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Pubbl. Lun, 22 Mag 2023

La plurisoggettività del datore di lavoro nelle reti di Impresa

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Riccardo Giupese
AvvocatoUniversità degli Studi Roma Tre



L´introduzione nell´ordinamento dei due istituti dell´Assunzione congiunta e della codatorialità, benchè ristretti ai soli rapporti di lavoro nell´alveo delle c.d. Reti di Impresa, infligge un duro colpo alla tradizionale concezione monosoggettiva del datore di lavoro


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The multi-subjectivity of the employer in business networks

The introduction into the legal system of the two institutions of joint hiring and co-employment, although restricted to employment relationships only in the context of the cc.dd. Reti di Impresa, deals a severe blow to the traditional one-subjective concept of the employer

Sommario: 1. Introduzione; 2. Le fonti; 3. Unitarietà della figura del datore di lavoro. Evoluzione; 4.“Codatorialità” ed “assunzione congiunta”; 4.1 Le fattispecie, sinonimi o istituti differenti?;  4.2 Il regime di responsabilità nei confronti del lavoratore; 5) Conclusioni

1. Introduzione

L’art. 3, comma 4-ter del D.L. n. 5/2009 ha introdotto nell’ordinamento italiano le c.d. Reti di Imprese, istituto giuridico di matrice contrattuale finalizzato all’accrescimento, individuale e collettivo, della capacità innovativa nonché della competitività delle imprese sul mercato[1].

Senza entrare nel merito dei complessi connotati dell’istituto, in questa sede è necessario evidenziare come lo stesso si offra alle imprese quale strumento flessibile di collaborazione e di coordinamento dei reciproci apparati produttivi ed organizzativi, il quale garantisce e lascia inalterata la soggettività individuale delle singole “retiste”.

In sostanza, compendiando la ratio della norma, il contratto di rete permette alle imprese di forgiare, in via puramente convenzionale, un regime di collaborazione dalle fattezze non precostituite, il quale può assumere il grado di intensità discrezionalmente prescelto dalle singole aderenti[2].

Proprio per tale motivo, ovvero in ragione della notevole libertà lasciata dal legislatore alle imprese retiste di riempire di contenuto il contenitore rappresentato dal contratto di rete, elemento centrale ed essenziale della predetta fattispecie convenzionale è il c.d. programma di rete ex art. 3, comma 4-ter lett. c) del D.L. n. 5/2009, pattuizione che deve identificare, fra gli altri, i diritti e gli obblighi assunti da ciascun partecipante nonché le modalità di realizzazione dello scopo comune.

Corollario della predetta intentio legis sono, peculiarmente, le disposizioni, contenute in diverse fonti normative, attinenti ad aspetti giuslavoristici, le quali hanno assunto una portata del tutto innovativa nel nostro sistema.

Come si vedrà, il legislatore, al fine di agevolare la compenetrazione fra gli apparati e le organizzazioni imprenditoriali, ha introdotto gli inediti concetti giuridici della “codatorialità” e dell’”assunzione congiunta”, che, per la prima volta, positivizzano l’abbandono della dogmatica concezione unitaria della figura del datore di lavoro.

In ragione di tale innovazione, appare utile, ai fini della presente trattazione, ripercorrere brevemente le tappe che hanno condotto all’ipotesi di plurisoggettività del datore di lavoro, di identificare i caratteri principali dei relativi istituti giuridici nonché ipotizzare alcune loro conseguenze applicative.

2. Le fonti

Prima di entrare nel merito degli aspetti tecnici e critici riguardanti gli elementi giuslavoristici delle Reti di Imprese, appare necessario identificare le relative fonti di riferimento, le quali, peculiarmente, non appartengono all’art. 3 del D.L. n. 5/2009 in tema di Reti di Imprese.

In via di premessa, si anticipa come le norme che verranno richiamate, pur teoricamente rappresentando delle inedite novità, lasciano agli operatori del diritto delle rilevanti difficoltà interpretative ed applicative in ragione della loro ermeticità.

Le norme di rango primario attinenti all’oggetto della presente indagine sono state introdotte dal D.L. n. 76 del 28 giugno 2013, il quale, integrando il D.Lgs n. 276/2003 (c.d. “Legge Biagi”), ha aggiunto il comma 4 ter all’art. 30 nonché i commi da 3-bis a 3-quinquies all’art. 31.

Andando con ordine: il comma 4-ter dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 introduce e racchiude la disciplina di due diversi istituti, il c.d. “distacco infra rete” e la “codatorialità”; i commi da 3-bis a 3-quinquies all’art. 31 della medesima fonte disciplinano le “assunzioni congiunte”.

Ferme tali disposizioni, le quali verranno analizzate nella loro portata tanto innovativa quanto problematica[3], si segnala come, proprio in forza della brevità e laconicità delle stesse, le uniche altre fonti di riferimento si rinvengono in (rare) fonti secondarie[4] e, più diffusamente, per quanto valer possa, nella prassi di quei soggetti che, in ogni caso, sono chiamati a provvedere alla loro applicazione[5].

3. Monosoggettività della figura del datore di lavoro. Evoluzione

La circostanza per cui il datore di lavoro debba consistere in un unico soggetto non è esplicitamente rinvenibile all’interno dell’ordinamento, non annoverandosi espresse disposizioni in tal senso.

Tuttavia, il concetto stesso di unicità nella figura del datore di lavoro permea tradizionalmente l’idea stessa di rapporto di lavoro subordinato.

Simile assetto, in verità, sembra cogliersi in via indiretta dall’esame di disposizioni apparentemente estranee a quanto in commento, le quali attengono alla figura del prestatore di lavoro subordinato e di imprenditore nonché al divieto (ed alle relative deroghe) di interposizione fra datore di lavoro e lavoratore.

In primo luogo, appare dirimente osservare come il legislatore mai abbia prodotto lo sforzo definitorio di determinare cosa effettivamente sia un rapporto di lavoro subordinato ma, attraverso l’art. 2094 c.c., “solamente” chi sia il prestatore di lavoro, introducendo, ai fini che qui interessano[6] una stretta connessione, di tipo necessario e funzionale, con “l’impresa” e con “l’imprenditore”.

Quindi, da tale primo dato normativo emerge che l’imprenditore è un soggetto a cui è accordato il potere direttivo nei confronti del lavoratore nell’ambito della collaborazione all’impresa.

Corollario di tale definizione e valorizzando il rapporto fra impresa ed imprenditore, quest’ultimo normativamente e complessivamente definito ex art. 2082 c.c. come colui il quale “… esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”, si desume che l’impresa consista proprio, e per converso, nella predetta attività economica esercitata dall’imprenditore[7].

Di conseguenza, dall’esame delle norme codicistiche fondamentali in materia, il datore di lavoro non sarebbe altro che l’imprenditore, ovvero il soggetto, unitariamente inteso, che esercita l’impresa.

Posto tale inquadramento di tipo tradizionale, non può trascurarsi come il legislatore, in verità, attraverso una norma di stampo definitorio, enunci cosa sia il “datore di lavoro”.

Ed infatti, l’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008 definisce il “datore di lavoro” come: “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Senza esacerbare il merito della questione, in tale disposizione sembrano rinvenirsi profili coerenti con le norme codicistiche riportate, poiché, riferendosi al datore quale titolare del rapporto di lavoro, pur secondo una visione prettamente formalistica, si rinvia alla nozione stessa di lavoratore, rectius, “prestatore di lavoro subordinato” di cui all’art. 2094 c.c., salvaguardando la quadratura sistematica dell’istituto.

Quanto alla seconda parte della norma, la quale sembra allargare in maniera decisa il concetto di datore di lavoro ricomprendendovi soggetti atipici qualificati dalla potestà organizzativa e direttiva, non bisogna dimenticare che la medesima disposizione, lungi dal potersi considerare di generale applicazione teorica, accorda il proprio valore definitorio ai soli fini del medesimo D.Lgs n. 81/2008, meglio noto come Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro[8].

In definitiva sul punto, da una prima analisi di rango prettamente definitorio emerge una figura di datore di lavoro di tipo unitario, in quanto soggetto connesso in maniera strumentale all’esercizio e all’interesse d’impresa.

Fermo ciò, come accennato, la maggior parte della dottrina rinviene il carattere di unicità soggettiva nel datore di lavoro mediante la valorizzazione del principio attestante il divieto di interposizione fra datore di lavoro e lavoratore.

In primo luogo, in materia, si evidenzia la sussistenza di una norma codicistica quale l’art. 2127 c.c., il quale, pur riferendosi al c.d. lavoro a cottimo, vieta all’imprenditore di introdurre nel fascio di rapporti contrattuali con il lavoratore altri soggetti emulativi della sua stessa posizione formale.

Mediante la negazione della possibile aggiunta di soggetti nel rapporto lavorativo, all’evidenza, si afferma e rafforza la figura del datore di lavoro quale entità monosoggettiva.

A scanso di equivoci, si evidenzia come la norma, pur apparendo un residuo di un’economia lavorativa non contemporanea, si ponga come precettiva nell’alveo dell’intero lavoro subordinato, enucleando un principio sicuramente estensibile a forme lavorative caratterizzate da sistemi di retribuzione diversi dal cottimo.

L’eco di tale ultimo disposto normativo si coglie, altresì, in un’altra norma, oggi abrogata, l’art. 1 della Legge n. 1369/1960, il quale, in maniera tranciante vietava “all'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono”.

Significativa della voluntas legislatoris, è, conseguentemente, compiendo un importante salto temporale in avanti, la portata della norma che ha abrogato la Legge n. 1369/1960, ovvero il già citato D.Lgs. n. 276/2003.

Come noto, tale provvedimento legislativo ha introdotto, nella sua versione originale, due istituti che palesemente operano una scissione fra il soggetto formalmente titolare del contratto di lavoro e quello che utilizza la prestazione di lavoro in termini collaborativi verso l’impresa: la somministrazione ed il distacco.

A fronte dell’introduzione di tali istituti, si osserva una decisa divaricazione di posizioni in dottrina, in quanto una parte della stessa vi rinviene l’abbandono definitivo ad una tradizionale visione monosoggettiva del datore di lavoro[9], mentre l’altra vi scorge solamente delle eccezioni alla perdurante regola di divieto interpositivo[10].

Tale ultima posizione, la quale appare sorretta da una più convincente visione sistematica, trova una decisiva conferma nel celebre arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, Sentenza n. 22910 del 26 ottobre 2006, laddove, esplicitamente, gli Ermellini riconoscono il carattere eccezionale dei richiamati istituti rispetto all’assetto normativo generale.

In particolare, argomento decisivo rinvenuto dalla Suprema Corte è stato quello nascente dall’analisi delle medesime norme di cui agli artt. 20 e ss. del D.Lgs. n. 276/2003, le quali, connotate da un rigido schema di tipicità, sanzionano ogni forma di interposizione esulante da tali species quali forme non genuine e pertanto violative del generale divieto di interposizione di manodopera[11].

Tale breve excursus, il quale tende ad evidenziare, in via generale, una perdurante concezione monosoggettiva del datore di lavoro, appare il sostrato più adeguato alla prossima analisi degli istituti della “codatorialità” e delle “assunzioni congiunte” nell’ambito delle c.d. Reti di Imprese.

Infatti, benché tali ultimi rappresentino una decisa innovazione nel nostro ordinamento nel senso di un’accezione plurisoggettiva della figura del datore di lavoro, la rispettiva analisi non potrà mai farsi dimentica della loro portata eccezionale rispetto alla regola generale della monosoggettività nei termini descritti.

4. “Codatorialità” ed “assunzione congiunta”

Fermo quanto sopra descritto in ordine alla struttura generale del rapporto lavorativo subordinato e sulla componente soggettiva connaturata alla figura del datore di lavoro, è ora necessario specificatamente analizzare i due istituti, unicamente afferenti alle Reti di Imprese, introdotti dal D.L. n. 76 del 28 giugno 2013, modificativo del D.Lgs n. 276/2003.

4.1. Le fattispecie, sinonimi o istituti differenti?

La prima questioni relativa agli istituti in commento riguarda la loro stessa identità e consistenza giuridica, ovvero se gli stessi rappresentino strumenti giuridici distinti o, anche solo parzialmente, coincidenti.

L’art. 30, comma 4 – ter del D.Lgs. n. 276/2003, in tema di distacco dei lavoratori e, nella specie, di distacco infra rete, prevede, nella sua parte finale: “… Inoltre per le stesse imprese[12] è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”.

Diversamente, l’art. 31, comma 3-ter del D.Lgs. n. 276/2003 inserisce una nuova locuzione, quella di “assunzione congiunta”, nei seguenti termini: “L’assunzione congiunta di cui al precedente comma 3 – bis può essere effettuata anche da imprese agricole legate da un contratto di rete, quando almeno il 40 per cento di esse sono imprese agricole”.

Con effetto del tutto innovativo nell’ordinamento, tali poche parole dedicate dal legislatore introducono e positivizzano per la prima volta la possibilità che tutte le situazioni giuridiche soggettive proprie del datore di lavoro siano condivise o comunque possedute da più soggetti.

Il rapporto di lavoro diventa, in tali ipotesi, un rapporto giuridico soggettivamente complesso.

Ferma tale evidente comunanza, appare prudente, altresì, affermare che i due istituti siano ex se autonomi e distinti[13].

Tale conclusione può desumersi, in primo luogo, dalla collocazione sistematica delle relative disposizioni normative.

Infatti, l’art. 30, comma 4-ter del D.Lgs n. 276/2003, pur essendo collocato in una norma disciplinante il distacco, ve se ne discosta attraverso l’utilizzo della locuzione “Inoltre”, infondendo autonomia all’istituto.

L’art. 31, comma 3-ter del D.lgs n. 276/2003, non solo non compie alcun rinvio al precedente art. 30 né menziona il termine codatorialità ma, di più, ne tipizza e, quindi, ne distingue e restringe l’ambito di applicazione a quelle imprese sottoscrittrici di un contratto di rete in cui almeno il 40% delle stesse sia un’impresa agricola.

Altro distinguo significativo, in termini letterali, appartiene all’utilizzo del termine “ingaggiati” operato dall’art. 31, comma 3-ter e di quello di “assunzioni…effettuate” operato dall’art. 31, comma 3-ter.

Tale differente registro sembrerebbe alludere a due funzioni diverse ricoperte dai due istituti: da una parte la codatorialità sembra attenere all’utilizzo di una prestazione lavorativa già geneticamente e formalmente sorta in capo a due soggetti originari; dall’altra l’assunzione congiunta appare indicare il modo in cui, ab origine, far sorgere, anche da un punto di vista di titolarità contrattuale, un rapporto di lavoro plurisoggettivo ex parte datoris.

Anche sotto tale ultimo profilo i due istituti appaiono quindi autonomi e distinti.

Altro elemento sintomatico della diversità dei due istituti è significato anche dal diverso regime applicativo derivante dall’attuazione degli obblighi di comunicazione ministeriali[14].

Mentre il regime di codatorialità e le relative comunicazioni di inizio, proroga, trasformazione e cessazione sono disciplinati dal D.M. n. 205/2021, il quale impone l’utilizzo del c.d. modello “Unirete” e l’individuazione di “un’impresa referente”[15] e di un “datore di lavoro di riferimento”[16], l’instaurazione delle “assunzioni congiunte” è disciplinata dal diverso D.M. del 27 marzo 2014, a rimarcare, anche nella prassi, la loro distinzione.

Le ragioni esposte, quindi, depongono per un’autonomizzazione dei due istituti, i quali, quindi, sembrano possedere i seguenti caratteri.

La codatorialità è istituto che si riferisce alla possibilità, per imprese sottoscrittrici di un contratto di rete, di utilizzare in maniera congiunta e promiscua, la prestazione lavorativa di un soggetto già formalmente assunto da uno dei c.d codatori[17]. La regolamentazione attinente alla gestione del rapporto lavorativo è, in toto, al netto della normativa inderogabile in materia di lavoro subordinato, rimesso al c.d. programma di rete.

In sintesi, formalmente il rapporto di lavoro rimane “uno a uno” mentre lo svolgimento dello stesso vedrà una parte datoriale composta da più soggetti, i quali potranno essere tutte o alcune le imprese aderenti al contratto di rete.

L’assunzione congiunta, invece, è istituto che riguarda la nascita del rapporto di lavoro fra un lavoratore e due o più soggetti nella qualità di datori di lavoro. Il campo di applicazione dell’istituto, come detto, è limitato alle sole reti di imprese in cui almeno il 40% delle stesse sia “impresa agricola”.

La regolamentazione di detto rapporto è disciplinata, oltre che dalla contrattazione collettiva ed individuale, dall’art. 31, comma 3 quinquies del D. Lgs. n. 276/2003, il quale sancisce che: “I datori di lavoro rispondono in solido delle obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto di lavoro instaurato con le modalità disciplinate dai commi 3-bis e 3-ter.”

Quanto descritto, quindi, in risposta al quesito posto, spinge a ritenere che la “codatorialità” e le “assunzioni congiunte” siano istituti diversi ed autonomi, entrambi i quali, tuttavia, positivizzano fattispecie in cui la figura sostanziale del datore di lavoro è ricoperta da più soggetti.

4.2. Il regime di responsabilità nei confronti del lavoratore

Posta la diversità ontologica dei due istituti, è necessario indagare quali ripercussioni possano generarsi sul rapporto sinallagmatico fra lavoratore e datore di lavoro, e, in particolare, sul regime di responsabilità patrimoniale di quest’ultimo in relazione all’obbligazione retributiva.

In primo luogo, come già testualmente riportato, in tema di assunzioni congiunte, l’art. 31, comma 3-quinquies del D.Lgs. n. 276/2003 ha legalmente stabilito la regola della solidarietà fra tutti i datori di lavoro per le obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge aventi causa nel rapporto lavorativo.

Il chiaro enunciato normativo non può spingere a fraintendimento alcuno.

Diversamente, in tema di codatorialità non v’è alcuna chiarezza sul punto, stante anche la brevità della relativa norma, la quale compie solamente un rinvio alle “regole stabilite attraverso il contratto di rete”, nulla di più.

Tale apparente assenza di norme di rango speciale spinge, quindi, ad un’operazione ermeneutica a ritroso verso i principi generali dell’ordinamento.

Un rapporto di lavoro in regime di codatorialità, come già indicato, costituisce un rapporto giuridico complesso e plurilaterale e, pertanto, ai fini dell’adempimento delle reciproche obbligazioni contrattuali, è necessario far riferimento all’art. 1294 c.c.

Tale disposizione, la quale enuncia il principio di residualità della solidarietà patrimoniale fra i condebitori, sancisce che:” I condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente”. 

Fermo tale enunciato, invero, dalla legge sembra davvero risultare diversamente, e ciò in quanto l’all’art. 30, comma 4-ter del D.Lgs n. 276/2003, il quale prevede che “… è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”, appare concretamente potersi atteggiare quale norma speciale e derogatoria al predetto regime residuale di solidarietà.

Alla luce di tale osservazione, quindi, ben può ipotizzarsi una situazione in cui in un rapporto di lavoro in regime di codatorialità, i (co)datori di lavoro rispondano delle proprie obbligazioni, in primis quella retributiva, non in via di solidarietà passiva ma secondo diverse modalità, parziarie e/o limitative, specificatamente indicate e regolate all’interno del contratto di rete.

In merito, tuttavia, tanto in dottrina quanto nella prassi, si segnala un evidente contrasto.

Infatti, quanto alla dottrina, sebbene possa ravvisarsi una significativa convergenza sulla natura non necessariamente solidale della responsabilità dei (co)datori[18], si stigmatizza come, parte della stessa affermi l’inidoneità del contratto di rete a superare la presunzione residuale di solidarietà di cui all’art. 1294 c.c.[19]

In proposito, anche in replica a tale ultima posizione, si specifica che il regime di cui all’art. 1294 c.c., non viene tecnicamente derogato da una fonte convenzionale quale il contratto di rete ma dall’art. 30 comma 4-ter del D.Lgs n. 276/2003 a cui, pertanto, va accordato il rango di norma speciale.

Simile interpretazione, inoltre, salvaguarderebbe anche il valore imperativo delle norme di agli artt. 2094 e ss. c.c., la cui portata protettiva nei confronti del lavoratore sarebbe garantita dalla riconduzione delle relative obbligazioni almeno ad uno dei (co)datori di lavoro.

Nella prassi, invece, significative del dissidio ancora sussistente sulla questione sono: da una parte la circolare n. 35/2013 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in cui viene affermato che “Sul piano di eventuali responsabilità penali, civili e amministrative – e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti – occorrerà quindi rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare “automaticamente” una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto”; dall’altra la circolare dell’INL – Direzione centrale coordinamento giuridico n. 315 del 22 febbraio 2022, la quale si esplicita che: “… Ne consegue che l’adempimento degli obblighi connessi al rapporto di lavoro potrà essere richiesto, per l’intero, a ciascuno dei co-datori, ferma la valenza, nei soli rapporti interni, di accordi volti a limitare il piano delle responsabilità”.

Ferme le spiegate posizioni e constatando l’evidente carenza della normativa nonché l’assenza di pronunce giurisprudenziali sul punto, pare potersi ribadire che, in regime di codatorialità, le “regole di ingaggio” dei lavoratori, e con esse anche la responsabilità patrimoniale dei (co)datori, trovino la loro fonte nel solo contratto di rete, il quale potrà anche derogare, in via espressa, al regime di solidarietà legalmente e residualmente previsto.

5. Conclusioni

Quanto fin qui esposto, sembra evidenziare come gli istituti di cui agli art. 30, comma 4 – ter e 31, comma 3-ter del D.Lgs. n. 276/2003, i quali indubbiamente rappresentano delle novità nell’ordinamento, accogliendo in via positiva ipotesi di plurisoggettività della figura del datore di lavoro, rappresentino delle eccezioni al generale rapporto binario ancor oggi fondante il rapporto di lavoro subordinato.

Ciò nonostante, la relativa portata applicativa, che, di pari passo con la costante diffusione delle Reti di impresa[20] troverà sempre maggiore attuazione, comporterà, indubbiamente, delle difficoltà dettate dall’esiguità e dall’ambiguità del dettato normativo e dalle già evidenti contrapposte posizioni attestatisi sia in dottrine che nella prassi.

In ogni caso, anche se consci della necessità di un futuro e definente intervento legislativo o, comunque, di una forte attività interpretativa giurisprudenziale, sembra potersi cogliere una breccia nel tradizionale approccio alla struttura stessa del rapporto di lavoro, il quale, in tal modo, potrebbe intercettare le esigenze di modernizzazione e compenetrazione degli apparati organizzativi aziendali.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Più precisamente, l’art. 3, comma 4-ter del D.L. n. 5/2009 inquadra l’istituto nei seguenti termini: Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o piu' attivita' rientranti nell'oggetto della propria impresa…”.

[2] Cfr. G. Spoto, “I contratti di Rete tra imprese”, Giappichelli, 2017, in cui, compiutamente, non solo il contratto di rete viene ricondotto alla categoria dei contratti plurisoggettivi con comunione di scopo ma viene, altresì, potenzialmente identificato quale mezzo idoneo a costituire “una vera e propria alternativa al mercato, perché costituisce (o comunque è in grado di costituire) una sorta di sottosistema autonomo capace di produrre ricchezza e di diventare esso stesso luogo di scambio di relazioni commerciali”.

[3] Cfr V. Cuffaro, “Contratto di rete di imprese”, Giuffrè Editore, 2016.

[4] Cfr., in ottica attuativa, D.M. n. 205 del 29 ottobre 2021 recante: “Modalità operative delle comunicazioni telematiche di inizio, di distacco, trasformazione, proroga e cessazione dei rapporti di lavoro in regime di codatorialità per il tramite del modello “Unirete”.

[5] Cfr. fra tutte: Circolare INL n. 315 del 22 febbraio 2022; Circolare INL n. 1229 del 16 giugno 2022; Circolare INAIL n. 31 del 3 agosto 2022.

[6] L’art. 2094 del codice civile rappresenta il cardine nella qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, e ciò in quanto ne identifica il carattere sinallagmatico (e quindi contrattuale), la relativa onerosità, il concetto di subordinazione quale soggezione al potere direttivo dell’imprenditore, rectius, datore di lavoro. Sul concetto di subordinazione cfr. G. Santoro Passarelli, “La subordinazione in trasformazione”, Lectio Magistralis del 18 giugno 2021 presso l’Università della Calabria, in Lavoro Diritti Europa – Rivista nuova di diritto del lavoro, n. 3/2021.

[7] Cfr. G. Ferri, “Manuale di Diritto commerciale”, Parte prima, Par. I,  XIII Edizione, UTET, 2012.

[8] Cfr. Art. 1 D.Lgs n. 81/2015 il quale così definisce le finalità del Testo Unico e il relativo campo di applicazione: ”Le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo costituiscono attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, per il riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo”.

[9] In tal senso, cfr. ex plurimis, L. Di Salvatore, “Codatorialità e responsabilità del datore di lavoro nelle Reti di Imprese”, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, fasc. 3, 1° settembre 2020, pagina 451; L. Corazza, “Contractual integration e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore”, Cedam, 2004.

[10] Cfr. in dottrina, ex multis, C.T. Carinci, “L’unicità del datore di lavoro (quale parte del contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esso connesse) è regola generale nell’ordinamento giuslavoristico”, ADL, 2007, pagina 1011 e ss.

[11] Nel dettaglio, cfr. Cass. SS.UU. Sent. n. 22910/2006, così massimata: “La disciplina di cui agli art. 20 e ss. d.lg. n. 276 del 2003 - pur presentandosi come una innovazione, seppure rilevante per le implicazioni di carattere teorico sulla sistemazione dogmatica del rapporto lavorativo - si configura anche nell'attuale assetto normativo come una eccezione, non suscettibile né di applicazione analogica, né di interpretazione estensiva, sicché allorquando si fuoriesca dai rigidi schemi voluti dal legislatore si finisce per rientrare in forme illecite di somministrazione di lavoro, come avviene in ipotesi di "somministrazione irregolare" ex art. 27 o di comando disposto in violazione dell'art. 30, fattispecie che continuano ad essere assoggettate a quei principi enunciati in giurisprudenza in tema di divieto di intermediazione di manodopera”.

[12] Ndr. si riferisce alle imprese che hanno sottoscritto un contratto di rete ai sensi del D.l. n. 5/2009.

[13] Primi commenti alle norme richiamate si attestavano su una posizione di identità soggettiva fra i due istituti. In tal senso cfr. I. Alvino, “Rete di Imprese e subordinazione”, in M.T. Carinci, “Dall’impresa a rete alle reti d’impresa”, Milano, 2015.

[14] Cfr. Art. 9-bis comma 2 del Decreto Legge n. 510/96 e ss.mm.ii.

[15] Per “impresa referente” si intende quella incaricata solamente della tenuta delle comunicazioni obbligatorie e si identifica, nella prassi, nell’”impresa di riferimento”, ovvero in quella impresa facente parte della “rete” e incaricata di effettuare le comunicazioni previste dalla normativa al Registro delle Imprese.

[16] Per “datore di lavoro di riferimento” si intende il datore di lavoro formale, al quale sono ricondotti gli obblighi di registrazione delle prestazioni lavorative sul L.U.L. nonché gli adempimenti previdenziali ed assicurativi.

[17] L’assunzione del lavoratore la cui prestazione è utilizzata in “codatorialità” potrà anche formalmente essere effettuata dalla Rete di Imprese c.d. soggetto ai sensi dell’art. 3, comma 4 quater del D.L. n. 5/2009 e ss.mm.ii.

[18] Cfr. I. Alvino, “Contratto di rete e Diritto del Lavoro”, in G. Santoro Passarelli (a cura di), “Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale”, VII Edizione, UTET, 2017.

[19] Cfr. A. Recchia, “Contratto di Rete e disciplina dei rapporti di lavoro: titolarità dell’obbligazione e imputazione della responsabilità”, in Diritto delle relazioni Industriali, fasc. 1, 1 Marzo 2019, pag. 165.

[20] L’Osservatorio Nazionale sulle Reti di Impresa ha rilevato come, al 1 marzo 2023, il numero totale di imprese coinvolte in progetti di collaborazione è di 45.288 per 8.382 contratti registrati (dati Confindustria)