colpevole che siano eventualmente di ostacolo alla sua reintegrazione sociale, cfr. G. FIANDACA, Commentario della Costituzione, Bologna 1975.

[19] Corte cost., sent. n. 306, 7 agosto 1993; in termini simili v. Corte cost., sent. n. 282, 25 maggio 1989

[20] G. VASSALLI, Funzioni e insufficienze della pena (1961), in Scritti giuridici, I, tomo II, Milano, 1997, 1361 ss. L’impostazione sincretista è rinvenibile anche in più recenti sentenze del giudice delle leggi, dove si sottolinea l’impossibilità «di stabilire, ex ante, un punto di equilibrio dogmaticamente “cristallizzato” tra le diverse funzioni»: v. Corte cost., 21 giugno 2006 n. 257, in www.cortecostituzionale.it.

giudiziale, in Vassalli (a cura di), Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, 131 ss

[21] C. ROXIN, Strafrechtliche Grundlagenprobleme, Berlin, 1973, 1 ss.

[22] F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI –P. PISA, Manuale di diritto penale- parte generale, Milano, 2013, 595-59.

[23] V. MONGILLO, La finalità rieducativa della pena nel tempo presente e nelle prospettive future, in Critica del diritto ,2009, 179.

[24] F. MANTOVANI, La «perenne crisi» e la «perenne vitalità» della pena. E la «crisi di solitudine» del diritto penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006.

[25] F. PALAZZO, Crisi del carcere e cultura di riforma, in Diritto Penale Contemporaneo, IV, 2017, 10.

[26] G.MOSCONI, La crisi postmoderna del diritto penale e i suoi effetti sull’istituzione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1/3, 2001, 3 ss.

[27] V. Tutto sulle carceri italiane, numeri e grafici alla mano, in Pagella Politica, 2 maggio 2022.

[28] F. PALAZZO, Crisi del carcere e cultura di riforma, in Diritto Penale Contemporaneo, IV, 2017, 6.

[29] G. FIANDACA, Concezioni e modelli di diritto penale tra legislazione, prassi giudiziaria e dottrina, in Quest. giust., 1991, 46.

[30] D.W. GARLAND, The Culture of Control: Crime and Social Order in Contemporary Society, Oxford, 2002, 66.

[31] Per un quadro ancora attuale dei rapporti tra crisi dello stato sociale, pulsioni repressive e mutazioni del sistema punitivo: F. BRICOLA, Crisi del Welfare State e sistema punitiv ,in Politica del diritto, 1983,1427 ss.

[32] G. MARINUCCI, L'abbandono del codice Rocco, tra rassegnazione e utopia, in La questione criminale, 1981, 344.


[33] D.W. GARLAND, The Culture of Control: Crime and Social Order in Contemporary Society, Oxford, 2002, 196 ss.; FORTI, La riforma del codice penale nella spirale dell'insicurezza: i difficili equilibri tra parte generale e parte speciale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 39 ss.

[34] Cfr. G. MARINUCCI, Politica criminale e riforma del diritto penale, Milano, 1974, 45 ss. segnalava il rischio che la politica criminale potesse essere guidata dalla spirale emotiva dell'allarmismo che avrebbe aperto la strada alle forze che reclamano 'legge e ordine’; G. MARINUCCI, Riforma o collasso del controllo penale, in Dir. pen. proc., 1998, 1063 ss.; CAPUTO, Il diritto penale e il problema del patteggiamento, Napoli, 2009, 288 ss.

[35] D.W. GARLAND, The Culture of Control: Crime and Social Order in Contemporary Society, Oxford, 2002, 28.

[36] L. EUSEBEI, La colpa e la giustizia: Ripensare la giustizia, in Paradoxa, 2017, 48.

[37] G. FIANDACA, sub. Art. 27, c. 3, in Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1991: «il principio di proporzione non solo corrisponde all'idea generale di giustizia, ma funge altresì da criterio basilare dello Stato di diritto; quella che possiamo considerare come l'odierno equivalente dell'idea «retributiva», dal momento che la sua logica induce pur sempre a orientare la risposta punitiva anche in funzione di gravità dell'illecito commesso e [...] rappresenta al tempo stesso una condizione d'efficacia della stessa funzione preventiva»; D. PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2009, 18; C. ROXIN, Strafrecht, Allegeiner Teil, Grundlagen, Der Aufbau der Verbrechenslehre, Monaco, 2006 , 603 , 72. afferma che la preferenza per la teoria retributiva sta nel fatto che quest'ultima fornisce un parametro commisurativo della pena. L'idea retributiva pone un limite all'intervento punitivo dello Stato e svolge, in tal modo, una funzione di garanzia della libertà; H.L.A. HART, Prologomena zu einer Theorie der Strafe, in Recht und Moral, 1971, 58 ss.

[38] L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, 2000,
403 : « […]per  quanto basati su riferimenti empirici, [...] i giudizi di «gravità» o «tenuità» di un fatto suppongono sempre [...] valutazioni soggettive non verificabili né falsificabili.» 


[39] A tal riguardo V. MILITELLO, Prevenzione generale e commisurazione della pena, Milano, 1982, 183: «La differenza [...] tra la pena adeguata alla colpevolezza, che rappresenta un elemento integratore della prevenzione generale, e la pena con finalità (anche) general- preventiva fissata secondo il 'criterio modale interno' della proporzionalità retributiva [...] diventa allora sottilissima. Ciò si comprende ancor più chiaramente quando si rifletta che il metro di misura utilizzato nelle due concezioni è praticamente uguale: la giustizia della pena non deriva da leggi assolute, ma varia in relazione ai tempi ed ai luoghi secondo il livello che la collettività percepisce come tale.»

[40] L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, 2000,
395: « […]non a caso il principio [di proporzionalità] si viene affermando dapprima nel codice leopoldino del 1786 e poi in quello napoleonico del 1810 e in tutti i successivi condivi ottocenteschi, simultaneamente al progressivo declino delle pene corporali e all'introduzione delle pene detentive come pene principali. »

[41] F. VON LISZT, Strafrechtliche Vorträge und Aufsätze, Berlino, 1905, 
393, parla di «Griff ins Dunkle» proprio in relazione al momento commisurativo.


[42] Si vedano sul punto le ricerche empiriche svolte in Germania che hanno evidenziato prassi commisurative anche molto disomogenee cfr. H.J. ALBRECHT, Strafzumessung bei schwerer Kriminalität, eine vergleichende teoretische und empirische Studie zur Herstellung und Darstellung des Strafmaßes, Berlino, 1994; STRENG, Nomos Kommentar, Strafgesetzbuch, Berlino, 2010, 1664 ss. ; M. MAURER, Komparative Strafzumessung. Ein Beitrag zur Fortentwicklung des Sanktionenrechts, Berlino, 2005, 47 ss.; T. SCHOTT, Gesetzliche Strafrahmen und ihre tatrichterliche Handhabung. Eine empirische Untersuchung zu Gesetzsystematik und Rechtstatsächlichkeit bei ausgewählten Deliktsbereichen, Baden-Baden, 2004, 159 ss.

[43] Si pensi ai sempre più ampi poteri attribuiti al giudice dell'esecuzione di modificare la risposta sanzionatoria (art. 671 c.p.p.), agli effetti del bilanciamento delle circostanze o, infine, agli istituti che, spezzando la sequenza pena irrogata - pena eseguita, modificano nella so- stanza il trattamento sanzionatorio. C.E. PALIERO, La mediazione penale tra finalità conciliative ed esigenze di giustizia, in Accertamento del fatto, alternative al processo, alternative nel processo, Atti del convegno, Urbino, 23-24 settembre 2005, Milano, 2007, 131: « i sistemi commisurativi da noi sono in realtà plurimi e sempre più l'entropia commisurativa cresce; […]il dato comune a questi diversi sistemi commisurativi è la dipendenza dal principio di colpevolezza per l'individualizzazione della sanzione.»

[44] L. EUSEBI, Dirsi qualcosa di vero dopo il reato: un obiettivo rilevante per l'ordinamento giuridico?, in Criminalia, 2010, 637 ss.; F. CAPRIOLI, Processo penale e commisurazione della pena, in Silète poenologi in munere alieno!, teoria della pena e scienza penalistica, oggi, Bologna, 2006, 135 ss.


[45] Per una ricostruzione degli orientamenti in tema di prevenzione generale si rinvia a V. MILITELLO, Prevenzione generale e commisurazione della pena, Milano, 1982, 67 ss.

[46]A. ALESSANDRI, Delitti e pene nello scenario della crisi, in Giur. comm., 2010, p. 671 ss. svolge questa considerazione in relazione alla condanna esemplare (a 150 anni di carcere) inflitta a Bernard Madoff.

[47] V. MONGILLO, La finalità rieducativa della penanel tempo presente e nelle prospettive future, in Critica del diritto, 2009,173.

[48] G.M. FLICK, Dei diritti e delle paure, in I diritti fondamentali della persona alla prova dell’emergenza, Napoli, 2009, 65: parla di

«emergenze per lo più “false”».

[49] P. COSTA, La modernità penale fra secolarizzazione e permanenza del “sacro”, in AA.VV., Valori e secolarizzazione nel diritto penale, a cura di S. Canestrari e L. Stortoni, Bologna, 2009, 118. Nello stesso senso G. ZAGREBELSKY, Postfazione, a cura di L. Manconi-S. Anastasia-V. Calderone-F. Resta, Abolire il carcere, 2015, 107 ss. secondo il quale «alla sua base [del carcere] c’è l’idea implicita che la società sia l’effetto di due forze contrastanti, una forza di aggregazione e una di segregazione. L’aggregazione universale, l’agape fraterna estesa a tutti può essere un nobile ideale, ma è un ideale utopico. L’inclusione che non conosce esclusione genera anomia, violenza, disfacimento, alla fine dissoluzione del vincolo sociale. La società implica l’antisocialità. Tutti associati equivale a nessuna associazione. Affinché per alcuni vi sia convivenza, per altri deve esserci separazione, esclusione. Si può parlare di forze in equilibrio. L’una si appoggia all’altra. C’è una figura universale che esprime questa tensione tra il dentro e il fuori, ed è il capro espiatorio, una figura della psicologia collettiva che si presenta in forme diverse ma svolge sempre la stessa funzione di tenuta, rassicurazione e autoassoluzione del gruppo sociale dalle proprie colpe attraverso la polarizzazione su di lui come unica vittima della violenza ch’esso cova endemicamente. È il polo negativo che rafforza quello positivo. La sua estromissione dalla vita comune allenta temporaneamente la tensione, fino a quando questa si ripropone e richiede di allentarsi in u qualcuno o qualcosa d’altro che ne incarni la funzione di equilibrio».

[50] MOSCONI, La crisi postmoderna del diritto penale e i suoi effetti sull’istituzione penitenziaria, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1/3, 2001, 3 ss.

[51] Cfr., di recente, A. GARGANI, Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un circolo virtuoso per la legalità dell’esecuzione penale, in Cass. pen., 2011, 1259; F. CASCINI, Il carcere. I numeri, i dati, le prospettive, in Questione giustizia, 2010, 52.

[52] G. FORTI, L'immane concretezza, Milano, 2000, 94 che riprende la riflessione di R. MUSIL, L'uomo senza qualità, I, Torino, 1957, p. 12.


[53] M. VOGLIOTTI, Le metamorfosi dell’incriminazione. Verso un nuovo paradigma per il campo penale?, in Politica del Diritto, 2001, 656, il quale si riferisce a droga, immigrazione, mafia, corruzione pubblica e privata, tutela dell'ambiente e della salute, ecc.

[54] Cfr. M. DONINI, Le logiche del pentimento e del perdono nel sistema penale vigente, in Scritti in onore di Franco Coppi, Napoli, 894.

[55] Sul punto v. AA.VV., Aux frontières de la justice, aux marges de la société, Une analyse en groupes d’acteurs et de chercheurs, Gent, 2005.


[56] Cfr. H. KURY-M. BRANDENSTEIN-T.YOSHIDA, Kriminalpräventive Wirksamkeit härterer Sanktionen, zur neuen Punitivität im Ausland, in Zeitschrift für die Gesamte Strafrechtswissenschaft, 2009, 228 ss.; in tal senso, quanto meno sul piano dell'affermazione di principio sembra interessante riportare i criteri guida nella commisurazione della pena fissati dalla Section 718 del Criminal Code of Canada, in base al quale «The fundamental purpose of sentencing is to contribute, along with crime prevention initiatives, to respect for the law and the maintenance of a just, peaceful and safe society by imposing just sanctions that have one or more of the following objectives: (a) to denounce unlawful conduct;
(b) to deter the offender and other persons from committing offences;
(c) to separate offenders from society, where necessary;
(d) to assist in rehabilitating offenders;
(e) to provide reparations for harm done to victims or to the community; and
(f) to promote a sense of responsibility in offenders, and acknowledgment of the harm done to victims and to the community»

[57] P. RICOEUR, Il diritto di punire, in Cahiers de Villemètrie, 1958, 35.


[58] L, EUSEBEI, «Gestire» il fatto di reato. Prospettive incerte di affrancamento dalla pena «ritorsione», in La pena, ancora: fra attualità e tradizione, Milano, 2018, 226.

[59] Cfr. sul riferimento alla crisi del Sistema penal-punitivo e alla necessità di un paradigmo alternativo: N. CHRISTIE, Conflicts as a Property, in The British Journal of Criminology, 17 ss; R.E. BARNETT, Restitution: a New Paradigm of Criminal Justice, in Ethics: An International Journal of Social, Political, and Legal Philosophy,1977, 279-301.

[60] Nonostante il nucleo della giustizia riparativa sia pressoché universalmente riconosciuta, anche le fonti sovranazionali  non sono riuscite ad offrire una vera nozione di Restorative Justice, preferendo invece definire la cornice entro la quale si inseriscono prassi e procedura a carattere riparativo, i cosiddetti Restorative Processes . Così, nei Basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal matters redatti dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002, si parla di un procedimento in cui la vittima, il reo e, laddove appropriato, ogni altro soggetto della comunità leso da un reato, partecipano attivamente alla risoluzione della questione, con l’aiuto di un facilitatore ; analogamente la Direttiva 29/2012/UE all’art. 2.1, d), considera riparativo quel procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente e liberamente alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo. imparziale. D’altro canto, la definizione contenuta nella Raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation (Adottata dal Comitato dei Ministri il 20 gennaio 2010 nel corso della 1075° riunione dei Delegati dei Ministri)  fa leva sulla complessità del rapporto reo-vittima-comunità, delineandone i profili contenutistici, tra cui emerge l’importanza che gli autori del reato interiorizzino l’inaccettabilità della propria condotta . Pertanto, le fonti sovranazionali indicano i processi riparativi come meccanismi ai quali partecipano almeno la vittima e l’autore del reato. Sul punto, vedi: MAZZUCATO, Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Fondamenti teorici, implicazioni politico-criminali e profili giuridici, in Lo spazio della mediazione. Conflitto di diritti e confronto di interessi, Milano 2003, 170 ss.; MANNOZZI -LODIGIANI, La giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, Torino, 2017.

[61] N. CHRISTIE, Conflicts as a Property, in The British Journal of Criminology, 1977, 227.


[62] Cfr. A. EGLAS, Beyond Restitution: Creative Restitution, in Restitution in Criminal Justice, Lexington, 1977, 91-100; M.S. UMBREIT, The Handbook of Victim Offender mediation. An Essential Guide to Practice and Research, San Francisco, 2001; L. WALGRAVE, Restorative Justice and the Law, London-New York, 2011.

[63] P. MCCOLD, A Causal Theory of Restorative Justice, Paper presented at the 7th Inter- National Conference On Conferencing, Circles, And Other Restorative Practices, Manchester, 2005.

[64] A.S. SERRANO MAÍLLO, El (sesgado) uso de los delitos de cuello blanco en los paradigmas antiempíricos, in Revista de Derecho Penal y Criminología, 2004, 243: osserva che «un settore della criminologia ha proposto altri concetti come "crimine professionale", "crimine aziendale", "crimine politico", "crimine senza vittime", crimine organizzato, ecc. Altri autori, invece, sostengono che è opportuno mantenere astratta questa categoria e studiarne le connessioni con i reati ordinari.»

[65] J. HASNAS, Ethics and the Problem of White Collar Crime, in AM. U.L. REV, 2005, 579-593 (2005), 157-158;. R.G. MORVILLO – B.A. BOHRER – B. BALTER, Motion Denied: Systemic Impediments to White Collar Criminal Defendants’ Trial Preparation, in Am. Crim. L. Rev., 2005, 157-158

[66] J. BRAITHWAITE, Challenging Just Deserts: Punishing White-Collar Criminals, in J. Crim. L. & Criminology ,1982, 742.

[67] I. AERTSEN, La médiation victime délinquant en cas d’infraction grave, in Politique pénale en Europe, Council of Europe Publishing, 2005,237.

[68] C. MARTÍNEZ-BUJÁN PÉREZ, Derecho penal en la empresa. Parte general, Valencia, 2016,188-189. 


[69] I. AERTSEN, Restorative justice for victims of corporate violence, in Victims and corporations. Legal Challenges and Empirical Findings, Milano, 2018, 248. 


[70] B. SCHÜNEMANN, La punibilidad de las personas jurídicas desde la perspectiva europea, in Hacia un Derecho penal económico europeo, Jornadas en homenaje al 
Prof. Klaus Tiedemann, 1995,  571.

[71] D. LUEDTKE, Progression in the Age of Recession: Restorative Justice and White-Collar Crime in Post-Recession America, in Brook. J. Corp. Fin. & Com. L., 2014, 330.

[72] Cfr. D. LUEDTKE, Progression in the Age of Recession: Restorative Justice and White-Collar Crime in Post-Recession America, in Brook. J. Corp. Fin. & Com. L., 2014, 234.

[73]  K. DREW – K.A. CLARK, Corporate Criminal Liability, in Am. Crim. L. Rev, 2005, 277.

[74] ROBERTS - STALANS, Restorative Sentencing: Exploring the Views of the Public, in  Soc. Just. Res, 2004, 315-328.

[75] EUSEBI, La svolta riparativa del paradigma sanzionatorio, in Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, 2015, 97.

[76] Cfr. PAVARINI, Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, 1997, passim.

[77] EUSEBI, Il diritto – enciclopedia giuridica del Sole 24 ore, Bergamo, 2007, 85.

[78] R. PATERNOSTER – S. SIMPSON, Sanction Threats and Appeals to Morality: Testing A Rational Choice Model of Corporate Crime, in Law & Soc’y Rev, 1996, 549: i ricercatori hanno condotto il loro studio su un campione di studenti del primo e secondo anno di laurea in programmi di M.B.A. in tre diverse università e su un gruppo di dirigenti d'azienda che frequentavano un programma di formazione per dirigenti di una scuola aziendale presso una quarta università. Tutti gli studenti intendevano intraprendere una carriera aziendale e commerciale, e la grande maggioranza di loro era stata impiegata nel mondo degli affari per almeno un anno prima dello studio.

[79] A proposito delle “sanzioni informali”: R. PATERNOSTER – S. SIMPSON, Sanction Threats and Appeals to Morality: Testing A Rational Choice Model of Corporate Crime, in Law & Soc’y Rev, 1996, 561-562.

[80] J. BRAITHWAITE, Restorative Justice & Responsive Regulation, in Oxford University Press, 2002, 74.

[81] P. MCCOLD, A Causal Theory of Restorative Justice, Paper presented in The 7th International Conference On Conferencing, Circles, And Other Restorative Practices, Manchester, 2005.

[82] A. BARRIONUEVO – T. EVANS, Witness in Enron Trial Struggles with Emotions; Koenig Talks of Decision to Plead Guilty, N.Y. Times, Feb. 6, 2006

[83] J. TAMARIT SUMALLA, La justicia restautiva: concepto, principios, investigación y marco teórico, in La justicia restaurativa: desarrollo y aplicaciones, Granada, 2012, 22. 


[84] Ex multis, K.DALY, The Punishment Debate in Restorative Justice, in Punishment and Society, Los Angeles-Londra, 2013, 356 ss.

[85] Sulla complementarietà: G. MANNOZZI, voce Giustizia riparativa in Enciclopedia del diritto, Milano, 2017, 483 ss.

[86] M. DONINI, Pena agita e pena subita. Il modello del delitto riparato, in Studi in onore di Lucio Monaco, Bologna, 2020, 3.

[87] Nel senso di un'alternativa al diritto penale cfr. G. RADBRUCH, Der Erziehungsgedanke im Strafwesen, in Der Mensch im Recht, Göttingen, 1957,  57 « […]al codice penale sovietico che, secondo il modello del progetto Ferri, non prevede più pene, ma solo misure di difesa sociale, ho da obiettare il fatto che sotto un nome nuovo spesso vengono inflitte le vecchie pene deterrenti e retributive – perfino la pena di morte. Con ciò forse viene definito un obiettivo finale ancora distante: non un diritto penale migliore, ma qualcosa che sia meglio del diritto penale.»

[88] E. DOLCINI, Riflessioni sull'evoluzione della pena in Italia, in Pena controllo sociale e modernità nel pensiero di David Garland, in Atti del convegno in onore di David Garland, Università di Milano-Bicocca, 1 marzo 2004, Milano, 2005, 113- 133.

[89] tal riguardo cfr. Corte Cost., 11.6.1993, n. 306 dove si afferma che appare certamente rispondente alla esigenza di contrastare una criminalità organizzata aggressiva e diffusa, la scelta del legislatore di privilegiare finalità di prevenzione generale e di sicurezza della collettività, attribuendo determinati vantaggi ai detenuti che collaborano con la giustizia.

[90] L.  EUSEBI, Dibattiti sulle teorie della pena e mediazione, in La mediazione nel sistema penale minorile, Padova, 1998 835.


[91] Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

[92] L. EUSEBEI, La colpa e la giustizia: Ripensare la giustizia, in Paradoxa, 2017, 49 ss. denuncia la mancanza nel contesto attuale dell'idea che sulla frattura dei legami di solidarietà intersoggettiva rappresentata dalla condotta criminosa possa operarsi attraverso iniziative concrete di riparazione e di riconciliazione.

[93] Cfr. L.  EUSEBI, Profili della finalità conciliativa nel diritto penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006,1120; Cfr. D. PULITANÒ, La sospensione condizionale della pena: problemi e prospettive, in Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena, Milano, 2002, 131 in relazione agli obblighi positivi della sospensione condizionale, parla di assunzione di responsabilità da parte del reo che concerne la vita futura, dove la riparazione diviene un elemento del suo progetto di vita.

[94] Rispettivamente, attraverso risarcimento del danno ed eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose e riconoscimento della vittima e messaggio di riprovazione pubblica del fatto.