Pubbl. Ven, 30 Giu 2023
Concorso magistratura: il delitto di omicidio volontario commesso dall’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa
Modifica paginaIl contributo ricostruisce il reato complesso ex art. 84 c.p., analizzandone natura e requisiti, nonché la sua applicazione nella fattispecie di omicidio volontario commesso nei confronti della stessa vittima del delitto di atti persecutori, tenendo conto della sentenza della Cass. pen., Sez. Unite, (data ud. 15/07/2021) 26/10/2021, n. 38402.
Sommario: 1. Il reato complesso: natura e funzione; 2. Stalking e omicidio: un'unificazione incerta; 3. Conclusioni.
1. Il reato complesso: natura e funzione
Con il presente contributo si cercherà di esporre in maniera essenziale caratteri e funzione del reato complesso e segnatamente parlare delle ultime pronunce della Corte di Cassazione in tema di atti persecutori e omicidio, decisioni che hanno lasciato dietro di sè importanti spunti di riflessione giusfilosofici.
Il legislatore, a chiusura del Capo III del Titolo III, Libro I, del Codice penale, ha collocato l’art. 84 sulla disciplina del reato complesso. In esso è così stabilito: «Le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per sé stessi, reato».
La norma si colloca nell’ambito del concorso di reati, nonché nella più ampia problematica della distinzione tra unità e pluralità di reati, ossia quella difficile operazione d’indagine volta a comprendere, di volta in volta, se un soggetto, con le proprie azioni od omissioni, abbia dato luogo a più fattispecie criminose o ad una composita. L’elaborazione del tema “unità e pluralità di reati” non è una questione di rilevanza meramente accademica, avendo precise influenze sull’applicazione quotidiana del diritto penale sotto il profilo della disciplina e della risposta sanzionatoria.
L’art. 84 c.p. provvede ad assolvere la funzione definitoria del reato complesso, il quale si sostanzia in una «unificazione legislativa di due o più figure criminose all’interno di un unico reato»[1]. Questa convergenza può esplicarsi attraverso due modalità: il reato composto e quello circostanziato.
Si parla di reato composto ogni qual volta «due reati si fondono insieme tra loro perdendo la loro autonomia e diventando elementi costitutivi di un nuovo delitto»[2], esempi emblematici a riguardo sono la «rapina (art. 628), la quale è composta dal furto (art. 624) e dalla violenza privata (art. 610) - o il - sequestro di persona a scopo di estorsione, nel quale confluiscono le fattispecie di cui agli artt. 605 e 629»[3]. Si configura, invece, il reato complesso circostanziato quando a una fattispecie base di reato si affiancano altri illeciti, i quali assumono natura di circostanza aggravante rispetto al principale, si veda l’ipotesi di «evasione aggravata dalla minaccia verso le persone ex art. 385 co. 2 c.p. In questo caso il reato di minaccia ex art. 612 c.p. funge da elemento circostanziale del reato di evasione ex art. 385, co.1, c.p.»[4].
Accanto all’art. 84 c.p., a disciplinare il reato complesso vi sono anche l’art. 131 c.p. che ne sancisce la procedibilità d’ufficio «se per taluno dei reati, che ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti, si deve procedere d'ufficio», e l’art. 170 co. 2 c.p. a norma del quale «la causa estintiva di un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso, non si estende al reato complesso».
Orbene, appare evidente tanto dalla collocazione nel codice delle norme summenzionate, quanto dalla loro formulazione, che la disciplina sul reato complesso assume valenza derogatoria rispetto alla più ampia categoria del concorso di reati, collocandosi in posizione di cesura rispetto alle disposizioni che l’hanno preceduta sul punto.
Una tale discrasia disciplinare affonda le sue radici in precise scelte di politica criminale: nella realtà quotidiana sovente molteplici condotte umane si intersecano tra loro, dando vita a vincoli di connessione difficilmente ignorabili.
Si pensi a casi come il furto con violazione di domicilio, l’omicidio stradale commesso da soggetto che abusi di sostanze stupefacenti vietate, o la più scolastica rapina, frutto della convergenza di due condotte (furto e violenza privata), tutte fattispecie che affollano regolarmente tanto le pagine dei quotidiani, quanto le aule dei tribunali, per cui è facile comprendere che «questa complessa problematica interessa tanto il legislatore e la dottrina - che de iure condito e de iure condendo devono occuparsi della coerenza del sistema penale con gli scopi di politica criminale - quanto la giurisprudenza»[5].
Segnatamente, quando si ha riguardo all’istituto del reato complesso, ci si trova di fronte a una fattispecie per la quale il legislatore ha scelto di unificare la pluralità di condotte criminose, per dare una risposta sanzionatoria diversa al comportamento antigiuridico considerato nella sua interezza; una risposta, ne consegue, diversa da quella che deriverebbe dall’applicazione della disciplina sul concorso di reati.
Al di là del tentativo compiuto dal legislatore di inquadrare dogmaticamente l’istituto, non mancano le difficoltà nel tracciare i confini rispetto alle fattispecie a cui dovrebbe contrapporsi. L’ambiguità dell’art. 84 c.p. finisce con esporlo a feroci critiche, da parte di certa dottrina, di “sostanziale inutilità”, perché ritenuto mera specificazione del principio di specialità, già consacrato nell’art. 15 c.p.
Per ovviare a dette critiche, l’opinione prevalente tende a dare alla disciplina del reato complesso una lettura di più ampio respiro, che non sia ancorata, quindi, alle sole ipotesi di complessità necessaria (es. la rapina), ma che abbracci anche quelle ipotesi che, in concreto, abbiano una struttura complessa. «In particolare, si intende fare riferimento alle fattispecie nelle quali il legislatore considera la violenza come elemento costitutivo o circostanza aggravante. In simili ipotesi, non necessariamente si ha un reato complesso, potendo il comportamento violento concretarsi in un quid non costituente reato, che si aggiunge al reato componente»[6].
Al contrario, se l’interprete guardasse all’art. 84 c.p. come una superflua duplicazione del principio di specialità, ignorando i vincoli di connessione esistenti tra le diverse condotte ogni qual volta la complessità non fosse necessariamente insita nella fattispecie astratta, finirebbe col dare una applicazione del diritto penale in aperto contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale.
Si finirebbe, in sostanza, con il punire lo stesso soggetto più volte per le medesime condotte, perché considerate atomisticamente, anziché armonicamente quali elementi di un’unica fattispecie complessa nella quale vengono assorbiti (principio di consunzione).
2. Stalking e omicidio: un'unificazione incerta
È proprio in seno al dibattito intorno la natura e funzione del reato complesso che si snoda la questione della lettura in chiave unitaria del delitto di omicidio volontario commesso dall’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa, ovverosia dell’assorbimento della fattispecie di cui all’art. 612bis nell’art. 576, comma 1, n. 5.1.
Preliminarmente, occorre rammentare la genesi dell’aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 5.1. Introdotta con il D.L. n. 11/2009, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, l’aggravante de quo prescrive, per i casi di omicidio commesso dall’autore di atti persecutori, l’applicazione dell'ergastolo, superando il limite dei trent’anni stabilito dall'art. 78 c.p.
La ragione della previsione di un trattamento punitivo così severo è espressa nei lavori preparatori al D.L. 23 febbraio 2009, n. 11: nasce, infatti, in risposta all’avvertita necessità, politica e sociale, di affrontare e perseguire con forza «un fenomeno criminale notoriamente ricorrente ed ingravescente nella realtà attuale»[7], ovverosia il verificarsi di quelle condotte omicidiarie maturate quale sviluppo di un’incessante attività persecutoria da parte degli stessi autori delle prime.
Orbene, appare chiaro che la ratio della previsione ex art. 576, comma 1, n. 5.1 si debba rintracciare nella necessità di fornire una risposta sanzionatoria diversa ad un fatto che, complessivamente visto, diviene «meritevole di aggravamento per la sua oggettiva valenza criminale»[8].
Il tema del rapporto tra omicidio e atti persecutori ha trovato occasione di sviluppo e approfondimento a seguito della pronuncia della Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con la quale, è stato sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite al fine di risolvere «un contrasto interpretativo in ordine alla natura della fattispecie circostanziata di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p., profilo da cui dipendevano i rapporti di quest’ultima con il delitto di stalking»[9].
All’antinomia evidenziata nel provvedimento della Quinta Sezione facevano capo due pronunce degli stessi giudici di legittimità: la sentenza n. 20786/2019 della Prima Sezione e la n. 30931/2020 della Terza. Le decisioni citate erano giunte a due considerazioni di senso diametralmente opposto, l’una negando e l’altra ammettendo l’assorbimento della fattispecie di cui all’art. 612bis nell’art. 576, comma 1, n. 5.1.
La Prima Sezione, probabilmente «influenzata dalla particolare situazione decisa, che ha avuto molta risonanza mediatica»[10], nel suo percorso motivazionale aveva posto l’accento su una interpretazione soggettivistica dell’aggravante disposta per l’omicida/autore di atti persecutori: segnatamente, nella lettura della Cassazione del 2019, tra le due fattispecie, come desumibile già dalla lettera dell’art. 576, non sarebbe sussistita alcuna interferenza strutturale tra le due fattispecie, tale da giustificare l’assorbimento dello stalking nel reato di omicidio, ma vi sarebbe stata più che altro una mera coincidenza soggettiva dal lato attivo. I due istituti, quindi, si troverebbero in concorso tra di loro.
La Terza Sezione, invece, non molto dopo dimostra di aver intrapreso un diverso percorso ermeneutico nell’analisi delle due fattispecie: al fine di fornire una corretta lettura dell’aggravante di cui all’art. 576, comma 1, n. 5.1, a parere della Corte non sarebbe sufficiente adagiarsi sulla lettera della norma, ma occorrerebbe «un’interpretazione teleologica, orientata al rispetto dei principi costituzionali di offensività e materialità»[11] a cui è improntato il nostro Codice penale.
La Cassazione, in sostanza, con la sentenza la n. 30931/2020, si pone in atteggiamento critico rispetto alla lettura soggettivistica dell’aggravante, manifestata con la decisione del 2019, poiché ciò implicherebbe aderire a quelle tesi personologiche dell’illecito penale, meglio note come “colpa d’autore”, incompatibili con il nostro ordinamento, nelle quali l’agente non è condannato per la rilevanza del fatto da questi posto in essere, ma per il suo stesso modo d’essere. Da queste necessarie premesse interpretative, la Terza Sezione giunge ad accogliere la tesi dell’assorbimento del reato di atti persecutori in quello di omicidio.
Le Sezioni Unite, intervenute per comporre il conflitto interno alla stessa Cassazione, con la sentenza n. 38402 del 26/10/2021 aderiscono alla tesi sostenuta dalla Terza Sezione.
Per scongiurare una interpretazione e quindi un’applicazione indiscriminata del reato complesso in presenza dei due istituti in argomento, colgono l’occasione, inoltre, per fornire alcuni chiarimenti decisivi intorno ai requisiti necessari per la configurazione di un reato complesso.
Segnatamente, la Corte postula la necessaria compresenza di tre indispensabili indici rivelatori: la coincidenza soggettiva tra i reati, l’unità di contesto e l’unità teleologica d’azione.
Per quanto attiene il profilo della coincidenza soggettiva, che tanto aveva fatto discutere dopo la pronuncia della Prima Sezione, le Sezioni Unite compiono una fondamentale e decisiva precisazione al riguardo: questa deve essere bilaterale. Come evidenziato nella pronuncia in argomento, la formulazione dell’art. 576, comma 1, n. 5.1, «non comprende unicamente il riferimento all'identità del soggetto agente dei reati di omicidio volontario e di atti persecutori […]. L’espressione della norma […] attribuisce analogo risalto all’essere i due reati diretti contro la medesima persona, e quindi all’identità della vittima dei reati». La situazione di identità, in sostanza, non può riguardare soltanto il soggetto agente, poiché, nell’ipotesi in esame, l’omicidio non è aggravato, «per le caratteristiche personali del soggetto agente, ossia l'essere un persecutore, ma per ciò che egli ha fatto, vale a dire per il fatto persecutorio commesso»[12].
Circa l’unità di contesto, le Sezioni Unite non elaborano nessun principio originale, ma abbracciano una tesi già variamente sostenuta tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza: affinché possa ravvisarsi una connessione assorbente fra la pluralità di reati che compongono la fattispecie complessa, occorre che tra le diverse condotte non vi sia una significativa cesura spazio temporale; è la sostanziale contestualità che corrobora la sussistenza di un collegamento finalistico nell’agire del soggetto attivo.
Così, la coincidenza spazio-temporale delle condotte, di per sé non sufficiente da sola a qualificare una pluralità di crimini come reato complesso, diventa requisito essenziale per avvalorare un’interpretazione teleologica delle fattispecie composte.
Occorre precisare che, dall’«impostazione seguita dalle Sezioni Unite - consegue l’impossibilità - di applicare l’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. in tutti quei casi in cui l’omicidio sia commesso dall’autore di precedenti fatti di stalking, nei confronti della stessa vittima, ma per ragioni che non hanno nessuna connessione con la precedente condotta persecutoria»[13].
Il requisito dell’unità teleologica, infine, è il punto nevralgico della decisione delle Sezioni Unite. Secondo l’elaborazione degli ermellini la pluralità di reati che danno vita alla fattispecie composta deve coesistere, non tanto e non soltanto in una dimensione temporale e spaziale, ma deve muoversi lungo un percorso finalistico unitario. «L'omicidio del soggetto perseguitato - infatti - si presenta nell'esperienza giudiziaria come il risultato estremo, ma purtroppo non infrequente, dell'intento di annullamento della personalità della vittima; e quindi si integra compiutamente nella complessiva direzione finalistica del fatto»[14].
È l’esistenza di un rapporto di “mezzo a fine”, in sostanza, il quid pluris indispensabile perché l’interprete possa, di fronte a una pluralità di reati, rilevare la presenza di un reato composto o, come in questo caso, complesso del tipo circostanziato.
3. Conclusioni
In conclusione, ricostruire gli artt. 612bis e 576, comma 1, n. 5.1 in termini di reato complesso, come fatto dalla Cassazione, consente di dare una chiave di lettura coordinata delle due norme, coerente non solo con i principi fondamentali del diritto penale moderno, ma soprattutto che ben si coordina con la realtà fenomenica con cui l’interprete deve necessariamente interfacciarsi quotidianamente.
Al di là delle critiche che potrebbero scaturire da un’interpretazione troppo stringente dei c.d. “indici rivelatori di complessità”, come rischiano di fare le stesse Sezioni Unite affermando, di converso, che difettino i presupposti per l’assorbimento per il delitto di atti di persecuzione in quello di lesioni, occorre riconoscere all’interpretazione teleologica del reato complesso il pregio di distanziarsi con decisione da quelle teorie personologiche dell’illecito «che il populismo penale postmoderno sembra - troppo spesso - pronto a raccogliere»[15].
Si tratta d’altronde, come ha dimostrato la prima pronuncia della stessa Corte di Cassazione sull’argomento, di un pericolo tutt’altro che teorico. Per quanto paradigmi punitivi fondati sulle qualità del reo, piuttosto che sul fatto, possano sembrare risalenti e inapplicabili in un ordinamento moderno, l’ambiguità normativa, tanto quanto il mutamento della sensibilità collettiva di fronte a fenomeni di crescente gravità, possono condurre a conclusioni che contrastino anche con i più fondamentali principi di diritto.
Tanto dimostrano, ad esempio, il sorgere di recentissime teorie come “il diritto penale del nemico”, per cui si arriva a sostenere che contro i responsabili di fenomeni di particolare pericolosità (come il terrorismo) «si dovrebbe procedere anche prima del fatto delittuoso (in specie, anticipando di molto la soglia dell’intervento penale); in casi di necessità, contro il nemico sarebbe accettabile - persino - l’uso della coercizione e finanche della tortura»[16].
Note e riferimenti bibliografici
[1] A. TRINCI, Compendio Maior di Diritto Penale – Parte Generale, Dike giuridica, Napoli, 2023, 670 ss.
[2] F. MARTIN, Il reato complesso e il concorso di reati. Profili applicativi nel delitto di omicidio stradale, in Giurisprudenza penale, 2020.
[3] E. M. AMBROSETTI, Codice penale commentato (a cura di), UTET giuridica, Torino, 2009.
[4] A. TRINCI, ibidem.
[5] F. ACCARDO, Unità e pluralità̀ di reati in un sistema penale teleologicamente orientato, [tesi di dottorato], Napoli, 2017.
[6] G. NEPPI MODONA, Sulla posizione della «violenza» e della «minaccia» nella struttura delle fattispecie criminose, in RIDPP, 1964
[7] Cass. pen., Sez. Unite, Sent., (data ud. 15/07/2021) 26/10/2021, n. 38402.
[8] F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, XV ed., a cura di Grosso, Giuffrè, Milano, 2008, 569 ss.;
[9] S. BERNARDI, Le Sezioni Unite sui profili dogmatici dell’istituto del reato complesso: escluso il concorso tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1. C.p. e il delitto di stalking, in Sistema Penale, 2021.
[10] I. GIACONA, L’'aggravante dello stalking per l'omicidio e le lesioni personali al vaglio delle sezioni unite, tra reato complesso e disattenzioni del legislatore, in Diritto Penale e Processo, 2022, 12, 1543.
[11] S. BERNARDI, ibidem.
[12] Cass. pen., Sez. Unite, Sent., (data ud. 15/07/2021) 26/10/2021, n. 38402.
[13] S. BERNARDI, ibidem.
[14] Cass. pen., Sez. Unite, Sent., (data ud. 15/07/2021) 26/10/2021, n. 38402.
[15] F. FORZATI, L’illecito personologico fra destrutturazione del tatstrafrecht e affermazione del täter-prinzip., in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019.
[16] G. JAKOBS, Diritto penale del nemico? Una analisi delle condizioni di giuridicità, in GAMBERINI-ORLANDI (a cura di) Delitto politico e diritto penale del nemico, Monduzzi Editoriale, Milano, 2007, 121 ss.