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Pubbl. Lun, 27 Mar 2023

Il mancato inserimento dell´italiano quale lingua ufficiale nella Costituzione: ragioni storico-giuridiche ed attualità della scelta

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Paolo Ciocia
AvvocatoUniversità degli Studi di Milano



La Costituzione italiana non prevede esplicitamente l’italiano quale lingua ufficiale. Le ragioni storico, culturali, giuridiche e politiche di una scelta consapevole e lungimirante dei costituenti. L’italiano, lingua della Repubblica nelle leggi ordinarie. La tutela delle minoranze linguistiche. Il dibattito nelle istituzioni: le ragioni “difensive” nelle proposte parlamentari per l’inserimento della lingua italiana nella Costituzione quale lingua ufficiale. La lingua italiana nel riparto delle competenze del titolo V della Costituzione. La validità ancora attuale della scelta del costituente.


ENG

The non-inclusion of Italian as an official language in the Constitution: historical-legal reasons and relevance of the choice

The Italian Constitution does not explicitly provide for Italian as an official language. The historical, cultural, and political reasons for a conscious and forward-looking choice of constituents. Italian as the language of the Republic in ordinary laws. The protection of linguistic minorities. The debate in the institutions: the "defensive" reasons for the parliamentary proposals for the inclusion of the Italian language in the Constitution as an official language. The Italian language in the division of competences under Title V of the Constitution. The still current validity of the choice of the constituent.

Sommario: 1. La questione della lingua italiana nello Statuto Albertino e nei dibattiti dei primi anni dell’Unità d’Italia; 2. Le ragioni della scelta del Costituente di non statuire in ordine alla lingua ufficiale dello Stato. La “costituzionalizzazione implicita” dell’italiano; 3. Il riconoscimento esplicito dell’italiano quale lingua della Repubblica italiana nelle fonti normative ordinarie; 4. L’italiano quale lingua ufficiale nella Costituzione nelle proposte di legge parlamentari: prevalenza di ragioni “politiche” difensive rispetto alla valenza giuridica della scelta; 5. Le (pretese) ragioni per la costituzionalizzazione della lingua ufficiale nel panorama europeo; 6. L’eccesso di ragioni difensive nazionalistiche nella rivendicazione della ufficialità della lingua italiana; 7. La lingua italiana nel riparto delle competenze del titolo V della Costituzione; 8. Conclusioni.

1. La questione della lingua italiana nello Statuto Albertino e nei dibattiti dei primi anni dell’Unità d’Italia

Può sembrare singolare, ma nella nostra Costituzione non vi è alcuna statuizione, nessun riferimento esplicito all’italiano quale lingua ufficiale.

Diversamente da quanto è accaduto per la Costituzione repubblicana, è interessante notare che il previgente Statuto Albertino del 1848 contenesse un riferimento esplicito alla lingua nell’art. 62: «La lingua italiana è la lingua ufficiale delle Camere. È però facoltativo di servirsi della francese ai membri che appartengono ai paesi in cui questa è in uso e in risposta ai medesimi». Ancora più singolare è che i lavori preparatori dello Statuto Albertino redatto in lingua italiana si fossero svolti in lingua francese. La ragione più ovvia di questa curiosa antinomia è che nello Statuto il riferimento all’italiano quale lingua ufficiale dovesse valere come (ulteriore) elemento e principio di integrazione di una unità parlamentare nazionale che andava nascendo [1]; una ragione già sostanzialmente affievolitasi cento anni dopo, in seno all’Assemblea costituente del 1946. Anche perché sino alla fine del Risorgimento prima dello Statuto Albertino, nessuna autorità politica aveva imposto la lingua toscana (poi italiana), quale lingua ufficiale e l’italiano era solo una lingua letteraria, utilizzata nei rapporti tra le autorità dei diversi stati preunitari, che ha continuato a persistere con i dialetti, diversamente da quanto avvenuto in altri Paesi europei.

Durante il Risorgimento l’uso dell’italiano era artificioso e comunque eccezionale rispetto alla naturalezza dei dialetti diffusi sul territorio; la sua acquisizione compiuta al rango nazionale, non avrebbe potuto avvenire attraverso i normali rapporti quotidiani della vita associata privata e pubblica o l’azione di maestri toscani ma solo attraverso un intervento legislativo ed un suo oculato inserimento nella struttura didattica della scuola nazionale che tenesse conto della realtà complessivamente articolata e sedimentata nel tempo. La situazione linguistica dell’Italia appena unificata evidenziava le profonde fratture storiche tra le regioni e tra le classi sociali esistenti nel Paese; uno degli obiettivi principali dei primi governi del Regno d’Italia fu quello di favorire l’unità linguistica quanto più velocemente, in modo da suscitare nei cittadini un maggiore senso di appartenenza comune [2].

La lingua italiana ed il ruolo della scuola agli albori dello Stato italiano furono al centro di riflessioni e studi di altissimo profilo che coinvolsero grandi personalità politiche e della cultura dell’epoca. La riforma del 1867 che porta il nome del Ministro della Pubblica Istruzione dell’epoca Michele Coppino [3], conteneva direttive sullo studio dell’italiano orientate ad evitare pronunce scorrette dovute all’influsso dei dialetti e ripercussioni sull’ortografia, anche se mancavano indicazioni puntuali su cosa fosse concretamente “questo” italiano: la “questione della lingua” doveva essere affrontata, in termini politici, nell’ambito delle nuove problematiche educative e sociali. Ed infatti, con decreto del 14.1.1868 il ministro Emilio Broglio nominò due commissioni una milanese (Alessandro Manzoni presidente generale nella sua qualità di Senatore del Regno oltre che di immenso letterato e scrittore) ed una fiorentina (affidata al Lamborghini) per redigere una relazione sulla questione linguistica nell’Italia appena unificata ed elaborare un progetto unitarista. Nella Relazione finale dal titolo “Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla” del 19 febbraio dello stesso anno [4], Manzoni indicò il fiorentino “vivo” contemporaneo come base dell’insegnamento e suggerì di compiere uno stretto controllo sui libri di testo. Ma le precarie condizioni della scuola italiana e una serie di questioni ideologiche e culturali non consentirono di attuare questo tipo di politica centralizzata e di risolvere la questione comunicativa e didattica.

In questo contesto è interessante sottolineare che l’auspicio del Manzoni[5], nonché di altri letterati[6] e politici, di unificare l’Italia anche linguisticamente fosse saldato all’attenzione per i dialetti, per evitare che la loro ricchezza storica si dissolvesse a vantaggio della lingua italiana che pure avrebbe dovuto accompagnare l’unificazione nazionale; ed anche nei programmi del 1880 per le scuole tecniche promossi da Francesco De Sanctis, Ministro dell’istruzione, si esortava a non denigrare il dialetto e avviare un confronto metodico tra dialetto e lingua dal punto di vista grammaticale e lessicale.

2. Le ragioni della scelta del Costituente di non statuire in ordine alla lingua ufficiale dello Stato. La “costituzionalizzazione implicita” dell’italiano

Il nostro legislatore costituzionale, attentissimo all’uso della lingua italiana nella redazione del testo della Carta fondamentale, fulgido esempio di semplicità, chiarezza e precisione linguistica, non intese inserirne l’affermazione solenne.

L’assenza di un esplicito elemento testuale non conduce tuttavia ad escludere l’assunto, desumibile dal nostro ordinamento, secondo il quale l’italiano possa ritenersi la lingua ufficiale della Repubblica Italiana.

Soccorrono in tal senso, riscontri interpretativi, sostanzialmente inequivoci e condivisi, ricavabili dallo stesso testo costituzionale, nonché, sia pure in termini indiretti, disposizioni contenute nelle norme ordinarie, e negli atti normativi di rango inferiore, tutti da leggere nella visione complessiva dell’ordinamento anche alla luce del contesto storico politico in cui si è formata l’unità d’Italia, prima, la Repubblica costituzionale dopo.

Nella ricostruzione di un fondamento costituzionale implicito del rango della lingua italiana, è inoltre determinante l’apporto della Corte costituzionale, la quale, come si vedrà, ha avuto modo più volte di operarne una puntuale qualificazione nel nostro ordinamento.

Un primo elemento di conforto in ordine alla costituzionalizzazione implicita della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica è fornito dall’apparente ovvietà che essa sia stata redatta in lingua italiana, con particolare attenzione che si trattasse di un italiano chiaro e puntuale [7].

Nei lavori dell’Assemblea costituente emerge con evidenza la preoccupazione dei Costituenti che la lingua, nelle singole parole e nelle disposizioni precettive, fosse effettivamente compresa da tutti e potesse risultare idoneo veicolo di diffusione tra i cittadini delle norme fondamentali che essa esprimeva [8]. Una preoccupazione esplicitamente connessa alla stessa funzione che essa avrebbe svolto nella costruzione degli assetti democratici ed ampiamente condivisa tra le forze politiche.

In quel momento storico la lingua italiana, seppure nella sua struttura più semplice era certamente lo strumento comunicativo più largamente condiviso, sebbene fosse ancora molto alto il tasso di analfabetismo [9].

I Padri costituenti del 1948 ritennero dunque pleonastica la costituzionalizzazione dell’ufficialità della lingua italiana, considerandola un dato di fatto consolidato; infatti, nel dibattito sviluppatosi in quella fase storica emerge chiaramente che il tema della lingua ufficiale fosse vissuto come ovvietà indiscutibile.

Implicita conferma di tale assunto è fornita da un argomento a contrario, ossia dalla particolare attenzione dei Costituenti per la tutela delle minoranze linguistiche [10], manifestata nell’art.6 Cost.: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche» [11]. La norma, oltre a ciò che dispone esplicitamente in modo innovativo e di grande rilievo sul piano storico [12], riconosce implicitamente, l’esistenza di una lingua propria della grande maggioranza della popolazione, dal momento che le minoranze sono tali solo rispetto ad una lingua (ufficiale) maggioritaria che non può non essere l’italiano utilizzato nella redazione della Carta fondamentale [13].

Furono, dunque, razionali considerazioni sistematiche a suggerire di non esplicitare in norma costituzionale il rango della lingua italiana nel nascente nuovo assetto repubblicano dello Stato.

Nell’ottica del legislatore costituzionale, attento a misurare le parole ed evitare inutili eccessi linguistici, la soluzione appare comprensibile [14].

Tuttavia, oltre quella esposta, vi furono anche altre ragioni per evitare di enfatizzare in costituzione l’aspetto della ufficialità della lingua.

Anzitutto, all’epoca (forse anche oggi), la stessa definizione di “lingua” (italiana) avrebbe potuto non risultare del tutto rigorosa sotto un profilo tecnico scientifico, così come non chiara avrebbe potuto essere la sua distinzione rispetto ai dialetti esistenti sul territorio italiano [15].

L’Italia era (ed è) ricca di costumi e di caratteristiche identitarie specifiche delle tante realtà culturali che la popolano, tanto che la salvaguardia del pluralismo sociale ha meritato un prioritario riconoscimento giuridico costituzionale[16]; a quel tempo erano quindi utilizzati comunemente molteplici idiomi, «ciascuno dei quali peculiare di una particolare “società microterritoriale” per cui la stessa categoria unitaria di “italiano” si è costruita sulla confluenza di numerose sottocategorie distinte e individuabili che non  rappresenta un’identità chiusa e rigida»[17]. Una ragione, dunque, tecnica attinente alla sedimentazione storica della lingua (italiana) prevalente [18], idonea ad una funzione unitaria (e tendenzialmente) identitaria ne suggeriva quindi l’adozione de facto, senza bisogno di ulteriori formalizzazioni costituzionali.

Inoltre, non estranea a tale decisione fu anche l’esigenza di non marcare elementi di nazionalismo linguistico che l’era fascista aveva esasperato. Si lasciò dunque che l’elemento di fatto divenisse elemento giuridico nell’evoluzione spontanea del radicamento della lingua italiana su tutto il territorio nazionale, evoluzione poi favorita da programmi scolastici tesi a consolidarne la diffusione e la progressiva sua sovrapposizione ad altre lingue (dialetti) locali anche di tradizione ultracentenaria [19].

La scelta del costituente fu dunque orientata alla sostanza, più che alla declamazione formale di un principio e fu quella di rendere l’italiano, anzitutto attraverso la legge fondamentale della Repubblica, il veicolo e l’alimento del processo di rifondazione democratica dello Stato che si avviava in quegli anni. In quest’ottica, il contenitore linguistico era elemento immanente al contenuto, perché si volle che la più gran parte delle parole utilizzate fossero pienamente comprensibili al popolo sovrano [20].

Ulteriore soccorso in ordine alla qualificazione costituzionale implicita della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica, viene dall’autorevole giurisprudenza della Corte costituzionale.

Già nella sentenza n. 28 del 1982 [21], la Corte ebbe modo di definire la lingua italiana “unica lingua ufficiale” del sistema costituzionale; successivamente confermò tale qualificazione enucleandola dal contenuto implicito dell’art. 6 Cost. innanzi citato e da quello esplicito dell’art. 1, comma 1, legge 15 dicembre 1999 n. 482[22], sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche, ove l’affermazione è netta: «La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano»; nonché infine, in altro contesto e per altre finalità, dall’art. 99 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige [23].

Sulla base di tali riferimenti normativi e della ricostruzione fondata sul complessivo sistema ordinamentale, la Corte specificò che tale qualificazione della lingua italiana «non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale», teso a evitare che altre lingue «possano essere intese come alternative alla lingua italiana» o comunque tali da porre quest’ultima «in posizione marginale» [24].

In altre pronunzie, la Corte ha apportato ancora altri elementi di notevole pregnanza alla questione; sulla base del  «principio fondamentale» della tutela delle minoranze linguistiche di cui all’art. 6 Cost., il Giudice delle leggi ha definito dapprima la lingua  «elemento fondamentale di identità culturale e (…) mezzo primario di trasmissione dei relativi valori»[25],  poi «elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare»[26], per ribadire infine che la lingua italiana è - nella sua ufficiale primazia -  vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall’art. 9 Cost. [27]. Un riconoscimento chiaro della costituzionalizzazione implicita dell’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica italiana.

Appare molto significativo che la Corte Costituzionale, nelle sentenze in cui ha ricostruito il ruolo della lingua nell’ordinamento, abbia sottolineato che  la centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana si evidenzia particolarmente «nella scuola e nelle università, le quali, nell’ambito dell’ordinamento “unitario” della pubblica istruzione»[28], ossia nei luoghi istituzionalmente deputati alla trasmissione della conoscenza «nei vari rami del sapere»[29]  e alla formazione della persona e del cittadino. Perché in tali luoghi, sempre secondo la Corte, il primato della lingua italiana si incontra con altri principî costituzionali, con essi combinandosi e, ove necessario, bilanciandosi: il principio d’eguaglianza sotto il profilo della parità nell’accesso all’istruzione, diritto che la Repubblica, ai sensi dell’art. 34, III co. Cost., ha il dovere di garantire sino ai gradi più alti degli studi ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi; la libertà d’insegnamento, garantita ai docenti dall’art. 33, I co. Cost., la quale, se è suscettibile di atteggiarsi secondo le più varie modalità, «rappresenta pur sempre (…) una prosecuzione ed una espansione della libertà» della scienza e dell’arte [30].

Di grande rilievo, in tale ottica è la sentenza 42 del 2017: (…) «il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì – lungi dall’essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità – diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé» [31].

3. Il riconoscimento esplicito dell’italiano quale lingua della Repubblica italiana nelle fonti normative ordinarie 

Nella ricostruzione di una linea interpretativa che possa supportare la tesi della presenza della lingua italiana nell’ambito dei principi generali dell’ordinamento costituzionale, vi è dunque anche un dato normativo positivo.  Anzitutto la citata legge 15 dicembre 1999 n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” [32]; essa sancisce il carattere ufficiale della lingua italiana quale lingua della Repubblica e la valorizzazione del patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, all’art. 1 dispone: “La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge” [33].

Il principio qui esplicitato viene poi ribadito in altre disposizioni; ad esempio al IV comma dell’art. 7, rubricato Uso delle lingue tutelate nell’esercizio di funzioni pubbliche, si legge: «È comunque stabilito che, qualora gli atti destinati ad uso pubblico siano redatti nelle due lingue, producono effetti giuridici soltanto quelli in lingua italiana», ed al successivo art. 8 «Viene prevista inoltre, […], la pubblicazione nella lingua tutelata degli atti ufficiali dello Stato, delle regioni, degli enti locali (…), fermo restando il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in italiano».

Il rango “ufficiale” della lingua italiana poteva essere rintracciato sin dall’ordinamento pre-costituzionale, molto prima della legge n. 482 del 1999 sulla tutela delle minoranze linguistiche[34]; anzitutto nell’art. 54 della legge sul notariato n. 89 del 1913: «Gli atti notarili devono essere scritti in lingua italiana» [35]; nonché nell’art. 271 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, tuttora vigente, ove si legge «La lingua italiana è la lingua ufficiale dell'insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari»[36] ed anche indirettamente confermato da altre rilevanti fonti normative tra le quali l’art. 122 del Codice di procedura civile, approvato con R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443, rubricato Uso della lingua italiana. Nomina dell'interprete, il quale dispone: «In tutto il processo è prescritto l'uso della lingua italiana» [37]; in epoca repubblicana, una fonte normativa di rango assimilabile al costituzionale può ritrovarsi nello Statuto della Regione Valle d’Aosta, approvato con la legge costituzionale. n. 4 del 1948, (poi modificata dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001 n. 2) che all’art. 38, commi 1 e 2 dispone: «Nella Valle d'Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana. Gli atti pubblici possono essere redatti nell'una o nell'altra lingua, eccettuati i provvedimenti dell'autorità giudiziaria, i quali sono redatti in lingua italiana»; nel citato Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, con il d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 99; di rango ordinario, l’art. art. 109 del Codice di procedura penale, approvato con il d.lgs. n. 447 del 1988,: «Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana».; nonché ancora, tra gli altri, il d.P.R. n. 396 del 2000 sull’ordinamento dello stato civile.

Ulteriore conferma implicita dell’italiano quale lingua ufficiale della repubblica, deriva dell’attività istituzionale delle due Camere del Parlamento italiano. Anzitutto perché l’uso dell’italiano costituisce il presupposto per garantire l’attuazione del principio costituzionale della pubblicità dei lavori parlamentari attraverso il resoconto degli interventi, le rispettive presidenze non hanno mai consentito di intervenire in altre lingue, fossero dialetti o lingue proprie dei parlamentari eletti all’estero [38].

La stessa Corte costituzionale, proprio sul punto specifico, ebbe modo di raccordare l’uso della lingua “comune” nei resoconti e negli atti delle assemblee politiche istituzionali all’insopprimibile estrinsecazione ed attuazione del principio democratico [39].

Vi sono dunque consistenti ragioni per ritenere implicitamente costituzionalizzato il rango del principio della ufficialità [40] della lingua italiana [41].

4. L’italiano quale lingua ufficiale nella Costituzione nelle proposte di legge parlamentari: prevalenza di ragioni “politiche” difensive rispetto alla valenza giuridica della scelta

Nonostante la rilevata costituzionalizzazione implicita del principio di ufficialità della lingua italiana, il dibattito sull’inserimento formale della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica, essenzialmente politico, ha ripreso negli ultimi decenni nuova linfa quasi come contraltare per arginare due tendenze opposte ma ritenute entrambe degenerative, l’una interna l’altra esterna,  e preservare i caratteri fondamentali della propria identità nazionale; la prima determinata dal progressivo rafforzamento costituzionale delle autonomie locali originato dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, la seconda caratterizzata dalla globalizzazione e dall’impatto di mondi eterogenei rispetto al sistema culturale nazionale, entrambi avvertiti come potenziale fonte  di disaggregazione di entità identitarie; un’esigenza recepita e trasferita a livello politico parlamentare in numerose proposte di legge succedutesi a partire dagli anni ’90 - tutte arenatesi difronte alla complessità del procedimento aggravato  -  dirette a rafforzare alcuni elementi costitutivi ed identificativi dell’unità nazionale, tra i quali, a prescindere dalle diversità locali, la lingua italiana, proposte intese a riportare formalmente nell’ambito costituzionale la primazia ufficiale della lingua nazionale italiana.

Tali iniziative di legge costituzionale hanno caratterizzato, con varie sfumature di accento, circa un ventennio a cavallo del nuovo millennio, per poi affievolirsi negli ultimi anni forse anche a causa di altre, eccezionali urgenze.

Una prima iniziativa diretta alla modifica costituzionale nel senso indicato è sostanzialmente correlata all’approvazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, sulla tutela dei patrimoni delle “minoranze linguistiche storiche”, in attuazione all’art. 6 Cost., legge nella quale, come ricordato, si sanciva in modo esplicito, l’ufficialità della lingua italiana [42].

L’iniziativa parlamentare intendeva elevare il livello dalla fonte dal rango ordinario a quella costituzionale; nella seduta del 26 luglio 2000, la Camera aveva approvato in prima lettura una proposta di legge costituzionale diretta ad introdurre un comma aggiuntivo all’art. 12 Cost. : «La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica» [43], che avrebbe inteso affiancare due degli elementi identificativi dell’appartenenza alla comunità nazionale della Repubblica italiana, la bandiera e la lingua, nell’ambito dei principi fondamentali. Tuttavia, il sopraggiungere del termine della legislatura impedì di completare l’iter aggravato di cui all’art. 138 Cost.

Ulteriore tentativo di simile portata venne attuato nel corso della XV legislatura quando si giunse alla redazione di un testo unificato di quattro proposte di legge [44], approvato in prima lettura dalla Camera il 28 marzo 2007, intitolato «Modifica all’articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica».

Costituzionalizzare questo principio, pur «nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali», con riferimento alla tutela delle minoranze linguistiche, ex art. 6 Cost. era apparso ai promotori un atto dovuto a tutela del patrimonio storico e culturale del nostro Paese; nonché il più alto riconoscimento del valore che la lingua comune ha assunto nella costruzione della coscienza nazionale, intesa come senso di appartenenza a un’unica nazione, la quale, benché originata da frammentazioni locali, può dirsi erede una storia e civiltà comuni [45].

5. Le (pretese) ragioni per la costituzionalizzazione della lingua ufficiale nel panorama europeo

Un ulteriore elemento “difensivo” a favore della proposta di rafforzamento costituzionale della lingua italiana che emerge dalle proposte parlamentari è connesso all’affermazione di un principio di identità comune che assumerebbe rinnovata importanza in una società sempre più pluralista e diversificata. Infatti - si afferma - accanto alle minoranze linguistiche e culturali che il nostro Paese ha conosciuto nei secoli, si stanno diffondendo nel territorio comunità di diversa matrice e provenienza, circostanza che condurrebbe alla necessità a consolidare i principi fondamentali della nostra comunità e rafforzare elementi di base per l’integrazione in un tessuto comune. Proprio la lingua, primo meccanismo di socializzazione e di integrazione, insieme alle regole fondamentali della convivenza civile, costituisce il veicolo per la costruzione del diritto di cittadinanza dal punto di vista civile e politico, ancora prima che da quello giuridico; per tale ragione, secondo i promotori delle iniziative, è uno dei fondamentali fattori identitari da preservare simbolicamente. Per tale ragione, nonostante il processo di integrazione europea si fondi su multiculturalismo e multilinguismo, alcuni Paesi europei proprio nell’attuale contesto politico e istituzionale di consolidamento dell’Unione europea, che vede allargata a nuovi Stati con nuovi strumenti istituzionali, hanno sentito la necessità di inserire nelle proprie Costituzioni il riferimento alla lingua ufficiale fin dall’approvazione del Trattato di Maastricht.

L’esempio più significativo è rappresentato dalla Francia che, con legge costituzionale 25 giugno 1992, n. 92-554, aggiunse all’art. 2 della Carta del 1958 la disposizione secondo cui: «La lingua della Repubblica è il francese». Tale novella costituzionale fu inserita per fronteggiare l’eventualità che il processo di unificazione europea potesse favorire l’espansione di altre lingue – particolarmente dell’inglese – in danno del francese, nonché per conferire al francese quel supporto giuridico necessario nel caso in cui fosse sorto un conflitto con una qualche lingua regionale (alsaziano, bretone, corso, etc.) [46].

6. L’eccesso di ragioni difensive nazionalistiche nella rivendicazione della ufficialità della lingua italiana

È facile osservare che nel dibattito parlamentare italiano, la richiesta di costituzionalizzazione della lingua italiana è emersa non solo per ragioni difensive rispetto alla invasione di espressioni straniere nel nostro ordinamento linguistico, ma anche per rivendicarne orgogliosamente una riaffermazione in Europa, quasi come rimedio o rivincita rispetto alla perdita di importanza in ambito comunitario di una lingua non considerata necessaria nei “lavori interni” delle istituzioni europee.

Non vi è dubbio che molte di queste iniziative parlamentari siano state alimentate, se non proprio promosse, per intenti di visibilità politica di questo o quel partito nella rivendicazione difesa di valori e confini identitari nazionali da pretese aggressioni esterne, anche in tempi di forti flussi migratori in entrata; iniziative parlamentari che hanno talvolta esasperato  la “difesa dell’italiano” con connotazioni (più politiche che giuridiche) marcatamente nazionaliste, in aperto contrasto ai valori e principi dell’integrazione europea ed allo sviluppo delle diversità e degli scambi culturali [47], lasciando emergere la tentazione dell’imposizione di una “lingua ufficiale di Stato”, quasi curiale, lingua prefissata della burocrazia e del cerimoniale, obbligatoria quantomeno per i pubblici uffici,  la cui “purezza” avrebbe dovuto esser presidiata da enti statali costituiti a tale fine.

E’ proprio in questa logica che diverse proposte di legge succedutesi nel tempo a partire dal 2001[48]  hanno ipotizzato la creazione di un  Consiglio superiore della lingua italiana, «organismo di ausilio della politica linguistica del Governo» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con il compito di «elaborazione di una grammatica “ufficiale” della lingua italiana e compilazione di un “dizionario dell'uso” da aggiornare periodicamente»  «rivolto nell'ambito degli orientamenti generali definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, alla tutela, alla promozione ed alla diffusione della lingua italiana in Italia e fuori dell'Italia, ed alla politica nei confronti delle lingue straniere» fino ad «indicare, ed eventualmente coniare, espressioni linguistiche semplici, efficaci ed immediatamente comprensibili, da usare nelle amministrazioni pubbliche e private»[49] .

Gli eccessi nazionalistici esasperati, che lasciano emergere un fondamento marcatamente “politico” di tali proposte, accrescono i dubbi già rappresentati sul piano strettamente giuridico in ordine all’esigenza di una formale costituzionalizzazione del rango della lingua italiana; semmai, al contrario, confortano nel ritenere saggia politicamente e corretta giuridicamente la scelta del Costituente di accogliere implicitamente un dato di fatto, riferito ad una lingua nazionale viva, organismo in costante evoluzione [50].

7. La lingua italiana nel riparto delle competenze del titolo V della Costituzione

L’assenza di specifica disposizione costituzionale in ordine alla lingua italiana, ma soprattutto la considerazione che la lingua non possa essere a rigore ritenuta una “materia” conduce a ritenere che non si ponga una questione di riparto di competenze tra Stato e regioni in quest’ambito; così come, alla luce del titolo V della Costituzione, la tutela delle minoranze linguistiche e delle lingue regionali costituisce un obiettivo più che una materia in senso proprio, come tale non oggetto di riparto. La Corte Costituzionale, ha ricordato che il tema della tutela della lingua appare naturalmente (…) refrattario ad una rigida configurazione in termini di “materia” [51] quale criterio di riparto delle competenze normative; in ordine all’attuazione dell’art.6 Cost., ed al criterio di distribuzione delle attribuzioni fra Stato e Regioni, la Corte ha osservato «che non corrisponde alle ben note categorie previste per tutte le altre materie nel Titolo V della seconda parte della Costituzione, sia prima che dopo la riforma costituzionale del 2001»[52]. Infatti, sia le minoranze linguistiche sia la lingua in generale, non compaiono tra le materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato, né tra le materie attribuite alla competenza concorrente di Stato e Regioni [53]. Tuttavia, è possibile ritrovare all’interno di queste ultime materie in cui le Regioni legiferano nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge statali, spazi per un significativo intervento delle autonomie regionali. Tra queste materie figurano infatti sia l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, sia la valorizzazione dei beni culturali e ambientali; in questo ambito ed all’interno dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le Regioni possono e devono tutelare e valorizzare gli idiomi regionali e locali, considerati alla stregua di “beni culturali” [54].

Risulta evidente, in questo contesto, che il riconoscimento implicito dell’italiano quale lingua (ufficiale) della Repubblica nella Costituzione, non possa in alcun modo leggersi in opposizione alla vivacità del patrimonio linguistico dei diversi contesti regionali e locali, oltre che in ragione del già citato obbligo di tutela di cui all’art. art. 6 Cost. [55], anche per il divieto esplicito di ogni discriminazione fondata sulla lingua. contenuto nei principi fondamentali [56], in particolare nell’art. 3 della Costituzione.

Una perfetta sintesi della questione, atta a coniugare profili storico evolutivi a profili giuridici, è offerta ancora dalla Corte Costituzionale, la quale, con la puntualità argomentativa giuridica del suo alto magistero, in occasione dei giudizi di costituzionalità riferiti principalmente all’art. 6 Cost., ebbe modo di ricostruirne le linee essenziali nel quadro dei valori e delle garanzie costituzionali;  tra tutte, nella già citata sentenza 42 del 2017 si legge: «La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l’erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare senz’altro, sotto molteplici profili, tale funzione della lingua italiana: il plurilinguismo della società contemporanea, l’uso d’una specifica lingua in determinati ambiti del sapere umano, la diffusione a livello globale d’una o più lingue sono tutti fenomeni che, ormai penetrati nella vita dell’ordinamento costituzionale, affiancano la lingua nazionale nei più diversi campi. Tali fenomeni, tuttavia, non debbono costringere quest’ultima in una posizione di marginalità [,,,] » [57].

8. Conclusioni

Ancora una volta il legislatore costituente aveva saputo orientare la scelta con sguardo lungimirante.

La mancata previsione, al contrario di quanto avvenne come visto per lo Statuto Albertino, di una espressa disposizione che statuisca in Costituzione “La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica” si fonda su intuizioni e ragioni tecniche, storico-sociali, oltre che giuridiche, di altissimo pregio.

Ragioni che oggi, per quanto si è cercato di dimostrare, appaiono ancora più fondate.

Di là della difficoltà di definire cosa e quale sia la “lingua italiana” tanto da poterne fare un postulato normativo, la lingua generale è, per sua natura materia viva, in continua evoluzione, rispetto alla quale mal si attaglia la definizione di “ufficiale” che presupporrebbe enti pubblici di controllo, catalogazione ed appositi manuali d’uso, ossia uno spettro nefasto di tempi che proprio la nascita dello Stato democratico repubblicano aveva inteso cancellare.

Il Costituente ha coscientemente operato la scelta di un richiamo implicito, ma chiaro ed efficace alla lingua italiana quale essa era (ed è) nella dimensione storico evolutiva e, soprattutto, quale strumento di comunicazione e partecipazione democratica poiché patrimonio immateriale del popolo italiano, bene culturale in sé” ed «elemento fondamentale di identità culturale e […] mezzo primario di trasmissione dei relativi valori» [58].

Il richiamo costituzionale implicito all’italiano quale lingua della repubblica italiana sembra dunque agire, come una sorta di riserva di legge aperta all’evoluzione linguistica, che consente di implementare, nel sottosettore linguistico del diritto, l’evoluzione della lingua comune quale strumento condiviso di comunicazione e trasmissione di valori.

Una soluzione di tal fatta consente, da un lato, di evitare le pericolose conseguenze dell’imposizione di una “lingua ufficiale di Stato” inevitabilmente non neutra negli equilibri costituzionali, con riflessi sul sistema democratico; dall’altro di consentire respiro e vitalità alla lingua comune e favorire, comunque all’interno di un sistema di regole, la “relazione” tra il diritto e gli altri sottosistemi sociali [59].

In questa scelta, razionale e lungimirante, c’è la stessa logica di sistema che ha reso la nostra Costituzione baluardo dei fondamenti democratici e insieme capace di continua rigenerazione pur nella rigidità formale dell’impianto normativo [60]. A ben vedere, lo stesso contesto costituzionale italiano, già in forza dell’art. 2 orienta, anche di fronte a situazioni nuove, verso la ricerca di un fattore di unificazione che non necessariamente origini o si esaurisca nella imposizione di un elemento linguistico comune, ma anzitutto nella condivisione di un’aspirazione alla difesa del libero sviluppo della persona umana e nella diffusione dello spirito di tolleranza fra gli individui e fra i gruppi. Infatti, se la lingua è indubbiamente mezzo per costruire una comunità, è anche essa stessa «indice rilevatore dell’esistenza di una identità comune» [61].

Solo in questa logica di sistema, all’interno delle coordinate costituzionali, potrebbe oggi essere rivalutata ed orientata una politica linguistica [62], nella quale vi sia l’approdo di un moderno concetto di cittadinanza attiva, partecipe e responsabile, quasi a riprendere in altro contesto storico e culturale, un’aspirazione già manifestata dal senatore Manzoni.

Una politica linguistica capace di superare l’insidia delle derive nazionalistiche, sottese al rapporto tra lingua e potere [63] ed al contrario capace di unificare modernamente componenti e tendenze diverse, perché la lingua non è chiusa ad interventi esterni così non può esserlo un moderno Stato costituzionale pluralista.

La valorizzazione della lingua italiana, bene culturale e sociale nell’ottica costituzionale di integrazione e partecipazione [64], fuori da formali imposizioni può anzi rafforzare la sua funzione democratica di mediazione; in tal modo concorrere, per tutti, allo sviluppo di competenze più ampie di quella linguistica, in favore di «una intelligenza sociale che favorisca lo sviluppo di un atteggiamento di disponibilità, curiosità, interesse per la scoperta […] di comportamenti, sistemi di valori e di credenze diverse dai propri» [65],  da integrare nell’ esperienza di vita personale e collettiva.

La lingua italiana non venne dunque imposta in via ufficiale nella Costituzione per una ragione solo apparentemente semplice: perché è immanente alla Costituzione, esempio di scelte linguistiche collettive ed in essa si compenetrano modalità di espressione linguistica e sistema di valori espressi;  perché la lingua italiana è la Costituzione stessa, come questa, capace di costituire «elemento di identità individuale e collettiva» [66] della Repubblica democratica italiana, riferimento solido ed insieme capace di continua vitale rigenerazione.


Note e riferimenti bibliografici

1 Già agli albori della nascita dello Stato Italiano (1861) e della lingua nazionale, Niccolò Tommaseo, insigne letterato, auspicava l’affidamento agli Accademici di propri pareri circa «il linguaggio dell’amministrazione e delle leggi»: [Desidero] «che il linguaggio dell’amministrazione e delle leggi, per farsi degno di così grande e colta Nazione, dovendo essere e più corretto e meglio determinato, le proposte da farsi a tal fine avessero dal Consiglio degli Accademici una qualche norma e risoluzione dei dubbi» (Archivio dell’Accademia della Crusca, Verbali, 28 aprile 1868). La citazione è tratta da N. MARASCHIO, La lingua italiana tra passato e futuro, Firenze, 2015; sul profilo generale, AA.VV. Città d’Italia. Dinamiche linguistiche postunitarie, a cura di Banfi, Maraschio, Firenze 2014

2 Un’interessante analisi in termini linguistici e filologici dei più importanti testi costituzionali della storia italiana tesa a ricostruire le stratificazioni lessicali e testuali formatesi dalla fine del diciottesimo secolo alla metà del ventesimo è in L. SPAGNOLO, L’italiano Costituzionale, Dallo Statuto Albertino alla Costituzione Italiana, in Studi di Italianistica, a cura di Giovanardi, Napoli, 2012, 1 ss.

3 Michele Coppino, politico e letterato italiano (Alba 1822 -1901), professore di eloquenza nell'università di Torino, e poi Rettore, deputato dal 1861, fu quattro volte ministro della Pubblica Istruzione dal 1867 al 1888. Autore di rilevanti leggi in materia scolastica, tra cui quella del 15 luglio 1877 che introdusse in Italia l'obbligo dell'istruzione elementare gratuita.

4 Pubblicata nella Nuova Antologia di Firenze (VII, 1868, pp. 425-41) e nella Perseveranza di Milano il 5 marzo 1868. ora in Bimestrale della Biblioteca “G. Spadolini” a cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche n. 8, Nuova Serie, aprile 2012. La sezione fiorentina non approvò la relazione e ne pubblicò altra, sempre in Nuova Antologia di Firenze (VIII, 1868, 99-108). Il Manzoni si dimise dall’incarico e pubblicò altri suoi interventi sul punto; tra questi, Lettera intorno al De Vulgari eloquio in Perseveranza, 21.3.1868 e Lettera intorno al Vocabolario, ibidem, 20.4.1868.

5 Manzoni aveva persino proposto una pubblicazione di vocabolari dialettali italiani.

6 Nella prefazione al dizionario piemontese-italiano pubblicato nel 1859 da Vittorio di Sant’Albino,1859, p. X-XI, si trova una riflessione che può essere così riassunta: la raccolta dei materiali dialettali si rivela utile proprio perché i dialetti stessi sono destinati a cedere il passo alla lingua nazionale.

7 Anche lo Statuto Albertino, Costituzione del Regno d’Italia era stato redatto in lingua italiana, sebbene - dato estremamente singolare, ma storicamente comprensibile - i lavori preparatori si fossero svolti in lingua francese.

8 Un’analisi della tecnica linguistica adoperata dal costituente è in L. CIGNETTI, Sfondi e rilievi testuali nella Costituzione della Repubblica Italiana in Rilievi. Le gerarchie semantico-pragmatiche di alcuni tipi di testo, a cura di Ferrari, Firenze, 2005, 85 ss. il quale parla di scelta di uso di gerarchie tematico-informative come mezzo strutturante della monofomia del testo costituzionale. Ivi ulteriori richiami.

9 Sul punto T. DE MAURO, Storia linguistica dell’Italia unita, Roma-Bari, 1970. Si veda altresì M.G. LO DUCA, Lingua italiana ed educazione linguistica. Tra storia, ricerca e didattica, Roma, 2013, 42 ss. Sui rapporti fra il concetto di nazione e quello di lingua, P. CARROZZA, voce Nazione, in Digesto delle discipline pubblicistiche, X, Torino, 1995, 126 ss.

10 A. PIZZORUSSO, Il pluralismo linguistico tra Stato nazionale e autonomie regionali, Pisa, 1975, 20 ss., definì la lingua della minoranza un “bene culturale”, sottolineando come tale prospettiva, intrinsecamente legata al principio pluralista, fosse stata infatti avversata dal regime fascista.

11 Il tema della tutela delle minoranze linguistiche fu affrontato approfonditamente nei lavori preparatori della Costituzione. Inizialmente la Commissione dei settantacinque elaborò la norma affinché fosse collocata nel Titolo V relativo alle autonomie regionali e locali, nella II Parte della Costituzione; l’Assemblea ne modificò la collocazione e la inserì nei Principi fondamentali dopo l’art. 5, che contempera il principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica con quello della promozione delle autonomie locali.

12 Sul punto la dottrina è vastissima: A. PIZZORUSSO, Art. 6, in Commentario alla Costituzione a cura di Branca, Bologna, 1975; più recentemente V. PIERGIGLI, Commento all’art. 6, in Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto e Olivetti, Torino, 2006, 155 ss.  A. GUAZZAROTTI, Commento all’art. 6, in Commentario breve alla Costituzione a cura di Bartole e Bin, Padova, 2008, 53 ss; E. MALFATTI, La legge di tutela delle minoranze linguistiche: le prospettive ed i problemi ancora aperti, in Riv. dir. cost., 2001, 111.; P. CARROZZA, Lingua, politica, diritti: una rassegna storico-comparatistica, in Dir. pubbl. comp. eur., n. 4/1999, in part., 1465 ss.

13 Sull’art. 6 quale deroga al principio di uguaglianza e sulla diversità di significato tra gli artt. 3 e 6 Cost., P. BARILE, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna 1984, 39-40; M. UDINA, Sull’attuazione dell’art. 6 della Costituzione per la tutela delle minoranze linguistiche, in Giurisprudenza costituzionale 1974, 3605 ss.; C. FRANCHI, Problemi del bilinguismo nel Trentino-Alto Adige, in AA. VV., Atti del I Congresso di studi regionali, Padova 1955, 337 ss. A. PIZZORUSSO, L’uso della lingua come oggetto di disciplina giuridica, in Le Regioni, n. 1/1990, 8. D. AMIRANTE, La questione linguistica nello Stato multiculturale: profili comparativi, in Dir. pubbl. comp. eur., n. 4/2016, 919. A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici: una rassegna comparata, in Le Regioni, n. 6/1987, 1329 ss.

14 Sulla mancata previsione esplicita, in Costituzione, dell’italiano come lingua ufficiale: P. CARETTI, Lingua e Costituzione, Riv. AIC, n. 2/2014, 6. G. DELLA CANANEA, Lingue e diritti, in Osservatorio AIC, luglio 2015, 4. Sul tema, la sentenza Corte cost. n.42/2017 ritiene che la qualificazione dell’italiano come unica lingua ufficiale del «sistema costituzionale» sia «ricavabile per implicito dall’art. 6 Cost. ed espressamente ribadita nell’art. 1, comma 1, della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche), oltre che nell’art. 99 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige» (par. 3.1. del Cons. in dir.) Sul fronte della partecipazione, parla di “piena consapevolezza” già da parte dei costituenti italiani del ‘48 «dello stretto legame funzionale tra lingua, Costituzione e partecipazione politica» P. CARETTI, Lingua e Costituzione, cit., p. 3. Sul rilievo della partecipazione politica quale fattore d’integrazione, E. GROSSO, Multiculturalismo e diritti fondamentali nella Costituzione italiana, cit., 127;

15 La distinzione fra lingue e dialetti risultava e risulta ancora incerta, soprattutto in un contesto come quello italiano; sul punto, G. BARBINA, La geografia delle lingue, Roma, 1995 per il quale il problema della differenziazione fra lingua e dialetto è «puramente accademico e a volte fuorviante». Sui criteri per distinguere lingue e dialetti, si rimanda a S. BOLOGNINI, La tutela delle minoranze culturali nel contesto giuridico positivo, in Il meritevole di tutela, a cura di Lombardi Vallauri, Milano, 1990, 344 ss.

16 Specificamente sul rapporto tra art. 2 Cost. e diritti dello straniero, C. CORSI, Diritti fondamentali e cittadinanza, in Dir. pubbl., n. 3/2000, p. 793 ss.

17 L’osservazione è in M. FRANCHINI, “Costituzionalizzare” l’italiano: lingua ufficiale o lingua culturale? in Rivista Aic n. 3/2012

18 Nel saggio Nuove questioni linguistiche su «Rinascitdel 26 dicembre 1964 P.P. PASOLINI partiva dalla constatazione che in Italia non fosse mai esistita «una vera e propria lingua italiana nazionale» e che c’era stata piuttosto una «santissima dualità» tra italiano parlato, strumentale, e italiano scritto, letterario. Questa divaricazione è interpretata dall’A., come risultato della realtà storica della borghesia italiana, incapace di identificarsi con l’intera società della nazione.

19 Sul punto, P. CARETTI, Lingua e Costituzione, in Riv. AIC, n. 2/2014. Sul rapporto tra stato nazionale e plurilinguismo a seguito di “conflitti” tra le diverse matrici, ossia “dialettiche linguistiche” spesso scaturenti dall’unificazione di entità preesistenti sotto le insegne del moderno “stato nazionale”, si veda M. VEDOVELLI, Nuove configurazioni dello spazio linguistico italiano: il neoplurilinguismo, in, Lingua, istruzione e integrazione delle nuove minoranze, a cura di F. Biondi Dal Monte, Casamassima, Rossi, University Press, Pisa, 2017. In prospettiva storica, l’ampio studio di G. PROCACCI, Nazionalismi e questione della lingua, in Studi storici, n. 3/2007, 589 ss.; G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1992, 4 ss.

20 Come è noto il 90% delle parole adoperate nel testo risultavano essere quelle normalmente utilizzate nella lingua parlata all’epoca; ciò è tanto più rilevante se si pensa al modesto livello di alfabetizzazione presente in Italia nel 1948. L’eleganza e la semplicità della lingua italiana nella Costituzione del 1948, espressa con parole chiare, profonde, di uso comune, ha rappresentato, prima ancora dei precetti normativi contenuti, il luogo del riconoscimento di un popolo, il racconto di una storia, la condivisione di un valore di Stato, la costruzione di un futuro.

21 Corte cost., sent. n. 28 del 1982.

22 Legge 15 dicembre 1999 n. 482, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche. Il secondo comma dell’art. 1 così recita: «La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge». Questa legge venne qualificata dalla Consulta (sent. n.159 del 2009) come ricognitiva e interpretativa di un principio costituzionale implicito.

23 Art. 99 dello Statuto del Trentino-Alto Adige: «Nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente statuto è prevista la redazione bilingue»,

24 Corte cost.  sent. n. 159 del 2009.

25 Corte cost. sent. n. 62 del 1992.

26 Corte cost. sent. n. 15 del 1996.

27 Corte cost. sent. n. 88 del 2011.

28 Corte cost. sent. n. 383 del 1998.

29 Corte cost. sent. n. 7 del 1967.

30 Corte cost. sent- n. 240 del 1974.

31 Sulla lingua intesa come “bene culturale”, cfr. A. PIZZORUSSO, Libertà di lingua e diritti linguistici: una rassegna comparata, in Le Regioni n. 6/1987. In molte occasioni pubbliche le massime cariche politiche ed accademiche hanno sottolineato la funzione “unificante” della lingua italiana; per tutte l’incontro di studi  del 21 febbraio 2011 presso il Quirinale “La lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale” promosso dalla Presidenza della Repubblica, Accademia dei Lincei, Accademia della Crusca, Istituto dell’Enciclopedia italiana e  Società Dante Alighieri; nell’occasione l’allora Presidente Napolitano,  sottolineò che «…l’’Italia non  può essere presentata come un paese linguisticamente omologato nel senso di negazione di diversità e di intrecci dimostratisi vitali; e nessuno può peraltro pretendere di oscurarne l’unità di lingua faticosamente raggiunta»  . Sul punto si veda la Lectio magistralis di L. SERIANNI “La lingua italiana come fattore di Unità”, Università La Sapienza di Roma del 15 giugno 2011. Ancora, F. SABATINI, L’Italia della lingua nazionale e delle parlate locali, Relazione al Convegno per i 150 anni dell’Unità d’Italia Una e Plurale. L’Italia della cultura, Roma, 22 settembre 2011.

32 L’approvazione della legge n. 482 del 1999 ha consentito all’Italia di sottoscrivere, il 27 giugno 2000, la «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie» approvata dal Consiglio d’Europa il 5 novembre 1992 e di dare traduzione legislativa alla «Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali», di Strasburgo, 1 febbraio 1995.

33 Il sito ufficiale del Senato, nella  relazione di presentazione della legge, sotto la titolazione: Carattere ufficiale della lingua italiana,  riporta:  la legge 15 dicembre 1999, n. 482  introduce nell’ordinamento « in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei ed internazionali » (art. 2), una disciplina organica di tutela delle lingue e delle culture minoritarie storicamente presenti in Italia, e più specificamente delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. La legge n. 482 del 1999 delimita un perimetro “a numero chiuso” di minoranze linguistiche, oggetto della tutela in essa prevista in base al loro storico radicamento. Sul valore dei dialetti, alcuni autori si sono spinti a richiamare anche l’art. 21 Cost. che, garantendo la libertà di manifestazione del pensiero «con ogni mezzo», comprenderebbe anche una tutela nei confronti dell’uso di idiomi minoritari e localistici.

34 Le difficoltà di delimitare esattamente il concetto di minoranza linguistica condussero a scegliere di individuare nel testo legislativo le minoranze tutelate («popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo»). Le comunità parlanti il carinziano, il carnico, il cimbro, il mòcheno e il walser, inizialmente presenti nell’elenco delle lingue tutelate, furono espunte ed il titolo della legge mutò da «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche» a «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche». Per un esame della l. n. 482 del 1999, D. BONAMORE, Lingue minoritarie, lingue nazionali, lingue ufficiali nella legge 482/1999, Milano 2004; E. PALICI DI SUNI PRAT, La legge italiana sulla tutela delle minoranze linguistiche storiche nel quadro europeo, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo 2000, 1, 101-111; V. PIERGIGLI, La legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) ovvero dall’agnosticismo al riconoscimento, in Rass. Parlam., 2000, 3, 623-657.

35 L’art. 54, II co. della l. n. 89 del 1913 sul notariato aggiunge: «Quando però le parti dichiarino di non conoscere la lingua italiana, l'atto può essere rogato in lingua straniera, sempre che questa sia conosciuta dai testimoni e dal notaro. In tal caso deve porsi di fronte all'originale o in calce al medesimo la traduzione in lingua italiana, e l’uno e l’altra saranno sottoscritti come è stabilito nell'art. 51».

36 Il Consiglio di Stato sottopose all’attenzione della Corte costituzionale dubbi sulla conformità a Costituzione di tale disposizione, per contrasto con l’art. 3 Cost. per l’ingiustificata abolizione integrale della lingua italiana nei corsi considerati; con l’art. 6 Cost., dal quale si ricava il principio di ufficialità della lingua italiana; infine, con l’art. 33 Cost., in quanto la possibilità riservata agli atenei di imporre l’uso esclusivo di una lingua diversa dall’italiano nell’attività didattica non sarebbe congruente con il principio della libertà di insegnamento, compromettendo la ivi compresa libera espressione della comunicazione con gli studenti attraverso l’eliminazione di qualsiasi diversa scelta eventualmente ritenuta più proficua da parte dei professori. La Corte dichiarò infondata la questione nei sensi di cui in motivazione con sentenza n. 42/2017, alla quale di rinvia. Sulla questione, le riflessioni di N. MARASCHIO, D. DE MARTINO, Fuori l'italiano dall'università? Inglese, internazionalizzazione, politica linguistica, Bari, 2013

37 Eccezioni al principio, dettate da norme speciali, si riscontrano per alcune Regioni e Province autonome, ad es. il d.P.R. 15.7.1988, n. 577 il quale, per la Regione Trentino-Alto Adige, ha parificato la lingua tedesca alla lingua italiana in relazione agli atti del processo; l'art. 38 della l. Cost. 26-2-1948, n. 4 per la Valle d'Aosta dove la lingua francese è equiparata a quella italiana; l'art. 3 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda i diritti spettanti alla minoranza linguistica slovena. Sull’uso della lingua tedesca negli atti amministrativi e nei procedimenti giudiziari, si veda A. LAMPIS, L’uso delle lingue italiana e tedesca nella Pubblica amministrazione, estratto dalla Rassegna Mensile I Tribunali Amministrativi Regionali, nr.4, Aprile Roma 1993; E. MAINES, Gli strumenti di tutela procedurale e giurisdizionale. La “quasi personalità” dei gruppi linguistici, in L’ordinamento speciale della Provincia autonoma di Bolzano, a cura di Marko, Ortino, Palermo, Verona, 2001; F. PALERMO, J. WOELK, Il diritto all’uso della lingua nei confronti dell’amministrazione e nei procedimenti giudiziari, in L’ordinamento cit.

 

38 Nella seduta del 28.3.2007, al deputato della Lega Nord Bricolo che pretendeva di esprimersi in dialetto il presidente Bertinotti eccepì che la consuetudine parlamentare vietava di discostarsi dall’italiano. «L'uso esclusivo dell'italiano negli atti e nei dibattiti parlamentari costituisce, [,,,]  in coerenza con i principi affermati nella giurisprudenza costituzionale, una vera e propria consuetudine[,,,], come loro possono riscontrare in numerosi precedenti, quali quelli del 10 agosto 1983, del 1o agosto 1996 e del 25 maggio 1998. Tale consuetudine è stata da ultimo ribadita nella XIV legislatura dall’Ufficio di Presidenza per i deputati italiani eletti all'estero. L'uso in Parlamento della lingua italiana costituisce un requisito necessario per la piena comprensione della discussione, in primo luogo, da parte di tutti i deputati e del Governo. Infatti, ove gli interventi si svolgessero in altra lingua, la resocontazione non sarebbe oggi sostanzialmente possibile. Secondo i precedenti, dunque, la     Presidenza non può consentire che gli interventi si svolgano in tutto o in parte in forme linguistiche diverse dall'italiano». (XV Legislatura, Camera dei deputati, Assemblea, Seduta del 23/3/2007. Bertinotti, Presidente https://web.camera.it/cartellecomuni). Anche nelle sedute della Camera del 10 agosto 1983 e 28 marzo 2007 venne tolta la parola ai deputati che pretendevano di parlare in dialetto.

39 Corte cost. Sent. n°159/2009. «La puntuale e sollecita comprensione degli interventi svolti in seno ad un organo collegiale è fondamentale ai fini del suo corretto funzionamento. Ove si tratti, in particolare, di un organo elettivo di un ente pubblico, la comunicazione secondo modalità linguistiche immediatamente accessibili è il presupposto per un appropriato confronto dialettico. A sua volta, detto confronto è una delle modalità di estrinsecazione del principio democratico. Sicché, la garanzia della contestuale conoscenza, nella “lingua ufficiale della Repubblica”, da parte di tutti i componenti l'organo collegiale, del contenuto degli atti e degli interventi posti in essere in quella sede è condizione essenziale perché il confronto democratico possa aver luogo»

40 Rileva la presenza di un “principio di ufficialità” nell’ordinamento costituzionale italiano A. CARDONE, Tre questioni costituzionali in tema di ufficialità della lingua italiana e di insegnamento universitario, in Osservatorio AIC, luglio 2015, www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/Cardone.

41 Per inciso, va ricordato che attualmente, a seguito della riforma portata dalla legge costituzionale n.3 del 2001 e specificamente dall'articolo 2, hanno trovato ingresso proprio nella nostra Costituzione due espressioni non appartenenti alla lingua italiana, ma rispettivamente tedesca e francese. L’attuale primo comma dell’art. 116 della Costituzione, nel richiamo alle regioni, recita: «(…) Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale (…).»  Il testo originario dell'articolo 116 Cost. recitava: «Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli-Venezia Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali».

42 Si veda altresì L. PANZERI, La tutela dei diritti linguistici nella Repubblica delle autonomie, Giuffrè, Milano, 2016, in part.39 ss. e 305 ss. e C. GALBERSANINI, La tutela delle nuove minoranze linguistiche: un’interpretazione evolutiva dell’art. 6 Cost.?, in Riv. AIC, n. 3/2014.

43 Art. 12 Cost. «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni».

44 Il testo risultava dall’unificazione dei seguenti disegni di legge costituzionale: Atto Camera n. 648, d’iniziativa dell’on. Napoli, presentato il 10 maggio 2006; Atto Camera n. 1571, on. La Russa e altri, presentato il 2 agosto 2006; Atto Camera n. 1782, on. Boato, presentato il 5 ottobre 2006; Atto Camera n. 1849, on. Zaccaria e altri, presentato il 24 ottobre 2006. Cfr. altresì Atto Senato n. 1445, assegnato alla Commissione Affari Costituzionali il 4 aprile 2007.

45 Sulle proposte di revisione costituzionale di quegli anni, v. G. PICCIRILLI, Identità nazionale e revisione della costituzione nel riconoscimento dell’italiano quale lingua ufficiale della Repubblica, in Rassegna Parlamentare, n° 1/2007, 601 ss.; F. RATTO TRABUCCO, La costituzionalizzazione della lingua italiana: un’occasione per la “valorizzazione” degli idiomi regionali e locali, in Le Regioni, n° 3/2008, 515 ss., nonché in Il Politico, anno LXXV, n. 1, 231- 258, Pavia. 2010,  il quale, sul presupposto che quello costituzionale sia un “testo dinamico”, capace di interpretare lev evoluzioni che lo sviluppo storico e culturale, nonché il mutare delle condizioni sociali e politiche del nostro Paese determinano, osserva che richiamare, in quest’ambito « la lingua non significa indicare solo un modo di  parlare, ma un sistema di pensare, di ragionare, e di conseguenza un  modo di comportarsi e di fare: la lingua, come la tradizione, viene trasmessa di generazione in generazione, con le relative trasformazioni».

46 Così in Portogallo nel 2001 e più in generale varie Costituzioni di paesi europei: l’Austria, la Bulgaria, l’Estonia, la Finlandia, l’Irlanda, la Lettonia, Malta, la Polonia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, la Spagna. Questi paesi si riferiscono nelle loro costituzioni alla lingua ufficiale, scelta come lingua amministrativa, altre volte alla “lingua nazionale”, altre alla “lingua”, senza altri aggettivi. Nell’impostazione nella ley organica spagnola del 2009, in particolare si prevede che alla garanzia della società ospitante nel riconoscere diritti in condizioni di parità con i cittadini, dovesse corrispondere un impegno per gli stranieri di adoperarsi al fine di integrarsi nella società, seguendo corsi volti ad acquisire competenze linguistiche e conoscenza dei principi della convivenza.

47 Nella XIII Legislatura alla Camera dei deputati fu presentata la proposta di legge n°5395, Norme in difesa della lingua italiana. Si prevedeva di proibire «l'uso di parole estranee alla lingua italiana in tutti gli atti emanati da istituzioni e enti pubblici» e stabiliva la nullità degli atti «emanati in violazione del divieto»; testualmente: «Chiunque viola la disposizione dell'articolo 1 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento della somma di lire 1 milione. In caso di recidiva i pubblici ufficiali di nomina elettiva sono dichiarati decaduti dal loro incarico». In dottrina si è osservato che, pur nell’encomiabile intento di contrastare l'uso di parole straniere al posto di quelle italiane negli atti e nei documenti degli enti pubblici, che finisce per assumere un carattere antidemocratico, «poiché i cittadini chiamati ad osservare le leggi e i regolamenti del nostro Paese non sono tenuti a conoscere il significato di parole straniere» non si può fare a meno di ricordate, in proposito, i “fogli d’ordini” del PNF, con cui il Segretario del partito tentava di “italianizzare” d’autorità termini stranieri, anche entrati nella consuetudine M.FRANCHINI, “Costituzionalizzare” l’italiano: lingua ufficiale o lingua culturale? in  Rivista Aic n. 3/2012.

48 Proposte di legge Senato, XIV Legislatura, n°993; XV Legislatura, n°10; XVI Legislatura, n°354 Istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana. Camera dei deputati, XIV Legislatura, n°3888 Istituzione del Consiglio della lingua italiana (Baldi ed altri); n°2689 Istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana (Frassinetti ed altri).

49 Si veda M. AINIS, Lingue, in Stato matto, Milano, 2007, 146-147.

50 Nello specifico, sembrerebbe potersi richiamare l’insegnamento di Montesquieu secondo il quale “le leggi inutili indeboliscono le leggi necessarie”.

51 Corte Cost., Sent. n. 170 del 2010.

52 Corte Cost., Sent. n.159 del 2009.

53 Sul punto, R. TONIATTI, Pluralismo sostenibile e interesse nazionale all’identità linguistica posti a fondamento di un “nuovo modello di riparto delle competenze” legislative tra Stato e Regioni, in Le Regioni, n°5/2009, pp.1121 ss.

54 Si veda, anche per una ricostruzione delle posizioni della Corte costituzionale sul profilo, E. CAVASINO, La disciplina giuridica dell’uso della lingua nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei rapporti di lavoro, in La lingua come fattore di integrazione sociale e politica, a cura di CARETTI e G. MOBILIO, Torino, 2016, 50 s.; nonché Id, Lingua ufficiale e uso di altre lingue tra funzioni della pubblica amministrazione ed autonomia privata, in Federalismi.it n.2/ 2017, 1-19 anche per la  nozione di minoranza linguistica riconosciuta , storica, etnica e la distinzione fra libertà della lingua ed diritto all’uso della lingua, ove la prima è connessa alla libertà di espressione, ed il secondo principalmente all’uso della lingua nei rapporti giuridici, ossia alla possibilità di configurare diritti all’uso di una peculiare lingua con correlativi doveri od oneri del destinatario di una comunicazione espressa in formule linguistiche di rilevanza giuridica; ivi per  ed ivi ulteriori richiami bibliografici.

55 Nella legge costituzionale n. 2/2001 di modifica dei cinque Statuti speciali, furono introdotte ulteriori norme a tutela delle minoranze linguistiche della Provincia Autonoma di Trento. In un quadro più ampio quale quello internazionale, con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, è stato ratificato - sia pure con ben undici anni di ritardo – il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966. In particolare, l’art. 27 sancisce che in quegli Stati ove esistano minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli appartenenti alle stesse «non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione e di usare la propria lingua in comune con altri membri del proprio gruppo».

56 A. PIZZORUSSO, La politica linguistica in Italia. Il caso della Provincia di Bolzano e la legge di attuazione generale dell’articolo 6 della Costituzione, in L’ordinamento speciale della Provincia autonoma di Bolzano, a cura di Marko, Ortino, Palermo Verona, 2001.

57 Dagli anni novanta in poi oltre che nelle  leggi regionali, anche in alcuni statuti comuni, si ritrovano espresse disposizioni dirette a  valorizzazione della tradizione linguistica territoriale; alcuni esempi, per la lingua sarda lo Statuto comunale di Dualchi: Art. 6 comma 2: «Il comune promuove e valorizza il patrimonio artistico e culturale locale, con la diffusione della conoscenza della storia della comunità fra i giovani con la valorizzazione del patrimonio orale delle vecchie generazioni, con la valorizzazione della tradizione poetica locale in lingua sarda attraverso convegni di studio e con il sostegno all’attività della scuola dell’obbligo(…)».  l’insegnamento della lingua occitana, L’art. 1 dello statuto comunale di Guardia Piemontese (Cosenza) recita: «II Comune di Guardia Piemontese è di origine occitana. Ha lingua, costumi e tradizioni propri e costituisce una minoranza etnico - linguistica. Lo Stato italiano con Legge nazionale riconosce e promuove la valorizzazione della lingua occitana. Nelle scuole di ogni ordine e grado insistenti sul territorio comunale si prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua occitana per lo svolgimento delle attività educative, il tutto in sintonia con le direttive impartite dalle Istituzioni scolastiche provinciali e regionali. (…)»; la: l’art. 4 dello statuto comunale di Acquaformosa (Cosenza) a garanzia del bilinguismo in Calabria, afferma: “Nel territorio del comune la toponomastica e la segnaletica sono bilingue; il comune rispetta pienamente la micro toponomastica originale, quale patrimonio storico della comunità e ripristina quella andata in disuso e che abbia subito errate trasformazioni nel tempo”, l’uso del dialetto sia nelle comunicazioni orali e scritte fra l’ente e i cittadini, sia nelle sedute del consiglio comunale; anche a Tarvisio (Tarvis in friulano e in tedesco, Trbiž in sloveno), Art. 6 dello statuto comunale: Il Comune di Tarvisio : «riconosce la presenza sul proprio territorio di minoranze etniche di lingua tedesca e slovena, ne assume la tutela quale principio irrinunciabile di specialità e ne promuove, secondo le modalità fissate nella legge e dal presente Statuto, la diffusione l’uso e lo studio, è altresì riconosciuto nell’ambito comunale l’uso della lingua tedesca, slovena e friulana»; Nell’art. 1 dello statuto comunale di Santa Teresa di Gallura (Sassari) :  «Il Comune valorizza in tutte le forme la lingua gallurese espressione della cultura locale e dell'appartenenza alla nazione Sarda, e ne incoraggia l'uso promuovendo attività culturali nelle scuole e nel sociale e consentendo la comunicazione orale nelle sedute ufficiali.(…) »

58 Corte cost., sent. n. 62 del 1992.

59 Per una riflessione sul carattere ibrido di quei dispositivi di “legatura” tra società e diritto che devono assecondare una duplice e paradossale logica: quella della chiusura operativa del sistema e quella della sua apertura all’ambiente si veda G. TEUBNER, (Trad. R Prandini) La cultura del diritto nell'epoca della globalizzazione. L'emergere delle costituzioni civili, Roma, 2005, e ivi l’ampia bibliografia.

60 Si veda, F. PACINI, Lingua, diritto e diritti. fenomeni compositi e pluralismo costituzionale, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. 2/2017

61 Sul punto, M. GRISOLIA, La lingua italiana: un valore da tutelare? Problemi e prospettive, La lingua come fattore di integrazione sociale e politica, a cura di Caretti e Mobilio, Torino, 2016, 13 ss.

62 In dottrina suscita perplessità la possibilità che lo Stato possa dettare le regole linguistiche, poiché anche se le direttive linguistiche dello Stato riguardassero unicamente le amministrazioni pubbliche, ciò solo condurrebbe al rischio di accentuare la distanza tra la lingua del potere e dei cittadini. Secondo Michele Ainis il parametro costituzionale andrebbe ricostruito secondo questi termini: non ci deve essere alcuna politica linguistica, così come non deve esistere una politica culturale. Ma la lingua è allo stesso tempo un bene culturale, è insieme la memoria dei padri e l’orizzonte dei figli, e la Repubblica dovrebbe avere perciò cura del proprio patrimonio culturale.

63 In base dell’art. 3 Cost (eguaglianza senza distinzioni di lingua) la lingua è giuridicamente irrilevante per una discriminazione normativa, neppure in positivo; mentre lo diviene in relazione alla previsione dell’art. 6 il quale reclama una speciale di tutela in favore delle minoranze linguistiche, ossia interventi del legislatore e dei pubblici poteri. In entrambi i casi, tuttavia, la lingua si configura come espressione di libertà, cd. negativa nel primo; nel secondo positivamente condizionata all’esercizio di un intervento pubblico emancipante da una situazione di potenziale limitazione minoritaria.

64 G. MANCINI PALAMONI, La lingua italiana: patrimonio culturale da preservare e valorizzare, in Federalismi.it, 11/2018.

65 A. CILIBERTI, La nozione di ‘competenza’ nella pedagogia linguistica: dalla ‘competenza linguistica’ alla ‘competenza comunicativa interculturale’, in Italiano LinguaDue, n. 2/2012, 1 ss.; sul punto si veda anche F. PACINI Lingua, diritto e diritti. fenomeni compositi e pluralismo costituzionale, cit.

66 Corte cost., sent. n. 15 del 1996.