Pubbl. Mer, 7 Giu 2023
La presunzione di non colpevolezza come regola di trattamento
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Marco Taffarello
Il principio della presunzione di non colpevolezza dell’imputato: contrasti e compatibilità delle esigenze cautelari con il divieto di punire prima della condanna
Innocent until proven guilty: rule of treatment
The principle of the not guilty plea of the accused: contrasts and compatibility of precautionary requirements with the prohibition of punishment before sentenceSommario: 1. La presunzione di non colpevolezza: cenni; 2. Il divieto di punire prima della condanna; 3 Il pericolo di inquinamento probatorio; 4. Il pericolo di fuga; 5. Scopi special-preventivi.
1. La presunzione di colpevolezza: cenni
Nel diritto e nella procedura penale, la presunzione di non colpevolezza è un principio secondo il quale un imputato non deve essere considerato colpevole sino a che non sia provato il contrario, ossia fino alla pronuncia della condanna definitiva.
L’art. 27 co. II Cost. afferma infatti che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Nell’articolo appena citato vengono comunemente lette due fondamentali regole:
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Una regola di trattamento dell’imputato in pendenza di processo, per cui costui, prima della condanna definitiva, non può essere sottoposto a trattamenti che presuppongano un giudizio di sua colpevolezza per il reato per il quale egli è ancora sub iudice. Tale garanzia comporta il divieto di assimilare l’imputato al colpevole, e quindi il conseguente divieto di punire tale soggetto prima della condanna definitiva.
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Una regola di giudizio destinata ad operare al termine del processo, per cui l’imputato potrà essere dichiarato colpevole solo in presenza di prove che facciano ritenere la sua colpevolezza accertata al di là di ogni ragionevole dubbio[1
2. Il divieto di punire prima della condanna
La garanzia della presunzione di non colpevolezza, intesa come regola di trattamento, comporta il divieto di trattare come colpevole l’imputato che è ancora in itinere iudicii, ossia in attesa che sia pronunciata sentenza definitiva (la quale, a ben vedere, potrebbe anche non essere di condanna).
Questa regola si porta dietro il divieto di un’esecuzione anticipata della pena, ma non solo, incide anche sulla possibilità di applicare misure dirette a limitare la libertà della persona che, nei contenuti, ricordano misure sanzionatorie. In ogni caso, in determinate circostanze, potranno trovare applicazione specifiche misure volte a restringere la libertà personale dell’imputato/indagato: le cd. misure cautelari personali. Pertanto, sino al passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di condanna l'imputato potrà essere detenuto o sottoposto a diversa misura restrittiva solo ove sussistano esigenze cautelari.
Risulta allora necessario ricordare brevemente la differenza tra pene e misure cautelari, soprattutto se si riflette sul fatto che, pene e misure cautelari tendono ad assomigliarsi quasi specularmente sotto il profilo delle modalità esecutive (ad esempio, alla detenzione corrisponde la custodia cautelare in carcere).
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Le pene sono sanzioni irrogate dall’autorità giudiziaria a seguito di un processo penale
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Le misure cautelari sono provvedimenti emessi nel periodo intercorrente tra l’inizio del procedimento
penale e l’emanazione della sentenza, adottati per evitare che si verifichino determinati pericoli.
Il discrimine tra misure cautelari e pene è rappresentato, non solo dal periodo temporale nel quale trovano applicazione (le prime nel corso del procedimento, le seconde solo a conclusione di questo), ma anche dall’obiettivo sotteso alle due diverse misure. L’obiettivo delle prime resta radicato nella tutela del processo e del suo risultato, mentre la finalità sottesa alle seconde è rappresentata dalla rieducazione e dall’emenda del condannato.[2]
Chiusa la parentesi nozionistica e tornando alla regola di trattamento derivante dall’art. 27 co. II Cost., può dirsi che l’applicazione di una misura cautelare non può essere imposta per il solo fatto che un individuo sia sottoposto a giudizio (anche se gravemente indiziato di aver commesso un reato). Al fumus boni iuris della pretesa punitiva deve aggiungersi qualcosa che differenzi l’applicazione di una misura cautelare personale dall’applicazione anticipata della pena. Questo quid pluris è l’esigenza cautelare, ovvero l’esigenza di prevenire, con la restrizione imposta, il periculum in libertatis[3].
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L’esigenza di impedire che l’imputato inquini la prova, personale o reale, sopprimendola, alterandola o creando prove false (art. 274 co. I lett. a)
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L’esigenza di prevenire il concreto e attuale pericolo che l’imputato si dia alla fuga (art. 274 co. I lett. b)
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L’esigenza di prevenire il concreto e attuale pericolo che l’imputato commetta gravi delitti (art. 274 co. I lett. c).
3. Il pericolo di inquinamento probatorio
Trattando del pericolo di inquinamento probatorio, la legge parla di rischi e pericoli per l’acquisizione o la genuinità dellaprova. La finalità sottesa a questa prima esigenza cautelare è la tutela dell’accertamento: il processo deve accertare i fatti, per far ciò occorre ricercare ed acquisire le prove. Si vuole in questo caso impedire che il soggetto indagato/imputato possa approfittare della propria libertà per soggiogare eventuali testimoni oppure per distruggere elementi probatori (ad esempio l’arma del delitto).
Il pericolo di inquinamento probatorio, non sembrerebbe creare contrasti con la regola di trattamento sottesa alla presunzione di non colpevolezza. Anzi, si ritiene che sia proprio questa la finalità cautelare più aderente al principio contemplato nell’art. 27 co II Cost., perché non sembra implicare anticipati giudizi di colpevolezza nei confronti dell’imputato. Tra la scelta di non trattare l’imputato come un colpevole e l’adozione di cautele fondate sul timore che questi possa alterare il quadro probatorio non è ravvisabile alcuna incompatibilità. L’attività di inquinamento probatorio può ben prescindere da una colpevolezza, infatti, anche un imputato non colpevole può essere indotto ad alterare il quadro probatorio per autotutelarsi di fronte ad un procedimento che egli ritiene ingiusto, ovvero, pur non avendo commesso alcun reato, per evitare che certe notizie sul suo conto vengano alla luce,[4]
L’ultima parte dell’articolo specifica che “le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto delle persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni ne nella mancata ammissione degli addebiti”.
Questa precisazione è essenziale poiché è lo stato di libertà del soggetto a dover integrare il pericolo di inquinamento delle prove, non il suo rifiuto di collaborare alle indagini. Perciò, la custodia cautelare (o le altre misure restrittive della libertà personale) non può essere impiegata per convincere l’imputato ad autoincriminarsi o ad accusare altri, trasformando altrimenti la carcerazione preventiva da strumento di tutela della prova a mezzo per ottenere la prova.
4. Il pericolo di fuga
L’esigenza cautelare che nasce dal pericolo di fuga mira a tutelare gli esiti del processo, impedendo che l’imputato/indagato dandosi alla fuga riesca a sottrarsi all’esecuzione del provvedimento terminativo del processo (tra i quali rientra anche la sentenza di condanna).
Alcune perplessità possono nascere circa la compatibilità tra l’esigenza cautelare del pericolo di fuga e la regola di trattamento ricavabile dall’art. 27, co. II Cost.
Tale esigenza cautelare, infatti, poggia le sue basi su di una doppia presunzione. In primo luogo, per restringere la libertà personale di un individuo, nel timore che possa sottrarsi all’esecuzione dell’eventuale pena, si deve supporre che egli possa essere condannato. In secondo luogo, sulla base di questa prima supposizione, e come conseguenza, si deve immaginare che tale soggetto possa – e voglia - darsi alla fuga. Si tratta di un duplice giudizio prognostico che sembrerebbe equiparare l’imputato al colpevole.
Non è però possibile pretendere che le misure cautelari non abbiano alcun rapporto con l’eventuale condanna, la quale comunque rientra tra i possibili esiti del processo.
Il punto nodale non sta nell’impedire valutazioni di probabile colpevolezza da parte del giudice, ma nell’evitare che, sulla base di queste, venga data alla custodia cautelare una valenza sanzionatoria.[5] In altre parole, la restrizione della libertà fondata sul pericolo di fuga deve essere disposta non perché si consideri l’imputato colpevole, bensì perché, non potendosi escludere che egli possa essere tale, ci si preoccupa di garantire in ogni caso il risultato del processo, compresa l’ipotesi più sfavorevole per il giudicando.
Il vero problema non sta allora nella previsione di tale finalità cautelare, bensì nella sua corretta applicazione. In questa prospettiva, il pericolo di fuga deve essere reale e non immaginario e fondato su una elevata probabilità che l’imputato possa sottrarsi al processo[6]. Ad esempio, deve trattarsi di una situazione in cui l’imputato abbia acquistato un biglietto aereo per un Paese straniero in cui non vigono trattati di estradizione.
La norma prevede inoltre che “le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede”. In altre parole, il titolo del reato (inteso come livello di offensività) pur integrando un elemento da tenere in considerazione, non dovrebbe condizionare in maniera assoluta il vaglio sulla concretezza del pericolo di fuga. Diversamente, quest’ultimo requisito renderebbe presuntivamente esistente il pericolo di fuga con riferimento a tutti i reati più gravi.
5. Scopi special -preventivi
L’esigenza cautelare di cui all’art. 274 co. I lett. c) mira ad impedire che l’imputato/indagato, in assenza di una misura restrittiva della libertà personale (quindi libero), commetta gravi reati. La finalità che discende da questa particolare esigenza cautelare è la tutela della collettività: cd. finalità special-preventiva.
Ciò detto, appare subito evidente – peraltro nel senso opposto rispetto alle precedenti – la sua natura extraprocessuale.
Conciliare questa particolare esigenza cautelare con la presunzione di non colpevolezza è sempre risultato problematico. Difficile immaginare il motivo di temere che un indagato/imputato possa commettere reati se non dando per scontato che un reato lo abbia già commesso, quello appunto per cui si procede.
La regola di trattamento ricavabile dall’art. 27 co. II Cost. vieta che il giudizio di pericolosità preceda l’accertamento della colpevolezza, mentre la finalità di prevenzione speciale resta legata proprio ad un giudizio anticipato di responsabilità penale e di minaccia sociale[7].
Secondo una prima corrente di pensiero, tra presunzione di non colpevolezza e finalità extraprocessuali vi sarebbe un insanabile conflitto. Limitare la libertà personale dell’imputato al fine di impedire la commissione di reati significherebbe modellare una valutazione di pericolosità su di una presunzione di colpevolezza, in netto contrasto con il principio sancito dall’art. 27 co. II Cost. Pertanto, sempre secondo questo orientamento, impiegare la custodia cautelare (o altra misura restrittiva della libertà personale) per soddisfare esigenze di prevenzione criminale significherebbe utilizzare tali misure per scopi tipici della pena[8].
Secondo una seconda corrente di pensiero, non vi sarebbe invece differenza tra le esigenze inerenti al processo ed altre extraprocessuali, a patto che anche la tutela di queste ultime abbia rilievo costituzionale, e giustifichi, quindi, il sacrificio della libertà personale dell’imputato. E allora, è indubbio che la tutela della collettività dalla commissione di gravi delitti abbia rilievo costituzionale. Muovendo da questa linea di pensiero la questione non starebbe nel distinguere gli scopi cautelari endoprocessuali da quelli extraprocessuali, quanto nel garantire che tutte le finalizzazioni siano sottoposte a rigorosi limiti e controlli.
E allora, se anche con riferimento a quest’ultima esigenza cautelare si ragiona in termini di rischio, una particolare esistenza di elementi probatori, combinata con una oggettiva gravità del reato e con altre spie di pericolosità del soggetto sub iudice, potrebbe giustificare l’adozione di misure cautelari restrittive[9].
Da questo punto di vista va riconosciuto al legislatore il merito di aver tentato di rendere meno stridente il contrasto tra la finalità in oggetto e la presunzione di non colpevolezza attraverso la formulazione di alcuni parametri oggettivi e soggettivi su cui fondare la prognosi di pericolosità. Così per l’esplicito riferimento alle “specifiche modalità e circostanze del fatto”, ma anche per il profilo della valutazione della personalità dell’imputato “desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali”. Da ultimo, va apprezzato l’accento posto sul concreto pericolo che l’imputato o l’indagato commettano “gravi delitti con l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”, restringendo così l’applicazione delle misure cautelari per prevenire i soli reati che presentino un significativo impatto sociale.
Tutto ciò detto, il vero punto nodale, sotto il profilo della tutela della presunzione di non colpevolezza, resta un altro. La regola di trattamento ricavabile dall’art. 27 co. II Cost. vieta che un giudizio di pericolosità preceda l’accertamento della colpevolezza, mentre la finalità special-preventiva resta legata proprio ad un giudizio anticipato di responsabilità penale e di minaccia sociale[10].
In conclusione, può negarsi una compatibilità tra esigenze cautelari extraprocessuali e presunzione di innocenza, poiché questa non è ravvisabile. Sembra invece più corretto risolvere il contrasto in termini di bilanciamento tra l’interesse di circoscrivere gli interventi restrittivi della libertà della persona nei confronti di una persona che non è considerata colpevole e l’esigenza di tutela della collettività che, di fronte a situazioni particolari, potrebbe essere compromessa dal non applicare un regime restrittivo a quel particolare soggetto.
[1] M. SCAPARONE, Procedura penale, vol. II, Giappichelli, 2019
[2] P.P. PAULES, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, Giappichelli, 2009
[3] M. SCAPARONE, Procedura penale, vol. II, Giappichelli, 2019
[4] G. AMATO, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Giuffré, 1967
[5] G. ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Zanichelli, 1979
[6] F. CORDERO, Procedura penale, Giuffré, 2006
[7] P.P. PAULES, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, Giappichelli, 2009
[8] V. GREVI, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Giuffré, 1976
[9] M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale. Profilo istituzionale, Utet, 2006
[10] G. ILLUMINATI, La presunzione d’inocenza dell’imputato, Zanichelli, 1979