Pubbl. Mar, 31 Ott 2023
Cittadinanza: vecchie questioni e nuove prospettive in ottica giusfilosofica
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Linda Brancaleone
Il presente articolo analizza la cittadinanza, e con essa l´idea di cittadino e il rapporto tra individuo e Stato, da una prospettiva giusfilosofica, individuando una concezione moderna di cittadinanza applicabile a una società sempre più inclusiva quale è quella odierna. Cerca inoltre di individuare un criterio di concessione della cittadinanza che possa dare risposte più efficaci rispetto a quelle fornite dallo ius sanguinis o dallo ius soli, che non sembrano tutelare le esigenze di unione e condivisione in una comunità statale sempre più eterogenea e multietnica.
Citizenship: old questions and new perspectives from a philosophy of law´s point of view
This article analyzes citizenship, and with it the idea of citizen and the relationship between the individual and the State, from a legal-philosophical perspective, identifying a modern conception of citizenship applicable to an increasingly inclusive society such as today´s. It also seeks to identify a criterion for granting citizenship that can provide more effective responses than those provided by ius sanguinis or ius soli, which do not seem to protect the needs of union and sharing in an increasingly heterogeneous and multi-ethnic state community.Sommario: 1. La cittadinanza come diritto umano. – 2. Tra ius soli e ius sanguinis: la cittadinanza nella legislazione francese, tedesca e italiana. – 3 - Un’alternativa? Lo ius domicilii come criterio di acquisizione della cittadinanza.
1. La cittadinanza come diritto umano
La discussione sui ‘diritti’, e nello specifico sui diritti ‘umani’, si inerpica su un sentiero quanto mai impervio. Innanzitutto, il concetto di diritto è usato, o per meglio dire molto spesso abusato, in molteplici contesti, che ne rendono impossibile una descrizione netta e lineare a partire dalla prassi[1]. Anche in senso squisitamente giuridico, i diritti, considerati come «pretesa di qualcuno rispetto a qualcosa, (…) una pretesa fondata su una norma o su un ordinamento, cioè (…) legittima»[2], sono stati analizzati secondo punti di vista differenti, tutti però aventi una loro validità indiscutibile[3].
C’è poi un altro aspetto assai critico che rileva nello studio dei diritti umani, vale a dire la loro ‘universalità’, contrapposta alla ‘relatività’[4]. In questo senso, il dibattimento verte sulla possibilità di applicare una giurisdizione univoca, omogenea, anche se eurocentrica e refrattaria alla comprensione di altre culture, parimenti degne di tutela; oppure, in alternativa, si può avallare la relatività dei diritti umani e concordare con la tutela di varie categorie di diritti, non universali bensì soggettivi, tanto differenti quanto sono differenti le culture degli individui ai quali si applicano[5].
Pertanto, in questa difficoltà oggettiva di studio e analisi dei diritti umani, è necessario partire da un assunto, tanto basilare quanto fondamentale, che è la definizione dei diritti umani stessi, distinti dai diritti fondamentali ma ad essi non contrapposti: i primi sono i diritti che spettano ad ogni essere umano in quanto tale; i secondi, invece, sono i diritti attribuiti in capo a un individuo in quanto appartenente a una comunità[6]. A partire da questa definizione, è chiaro quanto i diritti umani siano centrali nella vita dell’individuo, al punto tale da aver compreso nel loro alveo, durante il corso dei secoli, non solo diritti legati alla proprietà, o all’esercizio dei poteri politici, o ancora al welfare state, ma anche quelli provenienti dalle rivendicazioni - i diritti delle donne o delle minoranze fra tutti[7].
Si può ben comprendere, perciò, l’importanza data alla cittadinanza[8] in quanto diritto umano: essa, infatti, è la forma più tangibile e oggettiva del rapporto che lega l’individuo allo Stato e alle prerogative che derivano da questa particolare tipologia di appartenenza. Analizzare – e ancor prima considerare – la cittadinanza come diritto umano significa, sostanzialmente, porre l’accento sulla partecipazione dell’uomo alla vita dello Stato, dando vita a un’indagine che tocca anche il concetto di democrazia, di doveri, di opportunità, di senso di appartenenza e di partecipazione alla realtà sociale[9].
Tali riflessioni preliminari non si sono limitate ad operare sul piano teorico[10], bensì la centralità della cittadinanza come diritto umano ha trovato posto nella legislazione europea e sovranazionale: un chiaro esempio è l’art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti umani[11], il quale afferma che «ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza» al primo comma, e che «nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza» al secondo comma.
Pertanto, si comprende bene come la cittadinanza, intesa non solo nei suoi metodi acquisitivi e nella sua struttura, ma anche – e soprattutto – come baluardo del rapporto tra individuo e Stato di appartenenza, con tutte le conseguenze, i diritti e le tutele che ne derivano, possa e debba assurgere al rango di diritto umano fondamentale.
2. Tra ius soli e ius sanguinis: la cittadinanza nella legislazione francese, tedesca e italiana
I modelli di acquisizione della cittadinanza, considerati in questa sede nella loro versione più ‘elementare’[12], sono lo ius soli e lo ius sanguinis. Il primo[13], che tradotto dal latino significa letteralmente «diritto del suolo», sta a indicare che è cittadino di uno Stato chi nasce nel territorio di tale Stato; il secondo[14], che ha invece il significato di «diritto del sangue», indica che la cittadinanza di uno Stato spetta a chi è figlio di cittadini di quello Stato.
Per comprendere al meglio in che modo lo ius sanguinis e lo ius soli operino nella normativa dei vari Paesi, si analizzeranno, seppur sommariamente, le leggi di Francia, Germania e Italia, senza tener conto dell’acquisizione della cittadinanza per matrimonio o naturalizzazione e della relativa disciplina a riguardo, ma osservando unicamente l’attribuzione della cittadinanza a chi nasce nel territorio di un Paese.
La legislazione francese in tema di acquisizione e regolamentazione della cittadinanza ha da sempre[15]adottato, così come hanno fatto altri Stati[16], il metodo previsto nello ius soli. Come afferma il Code civil[17], è francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia nel caso in cui almeno uno dei due genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza[18]; inoltre, ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento del compimento della maggiore età, se, a quella data, ha la residenza in Francia o l’ha avuta per un periodo, continuativo o discontinuo, di almeno 5 anni, a partire dagli 11 anni di età[19].
A contrario, la Germania può essere considerata il baluardo dello ius sanguinis[20]. La disciplina di riferimento in tal senso è la cosiddetta «Legge sulla cittadinanza»[21], la quale afferma che il bambino acquisisce la cittadinanza tedesca se almeno uno dei suoi genitori è tedesco[22], ribadendo la primazia del principio di filiazione.
Un ibrido, in tal senso, è invece il metodo acquisitivo della cittadinanza nella legislazione italiana. Il testo di riferimento è la legge n. 91 del 1992[23], che ribadisce la centralità dello ius sanguinis[24] pur aprendo le porte alla possibilità di acquisire la cittadinanza attraverso il sistema dello ius soli in alcuni casi, invero esigui[25].
L’obiettivo di questa analisi estremamente sommaria non è, tuttavia, offrire una prospettiva comparata sulle questioni concernenti l’acquisizione della cittadinanza, bensì evidenziare i punti di forza e le criticità dello ius soli e dello ius sanguinis[26], alla luce, in particolare, della società attuale, così eterogenea e multiculturale.
Lo ius soli ha il pregio di tutelare le particolarità dei cittadini, evidenziando come il legame con lo Stato non debba fondarsi su criteri discriminatori e casuali come l’etnia, o la razza, o la cultura, bensì debba radicarsi su una tutela concessa immediatamente, su uno status acquisito senza discriminazione tra figli di cittadini da generazioni e figli di ‘nuovi’ cittadini[27]. La visione derivante dall’attribuzione della cittadinanza secondo lo ius soli, segna, in altre parole, «il dominio della cittadinanza sulla nazionalità, delle concezioni politiche di nazione su quelle etnoculturali»[28].
Tuttavia, nonostante i suoi aspetti positivi, lo ius soli presenta alcune criticità. Essere cittadini significa molto di più rispetto alla titolarità di diritti e al godimento di un particolare status, poiché coincide con la partecipazione attiva e consapevole alla vita della comunità. L’automatismo nel conferimento della cittadinanza previsto dallo ius soli fa venire meno l’aspetto volontaristico e soggettivo della volontà di partecipazione alla vita politica e sociale dello Stato[29].
Lo ius sanguinis, d’altro canto, sembra sopperire a questa carenza di legame tra comunità e individuo, esaltando il vincolo tra Stato e cittadini. Questi ultimi, in realtà, presenterebbero un’omogeneità tale da accomunarli sotto il punto di vista della lingua, della cultura, della razza, dell’etnia, degli usi: in tal senso, essere cittadini è sicuramente sinonimo di partecipazione attiva, quasi viscerale, alla vita della comunità politica, quasi come se si fosse parte di un ‘tutto’ più grande.
Anche il metodo di attribuzione della cittadinanza in analisi presenta, tuttavia, dei rilievi. Il rischio che si corre adoperando la logica sottesa allo ius sanguinis è quello di confondere deliberatamente lo Stato con la Nazione[30], vale a dire con un sistema talmente tanto standardizzato da non tutelare le singolarità, che vengono superate a vantaggio di una pretesa «omogeneità nazionale»[31] che potrebbe fomentare pericolose recrudescenze di concetti come la superiorità etnica o razziale[32].
3. Un’alternativa? Lo ius domicilii come criterio di acquisizione della cittadinanza
Lo ius soli e lo ius sanguinis, presentano, inoltre, delle criticità ancora più lampanti alla luce della loro analisi sotto la lente della realtà attuale.
La società in cui viviamo è, anche per via del fenomeno migratorio[33] al quale si sta assistendo negli ultimi decenni, sempre più multiculturale[34], multireligiosa[35], eterogenea, ‘liquida’[36]. La globalizzazione[37] e il processo di integrazione europea[38] – con la conseguente nascita della cittadinanza europea[39] – hanno reso lampante l’inanità di concetti ‘pesanti’ e muscolari come ‘territorio’ e ‘sangue’ per indicare il vincolo di appartenenza allo Stato.
La diversità[40] è, peraltro, oggetto di tutela in varie norme, sovranazionali e nazionali. Essa è il fulcro della Dichiarazione universale dell’UNESCO sulla diversità culturale[41]; l’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[42], rubricato come “Diversità culturale, religiosa e linguistica”, afferma che «L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica»; nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) si legge che «1. L'Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune. 2. L'azione dell'Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l'azione di questi ultimi nei seguenti settori: - miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; - conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea; - scambi culturali non commerciali; - creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. 3. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura, in particolare con il Consiglio d’Europa. 4. L’Unione tiene conto degli aspetti culturali nell’azione che svolge a norma di altre disposizioni dei trattati, in particolare ai fini di rispettare e promuovere la diversità delle sue culture»[43].
A livello nazionale, la Costituzione italiana viene in aiuto per quel che concerne la tutela della diversità. All’art. 3[44], infatti, è sancito che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 2. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Ancora, la diversità è intesa, all’art. 9 della Costituzione, come diversità linguistica[45] («La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche») e, all’art. 19, come diversità religiosa[46] («Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume»).
Alla luce dell’importanza data, perciò, alle singolarità non solo a livello teorico, ma anche e soprattutto a livello pratico e quindi legislativo, l’acquisizione della cittadinanza basata sullo ius soli o sullo ius sanguinis appare quanto mai anacronistica e avulsa dalla realtà[47].
Un nuovo modello di cittadinanza deve basarsi, pertanto, su un criterio che riesca a coniugare l’esigenza di oggettività nell’attribuzione del vincolo di appartenenza alla comunità con l’esperienza più soggettiva e intima di volontà di partecipazione ai diritti e ai doveri dello Stato: in questo senso, nuova linfa deve essere data allo ius domicilii, cioè al diritto del domicilio, fondando il criterio di attribuzione della cittadinanza sulla residenza prolungata, la dimora stabile o, più genericamente, sulle relazioni concretamente intrecciate nello Stato[48].
In questo modo, si riuscirebbero a tutelare due esigenze solo apparentemente opposte: la protezione da garantire all’individualità del singolo[49], il quale ha precedentemente accettato i valori fondativi di uno Stato e ha deciso di far parte volontariamente della comunità, e il senso di unione tipico della collettività[50]. Ma c’è di più: da un punto di vista pratico, la registrazione presso i registri della popolazione residente[51] risponde a delle esigenze di ordine pubblico, poiché essi individuano nell’immediato l’indirizzo di dimora della persona; costituisce la porta d’accesso ai diritti territorialmente garantiti (come, ad esempio, le prestazioni sanitarie e l’obbligo di istruzione); e ha, soprattutto, la funzione di garante della dignità sociale della persona, la quale, indipendentemente dai diritti che ne derivano, richiede un riconoscimento in quanto essere umano[52].
Gli ordinamenti giuridici moderni, invero, sembrano aver già intrapreso la strada del riconoscimento di alcuni diritti indipendentemente dallo status di cittadino o straniero[53], considerato che «il principio di uguaglianza vale pure per lo straniero quando trattasi di rispettare i diritti fondamentali»[54]: per citare alcuni esempi significativi, il d. lgs. n. 286 del 25 luglio 1998, conosciuto come Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, afferma che «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti»[55]; o, ancora, il d. lgs. n. 197 del 12 aprile 1996, in attuazione della direttiva 94/80/CE concernente le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell’Unione europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza, garantisce il diritto di voto ai cittadini di Stati dell’UE che risiedono però in Paesi in cui non godono di tale status.
Appare di vitale importanza, tuttavia, non ricorrere ad un uso inesatto della residenza: essa, infatti, rappresenta una delle poche modalità di acquisizione della cittadinanza a non avere in sé una natura congenitamente discriminatoria. Nondimeno, essa non può essere adoperata per una finalità strumentale dalla quale deriverebbe una distinzione tra residenza per così dire ‘quantitativa’, vale a dire rappresentativa della durata del soggiorno in un determinato territorio, e residenza ‘qualitativa’, con ciò indicando la genuinità di rapporti e di relazioni intrecciati nel perimetro comunitario. Un chiaro esempio di uso discriminatorio del criterio di residenza è quello previsto per l’ottenimento del reddito di cittadinanza[56], il quale veniva garantito a chi dimostrava una residenza decennale nel territorio italiano: la Corte d’appello di Milano[57] ha di recente ritenuto, a tal proposito, che la «residenza protratta» non ha alcun legame effettivo con lo stato di bisogno dei soggetti, e si pone pertanto in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, con la direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, e con il Regolamento UE n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione.
In conclusione, se è pur vero che «lo straniero non ha un diritto soggettivo all’acquisto della cittadinanza»[58], è altresì necessario che quest’ultima non sia più considerata unicamente come uno status discriminatorio[59], ma piuttosto come uno strumento propulsivo per la costruzione di un sistema più attuale e accogliente[60], in quanto «la cittadinanza non può essere solo il punto d’arrivo del processo di integrazione; deve poter essere anche un punto di partenza»[61].
[1] È quanto sostenuto in P. COMANDUCCI, Diritti vecchi e nuovi: un tentativo di analisi, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 1, vol. XVII, 1987, 95-111; e anche in A. WHITE, Rights, Clarendon Press, Oxford, 1984, 1 ss.
[2] In A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani. Dai diritti dell’uomo ai diritti delle donne, Il Mulino, Bologna, 2013, 9.
[3] Tra le tante concezioni di diritto, ci si limiterà ad analizzare, a titolo esemplificativo, quelle proposte da Hohfeld e Guastini. Per il primo, il diritto può essere inteso come “pretesa”, vale a dire capacità giuridica di esigere qualcosa da qualcuno; come “libertà”, intesa come possibilità di fare o non fare qualcosa; come “potere”, inteso come capacità di porre obblighi in capo ad altri soggetti; come “immunità”, intesa come assenza di soggezione al potere (cfr. W. N. HOHFELD, Fundamental Legal Conceptions as Applied in Judicial Reasoning, ed. orig. 1923, Yale University Press, New Haven, trad. it. M. G. LOSANO (a cura di), Concetti giuridici fondamentali, Einaudi, Torino, 1969, 1 ss. Per un’analisi in merito, cfr. B. CELANO, I diritti nella jurisprudence anglosassone contemporanea. Da Hart a Raz, in P. COMANDUCCI, R. GUASTINI (a cura di), Analisi e diritto, Giappichelli, Torino, 2013, 17-66; e anche P. PINO - A. SCHIAVELLO - V. VILLA (a cura di), Filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2013, 1 ss.). Guastini, invece, distingue tra “diritti di carta”, vale a dire quelli sanciti ma inattuati, e diritti veri e propri: questi ultimi si individuano in base alla loro suscettibilità alla tutela giurisdizionale, al loro esercizio nei confronti di un soggetto determinato e al loro contenuto di obbligo determinato nei confronti del soggetto in questione (in merito, v. G. GUASTINI, Distinguendo: studi di teoria e metateoria del diritto, Giappichelli, Torino, 1996, 1 ss. Il pensiero del giusfilosofo è oggetto di studi in N. BOBBIO, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1997, 255-270 e in R. TREVES, Diritti umani e sociologia del diritto, in Sociologia del diritto, n. 1, 1989, 7-14).
[4] Per una riflessione a tal proposito, cfr. M LA TORRE, Diritti umani, in M LA TORRE - M. LALATTA COSTERBOSA - A. SCERBO (a cura di), Questioni di vita o morte. Etica pratica, bioetica e filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2007, 1-20; cfr. anche M IGNATIEFF, Human Rights as Politics and Idolatry, Princeton University Press, Princeton, 2001 trad. it. S. D’ALESSANDRO (a cura di), Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli, Milano, 2003, 1 ss.
[5] Si tratta dei cosiddetti “diritti culturali”, vale a dire quei diritti applicati a protezione di minoranze o di appartenenti a determinate categorie che potrebbero, in quanto tali, subire discriminazioni. Sul punto, cfr. A FACCHI, I diritti nell’Europa multiculturale, Laterza, Roma-Bari, 2001, 1 ss. Per un approccio più tendente all’analisi del diritto antidiscriminatorio in genere, v. M. BARBERA, Il nuovo diritto antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Giuffrè, Milano, 2007, 1 ss; nonché M. BARBERA - A. GUARISO (a cura di), La tutela antidiscriminatoria. Fonti, strumenti, interpreti, Giappichelli, Torino, 2019, 1 ss.
[6] Questa tesi, invero particolarmente felice, si ritrova in H. ARENDT, The Rights of Man: What Are They?, in Modern Review, vol. 3, 1949, 24-37, e corrisponde a quanto sostenuto anche in M. LA TORRE, Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della sovranità e sfera pubblica: una prospettiva europea, Giappichelli, Torino, 2004, 114.
[7] Per un’analisi su questa scia, si rimanda ad A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, cit., 84-89, 126-144; e ad A. E. PÉREZ LUÑO, Le generazioni dei diritti umani, in Ordines. Per un sapere interdisciplinare sulle istituzioni europee, n. 2/2016, 26-37, secondo il quale «i diritti umani, in quanto categorie storiche, sono validi solo in determinati contesti» (ivi, 26).
[8] Molto si è scritto sulla cittadinanza, sulla sua storia e sui suoi metodi di acquisizione: cfr., fra i tanti, P. COSTA, Cittadinanza, Laterza, Roma-Bari, 2005, 1 ss.; dello stesso autore, la monumentale opera ID., Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. Voll. 1-4, Laterza, Roma-Bari, 1999-2002, 1 ss.; M. LA TORRE, Cittadinanza e ordine politico, cit., 1 ss.; ID., Cittadinanza. Teorie e ideologie, Carocci, Roma, 2022, 1 ss.; R. BELLAMY, Citizenship. A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2008, 1 ss.; É. BALIBAR, Citizenship, Polity Press, London, 2015, 1 ss.; F. BELVISI, Cittadinanza, in A. BARBERA (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo, Laterza, Roma-Bari, 1998, 117-144; nonché il recente G. TERRANO, La cittadinanza tra i diritti dell’uomo e i diritti del cittadino, in Nomos – Le attualità nel diritto, 3-2022, 1-18.
[9] È proprio in questo senso che si sviluppano le analisi condotte dai filosofi Michael Walzer e Jürgen Habermas. Il primo, appartenente alla corrente del comunitarismo, esalta l’importanza del vincolo instauratosi tra comunità e membri, i quali vengono influenzati dalle norme, dalle regole e dalle condotte poste dal gruppo; la cittadinanza ha pertanto come nucleo l’appartenenza, considerata alla stregua di un bene che può essere, in quanto tale, scambiata, concessa o negata agli stranieri da coloro che sono già cittadini (cfr. M. WALZER, Spheres of Justice. A Defense of Pluralism and Equality, Basic Books, New York, 1983, 1 ss.). Habermas, invece, esponente del liberalismo giuridico, considera il popolo come l’insieme degli individui che può dibattere su un determinato argomento, raggiungendo un accordo condivisibile da tutti; la cittadinanza è, per il filosofo, l’appartenenza non a uno Stato, ma al mondo intero, in un’ottica cosmopolitica (cfr. J. HABERMAS, Citizenship and National Identity, Erker-Verlag, San Gallo, 1991, 1 ss. ora in ID., Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats, Francorte sul Meno, Suhrkamp Verlag, 1992, trad. eng. W. REGH, Between Facts and Norms. Contributions to a Discourse Theory of Law and Democracy, The MIT Press, Cambridge, MA, 1996, 1 ss.; e anche ID., Staatsbürgerschaft und nationale Identität. Überlegungen zur europäischen Zukunft, Erker Verlag, St. Gallen, 1991, in ID. (Hrsg.), Recht und Moral, University of Utah Press, Salt Lake City, 1988, vol. VIII; trad. it. L. CEPPA, Cittadinanza politica e identità nazionale. Riflessione sul futuro dell’Europa, in J. HABERMAS (a cura di), Morale, diritto, politica, Einaudi, Torino, 1992, 1 ss.).
[10] La cittadinanza fondata sui diritti umani è la tesi sostenuta in H. ARENDT, The Origins of Totalitarianism, Harcourt Brace Jovanovich, Inc., New York, 1966; trad. it. A. GUADAGNIN (a cura di), Le origini del totalitarismo, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2008, 1 ss.
[11] Ci si riferisce alla Risoluzione 219077A, adottata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite in data 10 dicembre 1948.
[12] Intendendo con questo termine non la volontà di svilirli, ma l’utilizzo del significato più letterale di tali modelli di cittadinanza. Infatti, accanto a uno ius soli o a uno ius sanguinis per così dire “puri”, si troveranno altri modelli, spesso frutto di varie combinazioni che coinvolgono non solo l’etnia o il luogo di nascita del soggetto in considerazione, ma anche elementi riguardanti i genitori. In questo senso, e per un approfondimento sui molteplici metodi acquisitivi della cittadinanza, v. A. RAUTI, Lo ius soli in Italia: alla vigilia di una possibile svolta?, in Rivista AIC, n. 3/2017, 1-37.
[13] Per un approfondimento sullo ius soli, cfr. E. GROSSO, Cittadinanza e territorio. Lo ius soli nel diritto comparato, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, 1 ss.; e anche M. SAVINO, Oltre lo ius soli. La cittadinanza italiana in prospettiva comparata, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, 1 ss.
[14] Per una disamina sul concetto di ius sanguinis e sulla sua operatività, in particolare in riferimento al contesto italiano, cfr. G. ZINCONE (a cura di), Familismo legale. Come (non) diventare italiani, Laterza, Roma-Bari, 2006, 3-52.
[15] Per un approfondimento sul carattere storico e giusfilosofico dello ius soli in Francia, cfr. l’oramai classico R. BRUBAKER, Citizenship and nationhood in France and Germany, Harvard University Press, London, 1992, 1 ss.; G. NORIEL, Le creuset français. Histoire de l’immigration (XIX-XX siècle), Éditions du Seuil, Paris, 2016, 1 ss.
[16] In merito, v. E. GROSSO, Cittadinanza e territorio, cit, 7 ss.
[17] Le norme che regolano il funzionamento della cittadinanza sono contenute dall’art. 17 all’art. 33-2 del Code civil, promulgato nel 1803 e oggetto di varie riforme, la più corposa delle quali è sicuramente l’ordonnance n. 2004-164 del 20 febbraio 2004. Il codice, oltre a statuire l’acquisizione della cittadinanza iure soli, garantisce l’appartenenza alla Francia anche per filiazione (art. 18), per adozione (artt. 20 e 21), per matrimonio (artt. 21-1 e 21-4).
[18] Art. 19-3 del Code civil.
[19] Come espresso all’art. 21-7 del Code civil.
[20] In tal senso, e adottando anche in questo caso un taglio più storico, cfr. ancora una volta R. BRUBAKER, Citizenship and nationhood in France and Germany, cit., 50 ss.; nonché M. R. LEPSIUS - J. A. CAMPBELL, The Nation and Nationalism in Germany, in Social Research, 52/1, 1985, 481-500; L. HOFFMANN, Die unvollendete Republik. Zwischen Einwanderungsland und deutschem Nationalstaat, Papyrossa Verlag, Colonia, 1990, 1 ss.
[21] Staatsangehörigkeitsgesetz (StAG), promulgata il 22 luglio del 1913 e massicciamente riformata con la Gesetz zur Reform des Staatsangehörigkeitsrecht, promulgata il 15 luglio del 1999 ed operativa a partire da gennaio 2000, la quale introduce lo ius soli per i bambini nati in Germania da genitori tedeschi, purché almeno uno dei due genitori risieda abitualmente e legalmente nel territorio dello Stato da almeno otto anni e abbia permesso di soggiorno illimitato.
[22] Come si legge nella Staatsangehörigkeitsgesetz, § 3.
[23] Il riferimento è alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, “Nuove norme sulla cittadinanza”, pubblicata in G. U. 15/02/1992, n. 38.
[24] Si legge infatti all’art. 1, comma 1, della l. n. 91/1992: «1. È cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini […]».
[25] Sempre all’art. 1, comma 1, della l. n. 91/1992 è prescritto che è cittadino per nascita «b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.». Al comma 2, inoltre, si specifica un altro caso di acquisizione della cittadinanza iure soli: «è considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza».
[26] Come già accade in M. LA TORRE, Cittadinanza, in ID., G. ZANETTI, Nuovi seminari di filosofia del diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2021, 123-134.
[27] La cittadinanza come conflitto tra noi e loro è il punto di vista adottato in F. BELVISI, Cittadinanza, cit., 117-119.
[28] «the dominance of citizenship over nationality, of political over ethnocultural conceptions of nationhood», in R. BRUBAKER, Citizenship and nationhood in France and Germany, cit., 7 [trad. mia].
[29] Questa “autonomia” decisionale, e in generale l’idea di individuo libero da ogni legame e capace di prendere autonomamente decisioni senza essere in alcun modo influenzato dal gruppo di appartenenza, è alla base del liberalismo giuridico, per un approfondimento sul quale si rimanda a M. SANDEL, Liberalism and the Limits of Justice, Cambridge University Press, Cambridge, 1990, 1 ss. e W. KYMLICKA, Contemporary Political Philosophy. An Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2002, 1 ss. ma, in particolare, 284. Per un’analisi sul rapporto tra cittadinanza e Stato liberale, cfr. G. HILL, Citizenship and Ontology in the Liberal State, in Review of Politics, n. 55, 1993, 67-84.
[30] Il concetto di Nazione ha rappresentato un punto di discussione molto ampio in dottrina. Tra i molteplici interventi in merito, bisogna menzionare l’idea di Nazione come territorio all’interno del quale il sovrano, e non ancora lo Stato, si interfaccia non con cittadini, bensì con sudditi, come accade nel pensiero di Jean Bodin (cfr. J. BODIN, Les six livres de la république, ed. orig. 1576; trad. it M. ISNARDI PARENTE (a cura di), I sei libri dello Stato, UTET, Torino, 1964, 1 ss.). Nell’800, grazie all’italiano Pasquale Stanislao Mancini, la Nazione è vista come un’unione di individui che condividono territorio, razza, lingua e omogeneità culturale (cfr. P. S. MANCINI, Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti, ed. orig. 1851, E. JAYME (a cura di), Giappichelli, Torino, 2000, 1 ss.). Ancora, la Nazione è considerata quasi come un concetto “romantico”, ovvero come profondo senso di appartenenza alla propria patria ed elemento vitale dell’individuo, come accaduto nelle teorie di Fichte (v. J. G. FICHTE, Reden an die deutsche Nation, ed. orig. 1808, Discorsi alla nazione tedesca, trad. it. G. RAMETTA (a cura di), Laterza, Roma-Bari, 2003, 1 ss.) o di Rousseau (v. J. J. Rousseau, Du contrat social, ou principes du droit politique, ed. orig. 1762, trad. it R. GATTI (a cura di), Il contratto sociale, Rizzoli, Milano, 2005, 1 ss.). Solo nel Novecento si è cercato di studiare l’idea di Nazione come concetto separato dalla sua deriva nazionalista, tentando, al tempo stesso, di adoperare dei metodi più analitici e scientifici nello studio della stessa (in questo senso, il contributo più importante è offertoci in M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Mohr, Tuebingen, 1922, trad. it. G. GIORDANO (a cura di), Economia e società, Edizioni di Comunità, Torino, 1975, 1 ss. ora anche in M. WEBER, Politica mondiale e pathos nazionale, in F. GOIO, D. SPIZZO (a cura di), Nazione, istituzioni, politica, EUT, Trieste, 2002, 1 ss.); fino ad arrivare a una separazione tra Nazione, e quindi per esteso la nazionalità, ed idea di cittadinanza, come accaduto nel pensiero del filosofo del diritto Hans Kelsen (in H. KELSEN, General Theory of Law and State, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1945; trad. it. S. COTTA - G. TREVES (a cura di), Teoria generale del diritto e dello Stato, Rizzoli, Milano, 2000, 1 ss.). In merito al significato attribuito alle varie declinazioni dei termini Stato e Nazione, v. A. SPADARO, Italia, Patria, Nazione, Paese, Stato, Repubblica: il soggetto è lo stesso, ma i termini sono “sempre” fungibili, ossia sinonimi in senso stretto?, in Federalismi.it, n. 8/2023, 103-116.
[31] Il termine è ripreso da J. ISENSEE, Staat und Verfassung, in ID., P. KIRCHHOF (Hrsg.), Handbuch des Staatsrechts der Bundesrepublik Deutschlands, vol. I, Müller Jur.Vlg.C.F., Heidelber, 1987, 917; cfr. anche M. LA TORRE, European Identity and Citizenship – Between Law and Philosophy, in U. K. PREUSS, F. REQUEJO, European Citizenship, Multiculturalism, and the State, Nomos, Baden-Baden, 1998, 91 ss.
[32] In questa prospettiva, è necessario rimettere l’uguaglianza e la non discriminazione al centro del dibattito sulla concessione della cittadinanza. Sul punto, pertanto, cfr. M. FIORAVANTI, Eguaglianza e Costituzione: un profilo storico, in M. CARTABIA - T. VETTOR (a cura di), Le ragioni dell’uguaglianza, Giuffrè, Milano, 2009, 45 ss.; e L. FERRAJOLI, L’uguaglianza e le sue garanzie, in M. CARTABIA, T. VETTOR (a cura di), Le ragioni dell’uguaglianza, cit., 25-43.
[33] Per la ciclicità e la costanza, l’immigrazione non può più, infatti, essere definita un’"emergenza”. Per uno sguardo d’insieme sull’immigrazione e le sue inevitabili conseguenze nella realtà giuridica, v. P. CHIARELLA, Il terzo intruso: problemi del fenomeno migratorio in Europa, in Federalismi.it, n. 7/2017, 2-24; A. SCERBO, Criminalizzazione degli immigrati vs. diritti fondamentali. La recente evoluzione del diritto dell’Unione europea nella prospettiva di adesione alla Convenzione europea, in S. GAMBINO - G. D’IGNAZIO (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali fra Costituzioni nazionali, Unione europea e diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 2010, 366 ss.
[34] Per un approfondimento su questo concetto, cfr. F. BELVISI, Società multiculturale, diritti, Costituzione. Una prospettiva realista, CLUEB, Bologna, 2000, 1 ss.; T. MAZZARESE (a cura di), Diritto, tradizioni, traduzioni. La tutela dei diritti nelle società multiculturali, Giappichelli, Torino, 2013, 1 ss.; J. HABERMAS - C. TAYLOR, Kampf um Anerkennung im demokratischen Rechtsstaat, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1996; trad it. L. CEPPA (a cura di), Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano, 2008, 1 ss.
[35] Sullo sviluppo del rapporto tra diritto, religioni e società multireligiosa, v. N. FIORITA - D. LOPRIENO, La libertà di manifestazione del pensiero e la libertà religiosa nelle società multiculturali, Firenze University Press, Firenze, 2009, 1 ss.; V. CHITI, Le religioni e le sfide del futuro, Guerini & Associati, Milano, 2019, 1 ss.; M. VENTURA, Nelle mani di Dio, Il Mulino, Bologna, 2021, 1 ss.; G. MACRÌ, L’Europa fra le Corti. Diritti fondamentali e questione islamica, Rubettino, Soveria Mannelli (Catanzaro), 2017, 1 ss.
[36] Il concetto è ripreso da Z. BAUMAN, Liquid modernity, Polity Press, Cambridge, 2000, trad. it. S. MINUCCI, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2011, 26, secondo cui la “liquidità” della società corrisponderebbe al suo modo veloce e dinamico di travolgere il passato, eliminandolo e di conseguenza depurando il presente da ogni traccia di quello che è stato.
[37] Il fenomeno è descritto, inter alia, in F. VIOLA, Etica e metaetica dei diritti umani, Giappichelli, Torino, 2000, 1 ss. e in A. D'ATTORRE, Metamorfosi della globalizzazione. Il ruolo del diritto nel nuovo conflitto geopolitico, Laterza, Roma-Bari, 2023, 1 ss.
[38] Per una ricostruzione sulla nascita della comunità europea e dell’Unione attraverso i suoi processi costitutivi, si rimanda, senza alcuna pretesa di esaustività, a P. BIRKISNSHAW - M. VERNEY (eds.), The European Union Legal Order After Lisbon, Kluwer, Amsterdam, 2010, 1 ss; L. MELLACE, L’Unione europea tra destino comune e crisi permanente. Profili di teoria del diritto, ESI, Napoli, 2021, 47-75; J. BAQUERO CRUZ, What’s Left of the law of Integration? Decay and Resistance in European Union, Oxford University Press, Oxford, 2018, 1 ss.
[39] Sulla costruzione della cittadinanza europea, i suoi limiti e le sue potenzialità, v. C. MARGIOTTA, Cittadinanza europea. Istruzioni per l’uso, Laterza, Roma-Bari, 2014, 1 ss.; L. AZOULAI - S. BARBOU DES PLACES - E. PATAUT (eds.), Constructing the Person in EU Laws. Rights, Roles, Identities, Hart Publishing Ltd., Oxford, 2016, 1 ss.; L. MELLACE, La libertà di circolazione e soggiorno come “pietra angolare” della cittadinanza europea: il problema dei cittadini economicamente inattivi, in Dirittifondamentali.it, fascicolo 3/2022, 182-206; J. MENÉNDEZ - E. D. H. OLSEN, Challenging European Citizenship. Ideals and Realities in Contrast, Palgrave, London, 2019, 1 ss.; M. LA TORRE, Liquid Citizenship – Citizens’ Rights in the European Union, in The Italian Law Journal, 2, 2016, 355-365; D. KOCHENOV, EU Citizenship without Duties, in European Law Journal, 20, 2014, 482-498; F. SAVASTANO, L’opportunità di un modello comune per l’acquisizione della cittadinanza europea, in Diritto e società, 4/2018, 656 ss.
[40] Per una disamina sulla legislazione in merito alla “diversità” si rimanda a R. CARIDÀ, I diritti di cittadinanza inclusiva tra esigenze di sicurezza e doveri di solidarietà, in Federalismi.it, n. 14/2017, 2-26, specialmente par. 2.
[41] Adottata all’unanimità a Parigi il 2 novembre 2001, consultabile liberamente in ciram.unimc.it.
[42] Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. IT. C 364/1, promulgata il 18-12-2000.
[43] Art. 167 del TFUE, commi 1, 2, 3, 4. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. IT. C 326/47. Promulgato in data 26-10-2012.
[44] Per un approfondimento sul principio di uguaglianza, cfr. P. CARETTI - G. TARLI BARBIERI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, quarta edizione, Giappichelli, Torino, 2017, 199-253; A. GIORGIS, La costituzionalizzazione dei diritti all’uguaglianza sostanziale, Jovene, Napoli, 1999, 1 ss.
[45] In merito alla quale si rimanda a P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984, 1 ss.; e a V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie e identità culturali, Giuffrè, Milano, 2001, 1 ss.
[46] Per uno studio approfondito sulla tutela religiosa, v. G. DALLA TORRE, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2000, 1 ss.; R. BOTTA, Manuale di diritto ecclesiastico. Valori religiosi e società civile, Giappichelli, Torino, 1998, 1 ss.; C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, Il Mulino, Bologna, 1996, 1 ss.. Per un “diritto alla diversità”, cfr. G. DISEGNI, Ebraismo e libertà religiosa in Italia. Dal diritto all’uguaglianza al diritto alla diversità, Einaudi, Torino, 1983, 22 ss.
[47] Una critica precisa e puntuale allo ius sanguinis e allo ius soli si trova in M. LA TORRE, Cittadinanza e ordine politico, cit., 31-45 in special modo.
[48] È necessaria una precisazione terminologica. Stando a quanto definito dall’art. 43 c.c., «il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale». In realtà, nel presente contributo si è scelto deliberatamente di usare in modo promiscuo i termini residenza e domicilio per intendere il luogo, e territorialmente individuato e inteso come costrutto sociale, in cui l’individuo svolge la sua vita, intreccia delle relazioni, ha la sede dei suoi affari e dei suoi interessi, in piena armonia, tra l’altro, con l’art. 14 della Costituzione italiana. Per un’analisi sui concetti di residenza e domicilio, v. fra gli altri F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, ESI, Napoli, 2015, 131-132.
[49] Essa consiste, sostanzialmente, nell’esaltazione del principio personalista, che è il fondamento di ogni altro diritto, vale a dire l’idea per la quale l’uomo deve essere protetto in quanto tale, senza distinzioni basate su alcun tipo di status. In merito, cfr. R. ALEXY, Theorie der Grundrechte, Berlin, Suhrkamp Verlag, 1985, L. DI CARLO (a cura di), Teoria dei diritti fondamentali, Il Mulino, Bologna, 2012, 1 ss.
[50] È quanto sostenuto in S. MABELLINI, Il “radicamento territoriale”: chiave d’accesso e unità di misura dei diritti sociali?, in Consulta Online, fasc. II, 2022, 918-944; F. DINELLI, La stagione della residenza: analisi di un istituto in espansione, in Dir. amm., 2010, 639 ss.; E. GARGIULO, Localizzazione dei diritti o localismo dell’appartenenza? Abbozzo di una teoria della residenza, in societamutamentopolitica, vol. 2, n. 3, 2011, 241-261; C. VAGGINELLI, Cittadinanza: una riforma a lungo attesa, in Forum di Quaderni costituzionali, rassegna n. 7/2016, 20 luglio 2016, 1-14. Nella teoria del diritto, a dire il vero, sono molteplici le voci che si sono espresse a favore di una cittadinanza più inclusiva e aperta, già nei decenni passati. Rudolf Smend, ad esempio, dà rilevanza all’individuo che esplica la propria personalità solo attraverso il legame con lo Stato, intendendo quest’ultimo non come apparato burocratico, ma come valori e sentimenti condivisi (cfr. M. LA TORRE, Patologias del comunitarismo – Rudold Smend y la “teoria de la integraciòn”, in C. FLOREZ MIGUEL - M. HERNANDEZ MARCOS (a cargo de), Literautra y politica en la época de Weimar, Verbum, Madrid, 1998, 197 ss.; R. SMEND, Staatsrechtliche Abhandlungen und andere Aufsätze, ed. orig. 1955, Duncker & Humblot, Berlin, 2010, 1 ss.; ID., Verfassung und Verfassungsrecht, ed. orig. 1928, trad. it. F. FIORE - J. LUTHER (a cura di), Costituzione e diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1988, 1 ss.). Qualche anno dopo, Ronald Dworkin offre una nuova prospettiva sulla cittadinanza, da intendersi come partecipazione ai vincoli associativi della comunità mantenendo intatta l’individualità di ciascuno (cfr. R. DWORKIN, Law’s Empire, Harvard University Press, London, 1986, 1 ss.; ID., Freedom’s Law, Harvard University Press, London, 1997, 1 ss.; ID., Equality, Democracy, and Constitution: We the People in Court, in Alberta Law Review, n. 2, 1990, 324-346; ID., Liberal Community, in California Law Review, vol. 77, n. 3, 1989, 479-504). In tempi più recenti, la residenza gioca un ruolo determinante nella concezione moderna di cittadinanza, in quanto quest’ultima è vista come un senso di appartenenza alla comunità e ai suoi membri, con i quali, per via di una certa contiguità, si condivide un destino percepito come comune: è il modello interattivo di cittadinanza (in questo senso, tra gli altri, v. M. LA TORRE, Citoyenneté, sous la direction de D. CHAGNOLLAUD DE SABOURET, Traité international de droit constitutionnel, Tome III, Dalloz, Paris, 2012, 374-383; ID., Cittadinanza, cit., 131-134; cfr. anche ID., Cittadinanza e ordine politico, cit., 298-304).
[51] Disciplinata in l. 24 dicembre 1954, n. 1228, “Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente”, pubblicato in G. U. n. 8 del 12-01-1995; d. P. R. 30 maggio 1989, n. 223, “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente”, specialmente artt. 1, 6, 7, 10, 14, 15, 16, 19, 32; d. lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, “Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”, pubblicata in G. U. n. 72 del 27-03-2007.
[52] Queste funzioni sono state individuate chiaramente in sent. cost. 186/2020. C’è da dire, tuttavia, che stando a un approccio più teorico relativo al rapporto tra accoglienza, residenza e immigrazione, ci si trova davanti a «un conflitto di esigenze normative contrapposte, un diritto morale individuale da un lato, un diritto politico collettivo dall’altro; diritti che si urtano e contraddicono vicendevolmente. (…) Giustizia morale e giustizia politica in questo caso si collocano in un terreno di scontro permanente, dal quale nessuna delle due parti prevalendo con la sua pretesa normativa potrebbe uscirne eticamente indenne, innocente», in M. LA TORRE, Giustizia per le volpi. Desiderio di immigrazione, volontà di cittadinanza, in Rivista di filosofia del diritto, X, 2/2021, 403.
[53] A rimanere preclusi agli stranieri sono, sostanzialmente, i diritti politici, come viene analizzato in E. GROSSO, Cittadinanza e territorio, cit., 7. Un excursus completo a proposito dei diritti concessi agli stranieri si rinviene in A. RUGGERI, I diritti dei non cittadini tra modello costituzionale e politiche nazionali, in Consulta Online, fasc. I, 2022, 132-151. La separazione tra cittadinanza, nazionalità e godimento dei diritti è stata peraltro teorizzata in L. FERRAJOLI, Cittadinanza e diritti fondamentali, in Teoria politica, XI, 3, 1993, 66-74.
[54] Come affermato in sent. cost. n. 120/1967. Sul concetto di uguaglianza, cfr. M. CARTABIA - T. VETTOR (a cura di), Le ragioni dell’uguaglianza, Giuffrè, Milano, 2009, 1 ss.
[55] D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, comma 1.
[56] Introdotto dal d. l. 28 gennaio 2019, n. 4, “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, convertito con modificazione dalla l. 28 marzo 2019, n. 26, pubblicato in G. U. 29/03/2019, n. 75.
[57] Il riferimento è all’ordinanza della Corte d’Appello di Milano, sezione lavoro, 31 maggio 2022 .
[58] Come recentemente affermato in Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 5679 del 2 agosto 2021.
[59] La cittadinanza ha un carattere discriminatorio insito nella sua natura. Si pensi, ad esempio, al fatto che nell’antica Roma le donne non potevano ottenere la cittadinanza (per i requisiti necessari per l’ottenimento della cittadinanza in quell’epoca, cfr. A. CORBINO, Diritto privato romano, CEDAM, Padova, 2014, 13-16; E. BERTI, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari, 1989, 1 ss.; R. DEVELIN, The Good Man and the Good Citizen in Aristotle’s “Politics”, in Phronesis, n. 17, 1973, 71-79; S. GASTALDI, L’uomo buono e il buon cittadino in Aristotele, in Elenchos, n. 16, 1995, 253-290). Il sessismo di tale istituto è rimasto invariato anche nei secoli a venire: difatti, se le donne non potevano accedere a determinate cariche pubbliche o a certi mestieri, significava sostanzialmente che la cittadinanza dovesse essere loro negata (sul punto, v. D. KOCHENOV, Citizenship, The MIT Press, Cambridge, MA, 2019; trad. it C. MARGIOTTA BROGLIO (a cura di), Cittadinanza. La promessa di un alchimista, Il Mulino, Bologna, 2020, 75). Non solo sessismo, ma la cittadinanza ha avallato anche il razzismo di tale istituto, costringendo gli appartenenti ad alcune minoranze etniche, ad esempio, a una limitazione nel godimento dei diritti (in Z. OKLOPCIC, Beyond the People, Oxford, Oxford University Press, 2018, 1 ss.; J. TULLY, On Global Citizenship, Bloomsbury Academic, London, 2014, 32). Un ultimo aspetto rilevante è che la cittadinanza di uno Stato moderno, accogliente e sviluppato offre maggiore protezione rispetto alla cittadinanza di uno Stato in guerra, povero, sotto regime: in questo senso, avere – o non avere – un determinato passaporto influisce su una distribuzione più equa delle opportunità di vita (come fatto notare in B. MILANOVIC, Global Inequality, Belknap Press of Harvard University, Cambridge, MA, 2016, trad. it. G. TONOLI, Ingiustizia globale. Migrazioni, disuguaglianze e il futuro della classe media, LUISS University Press, Roma, 2017, 14; in A. SHACHAR, Dangerous Liaisons: Money and Citizenship, in R. BAUÖCK (ed.), Debating Transformations of National Citizenships, Springer, Cham, 2018, 7-17; e in J. C. TORPEY, The Invention of Passport: Surveillance, Citizenship, and the State, Cambridge University Press, Cambridge, 2018, 1 ss.).
[60] Un’azione improntata sulla tutela e non sulla punizione è anche tipica, fortunatamente, del diritto in senso attuale: questa tesi è stata avallata nell’ormai classico G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1997, seconda edizione, 1 ss. e nel più recente T. GRECO, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2021, 1 ss.. Rileva, inoltre, il ruolo della società e il rapporto che essa ha con il sistema giuridico d riferimento: se la comunità è aperta, inclusiva e accogliente, significa che di base dovrebbe esserci una legislazione, in special modo quella concernente la cittadinanza e i suoi criteri di attribuzione, parimenti aperta, inclusiva e accogliente. Per un’analisi sul rapporto, travagliato e complesso, tra diritto e società, v. V. FERRARI, Diritto e Società. Elementi di sociologia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2004, 1 ss.
[61] In M. LA TORRE, Cittadinanza e ordine politico, cit., 265.