Osservatorio sull´esecuzione forzata civile: Ottobre/Dicembre 2022
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Andrea Greco
Osservatorio trimestrale sull’esecuzione forzata civile relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte di Cassazione in tema di esecuzione forzata civile. Periodo ottobre/dicembre 2022.
Focus on main sentences issued by the Court of Cassation on private enforcement subject: october/december 2022
Quarterly focus on main sentences issued by the Court of Cassation on private enforcement subject: october/december 2022Sommario: 1) Processo esecutivo – assegno bancario; natura di titolo esecutivo. Necessaria regolarità dell’imposta di bollo. Sospensione straordinaria “Covid”. Computo del dies a quo; Cass. Civ., Sez. VI, 30 novembre 2022, (ud. 13 dicembre 2022, dep. 30 novembre 2022), n. 35192 – Pres. Cirillo – Rel. Rossetti. Processo esecutivo. Pignoramento presso terzi. Pignorabilità delle somme. Pignoramento di crediti futuri, non esigibili, condizionati e finanche eventuali; ammissibilità con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 27 ottobre 2022, (ud. 23 giugno 2022, dep. 27 ottobre 2022), n. 31844 – Pres. De Stefano– Rel. Saija.; 3) Altre pronunce in rassegna.
SENTENZE IN PRIMO PIANO
1) Processo esecutivo – assegno bancario; natura di titolo esecutivo. Necessaria regolarità dell’imposta di bollo. Sospensione straordinaria “Covid”. Computo del dies a quo; Cass. Civ., Sez. VI, 30 novembre 2022, (ud. 13 dicembre 2022, dep. 30 novembre 2022), n. 35192 – Pres. Cirillo – Rel. Rossetti.
(Omissis)
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2011 M.R. iniziò l'esecuzione forzata nei confronti di V.O.J., avvalendosi come titolo esecutivo d'un assegno bancario. V.O.J. propose opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Macerata. Per quanto in questa sede ancora rileva, a fondamento dell'opposizione dedusse che l'assegno invocato quale titolo esecutivo era stato emesso a titolo di garanzia dell'adempimento di una obbligazione preesistente, e con l'indicazione di una data successiva a quella di emissione.
2. Con sentenza 2 dicembre 2015 n. 1086 il Tribunale di Macerata rigettò l'opposizione. Il Tribunale ritenne che l'assegno fosse un valido titolo esecutivo, in quanto recante quale data di emissione il 31 ottobre 2010, e presentato per l'incasso il 2 novembre 2010. Aggiunse che, quando un assegno bancario sia presentato per l'incasso in data successiva a quella risultante dal titolo, è irrilevante che quest'ultima sia successiva a quella di effettiva emissione del titolo. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.
3. Con sentenza 24 febbraio 2020 n. 189 la Corte d'appello d'Ancona rigettò il gravame. La Corte d'appello confermò che anche un assegno postdatato costituisca un valido titolo esecutivo, quando sia stato presentato all'incasso in data successiva a quella posta sul titolo.
4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da V.O.J. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.
M.R. non si è difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio rileva preliminarmente che, al contrario di quanto prospettato dalla proposta formulata dal consigliere relatore ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., il ricorso è tempestivo. Infatti il D.L. 17 marzo 2020 n. 18, art. 83, comma 1, ha disposto la sospensione dei termini processuali "dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020". La chiara lettera della legge non consente di dubitare che il primo giorno di sospensione fu il 9 marzo, e l'ultimo il 15 aprile: e dunque che la sospensione si protrasse per 64 giorni. Dinanzi ad un testo normativo di tale tenore, non può quindi trovare applicazione la regola di cui all'art. 155, comma 1, c.p.c., secondo cui "nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l'ora iniziali‘. Il giorno iniziale della sospensione dunque va conteggiato, perché D.L. 18 del 2020 art. 83, cit., ha derogato alla regola generale dies a quo non computatur in termino, di cui all'art. 155 c.p.c. (così già Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23947 del 2 agosto 2022).
2. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1, 2 e 31 R.D. 21.12.1933 n. 1736. Nella illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che un assegno postdatato possa costituire valido titolo esecutivo.
2.1. Il motivo è fondato.
Un assegno bancario non ha, sempre e comunque, l'efficacia di titolo esecutivo: può averla solo se "regolarmente bollato sin dall'origine": così stabilisce D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 642 art. 20, comma 1, (il cui comma 3 soggiunge che l'inefficacia dell'assegno come titolo esecutivo deve essere rilevata anche d'ufficio). La "bollatura regolare" è, ovviamente, quella conforme alla tariffa allegata al D.P.R. n. 642 del 1972, cit..
2.2. Un assegno bancario recante una data di emissione successiva a quella effettiva (c.d. assegno postdatato) è privo d'uno dei requisiti essenziali richiesti dalla legge per questo tipo di titolo di credito (art. 1, n. 5, R.D. 21.12.1933 n. 1736). Come negozio giuridico, tuttavia, l'assegno postdatato costituisce una promessa di pagamento: e dunque assolve la medesima funzione del vaglia cambiario, di cui all'art. 100 R.D. 14.12.1933 n. 1669. Anche il vaglia cambiario, come l'assegno, può costituire titolo esecutivo solo se in regola "sin dall'origine" con l'imposta di bollo. Tuttavia la tariffa prevista dalla legge sul bollo per il vaglia cambiario è differente da quella prevista per l'assegno bancario.
Quest'ultimo infatti, per valere quale titolo esecutivo, sconta una imposta fissa (art. 9 della Tariffa all.ta sub A al D.P.R. n. 647 del 1972); il vaglia cambiario, invece, sconta un'imposta proporzionale al valore (art. 6 della Tariffa). Ed infatti la Tariffa appena ricordata prevede espressamente che gli assegni postdatati siano soggetti alle imposte stabilite per le cambiali (art. 9, punto b)).
2.3. Se dunque l'assegno bancario può valere come titolo esecutivo solo se in regola "sin dall'origine" con l'imposta di bollo; e se l'assegno postdatato assolve la funzione del vaglia cambiario, la conclusione inevitabile è che l'assegno bancario postdatato può valere come titolo esecutivo solo se in regola, sin dal momento in cui venne emesso, con l'imposta di bollo cui sono soggetti i c.d. "pagherò" cambiari.
2.4. Nel caso di specie la Corte d'appello, ritenendo che anche un assegno postdatato possa avere efficacia di titolo esecutivo, ha falsamente applicato le norme appena riassunte, sotto due profili. In primo luogo ha trascurato di accertare il presupposto stesso dell'efficacia esecutiva dell'assegno bancario postdatato, e cioè la regolarità fiscale "sin dall'origine". In secondo luogo ha ritenuto che un assegno postdatato costituisca un valido titolo esecutivo, se presentato per l'incasso in data successiva a quella risultante dal contesto letterale del titolo. Così giudicando, però, la Corte d'appello ha confuso il problema della validità del negozio (che non necessariamente è esclusa dalla postdatazione) con quello della sua efficacia di titolo esecutivo, la quale è invece incompatibile con la postdatazione, se il titolo sia fiscalmente irregolare ab origine.
2.5. Resta solo da aggiungere che i principi sin qui esposti non sono contrastati dai due precedenti di questa Corte richiamati dalla Corte d'appello a fondamento della propria decisione. Quanto al primo (Sez. 3, Sentenza n. 5069 del 03 marzo 2010), esso ha affermato un principio esattamente coincidente con quello richiamato sopra, al 2.3; e comunque dalla motivazione di tale provvedimento non risulta affatto che, in quel caso, l'assegno fosse stato presentato all'incasso prima della data formalmente indicata su esso. L'altro precedente (Sez. 1, Sentenza n. 10710 del 24 maggio 2016) non è invece pertinente, in quanto non aveva ad oggetto il problema della validità dell'assegno come titolo esecutivo, ma il diverso problema della validità del patto con cui il debitore consegna al creditore un assegno a titolo di garanzia.
2.6. La sentenza va dunque cassata sul punto, con rinvio alla Corte d'appello di Ancona, la quale nel riesaminare l'appello applicherà il seguente principio di diritto: “l'assegno bancario postdatato può costituire titolo esecutivo solo se, sin dal momento dell'emissione, sia stata per esso assolta l'imposta di bollo, nella misura prevista per il vaglia cambiario dall'art. 6 della Tariffa allegata al d.p. r. 647/72; è, invece, irrilevante la circostanza che il titolo sia stato presentato per l'incasso dopo la scadenza della data in esso formalmente indicata".
3. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 1197 c.c. e 115 c.p.c.. Nella illustrazione del motivo sostiene che, unitamente all'opposizione all'esecuzione, aveva formulato domanda di accertamento dell'avvenuta estinzione della propria obbligazione ai sensi dell'art. 1197 c.c., e che erroneamente la Corte d'appello ha ritenuto che di tale datio in solutum non vi fosse prova. Sostiene al riguardo la ricorrente che la controparte non aveva mai contestato la sussistenza di una causa di estinzione dell'obbligazione, e che pertanto tale circostanza di fatto si doveva ritenere provata ai sensi dell'art. 115 c.p.c..
3.1. Nella parte in cui lamenta la violazione dell'art. 115 c.p.c., il motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 336, n. 6, c.p.c., in quanto la ricorrente né trascrive, né riassume, i termini in cui la controparte contestò, nel primo grado, l'eccezione di estinzione dell'obbligazione.
Nella parte restante il motivo è parimenti inammissibile, perché censura un tipico apprezzamento di fatto riservata al giudice di merito, quale è lo stabilire se vi sia o non vi sia prova di una datio in solutum.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice di rinvio.
P.q.m.
(-) accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità; (-) dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2022
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Il principio di diritto: L'assegno bancario recante data successiva a quella della sua emissione (c.d. postdatato) può valere come titolo esecutivo soltanto se in regola sin dall'origine con l'imposta di bollo; a tal fine, avendo l'assegno postdatato il valore di una promessa di pagamento ed una funzione equivalente a quella del vaglia cambiario, tale imposta deve essere applicata non in misura fissa, ma proporzionale al valore, così come previsto dall'art. 6 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 647 del 1972.
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Il caso ed il processo: Il giudizio sottoposto all’attenzione della Suprema Corte trae origine da un procedimento di esecuzione forzata avviato nel 2011 dal M.R. nei confronti del V.O.J. in forza di un assegno bancario. Il V.O.J. propose opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. dinanzi al Tribunale di Macerata deducendo che l'assegno invocato quale titolo esecutivo era stato emesso a titolo di garanzia dell'adempimento di una obbligazione preesistente e con l'indicazione di una data successiva a quella di emissione. Con sentenza n. 1086 del 2 dicembre 2015 il Tribunale di Macerata rigettò l'opposizione ritenendo che l'assegno fosse un valido titolo esecutivo in quanto presentato per l'incasso il 2 novembre 2010 a fronte della data di emissione del 31 ottobre 2010. Secondo il Tribunale ogni qual volta un assegno bancario sia presentato per l'incasso in data successiva a quella risultante dal titolo diviene irrilevante che quest'ultima sia successiva a quella di effettiva emissione del titolo. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente e con sentenza n. 189 del 24 febbraio 2020 la Corte d'appello d'Ancona rigettò anche il gravame confermando il principio secondo il quale anche un assegno postdatato costituisce un valido titolo esecutivo quando sia stato presentato all'incasso in data successiva a quella posta sul titolo. Il provvedimento reso in sede di appello è stato impugnato per cassazione da V.O.J. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria mentre M.R. non ha spiegato difese.
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La soluzione resa dalla Corte: la Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato. Ed infatti, partendo dal presupposto che “un assegno bancario recante una data di emissione successiva a quella effettiva (c.d. assegno postdatato) è privo d'uno dei requisiti essenziali richiesti dalla legge per questo tipo di titolo di credito (art. 1, n. 5, R.D. 21.12.1933 n. 1736)” ma che “come negozio giuridico, tuttavia, … costituisce una promessa di pagamento: e dunque assolve la medesima funzione del vaglia cambiario, di cui all'art. 100 R.D. 14.12.1933 n. 1669” la Suprema Corte ha osservato che “anche il vaglia cambiario, come l'assegno, può costituire titolo esecutivo solo se in regola "sin dall'origine" con l'imposta di bollo” precisando tuttavia che “la tariffa prevista dalla legge sul bollo per il vaglia cambiario è differente da quella prevista per l'assegno bancario” e concludendo dunque per l’erroneità della sentenza impugnata nella misura in cui non abbia considerato che “l'assegno bancario postdatato può costituire titolo esecutivo solo se, sin dal momento dell'emissione, sia stata per esso assolta l'imposta di bollo, nella misura prevista per il vaglia cambiario dall'art. 6 della Tariffa allegata al d.P.R. 647/72; è, invece, irrilevante la circostanza che il titolo sia stato presentato per l'incasso dopo la scadenza della data in esso formalmente indicata”.
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Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: sul computo dei termini per la sospensione straordinaria “Covid” si veda l’obiter dictum della ordinanza n. 23947 del 2 agosto 2022 resa dalla Cass. Civ., Sez. VI – 3, peraltro menzionato in sentenza, secondo il quale non può “condividersi la proposta formulata dal consigliere relatore ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c.. Il periodo di sospensione dei termini processuali disposto dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, è stato infatti di 64 giorni, e non di 63, come invece ritenuto dalla proposta suddetta”. Il principio che pare, dunque, consolidarsi nella giurisprudenza di legittimità è che la sospensione straordinaria disposta con il D.L. n. 18 del 2020, art. 83 sia stato di 64 giorni considerando, dunque, compresi nella sospensione in difformità con gli ordinari principi codicistici tanto il dies a quo che quello ad quem. Sulla natura dell’assegno postdatato come mera promessa di pagamento si veda in tempi recenti Cass. Civ., Sez. Trib., 25 gennaio 2021 n. 1437 secondo la quale “in tema di reddito di impresa, l'assegno in bianco o postdatato rilasciato a fini di garanzia dell'esatto adempimento di un'obbligazione - ancorché nullo in quanto contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 R.D. n. 1736 del 1933 - vale come promessa di pagamento a norma dell'art. 1988 c.c. o come titolo pagabile a vista, implicando l'adempimento dell'obbligazione garantita l'obbligo del creditore di restituire l'importo da esso portato che, pertanto, non determina accrescimento dell'imponibile, né integra reddito, né deve essere iscritto tra i componenti positivi di reddito” e in sede di merito Tribunale Catania, Sez. IV, 30 agosto 2019, n. 3554 secondo il quale: “l'emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui spesso si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia, nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi, adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 r.d. n. 1736/1933 ed è pertanto nullo, ai sensi dell'art. 1343 c.c. Tale assegno conserva però natura di promessa di pagamento, ai sensi dell'art. 1988 c.c., con la conseguente inversione dell'onere della prova a carico del debitore sull'inesistenza della relativa obbligazione”. Sulle ulteriori conseguenze della postdatazione dell’assegno si veda anche Tribunale di Napoli, 4 luglio 2007 (ord.) - Giud. Criscuolo – secondo il quale “poiché un assegno emesso in bianco, privo cioè della data e del luogo di emissione, e con scopo di garanzia, deve ritenersi nullo, potendo al più valere come promessa di pagamento, è illegittima l’iscrizione all’archivio degli assegni irregolari di cui all’art. 10 bis della legge n. 386 del 1990, i caso di mancato pagamento, potendosi disporre ex art. 700 c.p.c. nei confronti della sola banca trattaria, l’ordine di non procedere a tale iscrizione, ovvero di provvedere alla cancellazione della stessa, se già avvenuta” con breve nota di commento di G.CASABURI in Il corriere del merito 8-9/2007, Osservatorio Civile, 998.
2) Processo esecutivo. Pignoramento presso terzi. Pignorabilità delle somme. Pignoramento di crediti futuri, non esigibili, condizionati e finanche eventuali; ammissibilità con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 27 ottobre 2022, (ud. 23 giugno 2022, dep. 27 ottobre 2022), n. 31844 – Pres. De Stefano– Rel. Saija.
(Omissis)
Svolgimento del processo
A.A. sottopose ad esecuzione il credito vantato da B.B. nei confronti di Trigma Srl ed Immobiliare Napoli Centro Srl (derivante da sentenza del Tribunale di Napoli n. 4246/08, con cui era stata trasferita coattivamente alle predette società la quota di partecipazione della Vasto Srl , di cui il B.B. era titolare, dietro pagamento della somma di Euro 7.486.818,19), e ciò in forza del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Napoli il 14.6.2009, con cui si ingiungeva al predetto B.B. il pagamento in favore del A.A. della somma di circa Euro 307.000,00, per prestazioni professionali. A seguito di dichiarazione dei terzi pignorati sostanzialmente negativa, il procedente avviò il giudizio per l'accertamento dell'obbligo del terzo, che si concluse col rigetto della domanda da parte del Tribunale di Napoli, con sentenza del 3 marzo 2015; ritenne il giudice di prime cure che il credito in discorso fosse impignorabile, perché derivante da sentenza costitutiva non ancora passata in giudicato. Proposto appello dal A.A., la Corte d'appello di Napoli - nel contraddittorio con B.B. (erede del debitore), con le due predette società e con C.C., già esecutore testamentario del B.B. e curatore dell'eredità giacente, quest'ultimo rimasto contumace - accolse parzialmente l'appello, rigettando però (per quel che qui interessa) i motivi inerenti alla ritenuta non pignorabilità del credito in questione.
Ricorre ora per cassazione A.A., affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria. Nessuno ha resistito per gli intimati. Con ordinanza interlocutoria n. 10147/2022 del 29.3.2022, è stata disposta la rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti di C.C., che pur a seguito della nuova notifica non ha svolto difese. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1.1 - Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 548 e 553 c.p.c., nonché degli artt. 1476 e 1498 c.c., e ancora dell'art. 12 preleggi, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte d'appello negato la pignorabilità del credito al prezzo di una compravendita fino a che l'effetto traslativo non si sia verificato, senza considerare che il pignorante aveva aggredito una posizione creditoria del proprio debitore (appunto, il credito derivante dal preliminare di vendita rimasto inadempiuto e oggetto della sentenza ex art. 2932 c.c., n. 4246/08, emessa dal Tribunale di Napoli), il pignoramento presso terzi ben potendo dirigersi verso crediti condizionati, a termine e finanche eventuali, come affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità da almeno 40 anni.
1.2 - Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 100 , 547 , 548 e 549 c.p.c., (nel testo previgente, applicabile ratione temporis), in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la Corte partenopea tenuto conto della sopravvenuta (in corso di causa) definitività della sentenza ex art. 2932 c.c., stante il rigetto del ricorso per cassazione proposto dal B.B. avverso la sentenza della Corte d'appello, che aveva confermato la predetta sentenza n. 4246/08, emessa dal Tribunale di Napoli. Tale evento - prosegue il ricorrente - determinava il superamento di ogni altra questione posta dal proprio appello, perché il credito delle cui caratteristiche si discuteva, ai fini della valutazione della sua pignorabilità, era divenuto certo, liquido ed esigibile e quindi senz'altro assoggettabile ad esecuzione forzata. Tuttavia, la Corte d'appello negò la rilevanza dell'occorso, non potendo giungersi - a suo avviso - al paradosso di riformare una sentenza di primo grado nonostante l'infondatezza dell'appello, tanto più "per un evento sopravvenuto dal quale l'appellante ha ritenuto di poter prescindere". Rileva al riguardo il ricorrente che, al di là dell'incongruenza circa la ritenuta necessità che l'appello tenesse conto di un evento (passaggio in giudicato della sentenza) non ancora verificatosi, la Corte non ha tenuto conto del principio per cui le condizioni dell'azione devono sussistere al momento della decisione, sicché essa avrebbe dovuto senz'altro registrare la definitività della sentenza ex art. 2932 c.c., con ogni conseguenza; tutto ciò, ferma restando la pignorabilità del credito del B.B. a prescindere da un simile evento.
1.3 - Con il terzo motivo, infine, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 104 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, art. 337 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Rileva il ricorrente che il tema della sospensione del giudizio ex art. 337 c.p.c., introdotto dal primo giudice istruttore (sul presupposto, pur errato, che il credito pignorato abbisognasse della definitività della pronuncia ex art. 2932 c.c.) e tuttavia superato dal Tribunale di Napoli, era stato comunque reintrodotto da esso ricorrente col quinto motivo d'appello, proposto in via gradata, con cui si chiedeva alla Corte territoriale di prendere in considerazione, nel caso di rigetto dei precedenti motivi di gravame, l'opportunità di sospendere il giudizio; la stessa Corte partenopea, però, non ha ritenuto di poter valorizzare il passaggio in giudicato di detta sentenza (v. motivo precedente), peraltro censurando l'operato dell'appellante per non aver messo in discussione la (ritenuta) necessità che la sentenza traslativa divenisse definitiva: tutto ciò senza considerare, appunto, il carattere subordinato del quinto mezzo d'appello.
2.1 - I motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, perché intrinsecamente connessi; essi sono fondati. In estrema sintesi (per quanto ancora qui interessa), la Corte partenopea, in linea con la decisione di primo grado:
a) ha anzitutto escluso che il credito vantato dal principe B.B., pignorato dall'avv. A.A., rivenisse direttamente dal contratto preliminare dal predetto stipulato con le società a r.l. Trigma e Immobiliare Napoli Centro (ciò in quanto le reciproche prestazioni del contratto preliminare sono costituite soltanto dalla prestazione del consenso alla stipula del contratto definitivo), esso derivando, invece, dalla sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, ma non concluso;
b) ha poi evidenziato che un tale credito non è pignorabile, perché la sentenza ex art. 2932 c.c., come anche sancito dalla giurisprudenza di legittimità (si richiamano Cass., Sez. Un., n. 4059/2010 e Cass. n. 10605/2016), produce effetti solo dal suo passaggio in giudicato, evento non ancora verificatosi all'atto del pignoramento, sicché non avrebbe senso discutere, al riguardo, di credito condizionato o inesigibile, in quanto "prima di essa il diritto non esiste"; infine, c) ha ritenuto che la complessiva infondatezza dei motivi di gravame proposti dal A.A. impedisse di tener conto del sopravvenuto passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c., benché ciò avesse definitivamente sancito le ragioni di credito del B.B. nei confronti delle predette società; ciò perché - pur noto essendo che il credito oggetto di pignoramento presso terzi deve sussistere al momento della dichiarazione del terzo o dell'accertamento del suo obbligo ex art. 548 c.p.c. - tale principio deve coordinarsi con le regole dell'appello, che impediscono che la domanda possa essere accolta ove i motivi d'impugnazione siano (come nella specie, a suo dire) infondati, in caso contrario configurandosi un vero e proprio paradosso; né tantomeno - ha concluso il giudice del gravame - può valorizzarsi a tal fine la richiesta del A.A. circa la sospensione del processo ex art. 337 c.p.c., (in relazione al giudizio ex art. 2932 c.c., all'epoca pendente), giacché il relativo motivo d'appello non postula la tesi della necessaria definitività della sentenza costitutiva.
2.2 - Detto percorso motivazionale è errato e non condivisibile, perché nella sostanza influenzato da un equivoco di fondo circa l'oggetto del pignoramento presso terzi e il correlativo accertamento demandato al giudice di merito, in caso di dichiarazione negativa, ex artt. 548 e 549 c.p.c. all'epoca vigenti (sebbene le considerazioni che seguono ben si attaglino - mutatis mutandis - anche alle suddette disposizioni, come novellate dalla L. n. 228 del 2012, e successive).
2.3.1 - Anzitutto, va osservato come pure correttamente evidenzia il ricorrente - che interrogarsi col crisma della decisività circa l'individuazione della fonte del credito del B.B., oggetto del pignoramento (ossia, se essa vada individuata nel contratto preliminare, ovvero nella sentenza ex art. 2932 c.c.), costituisce un falso problema, ai fini che qui interessano.
Premesso, infatti, che di norma l'humus del diritto di credito comunque fondato su un contratto è di natura sostanziale e non processuale, sicché la sentenza che un tale diritto consacri (sia essa dichiarativa, costitutiva o anche di condanna) necessita pur sempre, ed anche sul piano della mera logica, di un accertamento circa la sua previa esistenza, non v'è dubbio che il pignoramento presso terzi operato dal A.A. abbia senz'altro investito le ragioni creditorie del B.B. discendenti dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 4246/08, ma in quanto correlate all'obbligo contrattuale di cessione delle quote sociali della Vasto Srl , da questi possedute, come pure in modo inequivoco emerge dalla narrativa della qui impugnata sentenza e dalla stessa parziale trascrizione del libello in essa contenuta (v. p. 7).
Pertanto, la circostanza che il preliminare di vendita non sia stato spontaneamente eseguito dal B.B., e che si sia quindi resa necessaria la pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., non sposta i termini dell'indagine, perché - pur vero essendo che la prestazione principale che grava sulle parti di un contratto preliminare è la formulazione del consenso alla stipula del contratto definitivo, e non anche (per il promissario acquirente) quella di pagare immediatamente il prezzo ciò non sempre accade (si pensi, ad es., alla eventuale pattuizione dell'obbligo di pagamento di uno o più acconti sul prezzo, in attesa del definitivo), ma soprattutto non toglie che dal preliminare stesso discenda de plano una potenziale ragione di credito per il promittente venditore, ossia una situazione giuridica attiva in nuce, destinata a consolidarsi con la realizzazione (spontanea o coattiva, non importa) del programma negoziale.
2.3.2 - Pertanto, l'affermazione secondo cui prima del passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c., "il diritto non esiste e non ha senso discorrere di diritto di credito condizionato o inesigibile" (così la sentenza impugnata, p. 8) è all'evidenza errata, se rapportata all'oggetto del pignoramento presso terzi e allo specifico accertamento richiesto al giudice del merito ex art. 549 c.p.c., perché finisce nella sostanza col postulare che la pignorabilità delle ragioni di credito vantate dal promittente venditore presupponga necessariamente la certezza, liquidità ed esigibilità del credito stesso. Il che non è.
2.3.3 - Infatti, già da almeno sessant'anni la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha affermato che "Possono essere assoggettati ad esecuzione, nelle forme dell'espropriazione presso terzi, anche i crediti condizionati o comunque incerti ed eventuali, perché anche ad essi deve riconoscersi la capacità satisfattiva o per via di assegnazione o per via di vendita e successiva aggiudicazione" (così, Cass. n. 1835/1962); e ancora: "La esigibilità del credito non è una condizione della pignorabilità e, quindi, della sequestrabilità di esso, poiché oggetto dell'espropriazione forzata è, non tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata, quanto una posizione giuridica attiva dell'esecutato" (Così, Cass. n. 2055/1972). I suddetti principi sono stati successivamente cesellati, tra le altre, da Cass. n. 9027/1987, secondo cui "La esigibilità del credito non è condizione della sua pignorabilità poiché oggetto dell'espropriazione forzata non è tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata, quanto una posizione giuridica attiva dell'esecutato, cosicché l'espropriazione (presso terzi) può configurarsi anche con riguardo a crediti illiquidi o condizionati ma suscettibili di una capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento della assegnazione" (conf., Cass. n. 5235/2004). Ancora di seguito, con specifico riferimento al credito futuro, se ne è ritenuta la piena pignorabilità "in quanto destinato a maturare nell'ambito di un rapporto identificato e già esistente" (Cass. n. 17501/2009), dovendo solo escludersi la pignorabilità di un credito meramente eventuale, privo di un tale collegamento; ciò è stato nella sostanza ribadito, più di recente, anche da Cass. n. 15607/2017, che ha affermato che "L'esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente" (sost. conf., Cass. n. 25042/2019).
2.3.4 - Sulla base di tale granitica impostazione - che nella sostanza solo esclude la pignorabilità delle ragioni di credito del tutto ipotetiche o comunque slegate da concreti addentellati fattuali - non è dunque revocabile in dubbio che anche il credito del promittente venditore, in quanto riveniente da un contratto preliminare, sia senz'altro assoggettabile a pignoramento ex art. 543 c.p.c.: infatti, esso - per quanto eventuale, dipendendo la sua effettiva maturazione dalla concreta realizzazione del programma negoziale, come già evidenziato - è comunque collegato ad un ben identificato e già esistente rapporto, e possiede quindi la "capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento della assegnazione" (così la già citata Cass. n. 5235/2004).
Come in parte già evidenziato, quanto precede finisce quindi col rendere irrilevante - ai fini che occupano - la circostanza per cui al preliminare di vendita venga poi data esecuzione spontanea o coattiva, perché l'eventuale sentenza che definitivamente accolga la domanda della parte non inadempiente, all'esito del giudizio ex art. 2932 c.c., potrà eventualmente: 1) realizzare i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito; di conseguenza 2) supportare l'azione esecutiva per il soddisfacimento del credito per il pagamento del prezzo (non è un caso che la suddetta "triade" definisca gli stessi requisiti del titolo esecutivo, ex art. 474 c.p.c.); infine, quale ulteriore corollario, 3) consentire lo stesso esercizio dell'azione esecutiva al creditore che quel credito abbia pignorato e che ne sia rimasto assegnatario ex art. 553 c.p.c., per gli effetti di cui all'art. 2928 c.c..
Tuttavia, è evidente, per quanto detto, che la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., nulla può aggiungere sul piano della mera pignorabilità del credito, che è quanto qui interessa. In altre parole, il carattere eventuale del credito del promittente venditore non esclude "la possibilità della sua espropriazione, il che comporta la possibilità di positivo accertamento di esso nel giudizio di cui all'art. 548 c.p.c. e di sua assegnazione in favore del creditore procedente, pur con il limite derivante (...) dalle eventuali condizioni per la sua esigibilità che però (...) potranno avere rilievo esclusivamente nell'ipotesi in cui il creditore assegnatario dovesse porre in esecuzione l'ordinanza di assegnazione" (così, la già citata Cass. n. 15607/2017, in motivazione).
Non senza evidenziare, infine, che a tutto concedere - ossia, ove pure volesse ritenersi, con la Corte territoriale, che il credito vantato dal B.B. discendesse necessariamente dalla sentenza ex art. 2932 c.c., e non dal contratto preliminare (credito, in tale ultima ipotesi, non pignorabile) - si tratterebbe pur sempre di un credito litigioso, comunque rientrante nell'ambito del credito eventuale, benché collegato ad una specifica vicenda negoziale e, quindi, senz'altro pignorabile (a mero titolo di esempio, tali erano le caratteristiche del credito pignorato, nella vicenda definita dalla più volte citata Cass. n. 15607/2017).
2.3.5 - In definitiva, la reale differenza tra l'ipotesi in cui venga pignorato ex art. 543 c.p.c., un credito già interamente consacrato nei suoi requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, rispetto a quella in cui, invece, l'azione esecutiva abbia ad oggetto un credito non esigibile, condizionato o anche solo eventuale (con le precisazioni già riferite), non attiene propriamente all'an exequatur (ossia, alla sua pignorabilità), bensì al concreto atteggiarsi dell'obbligo di custodia gravante sul terzo ex art. 546 c.p.c., che diviene pienamente operativo solo con la sopravvenuta attualità (in senso lato) della sua obbligazione; in altre parole, la diligenza esigibile dal terzo pignorato non può in tal caso spingersi al punto da imporgli "la esplicazione di una qualsiasi attività, rivolta a rimuovere gli eventuali ostacoli che si frappongono alla riscossione del suo credito" (così, Cass. n. 2803/1963).
2.3.6 - Pertanto, quale che sia la fonte del credito pignorato dal A.A. in danno del B.B. (si tratti, cioè, del contratto preliminare, o della sentenza costitutiva), esso è da considerare comunque suscettibile di esecuzione forzata ex art. 543 c.p.c., contrariamente a quanto opinato dalla Corte partenopea.
3.1 - Giova, infine, evidenziare che la sentenza impugnata è comunque erronea, anche a voler ritenere corretta l'affermazione ivi contenuta circa la necessità che il credito del B.B. fosse portato da sentenza definitiva, ai fini della sua pignorabilità.
Sul punto, il giudice del gravame - preso atto del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Napoli ex art. 2932 c.c., intervenuto nel corso dello stesso giudizio d'appello (a seguito del rigetto del ricorso per cassazione del B.B., con sentenza n. 9888/2016) - ha rilevato che da un lato la questione di merito si era risolta in senso favorevole al pignorante, data la definitività della sentenza costitutiva e, quindi, la certezza del credito del B.B. nei confronti delle predette società (ferme le condizioni ivi indicate), ma che in ogni caso non poteva emettersi pronuncia di accertamento del credito, ex art. 549 c.p.c., in quanto ciò avrebbe comportato il paradosso di dover riformare una sentenza priva di errori, benché l'appello fosse infondato, per di più in forza di "un evento sopravvenuto dal quale l'appellante ha ritenuto di poter prescindere".
Nella sostanza, la Corte partenopea, pur consapevole che il momento rilevante per valutare la sussistenza del credito oggetto del pignoramento è quello della dichiarazione del terzo, ovvero quello del suo accertamento, ove essa sia negativa (il riferimento, non esplicitato, è alla consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto: ex multis, Cass. n. 6245/1980; Cass. n. 13021/1992; Cass. n. 15615/2005; Cass. n. 1949/2009; da ultimo, Cass. n. 24686/2021), ha tuttavia ritenuto che tale principio sia inconciliabile con le regole dell'appello, ove il credito pignorato venga concretamente ad esistenza solo nel corso del secondo grado di giudizio, in caso contrario rischiando di incorrersi nel supposto paradosso.
3.2 - Ritiene la Corte che l'affermazione sia parimenti erronea.
A parte l'intrinseca illogicità del "rimprovero" mosso all'odierno ricorrente, circa il fatto di aver egli ritenuto, con l'appello, di poter prescindere dall'evento sopravvenuto (ossia, dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., evento verificatosi solo nel corso del giudizio e, quindi, dopo la proposizione dello stesso gravame), su cui non occorre spendere troppi argomenti, è principalmente evidente che l'intera impostazione dello stesso gravame del A.A. è (non a torto, come s'è visto) fondata sul fatto che il credito in discorso era (ed è) pignorabile, benché portato da una sentenza costitutiva non definitiva e, a ben vedere, anche a prescindere dal detto accertamento. Pertanto, come efficacemente sintetizzato dal Procuratore Generale, "nel più ci sta il meno": affermare che il credito è comunque pignorabile, a prescindere dall'accertamento della sua esistenza con valenza di giudicato, non può che ricomprendere l'assunto per cui esso è pignorabile ove detto accertamento sopravvenga.
Già per questa sola considerazione, dunque, l'affermazione della Corte partenopea è erronea, perché v'è dubbio che i motivi di gravame investissero il giudice d'appello del tema complessivo della pignorabilità del credito, in forza dell'effetto devolutivo, consentendogli di accertare pleno iure la sussistenza del credito stesso nel momento della decisione, ut supra, benché in forza di un fatto sopravvenuto (di cui comunque, lo si ribadisce per chiarezza, non v'era affatto necessità).
Un simile esito, pur nell'errata prospettiva della Corte territoriale - avrebbe al più potuto escludersi solamente nel caso in cui, inopinatamente, si fosse formato il giudicato interno; ma ciò non s'è affatto verificato, tanto più che, a parte la piena devoluzione del tema della pignorabilità, l'odierno ricorrente aveva comunque sottoposto al giudice d'appello - seppur in forma gradata o al più dubitativa - la questione della opportunità di sospendere il giudizio ex art. 549 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio di esecuzione in forma specifica (sospensione che, detto per inciso, non aveva comunque ragion d'essere, non essendovi tra i due giudizi un rapporto di pregiudizialità necessaria, ex art. 295 c.p.c.): come si vede, il A.A. si era comunque posto nell'ottica della supposta necessità dell'accertamento definitivo del credito (benché in via subordinata), neppure tralasciando di prospettare un percorso che, seppur erroneo non meno che accidentato, avrebbe comunque finalmente consentito alla Corte d'appello di accertare, senza ostacoli di sorta, il credito in discorso.
Insomma, comunque voglia impostarsi la disamina della questione, nessun paradosso avrebbe potuto verificarsi qualora la Corte d'appello avesse debitamente tenuto in conto il fatto sopravvenuto, da essa sostanzialmente considerato quale condizione dell'azione (sub specie di possibilità giuridica di ottenere il chiesto provvedimento): ciò sia perché la stessa Corte era stata certamente investita, in forza dell'effetto devolutivo dell'appello, del tema della pignorabilità del credito; sia perché l'accertamento ex art. 549 c.p.c., in caso di dichiarazione negativa del terzo, va riferito al momento della decisione e quindi, evidentemente, anche nel giudizio d'appello; sia perché, infine e se non in via dirimente, la condizione dell'azione ben può sopravvenire in corso di causa ed anche nello stesso giudizio d'appello, purché prima della decisione, la relativa allegazione restando "sottratta alle preclusioni che regolano la normale attività di deduzione e produzione delle parti" (così, ex multis, Cass. n. 16068/2019).
4.1 - Può conclusivamente affermarsi, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: "L'esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti futuri, non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente; pertanto, anche il credito al pagamento del prezzo del promittente venditore, riveniente da un contratto preliminare, è suscettibile di pignoramento ex art. 543 c.p.c., giacché - per quanto eventuale, dipendendo la sua effettiva maturazione dalla realizzazione del programma negoziale, sia essa spontanea o coattiva, ex art. 2932 c.c. - è specificamente collegato ad un rapporto esistente, e possiede quindi capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento della assegnazione".
5.1 - In definitiva, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principi e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa in relazione e rinvia alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, il 23 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2022
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Il principio di diritto: L'esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti futuri, non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente; pertanto, anche il credito al pagamento del prezzo del promittente venditore, riveniente da un contratto preliminare, è suscettibile di pignoramento ex art. 543 c.p.c., giacché - per quanto eventuale, dipendendo la sua effettiva maturazione dalla realizzazione del programma negoziale, sia essa spontanea o coattiva, ex art. 2932 c.c. - è specificamente collegato ad un rapporto esistente, e possiede quindi capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento della assegnazione. (Nella specie la S.C. ha cassato la decisione della Corte territoriale che aveva escluso la pignorabilità del credito vantato dal promittente venditore, erroneamente ritenendo necessario il previo passaggio in giudicato della sentenza ex art. 2932 c.c., e poi, rilevata la formazione del giudicato durante il secondo grado, aveva ritenuto preclusa la pronuncia di accertamento del credito perché ciò avrebbe comportato la riforma in appello di una decisione priva di errori).
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Il caso ed il processo: Un creditore sottopone ad esecuzione forzata un credito vantato dal proprio debitore nei confronti di due distinte società in forza di una sentenza con la quale, dietro pagamento di una determinata somma, era stata trasferita coattivamente alle predette la quota di partecipazione di una terza società di cui il menzionato debitore era titolare. A seguito della dichiarazione dei terzi pignorati sostanzialmente negativa, il procedente avvia il giudizio per l'accertamento dell'obbligo del terzo che si conclude con sentenza del 3 marzo 2015 di rigetto della domanda da parte del Tribunale; il giudice di prime cure ritenne che il credito in discorso fosse impignorabile, perché derivante da sentenza costitutiva non ancora passata in giudicato. Proposto appello dal creditore pignorante, la Corte d'appello di Napoli - nel contraddittorio con l’erede del debitore, con le due predette società e con l’esecutore testamentario del debitore ed il curatore dell'eredità giacente, quest'ultimo rimasto contumace – accoglie parzialmente l'appello, rigettando però (per quel che qui interessa) i motivi inerenti la ritenuta non pignorabilità del credito in questione. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’originario creditore affidandosi a tre motivi illustrati da memoria. Nessuno ha resistito per gli intimati. Con ordinanza interlocutoria n. 10147/2022 del 29 marzo 2022 è stata disposta la rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti dell’esecutore testamentario del debitore che pur a seguito della nuova notifica non ha svolto difese. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l'accoglimento del ricorso.
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La soluzione resa dalla Corte: la Suprema Corte partendo dal presupposto per costante giurisprudenza di legittimità "La esigibilità del credito non è condizione della sua pignorabilità poiché oggetto dell'espropriazione forzata non è tanto un bene suscettibile di esecuzione immediata, quanto una posizione giuridica attiva dell'esecutato, cosicché l'espropriazione (presso terzi) può configurarsi anche con riguardo a crediti illiquidi o condizionati ma suscettibili di una capacità satisfattiva futura, concretamente prospettabile nel momento della assegnazione" (Cass. n. 9027/1987) e che “la reale differenza tra l'ipotesi in cui venga pignorato ex art. 543 c.p.c., un credito già interamente consacrato nei suoi requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, rispetto a quella in cui, invece, l'azione esecutiva abbia ad oggetto un credito non esigibile, condizionato o anche solo eventuale (con le precisazioni già riferite), non attiene propriamente all'an exequatur (ossia, alla sua pignorabilità), bensì al concreto atteggiarsi dell'obbligo di custodia gravante sul terzo ex art. 546 c.p.c., che diviene pienamente operativo solo con la sopravvenuta attualità (in senso lato) della sua obbligazione; in altre parole, la diligenza esigibile dal terzo pignorato non può in tal caso spingersi al punto da imporgli "la esplicazione di una qualsiasi attività, rivolta a rimuovere gli eventuali ostacoli che si frappongono alla riscossione del suo credito" (così, Cass. n. 2803/1963)” ha ritenuto che “quale che sia la fonte del credito pignorato … esso è da considerare comunque suscettibile di esecuzione forzata ex art. 543 c.p.c., contrariamente a quanto opinato dalla Corte partenopea”.
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Gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sul tema: sulla tematica della tipologia dei crediti pignorabili mediante la procedura di espropriazione mobiliare presso terzi la giurisprudenza di legittimità appare ampia ed ormai sostanzialmente granitica nell’affermazione del principio secondo il quale: “L'esecuzione mediante espropriazione presso terzi può riguardare anche crediti non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità ad un rapporto giuridico identificato e già esistente” (così Cass. civ., Sez. VI - 3, Ordinanza, 22 giugno 2017, n. 15607). Se il credito pignorato può anche essere condizionato o eventuale si pone ovviamente il distinto problema di individuare la data alla quale lo stesso dovrà essere esistente. Sotto questo punto di vista è consolidato il principio, da ultimo accolto da Cass. Civ., Sez. Lav., Ord. 14 settembre 2021 n. 24686 secondo il quale “nell'espropriazione forzata presso terzi, il credito assoggettato al pignoramento deve essere esistente al momento della dichiarazione positiva resa dal terzo ovvero, per il caso di dichiarazione negativa e di instaurazione del giudizio volto all'accertamento del suo obbligo, al momento in cui la sentenza pronunciata in tale giudizio ne accerta l'esistenza, restando invece irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento e dovendosi escludere che l'inesistenza del credito in quel momento possa determinare una nullità del processo esecutivo. Tanto si desume sia sulla base di una configurazione del diritto di azione esecutiva conforme al principio di effettività della tutela giurisdizionale, sia in relazione all'indice normativo emergente dall'art. 547 c.p.c., il quale prevede che il terzo debba specificare di quali cose o somme è debitore, così dando rilievo al momento della dichiarazione e non a quello della notificazione dell'atto di pignoramento”. In dottrina, si veda per una trattazione esaustiva delle problematiche A.M.SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2019 o B.CIRILLO, Il pignoramento presso terzi, Sant’Arcangelo di Romagna, 2018.
ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 23 dicembre 2022, (ud. 15 novembre 2022) n. 37729 – Pres. Rubino – Rel. Valle.
L'azione esecutiva si esercita e si svolge in un processo non caratterizzato da formale contraddittorio in quanto essa non è volta all'accertamento della fondatezza di una pretesa, ma è direttamente volta a conseguirne la realizzazione essendone già stato accertato il fondamento. Pertanto, al processo esecutivo non è applicabile l'istituto dell'interruzione.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 22 dicembre 2022, (ud. 15 novembre 2022) n. 37558 – Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo.
La sospensione dell'esecutorietà del decreto ingiuntivo, disposta dal giudice dell'opposizione, determina la sospensione della esecuzione forzata promossa in base a quel titolo, concretando l'ipotesi di sospensione della esecuzione ordinata dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo di cui all'art. 623 c.p.c., ed impedisce, quindi, che atti esecutivi anteriormente compiuti, dei quali resta impregiudicata la validità ed efficacia, possano essere assunti a presupposto di altri atti, in vista della prosecuzione del processo di esecuzione; tale effetto del provvedimento di sospensione può essere rappresentato al giudice della esecuzione nelle forme previste dall'art. 486 c.p.c. e senza necessità di opposizione all'esecuzione da parte del debitore, il quale ha peraltro la facoltà di contestare la validità degli atti di esecuzione compiuti dopo, e nonostante la sospensione del processo esecutivo con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., tendente ad una pronuncia che rimuova l'atto in ragione del tempo in cui è stato adottato.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 19 dicembre 2022, (ud. 15 novembre 2022) n. 37138 – Pres. Rubino – Rel. Tatangelo.
In tema di recupero di spese di giustizia penali, nel caso in cui il debitore, proponendo opposizione avverso la cartella di pagamento notificata, contesti i presupposti legali della decisione del giudice penale relativa alle spese processuali al cui rimborso sia stato condannato, il giudice civile adito ex art. 615 c.p.c. non deve dichiarare la propria incompetenza in favore del giudice dell'esecuzione penale, ma deve semplicemente respingere l'opposizione rilevandone l'inammissibilità, potendo egli conoscere solo dei motivi riguardanti la quantificazione delle spese processuali operata dagli organi amministrativi competenti successivamente alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, costituito dalla pronuncia di condanna emessa dal giudice penale. (Nella specie, la S.C. ha respinto i ricorsi dell'agente della riscossione e del Ministero della Giustizia proposti contro una sentenza di appello che aveva correttamente ritenuto che spettasse al giudice civile conoscere, in sede di opposizione all'esecuzione, delle contestazioni relative alla mera quantificazione delle spese processuali poste a carico di un soggetto sulla base di un provvedimento penale di condanna.)
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 6 dicembre 2022, (ud. 18 ottobre 2022), n. 35878 – Pres. De Stefano – Rel. Fanticini.
Nell'ambito del processo esecutivo, i vizi determinanti l'improseguibilità dell'esecuzione, insanabili e rilevabili "ex officio" dal giudice, possono essere fatti valere dalla parte interessata mediante l'opposizione ex art. 617 c.p.c. ai successivi atti esecutivi nei quali si riproducano, ferma restando la necessità di rispettare il termine decadenziale previsto dalla citata disposizione, decorrente dal giorno in cui tali atti siano compiuti o conosciuti (e comunque entro gli sbarramenti preclusivi correlati alla conclusione delle singole fasi del processo).
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 6 dicembre 2022, (ud. 18 ottobre 2022), n. 35878 – Pres. De Stefano – Rel. Fanticini.
Ai fini della liquidazione delle spese nei giudizi di opposizione agli atti esecutivi, il valore della causa va determinato in relazione al "peso" economico delle controversie e dunque: (a) per la fase antecedente all'inizio dell'esecuzione, in base al valore del credito per cui si procede; (b) per la fase successiva, in base agli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione; (c) nel caso di opposizione all'intervento di un creditore, in base al solo credito vantato dall'interveniente; (d) nel caso in cui non sia possibile determinare gli effetti economici dell'accoglimento o del rigetto dell'opposizione, in base al valore del bene esecutato; (e) nel caso, infine, in cui l'opposizione riguardi un atto esecutivo che non riguardi direttamente il bene pignorato, ovvero il valore di quest'ultimo non sia determinabile, la causa va ritenuta di valore indeterminabile. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva individuato lo scaglione di valore rilevante, ai fini della liquidazione delle spese, in relazione al prezzo di aggiudicazione del bene pignorato, sul presupposto che l'opposizione ex art. 617 c.p.c. fosse volta alla caducazione della vendita).
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 6 dicembre 2022, (ud. 15 novembre 2022), n. 35876 – Pres. Rubino – Rel. Tatangelo.
Le disposizioni dell'art. 2918 c.c. (relative all'opponibilità ai creditori dei fatti estintivi e/o modificativi dei crediti derivanti da rapporti di locazione, non ancora scaduti alla data del pignoramento) sono applicabili sia in caso di espropriazione diretta dei suddetti crediti sia in caso di espropriazione del bene locato che ad essi si estenda, quali frutti, ai sensi dell'art. 2912 c.c.; l'espressione «liberazione di pigioni e di fitti non ancora scaduti» ha riguardo ad ogni ipotesi di estinzione di tali crediti, compresi il pagamento anticipato dei canoni non scaduti e l'eventuale remissione del relativo debito.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 6 dicembre 2022, (ud. 11 ottobre 2022), n. 35873 – Pres. De Stefano – Rel. Ambrosio.
In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, in caso di condanna di un soggetto ad un "facere" mediante esecuzione di determinate opere su un immobile, la successiva acquisizione dello stesso, in via amministrativa, da parte della P.A. non priva i soggetti muniti del titolo esecutivo della legittimazione all'azione esecutiva, valendo soltanto ad abilitare il successore a titolo particolare ad intervenire nel processo a tutela delle proprie ragioni.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 6 dicembre 2022, (ud. 22 novembre 2022), n. 35867 – Pres. De Stefano– Rel. Tatangelo.
Il debitore ha interesse a contestare, mediante l'opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., la regolarità del procedimento di vendita ed il conseguente decreto di trasferimento, qualora siano state violate le disposizioni di legge che lo disciplinano ovvero le condizioni fissate nell'avviso di vendita, a prescindere dalla dimostrazione della possibilità, o addirittura della probabilità, che da un nuovo esperimento di vendita si ricavi un prezzo più elevato, ovvero, comunque, dall'allegazione e prova di un altro particolare e specifico pregiudizio.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 6 dicembre 2022, (ud. 22 novembre 2022), n. 35855 – Pres. De Stefano– Rel. Tatangelo.
In materia di espropriazione forzata, la modifica dell'ultimo periodo dell'art. 591-ter c.p.c., introdotta dall'art. 13, comma 1, lettera cc bis), del d.l. n. 83 del 2015 , conv. con modif. nella l. n. 132 del 2015 (con la quale, per le contestazioni relative alle ordinanze del giudice dell'esecuzione in tema di atti del professionista delegato, è stato introdotto il reclamo al collegio ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., in sostituzione dell'opposizione agli atti esecutivi), è immediatamente applicabile anche ai processi esecutivi pendenti e, in particolare, si applica a tutti i provvedimenti del giudice dell'esecuzione emessi a decorrere dal 21 agosto 2015.
Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza del 5 dicembre 2022, (ud. 9 novembre 2022), n. 35677 – Pres. De Stefano– Rel. Valle.
In materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo, per i pignoramenti successivi all'introduzione dell'art. 5 - quinquies della l. n. 89 del 2001 (inserito dall'art. 6 , comma 6, del d.l. n. 35 del 2013, conv. nella l. n. 64 del 2013, con decorrenza dal 9 aprile 2013), l'esecuzione forzata dev'essere proposta, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, nella forma dell'espropriazione diretta presso il debitore e non presso terzi, essendo irrilevante, al riguardo, il disposto del successivo art. 5-sexies, comma 11 (introdotto dall'art. 1 , comma 777, lett. l), della l. n. 208 del 2015 ), atteso che tale norma presuppone che l'assegnazione delle somme avvenga a seguito di un pignoramento eseguito esclusivamente con le forme dirette.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 29 novembre 2022, (ud. 11 ottobre 2022), n. 35005 – Pres. De Stefano– Rel. Condello.
L'opposizione all'esecuzione con cui il debitore deduca di non essere proprietario dei beni pignorati è inammissibile per difetto d'interesse ad agire, non potendo derivare alcun pregiudizio, all'opponente, dall'espropriazione del bene di un terzo.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 3 novembre 2022, (ud. 29 settembre 2022), n. 32445 – Pres. De Stefano– Rel. Fanticini.
In tema di espropriazione presso terzi, nel giudizio di reclamo avverso l'estinzione del processo esecutivo, al pari di quanto accade nei giudizi di opposizione esecutiva, si configura sempre il litisconsorzio necessario tra il creditore, il debitore e il terzo pignorato, con la conseguenza che la non integrità originaria del contraddittorio, rilevabile d'ufficio anche per la prima volta in sede di legittimità, determina la cassazione delle decisioni di merito, con rinvio ex artt. 383, comma 3, e 354, c.p.c., al giudice di primo grado perché provveda all'integrazione del contraddittorio.
Cassazione Civile, Sez. II, Sentenza del 27 ottobre 2022, (ud. 19 ottobre 2022), n. 31827 – Pres. Manna – Rel. Scarpa.
Allorché più condomini agiscono nello stesso processo verso altro condomino o verso un terzo sia per la cessazione delle immissioni a tutela della rispettiva unità immobiliare di proprietà esclusiva, sia a difesa della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., si determina una ipotesi di litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, sicché, ove l'appello avverso la sentenza di primo grado, che abbia rigettato tutte le domande, sia proposto soltanto da alcuni degli attori originari, trova applicazione l'art. 332 c.p.c. e le pronunce non impugnate nei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. divengono irrevocabili. Ne consegue che il condomino, rimasto soccombente in primo grado e che non abbia avanzato gravame in ordine alla domanda da lui spiegata, non può dedurre quali motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini; peraltro, allorché detto appello sia accolto, tanto meno egli può ricorrere per cassazione, stante il difetto di soccombenza, restando eventualmente legittimato, ove la sentenza pronunciata nei rapporti tra le parti rimaste in causa abbia pregiudicato i suoi diritti, a proporre l'opposizione di terzo ai sensi dell'art 404, comma 1, c.p.c., oppure a proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., ove lamenti che sia l'esecuzione del titolo formatosi "inter alios" ad incidere sulla sua posizione.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 21 ottobre 2022, (ud. 6 ottobre 2022), n. 31255 – Pres. Rubino – Rel. Tatangelo.
In tema di processo esecutivo, ove sia tempestivamente impugnato ex art. 617 c.p.c. il decreto di trasferimento immobiliare (per vizi relativi al procedimento di vendita o per vizi suoi propri) e l'opposizione risulti fondata, il decreto deve essere dichiarato inefficace anche in pregiudizio dei diritti dell'aggiudicatario, nonostante sia stato trascritto, non operando il disposto dell'art. 2929 c.c., che riguarda solo gli atti esecutivi precedenti alla vendita o all'assegnazione. (Cassa e decide nel merito.
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 21 ottobre 2022, (ud. 6 ottobre 2022), n. 31255 – Pres. Rubino – Rel. Tatangelo.
Gli atti di esecuzione posti in essere in pendenza della sospensione del processo esecutivo, o comunque in violazione di uno specifico provvedimento di divieto del giudice dell'esecuzione, sono invalidi e tale invalidità non può venir meno "ex tunc", neanche in caso di successiva revoca del provvedimento di divieto, la quale (sempre che non sia inammissibile per altre ragioni) può avere effetti solo per il futuro, dal momento che il divieto ha già esplicato, per il passato, i suoi effetti, rendendo irreversibilmente invalida l'attività esecutiva compiuta durante la sua vigenza. (Nella specie, in un caso in cui l'aggiudicazione era stata disposta dal professionista delegato in violazione di un provvedimento di differimento della vendita emesso dal giudice dell'esecuzione, la S.C., decidendo nel merito, ha escluso che la successiva revoca di tale ultimo provvedimento potesse valere a sanare l'originaria nullità dell'aggiudicazione, la quale doveva peraltro considerarsi implicitamente revocata dal provvedimento con cui lo stesso giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 591-ter c.c., aveva confermato il precedente decreto di differimento della vendita, dopo che la stessa era intervenuta).
Cassazione Civile, Sez. III, Ordinanza del 18 ottobre 2022, (ud. 16 giugno 2022), n. 31255 – Pres. Rubino – Rel. Condello.
In tema di espropriazione presso terzi, la sussistenza del litisconsorzio necessario tra creditore, debitore e terzo pignorato, allorquando la fase di merito sia stata tempestivamente introdotta nei confronti di uno solo di essi, impone al giudice di quest'ultima di integrare il contraddittorio ai sensi dell'art. 102 c.p.c., mentre, ai fini del rispetto della struttura bifasica del procedimento, è sufficiente che la fase sommaria si sia svolta nei confronti di uno solo dei legittimati passivi, nei cui confronti sia stato ritualmente notificato il ricorso introduttivo.
Cassazione Civile, Sez. Lavoro, Ordinanza del 12 ottobre 2022, (ud. 9 giugno 2022), n. 29763 – Pres. Berrino – Rel. Cerulo.
La sentenza di primo grado che qualifichi come opposizione agli atti esecutivi quella proposta avverso l'avviso di addebito ex art. 30 del d.l. n. 78 del 2010 , conv. dalla l. n. 122 del 2010, è impugnabile unicamente con il ricorso per cassazione, in mancanza del quale le relative statuizioni non possono essere rimesse in discussione attraverso l'impugnazione della pronuncia di secondo grado che le abbia confermate, in considerazione dell'avvenuta formazione del giudicato interno.
Cassazione Civile, Sez. VI - 3, Ordinanza del 5 ottobre 2022, (ud. 8 giugno 2022), n. 28871 – Pres. Amendola – Rel. Valle.
Il verbale di conciliazione giudiziale costituisce titolo esecutivo idoneo alla esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, perché - come già statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 336 del 2002 - si deve ritenere che i presupposti di fungibilità e coercibilità in forma specifica dell'obbligo dedotto nel titolo siano stati considerati al momento della formazione dell'accordo conciliativo dal giudice che lo ha promosso e sotto la cui vigilanza esso è stato concluso.