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Pubbl. Mar, 20 Giu 2023

L´arbitrabilità nel concordato preventivo, nelle procedure concorsuali minori e azione revocatoria. Dalla legge fallimentare al nuovo codice

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Emanuele Pasquale Scigliano
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Catanzaro Magna Græcia



Le procedure concorsuali minori rappresentano la nuova frontiera nell’ambito del procedimento di risoluzione della crisi. Particolari spunti di riflessione sovvengono dal concordato preventivo che, differentemente dalle altre procedure, risulta dotato di una specifica regolamentazione la quale funge da normativa di riferimento anche in ipotesi di composizione della crisi da sovraindebitamento. Alla stessa stregua, le altre procedure concorsuali amministrative si rifaranno alla normativa prevista per la procedura fallimentare. Ed infine brevi cenni verranno dati all’azione revocatoria interessata dal nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.


ENG

Arbitrability in the agreement with object, in minor incorporate procedures and revocation action. From the bankruptcy law to the new code

Minor insolvency proceedings represent the new frontier in the context of the crisis resolution procedure. Particular food for thought comes from the arrangement with creditors which, unlike the other procedures, is endowed with a specific regulation which acts as a reference regulation even in the hypothesis of settlement of the over-indebtedness crisis. In the same way, the other administrative insolvency procedures will refer to the legislation envisaged for the bankruptcy procedure. And finally, brief hints will be given to the revocatory action affected by the new business crisis and insolvency code.

Sommario: 1. Premessa 2. Il concordato preventivo tra la legge fallimentare e il nuovo codice di crisi d’impresa e dell’insolvenza 3. Spunti di riflessione dal rapporto tra il concordato preventivo e la procedura arbitrale 4. Arbitrato e composizione della crisi da sovraindebitamento 5. Arbitrato e procedure concorsuali amministrative 6. Come cambia il rapporto tra l’arbitrato e le altre procedure concorsuali minori 7. L’azione revocatoria e azione revocatoria fallimentare (cenni) 7.1. Il rapporto tra azione revocatoria e arbitrato nella legge fallimentare 7.2. Risvolti applicativi delle nuove norme: azione revocatoria e procedure concorsuali 8. Conclusioni

1.Premessa

Con il d.lgs. n. 14 del 12 Gennaio 2019, in attuazione del della legge n. 155 del 19 ottobre 2017, il Legislatore italiano ha introdotto l’ormai noto Codice di Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza, entrato in vigore il 15 luglio 2022.

Quest’ultimo sembrerebbe, almeno in prima face, introdurre numerose novità in materia concorsuale, le quali, invero, meriterebbero di essere meglio vagliate nel contesto evolutivo del progetto riformatore sì da comprendere dove e cosa sia effettivamente cambiato.

Con particolare riferimento alla disciplina dell’arbitrato, infatti, il legislatore, non sembrerebbe aver inserito modifiche di spessore giacché si è limitato a modificare la numerazione degli articoli di riferimento, lasciando praticamente inalterato il contenuto delle disposizioni normative di guisa che, nonostante il formale ed invero apparente superamento, della normativa antecedente, dal punto di vista sostanziale, la Legge Fallimentare rimane, ancora ad oggi, centrale.

Al riguardo, notevoli spunti di riflessione emergono dalla disciplina relativa al concordato preventivo e dal suo rapporto con lo stesso arbitrato e, infine, si andranno a sottolineare gli elementi di novità introdotti dal nuovo Codice. Lo stesso schema verrà utilizzato per le procedure concorsuali minori, con particolare riferimento alla composizione della crisi da sovraindebitamento e alle procedure amministrative. In conclusione, considerato l’impatto del nuovo Codice si farà riferimento anche alle azioni revocatorie. 

2. Il concordato preventivo tra la Legge Fallimentare e il Nuovo Codice di Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza

Al fine di comprendere i complessi e disomogenei rapporti tra l’istituto dell’arbitrato e quello del concordato preventivo, occorre, preliminarmente, soffermare l’attenzione sulle novità che il Nuovo Codice di Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha apportato alla precedente regolamentazione in materia.

In particolare, nell’ambito della Legge Fallimentare ante riforma, notevole rilevanza, è stata data al concordato preventivo, il quale era (ed è tutt’oggi) l’unico istituto a presentare una normativa ad hoc.

Il concordato preventivo, come noto, era regolato dagli artt. 160-186 L. Fall. e rappresentava una procedura concorsuale volta ad evitare che la crisi dell’imprenditore (una crisi temporanea e reversibile) sfociasse in fallimento, mirando a regolare i rapporti con i creditori. 

A tale procedura era riconosciuta una doppia finalità: nel caso di crisi temporanea e reversibile, si mirava a superare la situazione mediante il risanamento economico e finanziario dell'impresa; di converso, nel caso di crisi irreversibile, il concordato preventivo poteva essere attuato prima che fosse dichiarato il fallimento al fine di evitarlo[1]. In sintesi, tale procedura costituiva un beneficio concesso all'imprenditore per favorire la composizione della crisi mediante una soluzione concordata con i creditori. 

La ratio dell’istituto non è scardinata dall’introduzione del nuovo Codice di Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, introdotto con il d.lgs. 152/2022, piuttosto la novella offre maggiore forza nel conseguire il risanamento dell’impresa in tutte quelle situazioni, anche più complesse, in cui la continuità aziendale sia potenzialmente perseguibile, nella convinzione che il salvataggio dell’azienda in attività giovi più della mera liquidazione del suo patrimonio, non soltanto ai creditori quanto all’intero sistema economico nazionale.

Il legislatore, dunque, mediante la nuova impostazione, oltre ad introdurre nuove figure di concordato (concordato misto e concordato liquidatorio) ha voluto dare preferenza alle procedure di continuità e non anche alle procedure liquidatorie e ciò è stato anche sottolineato, recentemente, dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 734/2020[2], la quale ha evidenziato che la procedura concordataria – nella parte in cui prevede la prosecuzione dell’attività aziendale – rimane, attualmente, interamente regolata dall’art. 186-bis della Legge Fallimentare.

Quanto affermato trova conferma nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e Insolvenza, in cui sono introdotte novità solamente con riferimento alla disciplina dei contratti pendenti, ex art. 97 c.c.i.i[3]. In particolare, è reintrodotta la disposizione che sanziona con l’inefficacia i patti che consentono il recesso dai contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti, alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo[4]. Si dà veste formale alla mera facoltà dell’imprenditore di rendersi inadempiente ad un contratto, onerandolo del versamento alla controparte di un indennizzo equivalente al risarcimento del danno per mancato adempimento. Ed, ancora, l’apertura di un concordato non impatta sull’efficacia di una pattuizione arbitrale né limita l’autonomia negoziale dell’imprenditore nella stipulazione di contratti che la contengono[5].

Con particolare riguardo al il concordato preventivo, la nuova disciplina di crisi di impresa e di insolvenza, pur mantenendone l’essenza, introduce rilevanti modifiche agli artt. 84 ss. c.c.i.i. Si statuisce che, unitamente alla proposta di concordato, il debitore debba presentare un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. Il nuovo codice presenta anche la variante “minore” del concordato per professionisti ed imprese non soggette a liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o altre procedure liquidatorie e, per quanto non previsto, rimanda alla disciplina del concordato preventivo. La disciplina di tale concordato minore non presenta alcun riferimento in materia arbitrale se non l’apposizione di una regola, la quale statuisce che: «l’eventuale esercizio da parte dell’imprenditore della facoltà di recedere da un contratto in essere non si estende alla relativa clausola compromissoria»[6]

3. Spunti di riflessione dal rapporto tra il concordato preventivo e la procedura arbitrale

Il rapporto tra arbitrato e concordato preventivo, nonostante la sua complessità, è oggetto di scarso interesse in dottrina, la quale solo in pochi e recenti casi se ne è occupata.

Il rapporto tra arbitrato e concordato preventivo nella Legge Fallimentare era regolato dall’art. 169-bis comma 3.

Prima della riforma del 2012, in mancanza di una specifica normativa, si prevedeva che, anche in ipotesi di concordato preventivo, dovesse trovare applicazione la disciplina prevista per i rapporti pendenti nel fallimento.

Nonostante non ci fosse uno specifico richiamo alla normativa fallimentare, si faceva valere il principio unitario[7]; eppure, anche applicando le disposizioni di cui agli artt. 72 ss. L.F., si poneva il dubbio di quale dovesse essere la disciplina per la convenzione arbitrale, a fronte delle diverse regole concretamente applicabili, dal punto di vista processuale, nell’ambito del concordato.

Difatti, sotto il profilo soggettivo, il debitore concordatario manteneva la legittimazione processuale, sotto quello oggettivo, l’apertura non determinava l’interruzione del giudizio né limitava in alcun modo le azioni proponibili[8].

La norma risolutiva è stata introdotta con la riforma del 2012, la quale costituiva una disciplina per i rapporti in corso di esecuzione nell’ambito del concordato preventivo, nel cui ambito era presa in considerazione anche la clausola compromissoria[9].

Come è noto, l'art. 806 c.p.c. prevede per un verso, l'arbitrabilità delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili e, per altro verso, regola l’arbitrabilità in ambito concordatario difettando, come nel fallimento, una normativa ad hoc[10]. In realtà, con riferimento al primo profilo, pur rappresentando quest’ultimo un limite, nell’ambito del concordato preventivo, non è frequente l’ipotesi in cui il debitore in procedura concordataria coltivi liti su diritti indisponibili[11].

Nel concordato preventivo, come nel fallimento[12], infatti, il diritto oggetto del giudizio è e rimane compromettibile giacché il divieto deriva dal procedimento (al quale è soggetto il diritto per ammissione, di una parte, alla procedura concordataria) e non anche dal diritto sostanziale. 

In tale direzione, ponendosi la procedura arbitrale in sostituzione[13] del processo ordinario, i diritti possono essere tutelati con rito alternativo (sommario o semplice) sì da arginare il succitato limite[14].

A tal riguardo, è bene sottolineare come nel concordato preventivo (come in linea generale nelle procedure concorsuali), il concetto di indisponibilità vada declinato anche sotto il profilo processuale, poiché esiste il limite derivante dalla disponibilità del processo, al quale quel diritto sarebbe soggetto proprio per l’esistenza della procedura concorsuale[15]

In siffatta procedura, a differenza di quanto accadeva nel fallimento, sono arbitrabili le controversie in materia di accertamento di crediti concorsuali ed in materia di distribuzione, in quanto, mancando un procedimento con carattere di esclusività, sono sempre devolute al giudice ordinario[16].

Con particolare riferimento, poi, alla conclusione della convenzione d'arbitrato è d'obbligo considerare la posizione del debitore concordatario; questi, infatti, è titolare della situazione sostanziale e quindi colui che è legittimato a concludere la convenzione arbitrale[17]

L'unica disposizione “concordataria” concernente in via diretta l'arbitrato era l’art. 167 L. Fall., il quale disponeva che la stipula del compromesso, qualificato come atto di straordinaria amministrazione, dopo la domanda di concordato senza autorizzazione del giudice, è inefficace rispetto ai creditori anteriori al concordato[18].

Si è posto, in dottrina, un problema di estensibilità della norma anche alla clausola compromissoria, quindi la discussione se alla stessa dovesse essere applicata la disciplina prevista ex art. 808 cod. proc. civ. o appunto dovesse esservi l’estensione dell’art. 167 L. Fall.[19]

Secondo la posizione ermeneutica prevalente anche la clausola compromissoria doveva rientrare negli atti di straordinaria amministrazione sì da intendere il termine “compromesso” in senso estensivo[20]; altra parte della dottrina, si è limita al tenore letterale della norma, la quale faceva espresso riferimento al solo “compromesso” di guisa che, secondo tale ultima posizione, qualunque tipo di estensione non sarebbe stata giustificabile in quanto la clausola compromissoria non necessitava di autorizzazione se non in alcune ipotesi particolari, ossia: qualora il debitore intendesse sciogliere l’arbitrato di equità o determinare la sede dell’arbitrato all’estero e in questi casi con equivalenza all’atto di straordinaria amministrazione[21]; od anche qualora si intenda stipulare arbitrato irrituale. 

In sintesi, il debitore godeva di autonomia nella conclusione del contratto contenente una clausola compromissoria mentre necessitava dell’autorizzazione del giudice per concludere un compromesso, apparendo così evidente la differenziazione tra le due discipline.

L’art. 167 co.2 L. Fall. faceva riferimento alla sorte degli atti stipulati senza l’autorizzazione del giudice i quali erano da considerare inefficaci nei confronti dei creditori anteriori all’apertura della procedura concordataria venendo in rilievo quanto statuito dall’art. 173 L. Fall., il quale prevedeva che, qualora il debitore avesse stipulato un accordo compromissorio non autorizzato, sarebbe incorso in fallimento.

La disciplina era radicalmente differente nel momento in cui parte dell’accordo compromissorio fosse un creditore anteriore. A tal proposito, l’art. 167 L. Fall. statuiva l’inopponibilità del creditore qualora questi avesse accettato la convenzione non autorizzata, successiva al concordato, in quanto risultava, dalla stessa, vincolato e, al contempo, subiva gli effetti del lodo ritenendosi che il creditore avesse rinunciato a quella prerogativa per fatti concludenti o per contrarius actus o perché l’inopponibilità soccombeva agli effetti del lodo[22].

L’accettazione dell’arbitrato non è considerata come atto di straordinaria amministrazione[23], non essendo altro che il completamento di una parziale volontà compromissoria; ed, infatti, volendo realizzare la “ricognizione dei diritti dei terzi” e cioè dei soggetti differenti dal debitore concordatario, il carattere di atto di straordinaria amministrazione dell’arbitrato fa riferimento alla ricognizione negoziale e non a quella giudiziale[24].

La procedura concordataria seguiva per analogia la ratio utilizzata in tema di fallimento, dove era preclusa la deduzione del vizio apud arbitros al curatore[25], in quanto si riteneva che i vizi (ossia la mancanza di autorizzazione alla stipulazione di compromesso da parte dei creditori) rendessero l’atto compiuto dal curatore annullabile, in applicazione alle norme del codice civile in materia di tutela degli interessi degli incapaci[26]. L’atto annullabile produce i suoi effetti fino alla richiesta di annullamento[27] dalla parte legittimata, ex art. 1441 cod. civ.[28]. D’altra parte, nei confronti della massa dei creditori risulterà inefficace la convenzione di arbitrato stipulata in assenza di autorizzazioni ma, la stessa, rimarrà valida, continuando, fino alla pronuncia del lodo, che produrrà i suoi effetti solamente nei confronti del debitore che dovesse ritornare in bonis e non anche nei confronti della procedura[29]. L’inefficacia, qualora sopraggiungesse l’autorizzazione, verrebbe sanata[30]

Nell’eventualità in cui dovesse operare l’art. 173 L. Fall., revocando l’ammissione alla procedura concorsuale con successiva dichiarazione di fallimento, la convenzione di arbitrato già iniziata verrà regolata dalla disciplina fallimentare; di converso, qualora ciò non avvenisse, il debitore, riscontrando un vizio nella stessa convenzione[31], potrà promuovere un’autonoma azione che non potrebbe essere proposta in pendenza di arbitrato: il debitore concordatario dovrà porre in essere tale iniziativa prima del giudizio arbitrale, ex art. 819-bis cod. proc. civ.[32]

Le parti della convenzione arbitrale possono contestarne la validità e richiederne la sanatoria, perché titolari dell’interesse alla sussistenza di tutti i presupposti per l’installazione del giudizio arbitrale, le stesse però non sono legittimate a chiederne l’annullamento basandosi sul difetto di capacità del debitore concordatario[33].

In conclusione, occorre delineare i presupposti e gli effetti dello scioglimento della convenzione d’arbitrato, prendendo in considerazione due ipotesi: lo scioglimento automatico della clausola compromissoria previsto, ab origine, in caso di concordato preventivo (previsione inefficace, ex art. 186-bis L. Fall., in ipotesi di concordato con continuità iniziale) e lo scioglimento della clausola come contratto autonomo, operato ad istanza di parte rivolta, prima del decreto di ammissione, al tribunale e dopo il decreto di ammissione, al giudice[34]

La regola generale era contenuta nell’art. 169-bis L. Fall.[35], il quale affermava che la clausola arbitrale mantenesse intatta la sua efficacia, nel caso in cui il debitore chiedesse e ottenesse lo scioglimento del contratto alla quale, la stessa, fa riferimento, fissando, quindi, una regola opposta a quella prevista dall’art 83-bis L. Fall. in materia di fallimento[36].

Due sono le differenze fondamentali che connotano tale relazione: la prima è che il concordato preventivo non priva il debitore concordatario della legittimazione sostanziale e processuale[37] mentre la seconda è che, non essendoci accertamento del passivo in senso proprio, nulla è precluso alla cognizione ordinaria o arbitrale circa i rapporti fra debitore e terzi; occasionale è, poi, una terza differenza, legata all’ipotesi del concordato con cessione di beni, dalla quale nasce la figura del liquidatore giudiziale come litisconsorte necessario che sarà successore a titolo universale o particolare[38].

L’intervento della procedura concordataria solleva questioni diverse a secondo del momento: se ci si trovi di fronte ad una fase pre-arbitrale o ad un arbitrato in corso. Nel primo caso, bisogna interrogarsi sulla possibilità del debitore concordatario di poter stipulare una convenzione arbitrale, mentre, nel secondo caso se quella eventualmente stipulata sia o meno vincolante. Per poter valutare in quale delle due ipotesi delineate ci troviamo bisogna analizzare la domanda di concordato preventivo: in particolare, il discrimine temporale, infatti, non si rinviene tanto dall’apertura della procedura concordataria, dalla quale pure discendono effetti determinanti per il debitore, ma si colloca in un momento antecedente, ossia quello in cui viene proposto il ricorso per concordato[39], con riserva o anche in bianco[40]. Pertanto, è dato dalla proposizione della domanda di concordato che determina la cristallizzazione delle posizioni giuridiche, nonché la consistenza della massa attiva e passiva[41]. Di conseguenza, anche gli effetti derivanti dall’arbitrato scaturiranno alla proposizione della domanda concordataria una volta omologata[42], ed è rispetto proprio alla stessa che si deve stabilire se ci si trovi dinnanzi ad un procedimento o ad un semplice patto arbitrale.

Il concordato preventivo, al contrario del fallimento, non prevedeva lo spossessamento del debitore ma una sua attenuazione[43]ex art. 167 L. Fall., per cui il debitore manteneva la capacità processuale; quest’ultimo, di conseguenza, avrebbe potuto determinarsi a concludere una convenzione di arbitrato, anche in costanza di procedura[44]

Fondamentalmente sono tre le ragioni che spingono all’applicazione dell’art. 169-bis L. Fall. alla convenzione arbitrale. Si ritiene, infatti, che la convenzione arbitrale sia un contratto come un altro e, nonostante la sua natura prevalentemente processuale, conservi una sostanza economica come richiesto dall’articolo in commento; permane, perciò, in capo al debitore concordatario la possibilità di scioglimento[45]. L’art 169-bis L. Fall. è, altresì, applicabile per interpretazione a contrario e, in ultimo, perché la clausola è considerata autonoma e quindi ci si può liberamente svincolare dalla stessa a prescindere dal contratto.

In caso di scioglimento, viene in rilievo il problema dell’indennizzo della parte, il quale sarà di difficile quantificazione; parte della dottrina ritiene il problema insussistente in quanto non è condivisa l’idea di un autonomo scioglimento della convenzione d’arbitrato[46]

Importante è comprendere entro quali limiti operi lo scioglimento della clausola d’arbitrato in corso. Tali limiti, inizialmente, erano spiegati per mezzo del principio della perpetuatio iurisdictionis[47]ma la sua effettiva applicazione alla convenzione d’arbitrato rischierebbe di portare alla petizione dello stesso; inoltre, qualora le parti riuscissero a risolvere consensualmente l’accordo compromissorio, la perpetuatio iurisdictionis non potrebbe far continuare il giudizio stesso, infatti, per tali motivi, è utilizzata, in dottrina, una diversa soluzione che vede il debitore concordatario attivare la clausola o rispondere alla domanda di arbitrato altrui, accedendovi: il patto compromissorio sarà eseguito con riferimento a quella lite e lo scioglimento sarà, quindi, pro futuro[48]La diversa soluzione adottata consente al debitore concordatario una tutela dei rischi dell’arbitrato, in quanto non è costretto, preventivamente, a chiedere lo scioglimento e, al contempo, non vi è l’automatismo operato dallo scioglimento altrui in quanto deve essere filtrato dall’autorizzazione del giudice[49]

In ipotesi di arbitrato in cui vi sia già stata la nomina e la conseguente accettazione dell’arbitro, il debitore non ha facoltà di incidere sulle pattuizioni contrattuali o sulla sua esecuzione[50], in quanto sorge un rapporto tra l’arbitro e tutte le parti processuali e arbitrali, lo scioglimento, quindi, deve pervenire in maniera congiunta da tutte le parti e considerato inefficace quello proveniente da una sola parte[51]. Verificata la validità della convenzione, il debitore concordatario può dare inizio al giudizio arbitrale, nominando il proprio arbitro, e avviare la procedura, senza alcuna necessità di autorizzazione del giudice delegato, perché lo stesso continua ad avere la disponibilità dei suoi beni per quanto attiene all’ordinaria amministrazione[52]

Tale procedimento non evidenzia particolari differenze con il procedimento delineato dagli artt. 806 ss. cod. proc. civ., tranne quelle eventualmente previste per il processo ordinario.

Pertanto, l’arbitrato può essere utilizzato anche per risolvere le liti concordatarie in senso stretto e, in particolare, per accertare le pretese creditorie[53].

Come emerge, però, dalla trattazione sono diversi i profili processuali che ancora presentano diverse incertezze nei rapporti tra arbitrato e concordato preventivo. Ed è chiaro che da parte del legislatore non ci sia stata volontà di mettere ordine, infatti, le considerazioni, fin qui, trattate hanno conservato la loro validità all’interno del nuovo Codice di Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. In un sistema che tende sempre di più verso la degiurisdizionalizzazione, la proposizione di una domanda concordataria non dovrebbe rappresentare un modo per il debitore di potersi sciogliere unilateralmente dall’impegno di non ricorrere alla giurisdizione statale. Pertanto, l’arbitrabilità delle controversie dovrebbe restare indifferente all’apertura di una procedura concordataria. Questi diversi profili contrapposti si spera possano essere risolti dalla discrezionalità affidata al giudicante: l’autorizzazione allo scioglimento dagli impegni arbitrali dovrebbe essere consentita, sacrificando l’interesse della controparte in bonis, solo in ragione di un effettivo interesse superiore della procedura concordataria[54]. Si stenta, tuttavia, a vedere come quest’ultimo possa essere leso da impegni di carattere processuale e come il vincolo arbitrale possa interferire con la funzionalità della procedura.

4. Arbitrato e composizione della crisi da sovraindebitamento

L’istituto della composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotto dalla legge 3/2012, come è noto, consente ai debitori di accordarsi[55] con i creditori al fine di dilazionare il pagamento del debito, ponendo, dunque, rimedio alle situazioni da sovraindebitamento in capo al soggetto non dichiarato fallito. Il debitore soggetto a sovraindebitamento ha due possibilità: porre in essere un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti[56] o un piano del consumatore[57]. Con l’abrogata Legge n. 3/2012, dunque, è nato un formale rimedio all’insolvenza civile, in senso concorsuale, in parallelo con i rimedi all’insolvenza commerciale di cui alla Legge Fallimentare. Tale indirizzo è stato confermato nel nuovo Codice di Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, il quale regola la composizione della crisi agli articoli 67 ss., sostituendosi al Piano del Consumatore, ma rimanendo, nella sua ratio e nella previsione normativa, invariato.

Per quanto attiene ai rapporti con l’arbitrato, gli accordi di ristrutturazione dei debiti non contengono convenzioni arbitrali per la risoluzione delle controversie, le quali possono insorgere successivamente all’omologazione di tali accordi da parte dell’autorità giudiziaria. 

Il sistema, per come composto, non sembra far sorgere un divieto di arbitrabilità in quanto, in tale materia, non ci si trova di fronte a diritti indisponibili, nemmeno in relazione al profilo concernente la rimozione delle cause di insolvenza[58].

Per quanto riguarda gli effetti[59] prodotti dalla procedura di composizione della crisi (PCC) sulla convenzione arbitrale eventualmente stipulata dal debitore, sia la L. 3/2012 sia il Nuovo Codice[60] nulla prevedono, infatti, si faceva riferimento alla disciplina prevista in materia di concordato preventivo[61]. In tal guisa, in caso di apertura di una PCC, i rapporti giuridici pendenti sono eseguiti secondo le norme di diritto comune, salvo che il piano presentato preveda la prosecuzione o la risoluzione del contratto[62]

L’applicazione della disciplina comune comporta il non scioglimento della procedura arbitrale, la quale continuerà ad operare e produrre i suoi effetti[63].

In riferimento, poi, agli effetti della PCC sui procedimenti arbitrali, già pendenti o ancora da instaurare, viene in rilievo la figura del debitore quale parte del rapporto sul quale non interviene il fenomeno di spossessamento e che, di conseguenza, mantiene la propria capacità processuale[64]; permanendo, in capo al debitore, la libertà di iniziare o proseguire la procedura arbitrale.

Diverse considerazioni riguardano, invece, la procedura di liquidazione del patrimonio che, ex art. 14-quinquies, 2° comma, lett. e), prevede lo spossessamento pieno a carico del debitore, fenomeno a cui dovrebbe accompagnarsi, anche, la perdita di capacità processuale con riguardo ai rapporti giuridici patrimoniali confluenti nel patrimonio oggetto di liquidazione. Sul punto vige un contrasto in dottrina, infatti, una parte, sostiene la conseguente perdita della capacità processuale[65], mentre, altra parte, protende per il mantenimento della stessa posizione.

Inoltre, l’art. 14-octies, prevede che l'accertamento delle pretese vantate nei confronti del debitore debbano svolgersi all'interno della procedura, predisponendo una fase “c.d. speciale” per la formazione del passivo e comportando, in capo allo stesso debitore, l'improponibilità e improcedibilità del giudizio arbitrale, vista la possibilità data al creditore di far valere le proprie pretese[66]. Qualora il debitore fosse parte attiva del giudizio arbitrale e si facesse riferimento alla tesi che sposa la sua perdita di capacità processuale, sarà il liquidatore della procedura a dover presentare istanza di prosecuzione del procedimento arbitrale; a contrario, riferendosi, invece, alla tesi per cui il debitore mantiene la sua capacità processuale, sarà lui stesso a poter proseguire o instaurare il procedimento arbitrale.

5. Arbitrato e procedure concorsuali amministrative

Il rapporto tra arbitrato e procedure concorsuali amministrative non trova riscontro diretto nei testi normativi: la disciplina, infatti, rinviava alla normativa del fallimento che, tuttavia, non era completamente “importata”[67].

Le procedure concorsuali amministrative si distinguono in: liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza. Per quanto attiene alla prima, questa è una procedura concorsuale attivata dalla pubblica amministrazione mediante dichiarazione dello stato di insolvenza dell’impresa e non dalla giustizia ordinaria. La liquidazione coatta amministrativa esclude il fallimento anche se, a volte, per mezzo di leggi speciali, può coesistere con il fallimento stesso. Per quanto attiene alla seconda, invece, essa ha come finalità principale la conservazione dell’impresa in crisi e, ove possibile, il suo risanamento in quanto la dichiarazione di fallimento comporterebbe effetti sociali devastanti visto l’elevato numero di dipendenti: il procedimento ha natura essenzialmente amministrativa[68]

Gli organi predisposti all’amministrazione straordinaria sono: il commissario, il comitato di sorveglianza, l’autorità amministrativa di vigilanza e il comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (CIPI).

In prima analisi, è opportuno comprendere se sia consentito o meno all’organo gestore della procedura di stipulare accordi arbitrali per la composizione delle liti insorte e, se agli stessi, siano opponibili accordi arbitrali stipulati dall’amministrazione soggetta a liquidazione coatta[69]

L’art. 35 L. Fall. abilitava il curatore a compromettere in arbitri, previa autorizzazione del comitato dei creditori; allo stesso modo, l’art. 206 L. Fall., rinviando espressamente all’art. 35 L. Fall.[70], abilitava il commissario liquidatore alle stesse funzioni esperibili dal curatore, come previsto dalla prima norma in commento[71].

In riferimento all’opponibilità degli accordi arbitrali conclusi quando ancora in bonis era interamente richiamata la disciplina dell’art. 83-bis all’interno dell’art. 201 co.1 L. Fall.: la norma, però, non esauriva il problema dell’opponibilità al fallimento degli accordi precedentemente stipulati in quanto non stabiliva in quale misura effettivamente lo fossero[72]. Quindi, fatta eccezione per le ipotesi di subingresso della curatela nel contratto in cui fosse inserita la clausola arbitrale[73] avrebbero dovuto considerarsi inopponibili all’amministrazione fallimentare le convenzioni stipulate dal debitore in bonis, perché devolute al giudice privato liti che il curatore avrebbe potuto devolvere alla giurisdizione statale. Tale ricostruzione, però, venne messa in crisi con l’inserimento di un nuovo comma 3 all’art. 43 L. Fall. .

Non sussistendo gravi elementi di divaricazione tra fallimento e liquidazione coatta amministrativa, la misura in cui si ritengono opponibili al fallimento gli accordi arbitrali precedentemente stipulati dal debitore, risulta uguale nella liquidazione[74]

L’art. 52 L. Fall. escludeva la possibilità della devoluzione alla cognizione arbitrale dei crediti pecuniari verso il fallito e degli ulteriori diritti vantati nei confronti dello stesso soggetto e quindi la verifica del passivo[75]; tale disposizione veniva incorporata in ambito di liquidazione coatta amministrativa all’art. 201 L. Fall.[76]

Alla stregua di queste considerazioni, è possibile affermare che la disciplina fallimentare nei suoi rapporti con l’arbitrato era applicabile, in via analogica, alla liquidazione coatta amministrativa; allo stesso modo la disciplina risultava essere applicata anche all’amministrazione straordinaria ma, in via diretta, venivano trasposte solo alcune disposizioni quali, a titolo esemplificativo: l’art. 43 L. Fall., incapacità a stare in giudizio del debitore assoggettato a procedura; l’ art. 52 L. Fall., concorso formale e l’art. 92 co.2, n.3 L. Fall., ammissione con riserva dei crediti accertati con sentenza o anche con lodo arbitrale rituale definitivo. Apparivano, quindi, esclusi gli artt. 72 e 83-bis L. Fall. in quanto riferibili agli effetti dell’apertura del fallimento e, per quanto concerneva l’amministrazione straordinaria, questa presentava proprie regole operative rinvenibili negli artt. 50 e 51 L. Fall.; la conseguenza era l’ineseguibilità dei contratti pendenti[77]. Tale carenza era, però, colmata dal d.lgs. 270/99 all’art. 36, il quale affermava che, per quanto non specificato, «si applicano alla procedura di amministrazione straordinaria, in quanto compatibili, le disposizioni della liquidazione coatta amministrativa», estendendo, quindi, in via analogica la disciplina fallimentare e l’operatività degli artt. 72 e 83-bis L. Fall.[78]

L’avvio dell’amministrazione straordinaria era preceduto da una fase “di osservazione”, tutti gli accordi arbitrali stipulati in questa fase, ex art. 167 L. Fall., dal titolare dell’impresa risultavano validi e opponibili alla massa perché autorizzati dal giudice delegato, nonostante fossero atti di straordinaria amministrazione. 

In conclusione, risultano validamente opponibili alla massa le pronunce arbitrali nascenti in questa fase dall’imprenditore insolvente. Tutte le disposizioni richiamate fino a questo momento vengono interamente trasposte nel Nuovo Codice, operando, lo stesso un semplice riordino della normativa e un cambio numero agli articoli citati.

6. Come cambia il rapporto tra l’arbitrato e le altre procedure concorsuali minori

Nella sfera di rapporto tra arbitrato e le procedure concorsuali cd. minori, la normativa contenuta nel nuovo codice di crisi d’impresa e d’insolvenza ha innovato, anche, gli strumenti di regolazione della crisi. 

Nello specifico occorre delineare alcune novità: - i piani attestati di risanamento che consistono in un progetto (veritiero, con data certa e in forma scritta), predisposto da imprenditori, finalizzato al risanamento ed al riequilibrio dell’impresa e della situazione finanziaria; - accordi di ristrutturazione dei debiti, ossia accordi, posti in essere dall’imprenditore in crisi, contenenti il piano economico finanziario volto alla ristrutturazione dei debiti (questo tipo di accordo viene stipulato con i creditori che rappresentano il 60% dei debiti dell’impresa, in forma scritta e con data certa); - accordi di ristrutturazione agevolati, in cui il debitore può stipulare un accordo di ristrutturazione con i creditori rappresentanti il 30% dei debiti, qualora lo stesso non abbia proposto moratoria ai creditori estranei ed abbia rinunciato alle misure protettive temporanee; - accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, qualora l’accordo di ristrutturazione dei debiti preveda la suddivisione dei creditori in classi, gli effetti sono estensibili ai creditori non aderenti; - transazione fiscale, ossia la richiesta di pagamento, parziale o dilazionata, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dall’agenzie fiscali anche nel corso delle trattative[79]

Ciò che qui rileva è il rapporto tra le succitate procedure concorsuali e l’arbitrato. Storicamente il fallimento, in quanto procedura di rilievo pubblicistico privava di efficacia qualunque opzione di giustizia estranea a quella statuale e, nello specifico, al foro fallimentare ex art. 24 L. Fall.[80]. Tale idea, ormai, è ampiamente superata pur permanendo i consueti vincoli dell’arbitrato che impediscono di ritenere compromettibili situazioni giuridiche diverse dai diritti soggettivi. Non sono arbitrabili, nei procedimenti di composizione della crisi: l’accertamento dell’insolvenza, i procedimenti endoconcorsuali in senso proprio (opposizioni, impugnazioni e reclami), quelli costituenti fasi interne o incidentali di più ampi procedimenti di natura esecutiva o diretti ad attuare la responsabilità patrimoniale[81]. «L'apertura di una procedura di allerta o di composizione della crisi influisce sull’arbitrabilità oggettiva delle liti relative a diritti non disponibili afferenti al debitore. La fase di crisi non lo priva della facoltà di gestione dell’impresa pur influenzandone, in certa misura, alcune decisioni strategiche. né dell'amministrazione del patrimonio»[82]

Il quadro è differente quando si considerano le procedure liquidatorie dove il debitore è privato dell'amministrazione e disponibilità dei beni e, di conseguenza, della legittimazione processuale. La riforma di maggiore impatto, in tale ambito, è l'anticipazione del momento in cui una situazione di difficoltà dell'impresa assume rilevanza per l'ordinamento concorsuale. In passato, il momento cruciale era il momento di insolvenza (anche se solo ai fini del concordato); oggi, con la definizione positiva di crisi, i soggetti interni, in caso di inerzia del debitore, possono attivare la procedura di allerta. Tale procedura non influisce in alcun modo sull’efficacia dei contratti in essere e, di conseguenza, nemmeno sulle clausole compromissorie in questi contenute, a differenza di quanto accade nella liquidazione giudiziale.

7. L’azione revocatoria e azione revocatoria fallimentare (cenni)

Altro aspetto rilevante in materia, sottoposto a rimaneggiamenti nel Nuovo Codice, è la disciplina dell’azione revocatoria nei suoi rapporti con l’arbitrato.

Le azioni revocatorie, in generale, sono istituti diretti a garantire la tutela del diritto di credito a fronte di atti che possono pregiudicare la possibilità di soddisfazione dei creditori, diminuendo il patrimonio responsabile del debitore, regolati dalla legge fallimentare e dal codice civile.  Le stesse si distinguono in azione revocatoria ordinaria[83] – regolata dagli artt. 2901-2904 cod. civ. e 2652, n.5 cod. civ. - e azione revocatoria fallimentare (artt. 67-70 L. Fall.)[84]. A tale bipartizione deve essere aggiunta l’ipotesi in cui l’azione revocatoria ordinaria sia esercitata dal curatore fallimentare[85]. L’azione soggiace agli stessi presupposti di quella prevista dal codice civile ma il suo scopo è quello dell’equa soddisfazione di tutti i creditori dell’imprenditore dichiarato fallito[86]. Molteplici sono le differenze tra l’azione revocatoria ordinaria e quella fallimentare, tra queste, a titolo esemplificativo ricordiamo che l’azione revocatoria «giova soltanto al creditore che l’ha proposta, il quale, ottenuta la dichiarazione di inefficacia, può promuovere azioni conservative o esecutive sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato»[87]. Tale principio subisce una deroga in caso di fallimento, in quanto viene riservata al curatore l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, dove il risultato andrà a beneficio della massa dei creditori[88]. L’azione attribuisce al creditore il potere di soddisfare il suo diritto espropriando i beni che, uscendo dal patrimonio del debitore, non sono più nel suo possesso e, quindi, non formano oggetto di responsabilità patrimoniale e non potrebbero essere aggrediti dal creditore[89].

Il presupposto dell’azione revocatoria è che l’atto abbia “recato pregiudizio” alle ragioni del creditore: eventus damni;ma tale pregiudizio sussiste solo qualora l’atto comprometta la possibilità che l’azione esecutiva abbia esito fruttuoso[90]. Il patrimonio del debitore deve aver subito una riduzione che lo renda incapace di coprire i debiti. Occorre sottolineare che entrambe le azioni possiedono l’eventus damni, la differenza sostanziale risiede nella presenza del consilium fraudis (ossia la consapevolezza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore), in quanto all’interno dell’azione revocatoria fallimentare si presume, mentre nell’azione revocatoria ordinaria deve essere provata.

7.1. Il rapporto tra azione revocatoria e arbitrato nella Legge Fallimentare

La breve ricostruzione della bipartizione in tema di azione revocatoria è utile a rispondere al requisito sul quale si basa il rapporto tra arbitrato e azione revocatoria, ossia se possa considerarsi ammissibile il procedimento arbitrale per le risoluzioni di controversie aventi ad oggetto la declaratoria di inefficacia della par condicio creditorum[91] nonché funzionale ad inserire il tema nelle controversie rimesse alla cognizione arbitrale. Infatti, l’azione revocatoria ha contenuto di accertamento e può avere anche contenuto condannatorio, se esercitata dal curatore ma anche effetto restitutorio. La controversia ha ad oggetto un’azione revocatoria, sia questa ordinatoria o fallimentare, o un’azione di inefficacia, regolata dagli artt. 64 e 65 L. Fall., laddove l’inefficacia di riferimento è quella ex lege degli atti compiuti dal debitore, successivamente sottoposto alla procedura fallimentare. 

L’art. 64 L. Fall. disponeva testualmente che «sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito (…) i beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento (…) ogni interessato può proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell’art. 36». 

L’art. 65 L. Fall., invece, dichiarava inefficaci «i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento». 

Come emerge da tali articoli, una caratteristica dell’azione di inefficacia fallimentare era che si trattava di azioni dichiarative: il giudice, o l’arbitro nelle controversie arbitrali, doveva accettare che l’atto compiuto dal debitore non potesse produrre effetti nei confronti dei creditori. Laddove non ci fosse pregiudizio nei confronti dei creditori, tutte queste azioni potevano ammettere arbitrato, senza costituire un limite.

In tale ambito, si deve escludere l’esperibilità dell’azione revocatoria che abbia ad oggetto un contratto nel quale il curatore sia subentrato; ne deriva che, una volta che il curatore abbia accettato il contratto così come stipulato dal fallito, egli non potrà invocare la revocatoria per nessuna delle clausole contenute nello stesso e, quindi, neanche per quella compromissoria[92]. Se si tratta, invece, di compromesso in senso stretto, la revocabilità non è esclusa a priori, integrando lo stesso un accordo separato e distinto; e potrebbe così sostenersi l’esclusione dell’azione revocatoria per tutti quegli atti che non hanno natura sostanziale, risultando il compromesso come atto processuale[93].

Trattandosi di azioni di inefficacia il termine di prescrizione è di dieci anni[94], ha ad oggetto diritti disponibili e, quindi, può essere sottoposta alla cognizione di arbitri, ex art. 806 cod. proc. civ.[95]

Tale conclusione non è inficiata dalla natura inderogabile delle disposizioni in materia di azione revocatoria e di inefficacia, in quanto ciò comporta che la loro violazione porti all’impugnazione del lodo arbitrale[96]

Inoltre, non era esclusa la possibilità che la curatela fallimentare potesse stipulare convenzioni di arbitrato, così come poteva subentrare nelle clausole arbitrali stipulate dal debitore[97]. L’ufficio fallimentare doveva, però, rispettare le specifiche disposizioni contenute negli artt. 25 e 35 L. Fall., con particolare riferimento alla nomina dell’arbitro, rimessa al giudice delegato su proposta del curatore. 

Il rapporto tra azione revocatoria e arbitrato, però, necessita di alcune precisazioni, in quanto il curatore non poteva subentrare in precedenti clausole compromissorie o compromessi non rientranti nel patrimonio del fallito e, in materia di inefficacia di atti, lo stesso non era vincolato dall’eventuale clausola compromissoria. In entrambi i casi, comunque, non trovava applicazione l’art. 83-bis L. Fall., dalla cui lettura a contrario emergeva che, in caso di subentro del curatore nel contratto, l’eventuale clausola compromissoria era a questo opponibile[98]. Se, invece, dovesse optare per lo scioglimento, la clausola compromissoria non sarebbe opponibile alla massa, con conseguente improseguibilità dei giudizi arbitrali pendenti e impossibilità di promuovere, davanti agli arbitri, ulteriori controversie derivanti da quel contratto[99]

Dal momento in cui la curatela esercitava azione revocatoria o di inefficacia, il curatore agiva come terzo e, quindi, non risultava vincolato dalle clausole compromissorie stipulate dal fallito[100]. Ne derivava che l’azione revocatoria e di inefficacia fallimentare potesse essere devolute ad arbitri solo a seguito di un compromesso stipulato tra curatore e terzo che avesse compiuto l’atto irrevocabile. 

Il curatore aveva la possibilità di stipulare il compromesso solo quando le azioni erano destinate a recuperare beni fuoriusciti dal patrimonio del fallito; non poteva stipulare, invece, convenzioni arbitrali che avessero ad oggetto accertamento di pretese di terzi su beni della massa o di crediti nei confronti della procedura. 

Qualora il curatore stipulasse una convenzione di arbitrato per proporre un’azione revocatoria o di inefficacia, il procedimento sarebbe stato eseguito mediante le forme ordinarie; producendo il lodo effetto di sentenza, esso sarebbe risultato titolo esecutivo e, quindi, trascritto nel registro immobiliare: trascrizione che risultava necessaria in ambito di revocazione e di inefficacia ai fini della successiva vendita, da parte della curatela, ai terzi[101]

7.2. Risvolti applicativi delle nuove norme: azione revocatoria e procedure concorsuali

La sentenza n. 30416/2018[102] delle Sezioni Unite risolveva (e risolve tutt’oggi), in maniera negativa, l’esperibilità della revocatoria da parte del curatore nei confronti di altra procedura concorsuale[103]. Tale sentenza assume particolare rilevanza in quanto, di recente, la suprema Corte è tornata ad esprimersi[104] nella prospettiva dell’arbitrato. In particolare, si ritiene necessaria la possibilità, anche per il curatore della procedura di liquidazione giudiziale, di proporre l’azione revocatoria avverso altra procedura concorsuale. 

La trattazione prende le mosse da un postulato di fondo: il lodo rituale e la sentenza sono equipollenti, quindi, analogamente non c’è differenza tra sede arbitrale e statale sul piano di esperibilità da parte del curatore. 

Il problema nasce nel momento in cui bisogna comprendere se sia proponibile una domanda arbitrale costitutiva nei confronti della liquidazione giudiziale, dalla quale possa derivare una pretesa da far valere in sede concorsuale. Dal punto di vista processuale, la disamina verte sul coordinamento tra la domanda costitutiva di revoca e la pretesa restitutoria conseguenziale, da far valere con l’insinuazione al passivo. 

Alla luce dell’ordinanza della Cassazione sono state proposte diverse soluzioni applicative, quali: «ove la domanda di revocatoria sia stata proposta prima dell’apertura della liquidazione concorsuale e sia stata trascritta, essa prosegue davanti al giudice ordinario (le statuizioni di condanne decise da quest’ultima vincolano la massa concorsuale); -laddove la domanda di revocatoria sia stata proposta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, ma non sia stata trascritta o non sia trascrivibile, essa è improcedibile; - nei casi appena citati e nell’ipotesi in cui la domanda revocatoria non sia stata proposta prima dell’apertura della liquidazione giudiziale, sarebbe possibile formulare, comunque, una domanda di ammissione al passivo per il corrispondente valore del pagamento o del bene oggetto dell’atto dispositivo astrattamente revocabile. In questa ipotesi il giudice delegato dovrà deliberare la pregiudiziale pretesa costitutiva (avente ad oggetto i presupposti dell’azione revocatoria, che rappresenta il presupposto per l’ammissione al passivo del suddetto creditorio restitutorio) incidenter tantum (ossia senza efficacia di giudicato)»[105]

Una parte della dottrina rinviene la soluzione del problema[106] nell’esaminazione dell’art. 172 comma 5 c.c.i.i.[107]

«Sulla base di questa disposizione, l’azione di risoluzione del contratto promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda; e se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le norme che regolano l’accertamento del passivo»[108]. Dal testo della norma sorgono alcune perplessità, prima fra tutte, l’alterazione dell’oggetto tipico del giudizio di verificazione del passivo e, in secondo luogo, l’efficacia meramente endoconcorsuale della decisione emessa nell’ambito del giudizio di verificazione del passivo. 

In conclusione, qualora sopravvenisse l’apertura della procedura, l’improcedibilità dovrebbe colpire solo la pretesa conseguenziale; vi è, quindi, l’idea della prosecuzione in sede arbitrale, del giudizio sulla domanda pregiudiziale, individuando un’ulteriore ipotesi di coinvolgimento del curatore. 

Alla luce di tali considerazioni risulta confermata l’esperibilità, anche per via arbitrale, dell’azione revocatoria (fallimentare o ordinaria) nei confronti di altra procedura concorsuale; utilizzando la seguente soluzione processuale: «la pretesa restitutoria deve necessariamente essere fatta valere secondo le forme dell’accertamento del passivo, mentre l’effetto costitutivo pregiudiziale non può essere prodotto incidenter tantum in tale sede; il coordinamento tra il giudizio (anche arbitrale) sulla domanda costituiva principale/pregiudiziale (di revoca) e il procedimento di verifica (nell’ambito della liquidazione giudiziale dell’accipiens) in cui è fatta valere, da parte del curatore della liquidazione giudiziale del solvens, la pretesa restitutoria conseguenziale avviene secondo la disciplina dell’ammissione con riserva»[109]

8. Conclusioni

Come emerge dai precedenti paragrafi, il rapporto tra arbitrato e procedure concorsuali minori non presenta, ne presentava prima della riforma, una disciplina chiara ed unitaria. A contrario, sono emersi numerosi limiti e numerose discussioni anche in ambito dottrinale.

Da quanto si è potuto osservare, le norme del nuovo Codice hanno, per lo più, lasciato inalterato il quadro normativo di regole vigenti limitandosi al solo cambio di numero di alcuni articoli. 

Ad oggi, la riforma poteva rappresentare un’opportunità, proponendo nuove prospettive di intersezione tra arbitrato e procedure concorsuali e garantendo, finalmente, un processo di armonizzazione tra i due istituti. Il legislatore, sulla base di una matrice culturale sempre meno diffidente verso le forme di risoluzione delle controversie alternative alla giustizia ordinaria, avrebbe potuto cogliere l’occasione di riformare e modernizzare la disciplina dell’istituto arbitrale nelle procedure concorsuali, superando la tradizionale e radicata idea che vede l’utilizzo dell’arbitrato come “abdicazione” alla tutela dei diritti. 

Un’altra occasione mancata è costituita dalla trasfusione dell’art.83-bis L. Fall. nell’art. 192 c.c.i.i., non solo perché entrambi erroneamente rubricati “clausola arbitrale” invece che “procedimento arbitrale” ma anche per l’impossibilità di ricusazione dell’arbitro da parte del curatore. Non meno importante risulta l’impatto dell’art. 204 c.c.i.i. in cui la mancata equiparazione del lodo alla sentenza del giudice ordinario, rischia di far cadere in errore; per tale motivo dovrebbero essere marcate le peculiarità del procedimento arbitrale rispetto al giudizio ordinario.

Sicuramente la materia arbitrale poteva essere oggetto di interventi molto più significativi come quelli riguardanti l’iter prodotto sull’introduzione delle nuove procedure di allerta e di composizione della crisi assistita.


Note e riferimenti bibliografici

[1] M. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, VIII, Milano, 2022, 585 ss.

[2] “Il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso dello strumento, dalla disciplina speciale prevista dall'art. 186-bis l.fall., che al comma 1 espressamente contempla anche detta ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito; la norma in parola non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una siffatta organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori”; Cass. Civ., sez. I, 15/01/2020 n. 734, in www.dejure.it

[3] Precedentemente regolato dall’art. 72 della Legge Fallimentare.

[4] L. SERRA, Codice della crisi di impresa: le novità del decreto correttivo, 2020, 4-5.

[5] S. A. CERRATO, Il mosaico dell’arbitrato al tempo del Codice della crisi: nouvelle vague o antiche aporie? in Giurisprudenza Commerciale, fasc. I, 2020, 8.

[6] S. A. CERRATO, op. cit., 8.

[7] FRASCAROLI SANTI, Il concordato preventivo, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, (a cura di) PANZANI, IV, Torino, 2014, 419.

[8] FRASCAROLI SANTI, op. cit., 419 ss.

[9] M. BOVE, Convenzione arbitrale e fallimento, in Riv. arb., 2016, 217.

[10] U. APICE, Arbitrato e procedure concorsuali, in Riv. dir. fall. 2013, 274 ss.

[11] «Si parla, in questo caso, di indisponibilità sostanziale, vale a dire la (in)disponibilità del diritto sostanziale che costituisce oggetto della decisione arbitrale; e non vi è dubbio che questo limite sussista e si imponga anche al debitore concordatario e alla sua procedura». Il nuovo art. 806 cod. proc. civ., nell’accreditare la disponibilità del diritto come unico criterio di arbitrabilità delle liti, implicitamente esclude che possano essere elaborati limiti ulteriori alla compromettibilità; conf. E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Ancora su arbitrato e fallimento, in Riv. arb., 2014, 2; sul tema cfr. anche A. MOTTO, La compromettibilità, 305 ss.

[12] Al quale quella controversia sarebbe soggetta ove esercitata secondo le regole processuali dettate dalla legge fallimentare.

[13] Come rito speciale ma non esclusivo.

[14] G. CANALE, Arbitrato, concordato preventivo e procedure concorsuali minori, in AA.VV., Procedure concorsuali e arbitrato, 2020, 789-790.

[15] G. CANALE, op. cit., 184-222.

[16] M. BOVE, Convenzione arbitrale e fallimento, in Riv. Arb., 2016, 30.

[17] E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione arbitrale rituale rispetto terzi, Milano, 2004, 255 ss.

[18] A. BRIGUGLIO, Arbitrato e concordato preventivo, in Riv. Arb., 2016, vol. II, 239- 248.

[19] G. CANALE, op. cit.,184-222.

[20] E. FRASCAROLI SANTI, L’art. 83-bis L. Fall. e i problemi irrisolti nei rapporti tra fallimento e giudizio arbitrale, in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 369.

[21] S. VINCRE, Arbitrato e fallimento, Cedam, Padova, 1996.

[22] Parte della dottrina comunque ritiene che l’art 167 L. Fall., possa essere considerato come in parte abrogato “a seguito della progressiva espunzione dell’accordo compromissorio dagli atti di straordinaria amministrazione nell’ambito della disciplina di diritto comune e non sarebbe più necessaria l’autorizzazione per la stipula di nuovi accordi compromissori” A. BRIGUGLIO, Arbitrato e concordato preventivo, in Riv. Arb., 2016, vol. II  239-248.

[23] nonostante la pronuncia Cass. Sez. Lav., 27 luglio 2006, n.17159 avesse fatto convergere in tale direzione 

[24] A. BRIGUGLIO, op. cit., 239- 248.

[25] S. VINCRE, Arbitrato e fallimento, Cedam, Padova, 1996.

[26] G. CANALE, op. cit., 184-222.

[27] L’annullabilità è, quindi, la sanzione tipica prevista nei rapporti tra autorizzazione e atto da autorizzare.

[28] E REDENTI, voce Compromesso (diritto processuale civile) in Noviss. Dig. it., Torino, 1967.

[29] E REDENTI, op. cit., 160 ss..

[30] E. REDENTI, op. cit, 165. ss.

[31] S. VINCRE, Arbitrato e fallimento, Cedam, Padova, 1996, 47.

[32] L. SALVANESCHI, artt. 819 e 819-bis in Arbitrato, in S. CHIARLONI (a cura di), Commentario del codice di procedura civile, Bologna, 2014, 641 ss.

[33] C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, III, Padova, 2012, 496 ss.

[34] A. BRIGUGLIO, op. cit., 239- 248.

[35] L’art. 169-bis L. Fall. sembra estendersi anche all’arbitrato irrituale, in quanto viene in risalto la già citata interpretazione unitaria dei due istituti, avendo l’arbitrato rituale e irrituale lo stesso effetto, ossia sottrarre la controversia al giudice ordinario per attribuirla ad arbitri; N. SOTGIU, Rapporti tra arbitrato e procedure concorsuali, in C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato2, III, Padova, 2012, 496 ss.., 496 ss.

[36] G. CANALE, op. cit., 184-222.

[37] F. SANTI, Arbitrato e procedure concorsuali minori, in Fall., 1996, V, 419 ss.

[38] A. BRIGUGLIO, op. cit., 239- 248.

[39] Ai sensi dell’ex art.163 L.F., l’apertura della procedura di concordato preventivo, che si verifica con il decreto di ammissione del tribunale, si colloca in un momento successivo alla proposizione della domanda; si distingue così tra inizio del processo, da anticipare al momento del deposito del ricorso contenente la domanda giudiziale, che di quest’ultima ha i tipici effetti sostanziali e processuali, in primis la litispendenza, e procedura vera e propria, che comincia con la declaratoria giudiziale di apertura. Per quanto riguarda gli effetti della domanda di concordato, si v. CORDOPATRI, il processo in concordato preventivo, in Riv. Dir. proc.,2014, 345 ss. Ancora sul tema si v. PAGNI, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in BASSI-BUONOCORE (a cura di), Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010, I, 558 ss.

[40] Infatti, il ricorso «con riserva» o «in bianco» ai sensi dell’art. 161, comma 6, L. Fall. viene equiparato «ad un provvedimento iniziale della procedura concorsuale e quindi comporta gli effetti previsti dagli artt. da 167 a 169 L. Fall.» in questo senso si v. M. FABIANI, Poteri delle parti nella gestione della domanda prenotativa di concordato preventivo, in Fall., 2013, 1051 ss.

[41] L. GALANTI, Profili processuali ancora incerti nel sistema dei rapporti tra arbitrato e concordato preventivo, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., fasc. III, 1139, 2018.

[42] Ai sensi dell’art. 184 L. Fall., infatti, il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161 L. Fall.

[43] L. MONTANARI, La protezione del patrimonio nel concordato preventivo, in Dir. fall., 2013, 634. Questi stessi effetti discendono dalla domanda di concordato c.d. in bianco, rispetto al quale «l’anticipazione dell’ombrello protettivo viene compensato da una analoga anticipazione di un regime di spossessamento attenuato» v. POLI, Gli effetti del concordato in bianco, ovvero costi ed opportunità del nuovo istituto, in ilFallimentarista, 2013, 4 ss.

[44] G. CANALE, Arbitrato, concordato preventivo e procedure concorsuali minori, in AA.VV, Procedure concorsuali e arbitrato, 2020,184-222.

[45] A. BRIGUGLIO, op.cit., 239- 248.

[46] Conf. A. FITTANTE, Concordato preventivo e contratti pendenti in corso di esecuzione: il punto sull’art. 169 bis L. Fall., in www.ilfallimentarista.it.

[47] B. SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, VII, Milano, 2019, 80-81.

[48] A. BRIGUGLIO, op. cit., 239- 248.

[49] A. BRIGUGLIO, op. cit., 239- 248.

[50] N. SOTGIU, Rapporti tra arbitrato e procedure concorsuali, in C. PUNZI, (a cura di), Disegno sistematico dell’arbitrato, III, Padova, 2012, 496 ss.

[51] M. BOVE, Convenzione arbitrale e fallimento, in Riv. arb., 2016, 295.

[52] G. CANALE, op. cit., 184-222.

[53] Le domande di credito da far valere contro il debitore concordatario restano proponibili nelle forme ordinarie. Infatti, «non essendovi accertamento del passivo in senso proprio nulla è precluso alla cognizione ordinaria o arbitrale» A. BRIGUGLIO, op. cit., 240.

[54] Il favor legislativo per le procedure negoziate della crisi, coniugato alla volontà di conservazione dell’impresa, infatti, trova nello strumento arbitrale la via più idonea per prevenire celermente alla risoluzione delle controversie insorte nell’ambito della procedura. Inoltre, i tempi della «giustizia privata possono favorire l’obiettivo della reale determinazione del patrimonio del debitore concordatario, in quanto l’arbitrato è lo strumento che meglio si addice per risolvere più celermente tali ordini di problemi» C. CAVALLINI, Nuovi orizzonti nel quadro della procedura di concordato preventivo, in www.ilfallimentarista.it.

[55] Per quando attiene la struttura negoziale degli accordi, si discute se questi siano contratti plurilaterali con comunione di scopo o un fascio di contratti bilaterali, collegati tra loro funzionalmente. Si preferisce definire tali accordi a “struttura variabile”. La dottrina prevalente ritiene che gli accordi abbiano natura essenzialmente privatistica, nonostante il necessario decreto di omologazione, elemento di natura pubblicistica. Le ragioni a sostegno di tale tesi, che differenziano gli accordi dal concordato preventivo, risiedono nell’assenza di un decreto di ammissione alla procedura, di organi deputati alla gestione e al controllo di essa, della mancata previsione di una votazione dei creditori e della mancata estensione degli effetti degli accordi ai creditori dissenzienti; T. GALLETTO, Arbitrato e accordi di ristrutturazione dei debiti: una convivenza possibile? in Riv. Arb., fasc. I, 2014, 215.

[56] Il debitore, per mezzo di un accordo, sottopone ai creditori una proposta di ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti in qualsiasi modo, anche se ciò dovesse comportare l'eventuale cessione di propri crediti futuri, dando prova che il piano è realizzabile; a questo punto, la proposta deve essere accettata da, almeno, il 60% dei creditori; M. CAMPOBASSO, op. cit., 661 ss.

[57] Ci si riferisce ad un piano cui si può accedere solo in presenza di determinati requisiti e condizioni, quali: essere persone fisiche senza debiti derivanti dall'attività d'impresa o professionale, essere in buona fede; M. CAMPOBASSO, op. cit., 661 ss.

[58] T. GALLETTO, op. cit., 215ss.

[59] Sulla disciplina della PCC di cui alla L. n. 3/2012, G. TRISORIO LIZZI, Il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Giusto proc. civ., 2012 4; R. TISCINI, I procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio, in Riv. dir. proc., 2013, 2 ss; R. DONZELLI, Prime riflessioni sui profili processuali delle nuove procedure concorsuali in materia di sovraindebitamento, in Dir. fall., 2013, 2-4; P. FARINA, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. Le problematiche della domanda e dell'automatic stay, in Dir. fall., 2017, 3-5. Tra le opere monografiche, F. VERDE, Il sovraindebitamento, Bari, 2014, 70 ss.; A. PISANI MASSAMORMILE (a cura di), La crisi del soggetto non fallibile, Torino, 2016, 45 ss.

[60]Sulla disciplina in materia di PCC di cui al nuovo c.c.i., A. FAROLFI, Sovraindebitamento: le novità della riforma, in www.ilfallimentarista.it; G. LIMITONE, La nuova procedura di liquidazione giudiziale del sovraindebitato, in www.ilfallimentarista.it:L. D'ORAZIO, Il sovraindebitamento nel codice della crisi e dell'insolvenza, in Fallimento, 2019: N. NISIVOCCIA, Il sovraindebitamento nella riforma, in Riv. dir. proc., 2019; se si vuole, V. BARONCINI, Le novità in materia di sovraindebitamento alla luce della 1. 19 ottobre 2017, n. 135 e del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Dir. fall., 2019, p. 401 ss. Tra le opere monografiche, A. CRIVELLI, Il nuovo sovraindebitamento: dopo il Codice

della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Bologna, 2019, 45 ss.; E. PELLECCHIA, L. MODICA (a cura di), La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Pisa, 2020, 104 ss.

[61] V. BARONCINI, Arbitrato e procedure di compassione della crisi da sovraindebitamento, in AA.VV., Procedure concorsuali e arbitrato, 2020, 245 ss.

[62] G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2017, 447 ss.

[63] V. BARONCINI, op. cit., 245 ss.

[64] D. VATTERMOLI, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto «oggettivamente» concorsuale, in Dir. Fall., 2013,788.

[65] D. VATTERMOLI, op. cit., 788.

[66] V. BARONCINI, Inibitorie delle azioni dei creditori e automatic stay, Torino, 2017, 43 ss;

[67] M. MONTANARI, Arbitrato e procedure concorsuali amministrative, in AA.VV., Procedure concorsuali e arbitrato, Giappichelli editore, 2020, 223-244.

[68] M. CAMPOBASSO, op. cit.,638 ss.

[69] M. MONTANARI, op. cit., 223-244.

[70] In questa direzione si v. E. CAPACIOLLI, l’amministrazione fallimentare di fronte all’arbitrato, in Riv. Dir. proc., 1959, 535 ss.

[71] La norma recita testualmente “compromessi”, senza specificazioni ulteriori. Pertanto, non è obbiettivamente controvertibile se si tratti del compromesso in arbitri. v. R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, II, Milano, 1974, 878 ss.. Egualmente indiscutibile appare la portata estensiva del riferimento idoneo a comprendere anche la figura della clausola compromissoria. v. per riferimenti M. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, VI, Padova, 2013, 210 ss.  

[72] L. DI BRINA, Gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici preesistenti, in L. GHIA - C. PICCININI-F. SEVERINI (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali. 5.L’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa, Milano fiori Assago (MI), 2011, 656.

[73] S. VINCRE, Arbitrato rituale e fallimento, Padova, 1996, 72 ss.

[74] M. MONTANARI, op. cit., 223-244.

[75] L. BACCAGLINI, Fallimento e arbitrato rituale. Profili di interrelazione e autonomia tra i due procedimenti, Facoltà degli studi di Trento, Trento, 2018, 16 ss.

[76] G. FALCONE, sub. art. 201, in A. NIGRO-M. SANSULLI-V. SANTORO (a cura di) La legge fallimentare dopo la riforma, III, Torino, 2010, 2434.

[77] M. MONTANARI, op. cit., 223-244.

[78] S. BONFATTI, P.F. CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, 2011, IV, 726-727.

[79] G. CHERUBINI, Crisi di impresa e insolvenza, dal fallimento alla liquidazione giudiziale, Santaracangelo di Romagna, 2019,39-42.

[80] BONELLI, del Fallimento commento al codice di commercio, (a cura di) ANDRIOLIvol. I, Milano, 490.

[81] Non potranno essere compromessi in arbitri l’opposizione alla sentenza che dichiara il fallimento, i procedimenti di ammissione al passivo in qualsiasi loro fase, le impugnazioni dello stato passivo e in generale avverso atti della procedura, i procedimenti di rivendica o restituzione di beni, il decreto ingiuntivo per il versamento dei decimi di capitale o delle somme dovute dall’associazione in partecipazione il procedimento di determinazione giudiziale dell’equo indennizzo, ex art. 80 L. Fall., in S. A. CERRATO, op. cit., 4.

[82] S. A. CERRATO, op. cit., 4.

[83] Nascente durante il medioevo con una funzione restitutoria, al fine di consentire la reintegrazione del patrimonio decotto; comporta l’inefficacia degli atti di disposizione compiuti dal debitore, ha finalità cautelare, è meramente conservativa del diritto di credito e non recuperatoria; U. SANTARELLI, Azione revocatoria nel diritto medievale e moderno, in dig. disc. priv., sez. civ., vol. II, Torino, 1988, 46 ss.; successivamente, si sviluppò nel diritto romano classico quando il pretore introdusse diversi procedimenti per consentire ai creditori di ottenere la revoca degli atti in frode agli stessi. SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1996, III, 255.

[84] Questa comporta l’inefficacia degli atti di disposizione compiuti dal debitore ma, a differenza della prima, è applicabile solo in caso di fallimento nei confronti di un imprenditore, con la finalità di ricostruire l’attivo fallimentare per la soddisfazione del maggior numero possibile di creditori; Revocatoria ordinaria e revocatoria fallimentare, in giustizia.it.

[85] Una delle caratteristiche dell’azione revocatoria fallimentare è quella di consentire l’applicazione del principio di parità di trattamento anche nei confronti dei creditori che sarebbero stati tali se il debitore decotto non avesse estinto i propri debiti e non solo nei confronti dei creditori concorrenti: l’impossibilità di colpire gli atti, con i quali si estinguono i debiti scaduti, è la principale e sostanziale differenza con l’azione revocatoria ordinaria; G. TERRANOVA, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Commentario Scialoja e Branca alla legge fallimentare, a cura di BRICOLA e GALGANO, vol. I, Bologna - Roma, 1993, 3 ss.

[86] SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1996, III edizione, 255. Lo stesso scopo, quindi, è perseguito con tale azione e a favore di tutta la massa dei creditori, come avviene nella revocatoria fallimentare ma le modalità ed i risultati conseguibili sono differenti; infatti solo i crediti che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 2901 cod. civ. possono essere estesi nell’esecuzione forzata nei confronti del bene di un terzo estraneo al fallimento ma rientrante in un negozio giuridico ancora valido; L. DI COLA, L’azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore a tutela della massa dei creditori, 2018, in www.eclegal.it.

[87] S. ZIINO, Azioni revocatorie e arbitrato, in AA.VV., Procedure concorsuali e arbitrato, Giappichelli editore, 2020, 149-182.

[88] A. FUMAGALLI, M. GIORGETTI, B. QUATRARO, Revocatoria ordinaria e fallimentare, azione surrogatoria, 2009, 42 ss.

[89] R. NICCOLÒ, Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Comm. SCIALOJA E BRANCA, artt. 2900-2906, Bologna-Roma, 1953, 185.

[90] F. ROSELLI, Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione, in Trattato di diritto privato, diretto da BESSONE, IX, III, Torino, 2005, 169.

[91] S. ZIINO, op. cit., 149-182.

[92] M. FERRO, La legge fallimentare, Commentario teorico – pratico, Cedam, III, 2014,1129.

[93] M. FERRO, op. cit.,1129.

[94] S. ZIINO, op. cit., 149-182.

[95] E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Ancora su arbitrato e fallimento, in Riv. arb., 2014, 4.

[96] S. ZIINO, op. cit., 149-182.

[97] M. BOVE, Arbitrato e fallimento; E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Ancora su arbitrato e fallimento, in Riv. arb., 2014.

[98] L. BACCAGLINI, op.cit., 87 ss.

[99] C. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, 2012, 108.

[100] Trib. Reggio Emilia, 28 maggio 2007, in www.dejure.it.

[101] S. ZIINO, op. cit., 149-182.

[102] La sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare, in forza di un diritto potestativo comune, al di là delle differenze esistenti tra le medesime, ma in considerazione dell'elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, quantomeno nella forma della scientia decoctionis, ha natura costitutiva, in quanto modifica "ex post" una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 cod. civ.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell'atto. Cass. civ. sez. un., 23/11/2018, n.30416, in www.dejure.it.

[103] per approfondimenti, F. CAMPIONE, Revocatoria fallimentare e pretese restitutorie contro un altro fallimento: problemi e prospettive processuali, inDir. fall. soc. comm., 2019, 750 ss.

[104] Saranno le sezioni Unite a definire il profilo dell'ammissibilità dell'azione revocatoria avanzata nei confronti della curatela fallimentare, anche alla luce dell'introduzione del nuovo "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza". L'ordinanza della Prima sezione prende le mosse da una decisione con la quale il tribunale di merito ha accolto la tesi del curatore secondo il quale era da considerare inammissibile un'azione revocatoria proposta nei confronti di un fallimento dopo l'apertura del concorso, in virtù del principio della cristallizzazione del passivo fallimentare. Tuttavia, per i giudici remittenti con l'articolo 290 comma 3 del d.lg. 14/2019 sembra ora generalizzato il principio contrario di ammissibilità dell'azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, nei confronti della procedura concorsuale. Cass. civ. sez. I, 23/07/2019, n. 19881in www.dejure.it.

[105] F. CAMPIONE, op. cit., 203-208.

[106] attinente alla proponibilità di un’azione costitutiva (anche per via arbitrale) nei confronti del curatore.

[107] «l’azione di risoluzione del contratto promossa prima dell’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo III dello stesso titolo».

[108] F. CAMPIONE, op. cit.,208.

[109] F. CAMPIONE, op. cit., 212.