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Pubbl. Lun, 26 Giu 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

La centralità della Costituzione nelle Presidenze della Repubblica

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Luana Leo
Dottorando di ricercaLUM Giuseppe Degennaro



Partendo dal presupposto che la Costituzione offra alle Istituzioni e ai cittadini la ”bussola” necessaria per affrontare le diverse emergenze, il presente lavoro si sofferma sulla centralità assunta dalla stessa nelle singole Presidenze della Repubblica, al fine di sottolineare il suo progressivo rilievo nel magistrale operato dei Capi di Stato. La Costituzione, dunque, è in grado di concedere risposte adeguate alle sfide cruciali del nostro presente.


ENG Assuming that the Constitution offers the Institutions and citizens the ”compass” necessary to deal with the various emergencies, this contribution focuses on the centrality assumed by the same in the individual Presidencies of the Republic, in order to underline its progressive importance in the magisterial work oh the Heads of State. The Constitution, therefore, is able to grant adequate answers to the crucial challenges of our present.

Sommario: 1. Cenni introduttivi; 2. Il Presidente “garante”; 2.1. “Chi è il custode della Costituzione?”: origine e attualità; 3. Il rapporto dei Capi di Stato con la Costituzione nella c.d. Prima Repubblica; 4. L’esaltazione del patriottismo nel settennato di Ciampi; 5. Giorgio Napolitano, il “traghettatore” costituzionale; 6. L’elogio della Costituzione nella Presidenza Mattarella.;  7. La Carta costituzionale come anello di congiunzione delle Presidenze della Repubblica; 8. Conclusioni.

1. Cenni introduttivi

Da tempo, la dottrina rivolge particolare attenzione al mutamento del ruolo della figura presidenziale nell’ordinamento costituzionale italiano, anche in virtù delle recenti situazioni emergenziali (sanitaria, politica ed economica) implicanti il puntuale e solenne intervento del Capo dello Stato[1]. È invece scarsamente considerato e dibattuto il rapporto di ciascuna Presidenza della Repubblica con la Costituzione. La suddetta circostanza desta perplessità – a parere di chi scrive – in ragione di quanto statuito dal dettato costituzionale, che delinea una figura presidenziale, connaturata all’adozione del sistema di governo parlamentare, rappresentativa, quale “garante” e “custode” della Costituzione medesima[2].

La risalita al Quirinale di Sergio Mattarella sembra confermare la peculiare importanza che nel nostro Paese continua a rivestire un Presidente della Repubblica soggetto alla forza della Costituzione: la sua rielezione non è altro che “un contributo alla stabilità del nostro sistema politico, e offre le migliori garanzie per una presidenza sensibile sia al dettato costituzionale sia alle esigenze di governabilità del Paese”[3]. In concreto, è oggi più che mai sentita la presenza di un Capo dello Stato che respinge qualunque lettura della figura e delle funzioni presidenziali del tutto incompatibile con quanto sancito e indicato dalla Costituzione, ritenendo invece di avere il preciso dovere di non ridurre e di non estendere la sfera di compiti conferitegli da quest’ultima e dalla legge[4].

Appare opportuno riportare anche il pensiero di quella parte della dottrina fermamente contraria ad attribuire al Presidente della Repubblica la qualifica di “garante” e “custode”[5]. Tale visione, però, sembra essere sconfessata dalla consacrata responsabilità presidenziale per violazione della Costituzione[6]. Come sostenuto in Assemblea Costituente, il principale timore era quello di dare “al Presidente della Repubblica una certa consistenza, sia pure limitata a quella di essere guardiano e custode della Costituzione. Era logico, quindi, che, partendo da questo concetto, si rendesse il Presidente responsabile per violazione della Costituzione”[7].

In tale sede, si intende marcare come le varie personalità succedutesi negli anni abbiano mostrato un atteggiamento di totale osservanza del testo costituzionale, contribuendo non soltanto a sconfessare la dottrina minoritaria ma anche ad esaltare il prestigio della figura presidenziale nell’ordinamento costituzionale italiano, quale vero e proprio interprete della Costituzione.

2. Il Presidente “garante”

Considerate le linee di fondo del modello costituzionale, il Presidente della Repubblica è tradizionalmente definito come garante della Costituzione, o meglio – in una accezione più ampia e puntuale – come garante della regolarità costituzionale, o ancora come garante del buon andamento delle relazioni tra gli organi costituzionali, escludendo che lo stesso risulti portatore di un proprio indirizzo politico[8].

Come segnalato in dottrina[9], il Capo dello Stato interviene con poteri-chiave nel momento dell’accensione del sistema costituzionale, e con analoghi poteri-chiave quando il sistema entra in crisi: in tale arco di tempo, questi esercita poteri di stimolo, intervento e controllo, al fine di garantire una calibrata e ordinata applicazione delle regole costituzionali; i plurimi e delicati poteri sono esercitati nella veste di rappresentante dell’unità nazionale e non di una determinata fazione politica[10].

All’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione Italiana, la concezione garantista del Capo dello Stato si impone anche per merito di Serio Galeotti, uno dei primi studiosi a valorizzarne le doti di istituzione di garanzia costituzionale[11].

Se è vero che la figura presidenziale non può essere collocata nell’alveo della comune tripartizione delle funzioni quale organo a sé, è altrettanto vero che la medesima risulta comunque ben integrata nelle dinamiche degli altri tre “come un congegno destinato a seguire e trasmettere, non ad imprimere il moto agli altri ingranaggi costituzionali […] come un organo che mai […] costituisce l’ingranaggio motore, bensì l’ingranaggio che il moto della volontà statale trasmette e regola, frenandolo e anche arrestandolo”[12].

Da qui prende le mosse la celebre configurazione del Capo dello Stato come “garante o tutore della Costituzione”[13]. Occorre marcare come in tale posizione il Presidente assuma una fisionomia prettamente negativa: egli, infatti, non promuove, non coopera con gli altri poteri, ma si frappone ad essi, poichè realizzano comportamenti o atti ritenuti contrari alla Costituzione[14].

Al contempo, vi è chi sostiene che la figura in esame assolva alla funzione di garante della Costituzione non solo attraverso l’esercizio del potere di diniego, ma anche in modo attivo, specificatamente in tre delicate situazioni: la prima nella sua veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; la seconda, mai concretizzatasi, concerne la revoca di un ministro “riottoso” che non accolga l’invito di rassegnare le dimissioni in seguito ad una deliberazione del Consiglio dei ministri sanzionante la sua incompatibilità con l’indirizzo politico e l’azione di governo, la cui “unità” è affidata alla responsabilità del Presidente del Consiglio; la terza situazione attiene al potere di concessione della grazia, atto formalmente e sostanzialmente presidenziale[15].

Merita di essere segnalata anche quella data posizione teorica che rigetta fermamente la concezione del Presidente quale organo di garanzia costituzionale, ritenendo inopportuno continuare a definirlo in tale modo: alla base della posizione vi è la consapevolezza che, assolvendo alle funzioni conferitegli, il Presidente della Repubblica eroghi prestazioni che “la Costituzione vuole e ritiene fondamentali per la propria tenuta e per la conferma della propria forza precettiva, ma questo non ha nulla a che vedere con la garanzia della Costituzione”[16].

La predetta impostazione sembra trovare terreno fertile nella significativa sentenza costituzionale n. 1/2013[17], la quale, pur aggiungendo un rilevante “tassello” nella ricostruzione giurisprudenziale della figura e del ruolo del Capo dello Stato nel sistema costituzionale italiano[18], solleva diverse talune perplessità.

Essa, infatti, avvalla il processo trasformativo della funzione presidenziale di garanzia in un’attività di compartecipazione alle scelte di politica nazionale: con tale pronuncia, la Corte costituzionale, nel riconoscere al Presidente una sfera di poteri informali di “moderazione, impulso e persuasione” – il cui esercizio gode di una prerogativa di assoluta riservatezza – “crea, con un’eterogenesi dei fini, la condizione affinché il Capo dello Stato usi le sue competenze non già come potere neutro distinto dagli organi d’indirizzo politico, bensì come pouvoir neutre à la Constant (o à la Schmitt)” ovverossia come codecisore, se non proprio dominus, della politica nazionale”[19].

Il tratto critico della predetta sentenza consiste – a parere di chi scrive – nel considerare quale punto di riferimento del Presidente della Repubblica ai fini dell’esercizio delle sue funzioni non la Costituzione, ma il consociativismo politico, il politically correct, lo stemperamento del conflitto tra diversi. Sotto tale profilo, una corrente di pensiero tiene a sottolineare che “compito del Capo dello Stato non è stemperare il conflitto, ma semmai garantirlo; dovere del Presidente non è indicare la soluzione più condivisa, ma casomai consentire a tutti di poter proporre le proprie”[20].

In tale frangente, il Giudice delle Leggi – ad avviso di chi scrive – propone una ricostruzione del Capo dello Stato confusionaria e incoerente, deludendo così le aspettative: dal quadro complessivo disegnato dalla Consulta emerge l’eccessiva funzione politica ritagliata sulla figura presidenziale.

La Corte, invece, avrebbe dovuto cogliere l’occasione per rimarcare che il ruolo assegnato al Capo dello Stato si concretizza in un’essenziale funzione di garanzia[21], allontanando lo spettro della teoria di Carlo Esposito, fondata sull’interpretazione del Presidente della Repubblica come struttura governante[22].

A prescindere dai vari orientamenti, la concezione garantistica sembra trovare riscontro proprio nelle dichiarazioni delle ultime personalità salite al Quirinale: il 3 febbraio 2015, in occasione del suo messaggio alle Camere nel giorno del primo giuramento, il Presidente Mattarella ha ricordato che “il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione”, aggiungendo che “la garanzia più forte della nostra Costituzione consiste…nel viverla giorno per giorno”.

2.1. “Chi è il custode della Costituzione?”: origine e attualità

Il dilemma sulla custodia della Costituzione, incentrato sull’individuazione dell’organo più idoneo all’espletamento della funzione di garanzia costituzionale, richiama la polemica tra due illustri giuristi, Carl Schmitt e Hans Kelsen. Se sulle tesi espresse da Kelsen nello scritto “Le garantie juridictionnelle de la Constitution (La justice constitutionelle)” del 1928 interviene, contrastandolo, il primo con il saggio “Der Hüter der Verfassung” del 1929, nel 1931 giunge la controreplica di Kelsen con “Wer soll der Hüter der Verfassung sein?”. Come ben noto, Schmitt identifica il “custode della Costituzione” nel Presidente del Reich, mentre Kelsen affida il predetto compito ad un organo indipendente, la Corte costituzionale[23].

Come sottolineato in dottrina[24], i presupposti teorici dei due eminenti giuristi risultano nettamente distanti: Kelsen afferma che il conflitto, nel quale Schmitt rinviene l’origine della politica, possa essere composto come una controversia giuridica; egli, altresì, sostiene che la validità di ciascuna Costituzione risiede in una “norma fondamentale”, che non viene posta da alcuna autorità, la quale costituisce l’origine dell’ordinamento positivo. Schmitt vi oppone la nozione di “decisione fondamentale” da cui prende forma l’ordine giuridico e la decisione sovrana come origine della forma politica.

Quest’ultimo, nel configurare come baricentro dell’intero sistema di neutralità politico-partitica e di indipendenza il Presidente del Reich, invoca la presenza di un potere politico “neutro”, che assicuri il regolare funzionamento del sistema ed operi accanto e non al di sopra degli altri poteri per rimanere “custode” e non “signore” della Costituzione. Kelsen, sollevando perplessità sulla riconduzione della tesi del potere neutro di Constant al Presidente del Reich, giustifica la necessità di qualificare la Corte costituzionale come “custode della Costituzione” facendo leva sul fatto che spesso le violazioni più importanti della Costituzione presentano come parti in causa Parlamento e Governo; tale circostanza implica che a decidere delle controversie sia un organo del tutto estraneo all’esercizio del potere politico[25].

Senza entrare nel merito della predetta querelle, si intende – in tale sede – precisare due aspetti: il suo notevole influsso nella redazione della Costituzione Repubblica; la capacità di rendersi attuale anche a distanza di un ampio lasso di tempo. Con riferimento al primo profilo, si ricorda che Meuccio Ruini concepisce la Corte costituzionale con le medesime caratteristiche con cui era stata ideata da Kelsen[26], sebbene con termini schmittiani la definisca il “Custode della Costituzione”. In realtà, il principale recettore della cultura giuridica tedesca in Italia è Costantino Mortati, il quale non rinnega il particolare interesse per il pensiero schmittiano[27].

Egli si mostra in sintonia con Schmitt in ordine alla ricerca della fonte giuridica originaria e del nucleo fondamentale della Costituzione, che ritrova nelle forze politiche dominanti. Mortati ammette che la Corte, pronunciandosi su giudizi di legittimità costituzionale, avrebbe dovuto interpretare la Costituzione formale alla luce della Costituzione materiale, conformandosi con la visione kelseniana che identifica la Corte costituzionale come un “legislatore negativo”, più che l’interprete delle direttive stabilite dal Costituente.

È interessante constatare come inizialmente l’autorevole giurista assume un atteggiamento nettamente distaccato circa il ruolo della Corte costituzionale, sostenendo che il Parlamento e le forze politiche e sindacali avrebbero attuato in modo ottimale la Costituzione; in seguito, egli giunge all’opposta convinzione che tale organo avrebbe potuto garantire i cittadini nei confronti del potere legislativo ed esaltare i valori costituzionali[28].

Il secondo profilo sollevato merita specifica attenzione. Il tema cruciale di chi dovesse essere il vero “custode” della Costituzione ha continuato a mantenere la sua attualità in un determinato periodo nella fase storica 1985-1992[29]. Con l’elezione al Quirinale di Cossiga, si assiste ad un netto mutamento nell’interpretazione della funzione della Presidenza della Repubblica, tra gli attori-protagonisti della stagione di trasformazioni politiche che investe la Nazione in tale arco di tempo. Il travagliato percorso presidenziale necessita di essere snodato nei seguenti livelli: i discorsi pubblici di Francesco Cossiga in qualità di Presidente della Repubblica; le dichiarazioni, una volta concluso il suo mandato, rilasciate agli organi inquirenti (nel corso delle audizioni in processi inerenti al terrorismo e nelle sedute della Commissione parlamentare d’inchiesta); le plurime testimonianze pubblicate sulle testate giornalistiche o in volumi[30].

In tale ottica, si preme porre in risalto l’inconsueta attività di esternazione portata avanti da Cossiga[31], cui corrispose una richiesta di messa in stato di accusa del Capo dello Stato da parte del maggiore partito della sinistra. Sebbene il tentativo non consegue esito positivo, la Presidenza della Repubblica ne esce fortemente indebolita in un contesto di gravissima crisi del sistema politico.

Al fine di giustificare la sua attività, egli accosta a taluni argomenti pragmatici (come il crollo dell’ordinamento precedente e l’esigenza di un rapido e radicale cambiamento) altri punti richiamanti le accese polemiche tra Kelsen e Schmitt[32], ponendo in discussione il suo ruolo di “custode”. Il Presidente invita ad attuare una drastica riforma del parlamentarismo italiano, finalizzata al rafforzamento dei poteri dell’Esecutivo e al ridimensionamento di pesi e contrappesi voluto invece dai Costituenti proprio per evitare che un potere dello Stato potesse prevalere sugli altri.

La figura presidenziale assume una posizione centrale anche nel periodo successivo, sulla base dello sgretolarsi del sistema partitico tradizionale e della evidente fragilità delle maggioranze di governo, non mancando di invocare in determinate occasioni gli spiriti weimariani; solo con la Presidenza Ciampi si perviene ad un pieno recupero dello spirito costituzionale.

3. Il rapporto dei Capi di Stato con la Costituzione nella c.d. Prima Repubblica

La Presidenza pro tempore di Enrico De Nicola non si presta a valutazioni laboriose sotto il profilo del rapporto con la Costituzione: egli è eletto dall’Assemblea Costituente il 28 giugno 1946 come Capo provvisorio dello Stato, e dunque in via preventiva all’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana. Un atto che, essendo conseguente alla fine della Monarchia, risulta non solo istituzionalmente, ma anche politicamente necessario e quasi obbligatorio compiere in tempi ristretti e con larga maggioranza[33].

Difatti, la candidatura di Enrico De Nicola è ampiamente appoggiata: in un unico scrutinio, egli raccolse 396 voti su 501 votanti. In via generale, la figura di De Nicola è poco conosciuta e commentata in dottrina, poichè da parte della stampa vi era stato il silenzio più assoluto su una personalità che avrebbe senz’altro meritato un’immortale memoria per l’esemplarità inflessibile di una vita costantemente ispirata agli ideali della giustizia, tradotti in decisioni esistenziali[34].

La stessa cerimonia di insediamento del neo eletto De Nicola appare insolita, concretizzandosi in un semplice scambio di saluti tra questi e il Presidente dell’Assemblea Costituente Giuseppe Saragat, presso la Sala della Lupa, a Montecitorio, alla presenza di ministri e taluni deputati, vista l’assenza di un testo della Costituzione su cui giurare[35]; si assiste solo ad un formale passaggio formale di consegne tra il Presidente del Consiglio De Gaspari e il neoeletto Capo provvisorio al quale il primo passava pieni i poteri che aveva assunto sulla base di quanto disposto dall’art. 2 del D.L.Lgt. 16 marzo1946, n. 98[36].

È importante ricordare come in tale periodo transitorio si succedano tre diversi Governi, tutti presieduti da Alcide De Gasperi: un tempo circoscritto, ma ricco di avvenimenti che incidono sugli sviluppi della Repubblica proprio a partire dal prezioso operato di De Nicola, al quale incombe “inventare” prassi costituzionali, procedure e regole, tra cui quella concernente la nomina del Presidente del Consiglio[37].

In tale ottica, egli, pur limitato dalla provvisorietà della carica ricoperta, tenta di esercitare un’influenza sull’indirizzo politico, senza perdere la sua connotazione di organo di garanzia: la più alta e prestigiosa carica dello Stato sembra escludere una vera e propria incompatibilità tra l’essere percepita un’istituzione di garanzia e al contempo agire come un organo in grado di condizionare la formazione e l’attività dei governi, sentendosi dunque legittimato ad intervenire sulle scelte più cruciali e rilevanti della vita del Paese[38].

Con l’entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948), Enrico De Nicola assume per primo le funzioni di Presidente della Repubblica, a norma della prima disposizione transitoria della medesima. Egli, pur vigilando attentamente sui lavori della Costituente, esalta l’importanza della Costituzione specialmente nella nuova veste di Presidente della Corte costituzionale: nel solenne discorso del 23 aprile 1956, ascoltato in piedi da tutti i giudici e gli intervenuti, egli rileva – “con amara costatazione” – la scarsa conoscenza della Costituzione anche tra le categorie più saccenti (“Essa dovrebbe essere divulgata tra tutti gli italiani; vi provveda chi ne ha facoltà e senza indugio, perché 'troppo tardi' sono due parole funeste non solo per i singoli ma anche per il popolo”).

La figura di Luigi Einaudi, intellettuale ed economista di fama mondiale, assume rilievo nella storia repubblicana italiana[39]. Oltre ad essere ritenuto uno dei Padri della Repubblica, Einaudi è il primo Presidente ad assolvere il mandato settennale, nonché ad agire in piena vigenza della Costituzione, nonostante taluni organi previsti da quest’ultima non fossero ancora stati effettivamente istituiti.

In concreto, Einaudi “si trova a scrivere su diverse pagine ancora totalmente (o quasi) bianche”[40] con dedizione, competente attenzione e severità, interpretando ed esercitando “prerogative disegnate dalla Carta, ma da nessuno sperimentate e ben lontane da una compiuta definizione”[41]. Egli è consapevole di dover assolvere un compito delicato e complesso (“È dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”), come deducibile in centinaia di pagine del suo celebre “Lo scrittoio del Presidente”.

Si ritiene opportuno evidenziare come il ruolo di Einaudi sia stato spesso concepito in modo errato; ciò trova conferma nell’espressione di “Presidente notarile”, impiegata costantemente in tale fase storico per qualificare il suo operato[42].

Nel complesso, nessuna figura presidenziale sembra essersi limitata ad assolvere una veste prettamente “notarile”[43]. Lo stesso Einaudi, vero “garante” della Costituzione, riveste un ruolo politico in seguito alle elezioni del 1953 con la fine della maggioranza assoluta della Democrazia Cristiana e l’uscita di scena di De Gasperi: dinnanzi alle difficoltà di costituire un Governo che ottenga la fiducia delle Camere, egli nomina, di propria iniziativa, quale Presidente del Consiglio il ministro del tesoro uscente Giuseppe Pella, dando vita al primo dei diversi c.d. “governi del Presidente”.

In un contesto di forte instabilità governativa, Einaudi riesce ad imprimere una marcata impronta al ruolo presidenziale: in primis, quest’ultimo avvia un dialogo di leale collaborazione istituzionale, proponendo una penetrante ‘moral suasion’ nei rapporti con l’Esecutivo, a partire dall’esercizio del potere prescritto all’art. 87 Cost., che regola la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa governativa”; egli, poi, rinvia due leggi approvate dal Parlamento, poichè comportavano incrementi di spesa senza copertura finanziaria, in palese violazione dell’art. 81 Cost.; il Presidente “predicatore”[44] assume posizione anche sugli atti presidenziali da tale momento ritenuti “atti propri”, tra i quali la nomina dei senatori a vita e quella dei giudici costituzionali di nomina presidenziale.

Infine, la Presidenza di Luigi Einaudi merita di essere valorizzata anche per il coraggio di separarsi dalle rigide prassi statutarie (data sua mai rinnegata fede monarchica)[45]; ciò deve essere letto – a giudizio di chi scrive – come segno di profondo rispetto nei confronti della Costituzione.

È assodato che il mandato presidenziale debba svolgersi entro un dato contesto storico, caratterizzato da impulsi interni ed esterni all’apparato politico. Le posizioni contrapposte di Costantino Mortati e Mario Bracci sul solenne ruolo del Presidente della Repubblica costituiscono il quadro in cui si iscrive il controverso settennato di Giovanni Gronchi. Nel settembre 1958, l’illustre costituzionalista italiano adduce severe critiche circa il progetto di Costituzione gollista: oltre a non implicare alcun elemento o intuizione proficua per il futuro, il predetto progetto – nell’ottica del giurista Mortati – si pone contro l’evoluzione costituzionale dei Paesi occidentali[46].

Nello stesso anno, il giudice costituzionale, in una lettera indirizzata al Presidente Gronchi, denuncia il serio rischio della paralisi dei poteri (legislativo ed esecutivo), invocando un intervento più attivo e dinamico del Capo dello Stato. In una prospettiva di protezione delle istituzioni democratiche, egli rinviene nello stesso una figura in grado di fare funzionare in modo regolare ed efficace il Parlamento, visti gli ampi poteri riconosciutegli dalla Costituzione[47]. Nel suo discorso di insediamento, Gronchi offre l’immagine di un Presidente maggiormente propenso ad intervenire sulle questioni più cruciali, in primis quelle sociali, a parte quelle inerenti all’attuazione della Costituzione.

A tale proposito, il neo eletto Presidente della Repubblica pone in risalto la repellente necessità che quest’ultima fosse “compiuta negli istituti previsti quali la Corte costituzionale, il Consiglio Superiore della Magistratura, l’ordinamento regionale, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, e nell’adeguamento della legislazione e del costume”.

Pertanto, la significativa attenzione per l’attuazione della Costituzione si traduce dapprima nella nomina dei giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta comune e del Presidente stesso: nel 1956, la Corte costituzionale può finalmente iniziare la propria attività, imprimendo una forte spinta a quella conformazione della legislazione alla nuova Costituzione auspicata da Giovanni Gronchi nel suo discorso di insediamento, ma rispetto al quale le Camere continuano ad indugiare[48].

In seguito, nell’ultima fase della II Legislatura – segnata da tumulti politici – si prosegue con l’approvazione delle leggi istitutive del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e del Consiglio Superiore della Magistratura, determinando una svolta decisiva nella realizzazione dell’indipendenza della Magistratura.

È doveroso evidenziare che il discorso di insediamento di Gronchi aveva innescato in Calamandrei reazioni così entusiastiche da indurlo a ricostruire il ruolo del Capo dello Stato come “viva vox Constitutionis” [49]: il giurista fiorentino definisce il Presidente “garante della regolarità” – rievocando le note tesi di Guarino – ma con poteri incisivi sull’indirizzo politico, a partire dal potere di scioglimento.

Gronchi, pur accusato di superare i “limiti della Costituzione”[50], contribuisce a costruire l’immagine pubblica del Capo dello Stato: egli, per una grandiloquenza teatrale[51], rilascia interviste con frequenza e riconosce ai messaggi di fine anno una certa solennità, non mancando però di attirare critiche per via di un presunto uso distorto del potere di esternazione[52]. In definitiva, la Presidenza Gronchi rappresenta una tappa fondamentale nell’estensione del ruolo politico del Capo dello Stato, anche se egli è promotore attivo dell’attuazione della Costituzione proprio in virtù della sua azione svincolata dai partiti[53].

Il mandato presidenziale di Antonio Segni, il più breve della storia repubblicana italiana, prende avvio con l’auspicio di inaugurare una prassi più sobria rispetto al passato. Dal suo primo intervento traspare la volontà di ritornare ad un ruolo (apparentemente) “notarile” del Capo dello Stato, al fine di attenuare le polemiche sorte in ordine all’azione presidenziale del predecessore Gronchi.

Nell’ultima parte del suo discorso di insediamento alle Camere, Segni tiene a precisare che non gli sarebbe spettato “determinare gli indirizzi politici nella vita dello Stato, prerogativa del Governo della Repubblica e massimamente di questo libero Parlamento”, avendo invece il puntuale “dovere di tutelare l’osservanza della Costituzione e di operare affinché sia garantita nella forma e nello spirito dell’attività dello Stato, l’unità civile e morale della nazione italiana, una e indivisibile […], o meglio “di vegliare sulla continuità ed unità di questa nostra Repubblica che è uno Stato di diritto, dotato di leggi giuste ed uguali per tutti“.

Al contrario, gli interventi del quarto Capo dello Stato nella vita dell’Esecutivo si rivelano abituali sin dai primi mesi del mandato: oltre alla ricezione dei ministri al Quirinale, si segnalano gli otto casi di rinvio di leggi al Parlamento per il riscontro di talune carenze sul piano della copertura delle spese ivi previste e il messaggio alle Camere del 17 settembre 1963, di cui Segni si avvale per proporre l’introduzione nel dettato costituzionale del divieto di immediata rielezione del Capo dello Stato.

Dallo scenario delineato emerge come la Presidenza di Segni non possa essere equiparata a quella del suo predecessore: mentre il dinamismo di Giovanni Gronchi si era trasferito anche nell’attuazione dell’assetto costituzionale, Antonio Segni concepiva l’apparato istituzionale e legislativo del Paese “come qualcosa di assodato che necessitava eventualmente di consolidamenti, non di adeguamenti a una realtà in cambiamento”[54].

Con la coincisa e intensa esperienza di Giuseppe Saragat al Quirinale si apre una nuova e diversa fase dell’istituzione presidenziale.

Il discorso di insediamento, ancora una volta, rappresenta un ottimo strumento per anticipare i caratteri dello stile del Capo dello Stato: in tale frangente, egli preannuncia di assolvere il suo ruolo “al di sopra dei partiti”, quale “sereno moderatore dei contrasti che la vita del paese sprigiona come condizione del proprio sviluppo”. In realtà, il medesimo si pone da promotore e tutore della formula di centrosinistra per tutta la durata del mandato: come prevedibile, tale atteggiamento solleva non poche polemiche, tanto da essere considerato non conforme al dettato costituzionale. Tuttavia, è proprio grazie alla Presidenza Saragat che la retorica istituzionale si arricchisce di un importante elemento: il forte richiamo alla Resistenza[55].

In un clima più disteso – in seguito agli scontri avutesi nell’estate del 1960 – il Capo dello Stato non manca di invitare tutte le forze politiche alla difesa della Costituzione, ribadendo l’antifascismo come valore irrinunciabile e unificante la Nazione. In concreto, si gettano le basi di una vera e propria strategia comunicativa, fondata sull’antifascismo e sui valori della comune cittadinanza repubblicana, ripresa dalle successive personalità salite al Quirinale in presenza di una minaccia alle istituzioni democratiche[56].

Nel 1971, l’elezione di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica si svolge in un clima politico fortemente irrequieto; la sua candidatura prevale su quella di Aldo Moro solo per via delle forti pressioni delle correnti avversive al centrosinistra. Dal suo discorso di insediamento affiora una figura presidenziale dal ruolo sostanzialmente “notarile”, fedele alla Costituzione e ai valori della Resistenza. Alla Presidenza Leone si imputa il primo caso di esercizio del potere di scioglimento delle Camere nella storia repubblicana, dovuto alla crisi dei rapporti tra la Democrazia cristiana e i partiti laici.

A tale proposito, vi è chi sostiene che il Presidente Leone abbia optato per la soluzione meno agevole in relazione alla scelta del governo destinato a gestire le elezioni: egli avrebbe dovuto affidare la scioglimento al governo dimissionario o ad un governo tecnico-elettorale, piuttosto che nominare un governo monocolore del partito di maggioranza presieduto dal principale esponente della Democrazia Cristiana, Giulio Andreotti[57].

Il 15 ottobre 1975, il Capo dello Stato rivolge un lungo e ignorato messaggio alle Camere, riprendendo altresì la proposta di Antonio Segni sull’introduzione in Costituzione del principio della non rieleggibilità del Presidente della Repubblica, con conseguente eliminazione del c.d. “semestre bianco”. Nella stessa occasione, il Presidente della Repubblica pone in luce l’esigenza di procedere all’attuazione della Costituzione, individuando proprio nella stessa la risposta ai problemi del Paese: a prescindere dalla scelta delle Camere di non procedere alla discussione, tale messaggio risulta ambizioso poichè investe tanto la struttura politico-istituzionale quanto la funzionalità degli apparati burocratici[58].

In dottrina, la Presidente Leone è considerata per taluni aspetti contradditoria: se da una parte l’azione del Capo dello Stato sembra allinearsi alle coordinate costituzionali, dall’altra, il suo vago atteggiamento contribuisce a sollevare varie critiche sfociate in attacchi fatali (lo scandalo Lockheed)[59]. La posizione paradossale di Leone – a giudizio di chi scrive – non desta perplessità: il Capo dello Stato, attestatosi sul crinale della non interferenza rispetto ai partiti, è totalmente estraneo alle strategie di potere; tale circostanza si traduce in un fattore di debolezza per la figura in esame.

L’8 luglio 1978, Sandro Pertini è eletto Presidente della Repubblica dopo un estenuante e tortuoso processo che richiede ben sedici scrutini con 832 voti su 995 votanti. Si tratta di un esito senza precedenti nella storia repubblicana italiana che conferisce uno specifico significato[60] a quella rappresentanza nazionale di cui la figura del Capo dello Stato risulta investita ai sensi dell’87 Cost.

Trovatosi ad operare in clima di forte delegittimazione del sistema politico, Pertini è ben consapevole di essere tenuto ad assolvere un compito arduo, quello di ripristinare la fiducia nelle istituzioni. Il suo discorso di insediamento risulta più personale e meno istituzionale: il Capo dello Stato, non mancando di rivendicare la propria autonomia rispetto alle forze sostenitrici, ripone attenzione ai diritti civili e alle libertà, al rapporto tra unità nazionale e riforme a favore dei lavoratori, alla lotta contro la violenza che travolgeva la Repubblica.

In dottrina, vi è chi ammette che i persistenti richiami all’unità nazionale, alla solidarietà e alla dignità umana risultano sufficienti per emettere un giudizio positivo sulla Presidenza Pertini, in quanto “interpretano il vero spirito della posizione del Capo dello Stato quale disegnata dalla Costituzione italiana”[61].

L’elezione di Pertini al Quirinale segna il passaggio ad una Presidenza di alto rispetto costituzionale: egli, infatti, incarna perfettamente la figura di garante nella responsabilità rappresentativa della Nazione, in un contesto storico inficiato da emergenze e da contrazioni istituzionali e politiche[62]. A differenza dei suoi predecessori, Sandro Pertini interpreta in maniera esemplare la “Viva vox constitutionis”, non solo per motivi strettamente attinenti alla scienza costituzionalistica, bensì per l’ottima capacità di esprimere i valori fondanti della Costituzione Repubblicana[63].

Il suo profondo rispetto verso la Costituzione traspare nel primo messaggio al Parlamento in seduta comune, nel preciso punto in cui egli promette di assolvere scrupolosamente il proprio mandato “senza tuttavia mai travalicare i poteri tassativamente prescritti dalla Costituzione”, confermando così la volontà di essere una figura giusta e imparziale. In diverse occasioni, egli si sofferma sulla necessità di difendere in ogni modo la Costituzione, da intendersi come “una conquista di tutto il popolo italiano, della sua storia, delle sue forze politiche” e non “il frutto di una elaborazione di un gruppo di esperti dietro una scrivania”.

Nel corso del suo settennato, la Costituzione è issata più volte come un argine alla frammentazione del sistema sociale; tuttavia, l’incapacità dei partiti di fronteggiare le nuove sfide si traduce nel tentativo di attribuire la responsabilità della crisi all’insufficienza del sistema istituzionale e a trovare nelle proposte di “grandi riforme” della Costituzione l’alibi per giustificare l’incapacità di sviluppare in maniera adeguata e immediata i necessari interventi di legislazione ordinaria[64].

Con particolare riferimento alle proposte di revisione costituzionale, si ritiene opportuno segnalare l’inflessibilità del Presidente, nonché il suo rigoroso rispetto delle regole costituzionali (“se il Parlamento riconosce che a distanza di tanti anni si sono affacciate esigenze nuove, che alcuni istituti possono essere corretti e migliorati, che si impongono procedimenti più rapidi e meccanismi istituzionali che assicurino maggiore stabilità ed efficacia nei massimi organi dello Stato, esso trova nella stessa Costituzione il modo di soddisfare queste necessità”).

La Costituzione – nell’ottica del Presidente – rappresenta l’unica certezza: “ogni sforzo di miglioramento a nuove necessità non può che essere attuato nello stesso modo, dalle stesse forze e nello stesso spirito col quale la Costituzione nacque: come cioè il frutto di una profonda maturazione democratica comune, con la ricerca delle procedure di revisione costituzionale che la Costituzione prescrive”.

La Presidenza Pertini lascia un’impronta indelebile a livello istituzionale e sociale, specialmente per la puntuale coerenza di azione con i principi proclamati.

Come già visto, il settennato di Francesco Cossiga risulta piuttosto controverso: mentre nei primi anni rispetta le aspettative allineando la sua Presidenza al modello notarile, nella parte finale del mandato egli cambia radicalmente approccio[65].

La predetta trasformazione traspare nel messaggio inviato alle Camere il 26 giugno 1991, con il quale il Capo dello Stato ammette la necessità di un nuovo e originale patto istituzionale in vista di una riforma della Costituzione. Il suddetto messaggio rappresenta uno dei documenti più laboriosi ed approfonditi, e al contempo discussi e criticati, nella storia dei tentativi di riformare le istituzioni politiche italiane[66].

Oltre a indicare i vari terreni sui quali intervenire (la forma di governo, il sistema elettorale, le autonomie, l’apparato giudiziario, i nuovi diritti di cittadinanza e gli strumenti di finanza pubblica), il Presidente Cossiga si addentra sul metodo da adottare per le riforme, proponendo tre diverse ipotesi: il ricorso puro e semplice all’art. 138 Cost.; l’attribuzione da parte delle Camere a sé stesse di poteri costituenti; l’elezione di un’Assemblea Costituente[67]. Infine, egli si sofferma sulle forme di “ratifica popolare” delle decisioni adottate dagli organi rappresentativi, innescando le maggiori polemiche tra le forze parlamentari.

Dal messaggio del 1991 emerge tutta la portata rivoluzionaria del nuovo corso della Presidenza, improntato “ad una retorica populistica ed antipartitica e al desiderio di ripensare i fondamenti di legittimazione del sistema politico repubblicano”[68]. Il “picconatore” della Prima Repubblica, nel prospettare una serie di modifiche costituzionali, istituzionali e di percorsi costituenti integrati dal voto popolare, viola così le sue competenze di garante della Costituzione[69]. Il suddetto episodio, unito ad una serie di interventi impropri[70], induce buona parte dei costituzionalisti italiani a diffondere una rigida presa di posizione contro lo stesso Presidente: egli – nell’ottica di tali studiosi – “non può schierarsi né a favore, né contro una parte politica; non può usare espressioni insultanti, additando al disprezzo singoli uomini politici o cittadini (…); non può, avendo giurato fedeltà alla Repubblica, delegittimare le istituzioni vigenti, adoperandosi, al di là delle ipotesi di sempre legittima revisione, per l’istaurazione di un diverso sistema costituzionale”[71].

Oscar Luigi Scalfato è eletto Presidente della Repubblica nel corso di un periodo storico contrassegnato da eventi drammatici (la strage di Capaci). Il suo stesso mandato attraversa due delle fasi più travagliate della storia repubblicana italiana: lo scandalo di “Mani pulite” ed il collasso del vecchio sistema dei partiti accompagnato dall’insorgenza di una dialettica diversa tra le parti politiche. Nel corso del suo settennato, la difesa delle istituzioni (a partire dall’organo legislativo) e quella della Costituzione risultano elementi inscindibili: in occasione del suo giuramento dinnanzi alle Camere in seduta comune, il Presidente Scalfato si preoccupa di porre in risalto la centralità dell’organo legislativo; il suo, dunque, è un atto di devozione al Parlamento “che è al vertice della costruzione costituzionale della Repubblica […] ed è il legittimo doveroso, unico destinatario del dialogo con il Capo dello Stato”.

Complici l’instabilità politica e le inchieste giudiziarie, quella di Scalfaro diventa una Presidenza interventista: egli nomina sei Governi, quattro giudici costituzionali, rinvia sei leggi alle Camere e usa con inusuale frequenza il potere di esternazione[72].

Il momento “clou” del suo mandato risale però al 1994[73] quando il Capo dello Stato decide di sciogliere anticipatamente le Camere: uno scioglimento anticipato “squisitamente presidenziale”[74], nonché un’eccezione alla regola dei sostanziali auto-scioglimenti. A tale proposito, una parte autorevole della dottrina riconosce al Presidente della Repubblica il merito di avere esercitato una funzione di stabilità nell’esercizio del potere di scioglimento, auspicando comunque un suo dietrofront una volta stabilizzatosi il quadro politico[75]. Difatti, egli non procede allo scioglimento delle Camere né dopo il declino del primo governo Berlusconi né dopo quello del primo governo Prodi, quando l’interventismo presidenziale avrebbe trovato forse maggiore giustificazione.

Quel che necessita di essere marcato – ad avviso di chi scrive – è l’incessante richiamo alla Costituzione, alla cui stesura[76] lo stesso Presidente piemontese aveva partecipato con entusiasmo: proprio a quest’ultima, definita più volte “bussola sicura”, il Capo dello Stato ancora le decisioni più complicate del suo settennato.

La Costituzione – secondo Scalfaro – è un testo da “amare” e da “vivere”, così come ricordato ai giovani in varie circostanze, tra cui l’avvio dell’anno scolastico 1992-1993 (“Studiate la Costituzione italiana nella parte della proclamazione dei diritti inviolabili dell’uomo, meditatela e vivetela per quanto dipende da ciascuno di voi. Il vostro domani sarà il risultato del vostro oggi”).

4. L’esaltazione del patriottismo costituzionale nel settennato di Ciampi

L’idea di una Costituzione “viva, vivissima”[77] – consolidatasi nello scenario nazionale – è subito recepita dal successore di Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi: il decimo Presidente della Repubblica, eletto al primo scrutinio (come Cossiga) con il voto concorrente di maggioranza e opposizione, è la prima figura presidenziale ad operare in un contesto elettorale bipolare, interpretando al meglio le funzioni di garante della Costituzione e rappresentante dell’unità nazionale.

Sul finire del XX secolo, egli rappresenta il principale – se non l’unico – fattore di coesione nazionale in un Paese ormai lacerato da violente contrapposizioni di schieramenti politici antagonisti “restii a riconoscersi l’un l’altro una piena legittimità democratica, espressione e motore, ad un tempo, di divisioni socio-culturali altrettanto radicate e diffuse”[78]. Il suo discorso di insediamento è incentrato sulla riscoperta del “patriottismo costituzionale”, species del genus “patriottismo repubblicano”, inteso in dottrina come “adesione ad una Costituzione, nella quale lo statuto della cittadinanza è qualificato non soltanto dall’insieme dei diritti e dei doveri individuali, ma dal riconoscimento di vincoli che sono imposti dalla comunanza di storia e di cultura”[79].

Lo scopo perseguito dal Presidente è quello di favorire un senso di appartenenza nazionale tramite il recupero della memoria storica nel quadro di un ancoraggio sia alla civiltà europea sia allo sviluppo di una concreta strategia di integrazione comunitaria[80]. Se è vero che termini peculiari come “Patria” e “Nazione” associati ai concetti di “Repubblica” e “Costituzione” sono sempre stati presenti nel linguaggio presidenziale, è altrettanto vero che il tema cruciale della patria si è affacciato all’opinione pubblica solo con la Presidenza Ciampi[81].

In tale senso, l’intervento dello stesso per la celebrazione dei 140 anni dell’Unità d’Italia (20 novembre 2001) è riuscito a sganciare il patriottismo da un pregiudizio nazionalista e ad avvicinarlo – sulla base del modello francese – al repubblicanesimo e alla Costituzione[82]. Alla rivendicazione del patriottismo costituzionale si è accostato l’impegno volto alla costruzione di una religione civile attraverso il rilancio di simboli, luoghi di memoria e celebrazioni nazionali: nel 2000, il Presidente della Repubblica ripristina la festa del 2 giugno (“Festa della Repubblica”) abolita nel 1977; nel 2003, egli apre il palazzo del Quirinale alle celebrazioni del 25 aprile; infine, è determinante la sua costanza a celebrare l’anniversario della vittoria nella prima guerra mondiale, il 4 novembre (“Festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate), con un forte e vivo richiamo alle radici storiche risorgimentali del Paese[83].

Giunti a tale punto, appare quasi inevitabile chiedersi se la scelta del Capo dello Stato di porsi da “cantore della Patria”[84] – o meglio interpretare in modo pienamente soddisfacente l’art. 87, comma 1, Cost. – abbia comportato il sacrificio di qualche altra rilevante funzione costituzionale riguardante il ruolo del Presidente della Repubblica. Il riferimento non è tanto all’esercizio del potere di rinvio delle leggi[85] quanto invece ad un’omessa ingerenza del Presidente Ciampi in relazione alla spinosa e travagliata riforma del Titolo V della Costituzione.

In realtà, i suoi comportamenti sembrano rivelare l’amaro pentimento di non aver sanzionato in qualche modo, con una dichiarazione ufficiale o un messaggio, la radicale modifica del Titolo V approvata alla vigilia delle elezioni del 2001: in una serie di interventi pubblici nel corso del 2004 e del 2005, egli si sofferma sui rischi di creare disparità nei diritti dei cittadini, di generare profonde discriminazioni tra le Regioni, di rendere particolarmente macchinoso il procedimento di formazione delle leggi[86].

Il singolare apprezzamento di cui lo stesso gode all’interno[87] e all’esterno dell’apparato politico, nonché la sua capacità di porsi da eccellente rappresentante dell’unità nazionale per tutto il settennato, hanno un peso così consistente da piegare ogni mossa di chiunque intenda valutare i costi di quel consenso e di quell’unità[88]. È impensabile – a parere di chi scrive – contestare l’operato di una figura presidenziale che investe tutte le risorse culturali e simbolico-rituali della sua carica; il suo successo, pur provvisorio, è il prodotto di un impegno persistente e mirato, svoltosi sul terreno di una politica dinamica, giocata in chiave di pedagogia civile nazionale[89].

5. Giorgio Napolitano, il “traghettatore” costituzionale

Come la gran parte delle elezioni presidenziali, anche quella di Giorgio Napolitano nel 2006 avviene in un clima politico irrequieto: egli non gode dell’ampio consenso ottenuto dal suo predecessore, riportando al quarto scrutinio appena 543 voti favorevoli, soltanto 38 in più rispetto alla necessaria maggioranza assoluta[90].

Alla luce di ciò, il Presidente Napolitano sottolinea il suo impegno a rappresentare tutte le forze politiche in campo, dedicando “senza risparmio le energie all’interesse generale per poter contare sulla fiducia dei rappresentanti del popolo e dei cittadini italiani senza distinzioni di parte”. In via generale, il suo discorso di insediamento – più lungo e articolato rispetto a quello di Ciampi – riprende temi consolidati nel repertorio presidenziale (le riforme istituzionali, le istituzioni internazionali, l’obiettivo europeista e gli impegni di politica internazionale dell’Italia, la lotta al terrorismo, ecc.), non mancando però di lasciar trasparire la sua forte preoccupazione in ordine al carattere conflittuale della politica italiana[91].

È interessante rilevare come l’attività del Capo dello Stato si dispieghi con un impatto originale sul sistema politico-istituzionale, tant’è che egli è spesso al centro delle principali vicende politiche, nazionali ed internazionali, con tratti innovativi, talvolta discussi e non sempre apprezzati, che inducono a porre in discussione il suo ruolo di garante della Costituzione[92].

Difatti, il Presidente della Repubblica interferisce con l’azione di governo e l’indirizzo politico, interviene fermamente sui procedimenti legislativi, rifiuta di emanare decreti legge (caso Englaro) e decreti legislativi (decreto salva-liste), riveste un ruolo centrale nella crisi libica, entra di impeto nella  profonda crisi del Governo Berlusconi e propone una credibile alternativa all’Esecutivo in carica anticipando la nomina del futuro Presidente del Consiglio (Mario Monti) a senatore a vita.

A tale proposito, vi è chi[93] sostiene che tali circostanze non influiscano direttamente sulla figura del Capo dello Stato facendolo diventare un “reggitore dello Stato”[94], ossia una specie di dittatura commissaria, ma viceversa operino direttamente sui limiti, consentendo così allo stesso di manifestare tutte le potenzialità che la Costituzione gli riconosce. In tale contesto storico, l’estensione dei poteri presidenziali è attorniata dal gradimento generale dell’opinione pubblica e delle forze politiche, nonché dall’appoggio degli studiosi anche nei momenti in cui l’operato del Capo dello Stato si concretizza tramite strumenti formali privi di un solido fondamento costituzionale.

L’opera di convincimento delle classi politiche implicate e della collettività si sostanzia dapprima nella straordinaria capacità del Presidente Napolitano di porsi da subito come “promotore della pacificazione nazionale”, sviluppando con silente pazienza un’inedita “pedagogia del confronto”[95], e poi nel persistente richiamo ai principi e ai valori costituzionali in plurime occasioni.

Sotto tale ultimo profilo, il Capo dello Stato rammenta che “i principi della Costituzione, di cui talvolta si parla come se fossero soltanto formule astratte, dettano comportamenti e dovrebbero essere seguiti da comportamenti concreti e coerenti”[96]; essi ispirano “non solo l'attività delle istituzioni, ma anche la vita di tutti gli italiani”[97]. Il suo crescente protagonismo nella sfera politica e pubblica non gli impedisce di maturare una puntuale teoria del ruolo presidenziale, come traspare nella prefazione della sua biografia, nel punto in cui lo stesso è categorico ad affermare che “la previsione di un Capo dello Stato eletto dal Parlamento, non dotato di poteri esecutivi, concepito come supremo moderatore e garante di una corretta dialettica istituzionale” costituisce “un punto di forza della Costituzione Repubblica”[98].

In realtà, già durante la cerimonia della consegna del “Ventaglio”, il Presidente Napolitano offre una rigida definizione del ruolo e delle funzioni presidenziali (“una istituzione che i nostri costituenti 60 anni fa concepirono, ancor più di quanto non concepirono altre coeve Costituzioni nei Paesi dell’Europa democratica, come figura dotata di poteri circoscritti e distinti da quelli propri dell’Esecutivo, capace di rappresentare la nazione nel suo insieme, di valorizzare quel che unisce e può unire il Paese, di raccogliere ansie e aspirazioni condivise e di garantire l’equilibrio e la stabilità delle nostre istituzioni”), non senza omettere l’impossibilità di delimitare i Capi di Stato “a figure di silenziosi e inerti spettatori”.

Nel corso del tempo, egli torna a ribadire la netta distanza tra le responsabilità delle istituzioni e quelle presidenziali, sottolineando però il suo dovere “di interpretare le esigenze e interessi generali del Paese anche in rapporto a scelte del Governo[99].

Il parziale mutamento di approccio deriva dalla crescente delusione per il perdurare di atteggiamenti di chiusura a correggersi di molteplici soggetti, malgrado i plurimi moniti e richiami, nonché per via del contemporaneo insorgere di ampi e diffusi fenomeni degenerativi nelle classi politiche[100].

È in nome dell’elevata lealtà istituzionale che egli accoglie l’invito delle forze politiche per una Presidenza “a tempo”[101], pur ponendo delle rigorose condizioni, ossia dare vita ad un Governo di larghe intese e avviare l’iter delle riforme costituzionali.

Nel suo messaggio alle Camere del 22 aprile 2013, il Capo dello Stato accentua l’eccezionalità della situazione politica, economica e sociale, denunciando la sordità della classe politica ai suoi frequenti richiami; il protrarsi dell’inerzia politica lo avrebbe senz’altro portato a trarre le doverose conseguenze, inducendolo alle dimissioni, privando così il Governo della sua solenne tutela e riaprendo, in un sistema politico instabile, un’ulteriore e imprevedibile corsa al Quirinale.

La seconda “stagione” di Giorgio Napolitano, dunque, prende avvio dalla ferma convinzione che la rielezione possa costituire l’unica e valida soluzione per salvaguardare la continuità dell’assetto costituzionale; nell’ultima fase del primo settennato, tale figura appare dotata di una elevata valenza politica, accreditando la successiva assegnazione del ruolo di “condottiero politico”[102]. Come il primo mandato, anche il secondo si caratterizza per una forte e incisiva presenza del Capo dello Stato nell’assunzione di plurime decisioni istituzioni compiute in scenari di emergenza.

Tuttavia, il momento più critico della sua breve Presidenza è rappresentato – ad avviso di chi scrive – dall’inaccettabile richiesta di messa in stato d’accusa avanzata dal Movimento 5 Stelle nel 2014 per “attentato alla Costituzione”[103], prontamente archiviata dal Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa. Oltre ad essere priva di fondamento costituzionale, la predetta denuncia rivela l’uso disinvolto della Costituzione da parte della politica; quest’ultima rischia di fare assolvere impropriamente tutti gli altri soggetti contribuenti con maggiori responsabilità al totale degrado del nostro assetto istituzionale[104].

Nel 2015, l’approvazione in prima lettura alla Camera della riforma costituzionale Renzi-Boschi è preceduta dalle dimissioni del Presidente Napolitano, preannunciate nello stesso messaggio di insediamento in relazione non soltanto al fattore “età”, ma anche per puntualizzare che l’accettazione del nuovo mandato scaturisce dall’eccezionalità della situazione politica e del conseguente “stallo” parlamentare.

In definitiva, egli esce dalla scena lasciando una rinnovata immagine della figura presidenziale: un Capo dello Stato che continua a svolgere un ruolo di garanzia attiva anche sul piano delle riforme istituzionale, tanto da diventarne il “centro motore”, in grado di raggiungere il consenso di quell’ampia parte dell’elettorato che si riconosce in posizioni moderate e riformiste, in entrambi gli schieramenti[105].

6. L’elogio della Costituzione nella Presidenza Mattarella

L’elezione, quasi inattesa, di un giudice costituzionale al Quirinale segna il passaggio ad una Repubblica sotto tutela presidenziale[106]. Sergio Mattarella è eletto il 3 febbraio 2015 al quarto scrutinio con una maggioranza di 665 voti; la sua storia professionale e personale induce ad escludere una figura incline a contrastare l’indirizzo politico dell’Esecutivo[107].

Sebbene la compagine politica che vota a favore di Sergio Mattarella è nettamente inferiore rispetto a quella che conferisce a Giorgio Napolitano il secondo mandato, quel che spicca è la modalità che conduce all’elezione del primo: in precedenza, nessun Presidente del Consiglio aveva mai avviato un procedimento di consultazioni pubbliche invitando tutte le altre componenti politiche, sino ad avanzare la sua unica ed ufficiale candidatura[108].

Oltre a palesare una vitale apertura nei confronti degli “elementi di novità e di cambiamento”[109] che connotano la composizione di Camera e Senato, il Presidente Mattarella – ponendosi in linea con il suo predecessore nel 2006 – tiene a definire il suo ruolo istituzionale, soffermandosi su due profili peculiari della figura presidenziale: quello relativo alla rappresentanza dell’unità nazionale, e quello inerente alla garanzia della Costituzione[110].

Con riguardo al primo profilo, egli evoca i molteplici aspetti costituzionalmente rilevanti che compongono il vincolo unitario che lega l’intera collettività; l’unità nazionale è intesa in un triplice senso: come indissolubile “unità”  che “lega i territori”; come indispensabile coesione richiesta dal “patto sociale” che impone specialmente provvedimenti risolutivi per fronteggiare la crisi economica; come inviolabile “patto costituzionale” che impone di rafforzare e tutelare i molteplici profili che compongono  il vincolo che ci unisce sulla base della Costituzione.

Per quanto concerne la garanzia della Costituzione, il Presidente Mattarella – diversamente da Napolitano – fa leva sul dovere di dare applicazione effettiva stessa, ai singoli diritti e alle libertà in esse previste, nonché alle plurime finalità e ai tanti interessi pubblici indicati dalla Costituzione.

È la “riservatezza” che caratterizza il primo settennato di Mattarella: in tale senso, la sua Presidenza sembra allinearsi all’immagine tracciata nella sentenza costituzionale n. 1/2013, nel punto in cui si sottolinea il ruolo di influenza discreta, sottratta al protagonismo e protetta da intrusioni nella sua sfera di segretezza[111].

Fino al 2016, la predetta figura rimane sullo sfondo rispetto ad un Presidente del Consiglio che mantiene una vigorosa leadership e dirige una maggioranza sufficientemente solida. In realtà, anche nel passaggio dal Governo Renzi a quello Gentiloni verificatosi a causa del fallimentare referendum costituzionale, Mattarella mantiene una posizione defilata vista la presenza della stessa maggioranza e di un assetto ministeriale sostanzialmente identico.

La situazione però si ingarbuglia durante la XVIII Legislatura: il combinato disposto di un sistema tripolare e la nuova legge elettorale “Rosatellum-bis” che prevede un sistema misto determina l’assenza di una maggioranza in grado di dare vita ad un Esecutivo.

Il Governo Conte I nasce solo a seguito di un lungo e travagliato negoziato e non in maniera lineare per via del rifiuto del Presidente Mattarella di nominare quale ministro dell’Economia e delle Finanze il prof. Paolo Savona[112], in ragione delle sue note idee antieuropeiste e avverse alla moneta unica. La crisi rientra rapidamente; tuttavia, per la prima volta, il Capo dello Stato si preoccupa di assolvere in pieno il ruolo di “garante” e “custode” della Costituzione, in riferimento ai vincoli che derivano dal diritto europeo e che sono ormai costituzionalmente vincolanti (artt. 11 e 117, co. 1 Cost.), e anche in ordine agli obblighi di bilancio dopo la riforma dell’art. 81 Cost. In concreto, lo stesso intende adempiere al ruolo per cui “il Presidente ha la cura della Costituzione, sorveglia che la Costituzione funzioni senza intoppi”[113].

A fronte di ciò, le accuse rivolte al Presidente Mattarella di aver trasceso i suoi poteri, dietro a cui si nasconde l’antico “spettro” dell’art. 90 Cost., non trovano riscontro: si tratta di un eclatante “errore politico”[114]; come ricordato in dottrina, il procedimento di messa in stato di accusa richiede di “dimostrare, anche con comportamenti reiterati, l’intenzione di sovvertire la Costituzione”[115].

Lo stesso scenario si ripropone nell’agosto 2019; anche in tale circostanza, il Presidente della Repubblica previene un ritorno alle urne, favorendo la formazione del Governo Conte II, con la sostituzione di quasi tutti i ministri. Come il precedente, anche quest’ultimo non giunge alla scadenza naturale della legislatura, essendo ormai venute meno le condizioni di alleanza per proseguire[116].

L’ultimo momento saliente del primo settennato di Mattarella è segnato dall’insorgenza di un Governo tecnocratico, espressione del dualismo Capo dello Stato-Presidente del Consiglio, un unicum nella storia repubblicana italiana: il Presidente agisce in piena autonomia (senza consultazioni)[117] affidando a Mario Draghi l’incarico di guidare il Paese in un periodo storico travagliato[118].

È interessante rilevare come i tre Esecutivi formatesi nel corso della VIII Legislatura prendano forma dall’inamovibile volontà presidenziale di scongiurare le elezioni anticipate ed assicurare al Paese un apparato istituzionale solido e responsabile. Tuttavia, tale scenario appare inevitabile quando l’ex Presidente della BCE – dopo una serie di azioni e reazioni – rassegna definitivamente le sue dimissioni; con lo scioglimento delle Camere prende avvio un’accanita campagna elettorale che si conclude con il “trionfo” scontato del centro-destra e l’ascesa alla Presidenza del Consiglio del primo Premier donna, Giorgia Meloni.

A parte lo sforzo di garantire la continuità delle legislature, il suo mandato si contraddistingue anche per il mantenimento di rapporti stretti e in larga parte cordiali con i diversi Capi di Governo; come osservato in dottrina, le relazioni tra Quirinale e Governo non si avvicinano mai al livello di tensione dialettica registratosi nell’era Napolitano[119].

Il ruolo-chiave della Costituzione nella Presidenza Mattarella – a parere di chi scrive – risalta altresì nella delicata gestione delle situazioni emergenziali e nella disponibilità ad un secondo mandato.

Nel contesto della pandemia da Covid-19, le dichiarazioni del Capo dello Stato si sono rivelate fondamentali ed incisive sotto diversi profili. In primo luogo, per la particolare importanza riservata alla saldezza dell’unità nazionale; in secondo luogo, per l’incitamento ad una collaborazione tra lo Stato ed il sistema dei poteri territoriali circa i delicati problemi innescati dalla crisi sanitaria; infine, per la rigorosa posizione assunta in tema di correttezza dei processi decisionali per contrastare la pandemia, valorizzando il ruolo del Parlamento[120].

Le “parole” del Presidente della Repubblica non sono solo dei vocaboli ma “materiale vivo”, che perseguono lo scopo di denunciare il vulnus, porgere conforto e considerazione a chi lo subisce e consigliare vivamente alle Istituzioni e alla società di adempiere ai propri doveri, senza esitazioni o sviamenti di potere nell’esercizio della discrezionalità[121].

Il 2022 è l’anno in cui affiorano marcatamente le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi e sanitari tra i diversi territori del nostro Paese (specialmente tra Nord e Sud), che generano inaccettabili “ingiustizie e feriscono il diritto all’uguaglianza”[122].

Il Capo dello Stato affianca alle “parole” una testimonianza concreta, compiendo frequenti visite nelle periferie e nei luoghi in cui maggiormente si rintanano le disuguaglianze di fatto che la Repubblica deve rimuovere con atti normativi, esecutivi ed anche tramite l’adempimento dei doveri di ciascuno ai sensi dell’art. 3, co. 2, Cost. In tali frangenti, egli si pone da speciale interlocutore dell’intera società, risultando in grado di prestare udienza autorevole alle diffuse esigenze e aspettative della comunità nazionale[123].

La riconferma di Sergio Mattarella al Quirinale, nonchè la seconda di un Capo dello Stato in un arco di tempo ristretto, conferma il ruolo di primo piano assunto dalla figura presidenziale nel nostro sistema costituzionale.

Come noto, la rielezione di Mattarella costituisce espressione del fallimento dei partiti politici di giungere ad un compromesso – distinguendosi da quella del suo predecessore per le difficoltà economiche in cui versava il Paese[124] – non coinvolgendo però il Parlamento in seduta in comune che concede una discreta prova[125].

Al contempo, in entrambi i casi si assiste ad una utilizzazione al meglio di personalità di elevato profilo all’apice delle Istituzioni non facilmente sostituibili, forzando una loro resistenza originaria[126]. Tale scenario implica una doverosa riflessione sulla secolare questione dell’ammissibilità o meno della ricandidatura di un Presidente della Repubblica. È opportuno chiarire che la rielezione presidenziale non costituisce una “rottura” della Costituzione: il testo costituzionale, infatti, non contempla un divieto di rielezione, come stabilito invece per i giudici costituzionali ed i membri laici del CSM.

Tuttavia, la predetta opzione necessita di essere considerata in via del tutto eccezionale: non deve essere intesa come un precedente rilevante, né pensare che possa dar luogo ad una nuova prassi costituzionale[127]. La rielezione presidenziale – nell’ottica di chi scrive – lede quel delicato equilibrio di durata degli organi costituzionali pensato dai Costituenti[128], ponendo in discussione altresì la previsione del c.d. semestre bianco che depone in senso contrario. Quel che necessità di essere accentuato – in tale sede – è però lo straordinario senso di responsabilità del Presidente Mattarella verso la collettività[129], che conferma non soltanto il forte e intimo legame tra lo stesso e il Paese ma anche il suo essere un vero e proprio “Presidente della Costituzione”.

7. La Carta costituzionale come anello di congiunzione delle Presidenze della Repubblica

A distanza di più di settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, si prende atto della crescente espansione del ruolo e delle funzioni del Presidente della Repubblica nelle vicende politiche, che permane un indispensabile baricentro per il corretto funzionamento del nostro sistema istituzionale[130]. Dall’analisi compiuta in tale sede emerge come “la più difficile e la più sfuggente tra le cariche pubbliche previste dal vigente ordinamento costituzionale”[131] eserciti non soltanto funzioni di tutela degli equilibri istituzionali e politici[132], ma anche un’essenziale compito di salvaguardia della Costituzione, tant’è che quest’ultima rappresenta la “pietra angolare” dell’operato presidenziale, fungendo da trait d’union di tutte le personalità succedutesi nel corso degli anni.

Nelle ultime Presidenze, si rileva la volontà di promuovere ed esaltare l’idea e la prassi di “una Repubblica solidale”; l’interazione dell’esercizio dei poteri con i linguaggi presidenziali contribuisce a legare i vari settennati. In particolare, il Presidente Mattarella, tramite appositi interventi pubblici, ha evidenziato come i suoi predecessori, pur trovandosi ad operare in differenti contesti storici e distinguendosi per la loro personalità, hanno interpretato i loro poteri entro il perimetro dell’ordinamento costituzionale, assicurando così una continuità istituzionale nella storia della Repubblica[133].

Il passaggio dallo Statuto Albertino alla caduta del fascismo[134] investe in toto la figura del Capo dello Stato sotto due distinti e connessi profili, della forma di stato e di quella di governo[135]. Senza entrare nel merito di ciò, si ritiene ragionevole soffermare l’attenzione sulle fondamenta storiche di entrambe le Costituzioni: lo Statuto Albertino è comunemente considerato una Carta costituzionale scaturita integralmente dalla volontà del Monarca, di carattere ottriato[136].

Dal dibattito istituzionale avutosi in seno al Consiglio di Conferenza del Regno di Sardegna e dal testo del Preambolo si coglie la naturale intenzione del Monarca di concedere lo Statuto con l’espressione “Legge perpetua ed irrevocabile”: la formula esprime l’idea che il Re, a livello giuridico, esaurisca, con la promulgazione dello Statuto, l’originario potere costituente, attribuendo l’esercizio di tutti i poteri dello Stato ad organi e procedure costituiti. L’intento e il motivo ultimo della decisione da parte del Re di concedere lo Statuto traspare in maniera chiara: accrescere il prestigio della monarchia e conferire più potere al medesimo ed al suo Governo[137].

La Costituzione del 1948, invece, prende forma da un grande fatto globale, ossia gli anni della seconda guerra mondiale; un evento che “nessun uomo […] potrà mai accantonare o potrà attenuarne le dimensioni qualunque idea se ne faccia e con qualunque stato d’animo”[138]. Essa, dunque, si colloca all’interno del costituzionalismo del secondo dopoguerra, espressione di una cultura democratica europea che, in seguito all’esperienza del nazifascismo, riafferma la validità dei principi democratici nella consapevolezza della necessità di “proteggere” il sistema democratico[139].

Sul Titolo II, riservato proprio alla figura presidenziale, si discute lungamente in seno all’Assemblea Costituente, ragionando specialmente in relazione ai caratteri fondamentali ed ai poteri del nuovo organo. L’esito del referendum del 1946, però, vincola i Costituenti ad assegnare al medesimo due caratteristiche principali: da un lato, si sarebbe dovuto trattare di una carica elettiva e non ereditaria; dall’altro, il mandato presidenziale avrebbe dovuto essere temporalmente definitivo.

Di fronte alla comune convinzione che la Costituzione del 1948 abbia nel suo impianto originario di fondo una prevalente caratterizzazione monistica, appare legittimo porsi il seguente interrogativo: chi è il sovrano, e come può esplicare la sua volontà? La risposta è scontata: il sovrano è il popolo, autentico autore della Costituzione; e poichè esso è effettivamente organizzato, per l’esercizio della sua volontà, dai partiti politici leader nella caduta della monarchia, il luogo in cui quella sovranità deve divenire concreta è il Parlamento, in cui quei partiti sono presenti[140].

Difatti, l’art. 87, comma 1, Cost. identifica il Presidente della Repubblica come “rappresentante dell’unità nazionale”, sebbene lo stesso rappresenti simbolicamente non soltanto l’unità della popolazione, bensì l’unità di una comunità statale che condivide un complesso di valori comuni. Come già visto, nella più recente fase della Repubblica, il ruolo del Presidente si sostanzia nel mantenere vivo e solido il rapporto con l’opinione pubblica, facendosi primario portatore dei bisogni che emergono nella società civile e che implicano, nel quadro dell’attuazione costituzionale, adeguata risposta[141].

In conclusione, se lo Statuto Albertino rappresenta un “manifesto” autoritario e politico attraverso cui il Monarca si accredita come sovrano d’Italia nella fase post-unitaria, la Costituzione costituisce la “bussola” che guida il Presidente della Repubblica nelle sfide cruciali incontrate nel corso del suo mandato e, in via generale, raccorda tutte le figure salite al Quirinale.

8. Conclusioni

Giunti a tale punto, appare indispensabile compiere brevi osservazioni sull’oggetto del presente contributo, ossia sulla particolare importanza riservata alla Costituzione in tutte le Presidenze della Repubblica.

La dottrina costituzionalista italiana si è sempre prodigata a ricostruire i diversi modi in cui i Capi di Stato hanno interpretato il proprio ruolo, condizionati da tratti caratteriali, sensibilità, origini, esperienze, storie personali e familiari, certamente incidenti sulle azioni, sulle forme e contenuti degli interventi pubblici[142].

Al contrario, scarso rilievo è riconosciuto al preciso adempimento del mandato presidenziale in virtù dei principi e delle norme costituzionali, nonché sulla capacità dei Capi di Stato di garantire la continuità della Costituzione, quale testo di straordinaria attualità.

Eppure, proprio le Presidenze più recenti hanno palesato un atteggiamento esemplare in tale senso: in particolare, il Presidente Sergio Mattarella ha ammesso come “i segni e i semi lasciati nella nostra storia dai principi fondamentali della Carta costituzionale rappresentano tuttora il nostro patrimonio più prezioso”[143].

È questo – a parere di chi scrive – un aspetto cruciale che esalta la profonda diversità di stile del Capo di Stato italiano rispetto a quello di altri Capi di stato europei, soprattutto con quello francese.

In Francia, ove vige una forma di governo semipresidenziale, il Presidente della Repubblica mantiene un rapporto ben più distante dalla Costituzione, sebbene l’art. 5 di quest’ultima imponga a tale figura il suo pieno rispetto.

Al contempo, la medesima disposizione della Carta costituzionale del 1958 assegna all’alta carica francese la funzione di “arbitro”; la predetta qualifica deve essere interpretata “non già come l’individuazione di un ruolo di interpretazione imparziale delle regole esistenti, ma come funzione di intervento attivo nel gioco per assicurare la prevalenza di un determinato indirizzo”[144].

Sin dai primi tempi della Repubblica, infatti, i diversi Presidenti hanno inteso la funzione di cui all’art. 5 Cost. non in un’ottica reattiva, bensì offrendo una lettura attivo-estensiva che ha consentito loro di intervenire sempre più incisivamente nella sfera politica[145].

Alla luce di ciò, la potenziale attuazione della riforma semipresidenziale in Italia[146], che costituisce uno degli principali obiettivi del neo Governo, non solo andrebbe a rivedere il ruolo del Presidente della Repubblica in Italia[147], ma vanificherebbe l’inestimabile lavoro di osservanza e rispetto della Costituzione compiuto dalle diverse e autorevoli personalità.

Alla centralità assunta dalla Costituzione nelle Presidenze della Repubblica si è opposta l’innegabile incapacità dell’apparato politico di adottare le innovazioni istituzionali, che la complessità dello Stato sociale e del sistema economico contemporaneo richiedono, segno di evidente lacerazione della stessa Costituzione[148].

In tale ottica, si richiamano le solenni parole della senatrice a vita Liliana Segre: “se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione - peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi - fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese piú giusto e anche piú felice”[149].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Come ammesso da E. CUCCODORO, Il Presidente della Repubblica non “arbitro”, ma “garante”, in Osservatorio costituzionale, ottobre 2015, p. 2 “il mutato scenario istituzionale del nostro Paese rende evidenti tanto il “peso effettivo”, quanto il grado di influenza diretta e di personale determinazione raggiunti dal Capo dello Stato nel compito presidenziale, per fronteggiare le necessità e gli straordinari tempi di emergenza”.

[2] Trib. Roma, 23 giugno 1993.

[3] G. BRUNELLI, La pandemia e l'unità nazionale: il ruolo del Presidente della Repubblica, in Diritto Virale, Vol. III, 2020, p. 11.

[4] Così M. RICCIARDI, Il Presidente della Costituzione, in Rivista di cultura e di politica, Il Mulino, 30 gennaio 2022.

[5] È la posizione di R. BRUNETTI, Il presidente della Repubblica non è custode né garante della costituzione, in Nuovo dir., 1978 , pp. 553 ss.

[6] In linea con ciò, L. CARLASSARE, Il Presidente della Repubblica. Art. 90, in G. BRANCA, A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1983, 149 ss.

[7] Intervento On. Tosato, in Atti Ass. Cost., 23 ottobre 1947, p. 1491.

[8] In senso opposto, O. CARAMASCHI, Le trasformazioni della funzione presidenziale di garanzia. Il caso della sentenza n. 1 del 2013, in Quad. cost., n. 1, 2013, p. 21, secondo il quale la concezione garantista “è divenuta un potente strumento di legittimazione delle politiche presidenziali: non ha tenuto il Capo dello Stato al di fuori del recinto in cui si assumono le scelte di politica nazionale, ma ne ha facilitato l’ingresso, quasi spingendovelo dentro a forza”.

[9] A. PISANESCHI Diritto costituzionale, Torino, V ediz., 2022, p. 364.

[10] Intervento E. TOSATO, in Atti Ass. Cost., 19 settembre 1947, p. 2945.

[11] In realtà, il merito di avere delineato la posizione del Capo dello Stato come garante della Costituzione è attribuito a G. GUARINO, Il Presidente della Repubblica italiana (note preliminari, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1951, p. 928 ss., ora anche in Dalla Costituzione all'Unione Europea (Del fare diritto per cinquant'anni), Napoli, 1994, p. 309 ss, il quale distingue in maniera accurata la funzione presidenziale, di garanzia politica della Costituzione, da quella di garanzia della legittimità costituzionale, spettante alla Corte).

[12] Così, S. GALEOTTI, La posizione costituzionale del Presidente della Repubblica, Milano, 1949, ora in Il Presidente della Repubblica garante della Costituzione. La concezione garantistica del Capo dello Stato negli scritti dell’autore dal 1949 ad oggi, Milano, 1992, p. 20.

[13] Così, S. GALEOTTI, op. cit., 63.

[14] Sul punto, si veda A. SPADARO, Prime considerazioni sul Presidente della Repubblica quale garante preventivo della Costituzione ed eventuale parte passiva in un conflitto per interposto potere, in Pol. dir., 1993, p. 219 ss.

[15] E. BETTINELLI, Il ruolo di garanzia effettiva del Presidente della Repubblica (in un sistema politico che deraglia...), in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari. Quaderno n. 21. Seminario 2010, Torino, 2012, pp. 32-34.

[16] Così, M. LUCIANI, Un giroscopio costituzionale. Il Presidente della Repubblica dal mito alla realtà (passando per il testo della Costituzione), in Rivista AIC, n. 2, 2017, p. 18.

[17] Corte cost., 15 gennaio 2013, n. 1. Su tale decisione, la dottrina è fiorente. Tra i plurimi, si veda S. CECCANTI, Una prima lettura rapida in 7 punti della sentenza 1/2013. Il Quirinale ha ragione perché se il presidente fosse intercettabile sarebbe in gioco l’equilibrio tra i poteri e la sua funzione di garantire prestazioni di unità, in Forum di Quaderni Costituzionali, 13 gennaio 2013; M. TIMIANI, In margine al conflitto tra Capo dello Stato e Procura di Palermo, ovvero del potere di scioglimento delle Camere, in ibidem, 8 febbraio 2013; A. MORELLI, La riservatezza del Presidente. Idealità dei principi e realtà dei contesti nella sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale, in ibidem, 28 marzo 2013; A. PACE, Intercettazioni telefoniche fortuite e menomazione delle attribuzioni presidenziali, in Rivista AIC, n. 3, 2013; D. CODUTI, La sentenza n. 1 del 2013 della Corte Costituzionale sullo sfondo dei rapporti tra politica e magistratura: una decisione forse inevitabile ma non priva di ombre, in Amministrazione in Cammino, 30 maggio 2013.

[18] È la posizione di M.C. GRISOLIA, La sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2013: un nuovo tassello nella ricostruzione giurisprudenziale della figura e del ruolo del Capo dello Stato nel nostro sistema costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, 5 febbraio 2013, secondo la quale tale pronuncia “rappresenta senza alcun dubbio una vera e propria pietra miliare sulla strada della interpretazione messa a punto dal giudice delle leggi nella sua giurisprudenza. Una interpretazione che appare tanto più indicativa e significante in quanto destinata a diventare un punto di riferimento obbligato nel convulso e sfaccettato dibattito che, specie negli ultimi anni, ha riguardato la figura dell’organo posto al vertice del nostro sistema”.

[19] Così, O. CARAMASCHI, Le trasformazioni della funzione presidenziale di garanzia. Il caso della sentenza n. 1 del 2013, cit., pp. 28-29. Sul punto, l’autore aggiunge che “nella misura in cui l’attività presidenziale gode di una garanzia rafforzata rispetto a quella analogamente svolta dagli altri organi costituzionali, non solo la moral suasion del PdR viaggia su una corsia preferenziale nei rapporti inter-istituzionali, ma coperta dalla sua intangibile e inaccessibile sacralità può piegarsi potenzialmente a qualsiasi finalità, assicurando al titolare una posizione privilegiata nella gestione delle questioni politiche nazionali”

[20] Così, F. FERRARI, Ma non era una Repubblica? Sul ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica dopo Corte cost. 1/2013, in Federalismi, 19 giugno 2013, p. 6.

[21] Sul punto, è interessante la posizione di S. GIANNELLO, La sentenza della Corte costituzionale n. 1/2013: l’occasione per riflettere sulla responsabilità e sul ruolo del Presidente della Repubblica nell’ordinamento costituzionale italiano, in Rivista AIC, n. 3, 2013, p. 35 secondo il quale “è la nostra idea di garanzia che non ha saputo adeguarsi all’evoluzione del costituzionalismo”.

[22] Per C. ESPOSITO, Capo dello Stato, in Encicl. Dir., VI, 1960, p. 224 ss., “la tesi del Capo dello Stato come organo politico imparziale e super partes apparterebbe al mondo delle ricostruzioni mistiche e non a quelle delle definizioni realistiche”.

[23] Sul dibattito teorico tra i due giuristi, la dottrina è ricca. Tra i diversi, si veda specialmente P. PETTA, Schmitt, Kelsen e il “custode della costituzione”, in Storia e Politica, n. 3, 1977, pp. 505-551; N. ZANON, La polemique entre Hans Kelsen et Carl Schmitt sur la justice constitutionnelle, in Annuaire international de justice constitutionnelle, 1989, pp. 177-189; C.M. HERRERA, La polémica Schmitt-Kelsen sobre el guardian de la constitución, in Revista de Esludios Políticos (Nueva Época), n. 4/1994, pp. 195-228; S.L. PAULSON, The Schmitt-Kelsen Dispute on the “Guardian of the Constitution”: The Issue of Subsumption, in Diritto e cultura, n. 1/1995, pp. 169-188; L. VINX, The Guardian of the Constitution. Hans Kelsen and Carl Schmitt on the Limits of Constitutional Law, Cambridge, 2015; L. VITA, ¿Quién debe ser el guardián de la Constitución? Una relectura del debate entre Kelsen y Schmitt a la luz del caso Prusia contra Reich de 1932, in Lecciones y Ensayos, n. 2/2017, pp. 131-166.

[24] C. GALLI, Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, Bologna, 1995, p. 685.

[25] P.A. CAPOTOSTI, La giustizia costituzionale e il suo insegnamento, in Nomos-Le attualità del diritto, n. 2, 2016, p. 4.

[26] Per un approfondimento sul tema, si veda C. Margiotta Broglio, La Corte costituzionale italiana e il modello kelseniano, in Quad. cost., n. 2, 2000, pp. 303-369.

[27] A tale riguardo, si veda C. MORTATI Brevi note sul rapporto tra costituzione e politica nel pensiero di Carl Schmitt, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 2, 1973, pp. 511-532.

[28] G. GIORGINI, Potere costituente, cultura giuridica e modelli costituzionali stranieri, in G. GIORGINI, L. MEZZETTI, A. SCAVONE (a cura di), La costituzione "vivente" nel cinquantesimo anniversario della sua formazione, Milano, 1999, p. 107.

[29] Come avallato da F. LANCHESTER, La Costituzione tra elasticità e rottura, Milano, 2011, p. 126.

[30] G. PANVINI, I presidenti della Repubblica e il terrorismo, in M. RIDOLFI (a cura di), Presidenti, Roma, 2014, p. 217 ss.

[31] Come osservato da A. MASTROPAOLO, Il dualismo rimosso. La funzione del Presidente della Repubblica nella forma di governo parlamentare italiana, in Rivista AIC, n. 4, 2013, p. 30, “il potere di esternazione è lo strumento di cui Cossiga si servì nella sua contrapposizione nei confronti degli altri organi costituzionali. Dicendo di farlo in nome della “gente”, egli si scagliava contro tutti, tanto da meritarsi il soprannome giornalistico di “picconatore”. Riprendendo una pratica della presidenza precedente, che assumeva ora colori eversivi, Cossiga tentò di instaurare un dialogo diretto e continuo con l’opinione pubblica della cui rappresentanza si pretese investito”.

[32] F. LANCHESTER, Le costituzioni tedesche da Francoforte a Bonn. Introduzione e testi, Milano, 2009, p. 145.

[33] V. SPINI, Sul colle più alto, Milano, 2022, p. 18 ss.

[34] T.L. RIZZO, I Capi dello Stato. Dagli albori della Repubblica ai nostri giorni 1946-2015, II ediz., Roma, 2015, p. 55. In particolare, l’autore sottolinea che “a distanza di mezzo secolo dalla nomina di De Nicola al vertice della Repubblica, non c’era stata alcuna cerimonia commemorativa di tale significante circostanza e, sui giornali, nessuno scrisse un rigo”.

[35] “Ardua è stata l’azione del capo provvisorio dello Stato in un periodo senza Costituzione, perché l’antica – per quanto mantenuta in vigore in quanto applicabile – non poteva essere più praticamente osservata nella mutata forma istituzionale e la nuova non era stata ancora elaborata, discussa e votata. Si è dovuto creare, così, giorno per giorno, una nuova prassi che potrà essere osservata anche in avvenire in armonia con le nuove norme costituzionali” (in G. MAMMARELLA, P. CAPACE, Il Quirinale, Roma-Bari, 2011, p. 24).

[36] D.L.Lgt. 16 marzo1946, n. 98 (“Integrazioni e modifiche al decreto-legge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, relativo all'Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, al giuramento dei Membri del Governo ed alla facoltà del Governo di emanare norme giuridiche”).

[37] F. FABBRIZI, De Nicola, De Gasperi e l’avvio della storia costituzionale della Repubblica Italiana, in B. CARAVITA, F. FABBRIZZI, V. LIPPOLIS, G.M. SALERNO (a cura di), La nascita dei Governi della Repubblica (1946-2021), Vol. I, Torino, 2022, p. 19. Sul punto, si veda anche A. GIACONE, Enrico De Nicola e la transizione istituzionale tra Monarchia e Repubblica (1944-1946), in Laboratoire italien, n. 12, 2022, pp. 279-296.

[38] S. MURA, Il modello italiano: i presidenti nella costruzione e nella legittimazione della Repubblica (1946-1964), in G. ORSINA, M. RIDOLFI (a cura di), La Repubblica del presidente. Istituzioni, pedagogia civile e cittadini nelle trasformazioni delle democrazia, Roma, 2022, p. 382.

[39] Come ben affermato da M. NARDINI, Il ruolo “notarile” di Einaudi nella formazione del VII governo De Gasperi e le dinamiche sul “modello Westminster” della prima legislatura repubblicana: realtà o illusioni?, in Federalismi, n. 12, 2015, p. 2, “le scelte (o le apparenti omissioni) di Einaudi assumono particolare importanza essendo avvenute agli arbori della nuova Repubblica italiana, dove ciascun atto poteva costituire un punto di riferimento per futuri casi analoghi e ogni scelta rappresentava un valido tassello nella costruzione del nuovo mosaico degli equilibri politici dopo la cesura, anche istituzionale, rappresentata per l’Italia dal secondo dopoguerra”

[40] Così, A. RUSSO, L’evoluzione del ruolo del Capo dello Stato nella storia repubblicana: da De Nicola a Mattarella (bis). Considerazioni a partire da alcuni recenti volumi sul tema, in Nomos-Le attualità del diritto, n. 2, 2022, p. 6.

[41] Così, G. Napolitano, Luigi Einaudi: “All’esclusivo servizio della nostra patria comune”, Roma, Palazzo del Quirinale 13 maggio – 6 luglio 2008.

[42] Come sostenuto da E. BINDI, M. PERINI, Il Capo dello Stato: notaio o sovrano?, Torino, 2016, p. 63, “pare quasi un notaio, che agisce per garantire la Costituzione e il riparto delle funzioni da essa fissate, senza esercitare alcun potere politico attivo, ma al più controbilanciando quelli di Parlamento e Governo”.

[43] M. DE NICOLO’, Costituente, Costituzione, riforme costituzionali, Bologna, 1998, p. 217.

[44] R. FAUCCI, Einaudi, Luigi, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Treccani, 2012.

[45] Difatti, il Presidente Einaudi “si schierò senza esitazioni a favore della monarchia, non solo ritenendo che in questo modo si rispettassero le tradizioni del suo Piemonte, ma anche perché era convinto che essa, se uscita vittoriosa, avrebbe concesso alle autonomie locali maggiore spazio di una repubblica giacobina” (in R. FAUCCI, Luigi Einaudi, Torino, 1986, p. 358).

[46] P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti evoluzione e crisi di un sistema politico: 1945-1996, 1997, Bologna, p. 341.

[47] L. ELIA, La “lettera” di Mario Bracci a Giovanni Gronchi, Presidente della Repubblica, in A. PISANESCHI, L. VIOLINI (a cura di), Poteri, garanzie e diritti a sessanta anni dalla costituzione. Scritti per Giovanni Grottanelli De’ Santi, I, Milano, 2007, p. 270.

[48] A. PERTICI, L’esperienza repubblicana, in La costituzione, il diritto costituzionale e l'ordinamento statale. Trattato di diritto costituzionale (a cura di M. BENVENUTI, R. BIFULCO), Torino, 2022, p. 112.

[49] P. CALAMANDREI, “Viva vox Constitutionis”, in Il Ponte, 1995, p. 809 ss.; ora in ID., Opere giuridiche, vol. III, Napoli, 1965, p. 607 ss.

[50] Difatti, G. MARANINI, Miti e realtà della democrazia, Milano, 1958, p. 268, parla di “rivoluzione costituzionale”.

[51] A. GIACONE, Da De Nicola a Segni. Quattro capi di Stato, quattro stili presidenziali, in Archivi e cultura, XLIX, 2011, p. 117.

[52] V.G. MOTZO, Il potere presidenziale di esternazione e di messaggio (Appunti), in Arch. Giur., n. 1-2, 1957, p. 19 ss.

[53] Come ammesso anche da A. MASTROPAOLO, Il Presidente della Repubblica e il regime parlamentare in Italia: una coabitazione problematica, in Costituzionalismo, n. 2, 2022, p. 153.

[54] Così, E. BERSELLI, Tutti i poteri del Presidente, in Rivista di cultura e di politica, 1992.

[55] G. SCROCCU, L’apprendistato repubblicano e la cultura socialista dello Stato: i presidenti Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, in La Repubblica del presidente, cit., p. 90

[56] G. PANVINI, I presidenti della Repubblica e il terrorismo, cit., p. 222 ss.

[57] S. MERLINI, Il governo costituzionale, R. ROMANELLI (a cura di), Storia dello Stato italiano dall'Unità a oggi, Roma, 1995, p. 67.

[58]E. BERSELLI, Tutti i poteri del Presidente, cit.

[59] È la tesi di A. MASTROPAOLO, Il Presidente della Repubblica e il regime parlamentare in Italia: una coabitazione problematica, cit., 160.

[60] A. MASTROPAOLO, Il dualismo rimosso. La funzione del Presidente della Repubblica nella forma di governo parlamentare italiana, cit., p. 24.

[61] Così, A. BALDASSARRE, Presidente della Repubblica e maggioranza di governo, in AA. VV., La figura e il ruolo del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano, Atti del convegno di Messina-Taormina del 25-27 ottobre 1984, (a cura di G. SILVESTRI), Milano, 1985, p. 91.

[62] G. CANALE, Pertini Viva vox constitutionis, in E. CUCCODORO (a cura di), Gli impertinenti. Il viaggio di Sandro e Carla Pertini, per l'Italia di oggi, Maglie, 2021, p. 188.

[63] S. GRASSI, Settant’anni della Costituzione della Repubblica: gli sviluppi della Costituzione, in S. ROGARI (a cura di), Costituzione della Repubblica e Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: lezioni magistrali, 12 gennaio-8 marzo 2018, Firenze, 2019, p. 38.

[64] R. MARZO, Sandro Pertini e la Costituzione: la forza della speranza, in E. CUCCODORO (a cura di), Gli impertinenti, cit., p. 197.

[65] A. RUSSO, L’evoluzione del ruolo del Capo dello Stato nella storia repubblicana: da De Nicola a Mattarella (bis), cit., p. 14.

[66] Sul messaggio del Capo dello Stato e sulla valutazione del comportamento istituzionale in tale circostanza, si veda D. D’ADDABO, La formazione del 7° governo Andreotti, in A. D’ANDREA (a cura di), Verso l’incerto bipolarismo. Il sistema parlamentare italiano nella transizione 1987-1999, Milano, 1999, p. 115 ss.; S. TABACCHI, Il settimo governo Andreotti, in Federalismi, n. 18, 2013, p. 9 ss.

[67] Per un approfondimento, si veda F. MODUGNO, Il problema dei limiti alla revisione costituzionale (in occasione di un commento al messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 26 giugno 1991), in Giur. cost., n. 1, 1992, p. 1680 ss.

[68] Così, A. BURATTI, «Preferirei di no». Rinvii, dinieghi e osservazioni presidenziali nelle carte dell'Archivio storico del Quirinale, in Diritto e società, n. 2, 2014, p. 250.

[69] A. APOSTOLI, Vicende di rilievo costituzionale nel periodo conclusivo della legislatura, in A. D’ANDREA (a cura di), Verso l’incerto bipolarismo, cit., p. 165.

[70] Sul punto, A. MASTROPAOLO, Il Presidente della Repubblica e il regime parlamentare in Italia: una coabitazione problematica, cit., p. 166, ammette che “il potere di esternazione, teorizzato e ritenuto legittimo dai costituzionalisti, si era trasformato in uno strumento di contrapposizione, che non aveva però più i toni paternalistici e dopotutto accettabili dei discorsi di Pertini”.

[71] A. PACE, Pizzorusso e la difesa della Costituzione, in P. CARROZZA, V. MESSERINI, R. ROMBOLI, E. ROSSI, A. SPERTI, R. TARCHI (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso ad un anno dalla sua scomparsa. Atti del Convegno, Pisa, 16-17 dicembre 2016, Torino, 2017, p. 129-130.

[72] Si segnala la dura reazione del Presidente alla campagna di stampa successiva alle dichiarazioni del Ministro Mancuso (C. DE FIORES, Il Presidente della Repubblica nella transizione, in Democrazia e diritto, n. 3-4, 1995, p. 294 ss.).

[73] Per una ricostruzione della predetta vicenda, si veda R. Viriglio, L’esercizio del potere di scioglimento del Parlamento negli anni 1994-1999, in Diritto pubblico, n. 1, 2000, pp. 222-236; C. De Fiores, La travagliata fine dell’XI legislatura, in Giur. cost., n. 2, 1994, p. 1479 ss

[74] G. PASSARELLI, Il Presidente della Repubblica in Italia, Torino, 2022, p. 64.

[75] L. CARLASSARE, Presidente della Repubblica, crisi di governo e scioglimento delle Camere, in M. LUCIANI, M Volpi (a cura di), Il Presidente della Repubblica, Bologna, 1997, p. 152.

[76] Sul punto, L. CECI, Oscar Luigi Scalfaro, in SABINO CASSESE, GIUSEPPE GALASSO, ALBERTO MELLONI (a cura di), Il Capo dello Stato e il Quirinale nella storia della democrazia italiana, Vol. I, Bologna, 2018, p. 32, precisa che “il richiamo alle origini del dettato costituzionale non è il nostalgico ricordo di un anziano veterano della prima Repubblica”. Il Presidente Scalfaro “si è assunto la responsabilità di stabilire i confini tra il lecito e l’illecito costituzionale attirando su di sé polemiche violente e costanti aggressioni verbali”.

[77] O.L. SCALFARO, Una Costituzione viva, vivissima, Assisi, 2012.

[78] Così, F. FOCARDI, La storia del patriottismo repubblicano: la “guerra della memoria” del Presidente Ciampi, in Storia e Politica. Annali della Fondazione Ugo La Malfa, XXXI, 2016, p. 11.

[79] Così, S. ROSSI, La Presidenza Ciampi nel segno del patriottismo costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, 25 settembre 2006.

[80] M. VIROLI, Repubblicanesimo e Costituzione della Repubblica, in S. MATTARELLI (a cura di), Almanacco della Repubblica storia d'Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Milano, 2003, p. 287.

[81] “Patria, Nazione, patriottismo sono parole che a lungo si è avuto ritegno a pronunciare: prevaleva il timore di cadere nella retorica. Nel corso della mia vita professionale, sempre al servizio dello Stato, non ho mai risparmiato il richiamo ai sentimenti sottesi a quelle parole, che non mi sono astenuto dall’usare, consapevole della sorpresa che poteva suscitare il sentirsi riproporre, chiamandole per nome, categorie che si pensava conseguente alle pagine di qualche vecchio manuale scolastico di storia del Risorgimento” (C.A. CIAMPI, Patriottismo repubblicano, Costituzione, Europa, in Il Politico, n. 3, LXXIV, 2009, p. 5).

[82] I. CIOLLI, Storia degli anniversari dello Statuto della Costituzione (storia dei riti), in L’amministrazione nell'assetto costituzionale dei poteri pubblici. Scritti per Vincenzo Cerulli Irelli, Tomo I, Torino, 2021, p. 441.

[83] F. FOCARDI, Rielaborare il passato. Usi pubblici della storia e della memoria in Italia dopo la Prima Repubblica, in G. RESTA, V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), Riparare, risarcire, ricordare. Un dialogo tra storici e giuristi, Napoli, 2012, p. 263.

[84] P. ARMAROLI, Mattarella 1 & 2. L’ombrello di Draghi. Ritratti a matita dei 12 presidenti, Viareggio, 2022, p. 183.

[85] Sul punto, tra i diversi, si veda N. LUPO, Verso una motivazione delle leggi? A proposito del primo rinvio di Ciampi, in Quad. Cost., n. 2, 2001, pp. 362-363; C. CHIMENTI, Quirinale e rinvio delle leggi alle Camere, in Forum di Quaderni costituzionali, 13 luglio 2003; C. FUSARO, Sempre più difficile... fare il presidente (della Repubblica). Risposta a Carlo Chimenti, in ibidem, 15 luglio 2003; A. CARDONE, La presidenza Ciampi e il potere di rinvio delle leggi: prime prove di pedagogia istituzionali, Milano, 2004, pp. 1-26; M.C. GRISOLIA, Alcune osservazioni sul potere di rinvio di una legge alle Camere delle leggi: prime prove di pedagogia istituzionale, in Dem. dir., 2004, p. 181 ss.; E. BALBONI, Ordinamento giudiziario: il rinvio di Ciampi, in Quad. Cost., n. 2, 2005, pp. 408-412; L. LORELLO, Presidente della Repubblica e rinvio della legge: un nuovo custode della qualità della legislazione?, in Nuova aut., 2005, p. 327 ss.

[86] P. PELUFFO, Carlo Azeglio Ciampi, Milano, 2010, p. 20 ss.

[87] Sul versante politico, la figura Ciampi gode di un apprezzamento così consistente tanto che entrambi gli schieramenti richiedono la disponibilità a rimanere alla Presidenza della Repubblica. A distanza di pochi giorni dalle elezioni, lo stesso esclude una sua ricandidatura, con un comunicato ufficiale (“Sono profondamente grato per le molteplici dichiarazioni in favore della mia rielezione a Presidente della Repubblica, anche perché esse implicano una valutazione positiva del mio operato quale Capo dello Stato, garante dell'unità nazionale e custode dell'ordine costituzionale. […] Tuttavia tali dichiarazioni mi inducono, per una esigenza di doverosa chiarezza, a confermare pubblicamente la mia "non disponibilità" ad un rinnovo del mandato, anticipata nel messaggio di commiato di fine anno. Non ritengo, infatti, data l'età avanzata di poter contare sulle energie necessarie all'adempimento, per il lungo arco di tempo previsto, di tutte le gravose funzioni proprie del Capo dello Stato. A ciò si aggiunge una considerazione di carattere oggettivo, che ho maturato nel corso del mandato presidenziale: nessuno dei precedenti nove Presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. E’ bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato”).

[88] A. GENTILINI, Costituzione materiale in movimento? Riflessioni sulla presidenza-Ciampi, tra «unità nazionale», metodo interpretativo e idea (o concetto) di costituzione, in Costituzionalismo.it, dicembre 2006, p. 9.

[89] F. FOCARDI, La storia del patriottismo repubblicano: la “guerra della memoria” del Presidente Ciampi, cit., p. 11.

[90] Per una puntuale ricostruzione dell’elezione di Napolitano, si veda P. ARMAROLI, Noterelle sull’elezione di Giorgio Napolitano, in Quad. cost., n. 3, 2006, p. 546 ss.

[91] Sul punto, S. GIANELLO, Funzioni e responsabilità del Capo dello Stato nelle giurisprudenze costituzionali, Torino, 2018, p. 354, osserva che “non solo le parole di Rescigno sull’esistenza di una sorta di convenzione volta a sottrarre il Capo dello Stato da conflitti istituzionali appaiono improvvisamente invecchiate dinnanzi all’odierno riscontro empirico, ma , viepiù, sono tradite dal fatto che lo scontro istituzionale tende sempre più a confondere i profili ufficiali della condotta presidenziali con quelli privati, traendo strumentalmente da questi il pretesto, o quantomeno un punto di partenza, per porre in questione la sua responsabilità funzionale”.

[92] V. LIPPOLIS, G.M. SALERNO, La presidenza più lunga. I poteri del capo dello Stato e la Costituzione, Bologna, 2016, p. 3.

[93] M. PERINI, Il capo di stato nelle repubbliche parlamentari in tempo di crisi: una fisiologica espressione dualista del sistema, in Ianus, n. 7, 2012, p. 125.

[94] In senso opposto, M. GORLANI, Libertà di esternazione e sovraesposizione istituzionale del Capo dello Stato, Milano, 2012, p. 10, secondo cui il ruolo del Presidente costituisce “uno dei termometri più sensibili per misurare lo stato di salute delle nostre istituzioni rispetto al paradigma costituzionale”

[95] G. SCACCIA, Il «settennato» Napolitano fra intermediazione e direzione politica attiva, in Quad. cost., n. 1, 2013, p. 94.

[96] Incontro del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con una delegazione dell'Unione Italiana Ciechi (12 settembre 2008).

[97] Incontro del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il Sindaco, il Presidente della Provincia di Pisa ed una delegazione di insegnanti e di studenti dell'Istituto Tongiorgi, 02 dicembre 2009.

[98] G. NAPOLITANO, Dal PCI al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Roma-Bari, 2018.

[99] Cultura e ricerca per guardare lontano, in IlSole24ore, 18 novembre 2012.

[100] U. DE SIERVO, Significative prassi presidenziali e qualche ardita ricostruzione dottrinale, in Scritti in onore di Gaetano Silvestri, Torino, 2016, p. 836.

[101] Come ammesso da G. SCACCIA, La storica rielezione di Napolitano e gli equilibri della forma di governo, in Rivista AIC, n. 2, 2013, p. 3, “è contro il senso di realtà pensare che i partiti che lo hanno incoronato potessero ignorare il limite oggettivo e implacabile dell’età del Presidente (87 anni)”. Con riferimento alla rielezione di Napolitano, si veda M. OLIVETTI, Il tormentato avvio della XVII legislatura: le elezioni politiche, la rielezione del Presidente Napolitano e la formazione del governo Letta, in Amministrazione in cammino, 2018, p. 40 ss.; N. MACCABIANI, La (ri) elezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica, in Osservatorio costituzionale, luglio 2013; I.A. NICOTRA, La rielezione del Presidente Napolitano nel turbolento avvio della XVII Legislatura, in F. GIUFFRE’, I.A. NICOTRA (a cura di) L'eccezionale bis del Presidente della Repubblica Napolitano, Torino, 2014, p. 47 ss.

[102] In tale senso, A. MORRONE, Il Presidente della Repubblica in trasformazione, in Rivista AIC, n. 2, 2013, p. 14 ss.

[103] In particolare, la richiesta di impeachment del Presidente Napolitano è fondata sulle seguenti accuse: espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d'urgenza; riforma della Costituzione e del sistema elettorale; mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale; seconda elezione del Capo dello Stato; improprio esercizio del potere di grazia; rapporto con la magistratura: processo Stato-mafia.

[104] Per G. AZZARITI, L'inconsistente richiesta di messa in stato di accusa di Napolitano, in Costituzionalismo.it, 31 gennaio 2014, “il vizio di fondo è quello di porre su un verosimile piano costituzionale questioni di natura propriamente politica”.

[105] I.A. NICOTRA, La rielezione del Presidente Napolitano nel turbolento avvio della XVII Legislatura, cit., p. 53.

[106] Per una ricostruzione dell’elezione presidenziale, si veda E. LATTUCA, Cronaca dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale: il “secondo presidente” della XXVII Legislatura, in Forum di Quaderni costituzionale, 10 febbraio 2015.

[107] A. MASTROPAOLO, Il Presidente della Repubblica e il regime parlamentare in Italia: una coabitazione problematica, cit., p. 179.

[108] Riprendendo L. Elia, Governo (forme di), in Enc. Dir., XIX, 1970, par. 10, l’elezione di Sergio Mattarella costituisce “il momento della massima dislocazione e dissociazione delle forze politiche”.

[109] M. D’AMICO, L’eredità (e la continuità) del Presidente della Repubblica, in Federalismi, n. 3, 2015, p. 3.

[110] G.M. SALERNO, Verso una diversa repubblica sotto tutela presidenziale, in Federalismi, n. 3, 2015, p. 3.

[111] Sul punto, tra i diversi, si veda A. MORELLI, La riservatezza del Presidente. Idealità dei principi e realtà dei contesti nella sentenza n. 1 del 2013 della Corte costituzionale, in Diritto penale contemporaneo, 27 marzo 2013. In senso critico, M. LUCIANI, La gabbia del Presidente, in Rivista AIC, n. 2, 2013, p. 6 ss.

[112] A. D’ALOIA, Nomina dei Ministri, interessi costituzionali fondamentali, poteri del Presidente della Repubblica. Appunti a margine del caso ‘Savona’, in Osservatorio costituzionale, n. 2, 2018, p. 1, sottolinea come “da anni il dicastero dell’Economia rappresenti la casella più delicata nella formazione del Governo, che trascina con sé tutta una serie di implicazioni connesse allo stato della nostra partecipazione al processo di integrazione europea e alla credibilità del percorso di risanamento dei conti pubblici”.

[113] Così, G. GUARINO, Il Presidente della Repubblica italiana, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, 1951, p. 957.

[114] Secondo A. SPADARO, Dalla crisi istituzionale al Governo Conte: la saggezza del Capo dello Stato come freno al “populismo sovranista”, in Forum di Quaderni costituzionali, 1° giugno 2018, p. 9, “se fosse vero che il Presidente avesse tradito la Costituzione, avremmo dovuto processare anche tutti i predecessori di Mattarella che, senza particolare scalpore, hanno esercitato analoghi, se non più discrezionali, poteri, senza nemmeno “motivare” pubblicamente le ragioni della loro scelta”.

[115] Così, L. CARLASSARE, Mattarella non poteva mettere il veto su Savona, in Libertà e Giustizia, 30 maggio 2018.

[116] Sul passaggio dal Governo Conte I al Governo Conte II, si veda G. CAVAGGION, La formazione del Governo. Aspetti e problemi tra quadro costituzionale e nuove prassi, Torino, 2020, p. 76 ss.

[117] Secondo A. LAURO, Note critiche sulla crisi del Governo Conte II e la formazione del Governo Draghi, in Consulta Online, 3 maggio 2021, p. 393, il mancato ricorso del Capo dello Stato alle formali consultazioni con le forze politiche può avere un doppio significato: “o il Presidente, nel corso dei precedenti colloqui, aveva già interloquito ed acquisito le posizioni sul punto e riteneva con certezza che un Governo siffatto sarebbe stato approvato dalle Camere; oppure, in maniera netta, si intendeva mostrare la diversa natura intrinseca di un “Esecutivo del Presidente”, indipendente dai partiti, da inviare dinanzi alle Camere richiedendo alle forze politiche una collaborazione all’iniziativa presidenziale”.

[118] Sul punto, fortemente è critico è A. LUCARELLI, Il modello dualista dei “Presidenti”: prodromi del cambiamento della forma di governo parlamentare, in Diritto pubblico europeo, n. 1, 2021, p. 6, secondo il quale “il modello della governabilità tecnocratica, espressione del dualismo Presidente della Repubblica-Presidente del Consiglio, che si pone al di sopra della  forma di governo parlamentare, svilendo il ruolo del Parlamento, trasformando i partiti politici in comparse della commedia dell’arte, determinando dunque un vulnus diretto alla sovranità popolare ed all’esercizio dei diritti politici, può rappresentare una delle cause del populismo, ma in senso più ampio, realizzare uno psicodramma collettivo di perdita di coscienza democratica”.

[119] A. LAURO, Storia breve del primo settennato di Mattarella: un Presidente nel parlamentarismo fluido, in A. APOSTOLI, M. GORLANI (a cura di), Il primo settennato di Sergio Mattarella. Dentro la Presidenza della Repubblica: fatti, atti, considerazioni, Torino, 2022, p. 36.

[120] G. BRUNELLI, La pandemia e l'unità nazionale: il ruolo del Presidente della Repubblica, cit., p. 1.

[121] M. CERIONI, “Parole”, in E. CUCCODORO, L. LEO (a cura di), L’Italia del Presidente. Paese legale Paese reale, Maglie, 2022, pp. 107 e 111.

[122] Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Palazzo del Quirinale, 31/12/2022.

[123] E. CUCCODORO, Figura, in ID., Il Presidente di tutti. Prestazioni di unità, Roma, 2021, p. 39.

[124] Tale differenza è sottolineata da L. LEO, La rieleggibilità come “rifugio” dei partiti, in E. CUCCODORO, L. LEO (a cura di), L’Italia del Presidente. Paese legale Paese reale, cit., pp. 62-63.

[125] I. PELLIZZONE, L’impatto della rielezione del Presidente Mattarella: verso aspettative di rieleggibilità della carica presidenziale?, in Lettere AIC, febbraio 2022.

[126] A. CERRI, Note minime sui problemi di “fine mandato” del Presidente della Repubblica, in Lettere AIC, febbraio 2022.

[127] G. AZZARITI, Appunti per le lezioni. Parlamento. Presidente della Repubblica. Corte costituzionale, IV ediz., 2021, p. 106; L. LEO, Il ruolo di “attore-protagonista” del Presidente della Repubblica in tempi di crisi, in Amministrazione in cammino, 22 luglio 2022, p. 30.

[128] In linea con ciò, M. BELLETTI, Dall’opportunità politica alla inopportunità istituzionale della rielezione del Capo dello Stato, in Lettere AIC, febbraio 2022.

[129] Sul punto A. CIANCIO, La rielezione di Mattarella, il de profundis per la politica e quel “soffitto di cristallo” che non si infrange”, in Federalismi, 31 gennaio 2022, p. 10, evidenzia come egli anteponga “il bene collettivo e le esigenze del Paese alle pur legittime (e differenti) prospettive personali”.

[130] V. LIPPOLIS, Il Presidente della Repubblica, in Rivista AIC, n. 3, 2018, p. 14.

[131] Così, L. PALADIN, Presidente della Repubblica, in Enc. dir., Milano, XXXV, 1986, p. 236.

[132] Come affermato dall’on. Egidio Tosato nella seduta pomeridiana di venerdì 19 settembre 1947, nella forma di governo parlamentare, il Capo dello Stato ha anche “la funzione essenziale di essere il grande regolatore del gioco costituzionale, di assicurare che tutti gli organi costituzionali dello Stato, e in particolare, il Governo e le Camere funzionino secondo il piano costituzionale”.

[133] G. DELLEDONNE, L. GORI, Le presidenze della Repubblica rilette dal Quirinale. Potere di esternazione ed esigenze di continuità istituzionale, in Quad. cost., n. 2, 2021, pp. 321-353.

[134] In linea con la continuità dello Statuto Albertino dalla sua promulgazione sino alla caduta definitiva del fascismo, M. FIORAVANTI (a cura di), Il valore della Costituzione. L’esperienza della democrazia repubblicana, Roma-Bari, 2009; L. PALADIN, Saggi di storia costituzionale, Bologna, 2008, p. 35 ss.; C. GHISALBERTI, Stato e Costituzione nel Risorgimento, Milano, 1972, p. 81. In senso contrario, S. TRENTIN, Dallo Statuto Albertino al regime fascista (a cura di A. PIZZORUSSO), Venezia, 1983; S. LABRIOLA, Storia della Costituzione Italiana, Napoli, 1995, p. 6 ss.

[135] Per un approfondimento, si veda M. PERINI, Il capo dello stato nella transizione: dalla caduta del fascismo all’avvento della Costituzione repubblicana. Il re è nudo, in Diritto e questioni pubbliche, 2013, pp. 697-748.

[136] D. MIGLIUCCI, Storia e costituzione. Le basi giuridiche e istituzionali dei 150 anni d'Italia, Milano, 2011, p. 33 ss.

[137] P. GAMBALE, Lo Statuto albertino e il 'paradosso' delle riforme: brevi cenni sulle evoluzioni di una Carta, ottriata, perpetua ed irrevocabile, in Studi polacco-italiani di Toruń, XVII, 2021, p. 50.

[138] Discorso pronunciato da Giuseppe Dossetti a Monteveglio (BO) il 16 settembre 1994.

[139] F. POLITI, Attuazione e Tutela dei Principi Fondamentali della Costituzione Repubblicana, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 18 ottobre 2015.

[140] M. FIORAVANTI, Le dottrine dello Stato e della costituzione, in R. ROMANELLI (a cura di), Storia dello Stato italiano dall'Unità a oggi, Roma, 1995, p. 448.

[141] E. ROSSI, Il Presidente della Repubblica, in F. DAL CANTO, E. MALFATTI, S. PANIZZA, A. PERTICI, E. ROSSI (a cura di), Manuale di diritto costituzionale italiano ed europeo, IV ediz., 2021, p. 448.

[142] G.C. DE MARTIN, Il (crescente) ruolo di mediazione del Presidente della Repubblica, in Amministrazione in Cammino, 2 maggio 2022, p. 2.

[143] S. MATTARELLA, Prefazione, in E.M. RUFFINI, Uguali per Costituzione. Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 a oggi, Milano, 2022, p. 1 ss.

[144] Così, S. CECCANTI, Il sistema semipresidenziale francese: cosa dice la Costituzione, come funziona nella realtà, in S. CECCANTI, O. MASSARI, G. PASQUINO, Semipresidenzialismo. Analisi delle esperienze europee, Bologna, 1996, p. 69.

[145] E. GROSSO, La Francia, Bologna, p. 63.

[146]  Si ricorda che la proposta di legge (C. 716) presentata l’11 giugno 2018 (“Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l’elezione diretta del Presidente della Repubblica”), è stata respinta il 10 maggio 2022.

[147] In senso contrario, si veda E. CHELI, Perché dico no al presidenzialismo, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 3, 2022, pp. 54-62; L. LEO, L’ombra del semipresidenzialismo sull’Italia del futuro, in Amministrazione in cammino, 30 settembre 2022.

[148] S. GRASSI, Settant’anni della Costituzione della Repubblica: gli sviluppi della Costituzione, in Costituzione della Repubblica e Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: lezioni magistrali, 12 gennaio-8 marzo 2018. Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria”. Classe di scienze giuridiche, economiche e sociali, 2019, p. 24.

[149] Così, L. SEGRE, La stella polare della Costituzione Il discorso al Senato (a cura di D. PADOAN), Milano, 2023.