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Pubbl. Mar, 27 Giu 2023

Le relazioni con i superiori nell’ordinamento giuridico militare

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Gaetano Giuliano
AvvocatoMinistero della Difesa



Il presente elaborato ha l’obiettivo di fornire un inquadramento giuridico dell’istituto dell’istanza di conferimento, disciplinato dall’art. 735 del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare.


ENG

Relations with superiors in the military juridical system

This paper aims to provide a legal framework of the institution of the military interview request in the legal system

Sommario: 1. Premesse; 2. Profili soggettivi; 3. L'istituto della delega; 4. Profili oggettivi. L'interesse giuridico sotteso alla norma e i motivi a base dell'istanza. 5. Cronologia procedimentale e provvedimento decisorio espresso. 6. Conclusioni.

1. Premesse

Nel corso del tempo le “relazioni con i superiori” nell’ambito dell’ordinamento militare hanno assunto una fisionomia giuridica mutevole, in relazione ai grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la realtà castrense. Si pensi, ad esempio, il passaggio dalla coscrizione obbligatoria al sistema di reclutamento a carattere professionale, la nascita della nuova categoria dei “Graduati di truppa”, l’estensione della platea arruolabile al personale femminile, la possibilità che i militari possano costituire ed aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale[1]: trattasi di mutamenti che necessariamente hanno determinato un mutamento della societas militaris e, conseguentemente, un diverso e rinnovato utilizzo degli strumenti normativi.

L’istituto dell’istanza di conferimento, dunque, ha assunto un ruolo sempre più centrale per la gestione di svariate vicissitudini afferenti alla cura ed amministrazione del personale militare. È diventato uno strumento che ha catalizzato le più svariate esigenze, incanalandole verso un unico iter amministrativo.

Scopo del presente elaborato è, dunque, quello di codificare, ossia riunire in un unico documento, e compendiare, al fine di armonizzare sistematicamente, tutte le disposizioni vigenti in tema, così fornendo un quadro giuridico organico della materia.

La fattispecie oggetto di disamina del presente elaborato è l’art. 735 del Decreto del Presidente della Repubblica del 15 marzo 2010, n. 90, recante “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare” (d’ora, “T.U.O.M.”)[2].

Sotto un profilo sistematico, la norma in parola si inserisce nell’ambito di un regolamento e, in quanto tale, costituisce una fonte normativa di rango secondario, sottoposta al rispetto delle disposizioni di livello legislativo che, con particolare riferimento all’ordinamento militare, costituiscono le norme contenute nel Decreto Legislativo del 15 marzo 2010, n. 66, rubricato “Codice dell'ordinamento militare” (d’ora, “C.O.M.”)[3].

Per completezza, risulta necessario ricostruire l’ordine sistematico che il T.U.O.M. segue nell’illustrazione delle norme: l’art. 735 è inserito tra le “norme di comportamento” (Capo II, Sezione I) sulla “disciplina militare” (Titolo VIII) del Libro V (sul “personae militare”) del citato T.U.O.M.

Dunque, già da una prima sommaria ricostruzione è possibile affermare che una violazione dell’art. 735 T.U.O.M., è idonea ad integrare una violazione delle disposizioni sulla disciplina militare, esistendo tra queste una relazione normativa cd. “di genere e specie”.

Corrobora siffatta affermazione la previsione normativa contenuta all’art. 715, 2° comma, T.U.O.M. secondo cui “nelle relazioni di servizio e disciplinari il militare è tenuto ad osservare la via gerarchica”, in quanto, ai sensi dell’art. 626 C.O.M., “il personale militare è ordinato gerarchicamente in relazione al grado rivestito”.

Da ciò deriva che il militare che d’iniziativa presenti un’istanza di conferimento senza rispettare la via gerarchica, incorre nella violazione dei menzionati artt. 715, 2° comma, e 735, 1° comma, T.U.O.M.[4].

2. Profili soggettivi

Il 1° comma della norma in analisi utilizza, in apertura, l’espressione “ogni militare”. In tal modo si sancisce che solo chi è titolare dello status di militare, ai sensi dell’art. 621 C.O.M., è legittimato ad avanzare una richiesta di conferimento. Infatti, solo il militare, in quanto “ordinato gerarchicamente”[5], è inserito in una struttura gerarchico-funzionale per cui è necessario disciplinare le relative “relazioni con i superiori”, come sancisce la rubrica dell’art. 735 T.U.O.M.

Al riguardo, l’Ufficio di Gabinetto del Ministro della Difesa ha specificato che l’espressione “ogni militare” deve essere ricondotta alla formulazione contenuta nell’art. 1350 C.O.M.[6].

Pertanto, risulta corretto affermare che “il militare è tenuto all’osservanza delle norme sulla disciplina, tra cui rientra l’art. 735 T.U.O.M., dal momento dell’incorporazione a quello della cessazione del servizio attivo”[7].

Da quanto affermato ne discende che è esclusa la possibilità per i civili, siano essi dipendenti dell’amministrazione o soggetti esterni ad essa, la possibilità di avanzare richieste di conferimento ai sensi della norma in questione.

Tale assunto si fonda su due ordini di considerazioni.

In primis, come detto, i civili, in quanto non inquadrati per il tramite di un grado nella struttura gerarchica, non sono organicamente parte della compagine militare.

La seconda ragione è data dalla ratio della norma, la quale è quella di favorire un dialogo diretto nelle relazioni con i superiori, senza interposizione di un soggetto terzo alla compagine militare.

In altri termini, l’idea che il militare si faccia rappresentare, e dunque inserisce una persona terza, risulta intrinsecamente incompatibile con l’idea di fondo della norma, ossia di garantire un dialogo diretto e senza intermediazioni tra le parti coinvolte.

Infatti, inserire un terzo, civile, nell’ambito di un istituto militare che ha lo scopo di agevolare il “rapporto” personale, fa venir meno quel “contatto diretto” tra superiore e subalterno che anima lo spirito della norma dell’art. 735 T.U.O.M.

Dunque, l’istanza di conferimento con i superiori deve essere presentata personalmente dal militare, seguendo la via gerarchica e non per il tramite di soggetti terzi all’A.D.

Per quanto detto, laddove il canone soggettivo della “militarità” dell’istante non dovesse essere soddisfatto, la richiesta di conferimento sarebbe viziata da inammissibilità per difetto di legittimazione attiva.

Infine, con riferimento all’autorità che l’istante intende adire, l’art. 735, 1° comma, T.U.O.M. sancisce che “ogni militare può chiedere di conferire con il Ministro della difesa o con un superiore”.

Per quanto riguarda il “Ministro della Difesa” la legittimazione passiva non necessità di particolari chiarimenti, dovendosi indentificare questi con l’autorità politica posta a capo del dicastero Difesa.

Per quanto concerne il significato del termine “superiore”, esso non deve essere inteso nel senso di un “qualunque superiore”. Infatti, la giurisprudenza amministrativa ha inteso circoscrivere la portata di tale espressione, affermando che l’istante può chiedere di conferire con il superiore che si trovi lungo la propria linea gerarchica[8].

Infine, l’autorità adita, salvo i casi di definizione del procedimento amministrativo con un provvedimento in forma semplificata[9], coincide con l’unità organizzativa responsabile dell’adozione del provvedimento finale. Inoltre, tale autorità, salvo diversa designazione, coincide con la figura del “responsabile del procedimento”, prevista dall’art. 5 della legge n. 241/1990 e all’art. 1027 del T.U.O.M. Essa si avvale delle unità organizzative dipendenti, poste ai diversi livelli ordinativi della linea gerarchica e chiamate ed esprimere i pareri previsti all’art. 735, 4° comma, T.U.O.M, per lo svolgimento dell’attività istruttoria.

3. L’istituto della delega

L’art. 735, 2° comma, T.UO.M. prevede che “il Ministro della Difesa può delegare altra autorità civile o militare a ricevere il richiedente”.

L’autorità politica al vertice del dicastero Difesa, dunque, può delegare una dipendente autorità, qualora ritenga che essa possa dare soddisfacente audizione all’istante.

Secondo una analisi strettamente legata al dato letterale, la norma attribuisce al solo il Ministro della difesa la facoltà di delegare altre autorità, civili o militari, a ricevere l’istante.

Infatti, per quanto riguarda le altre autorità militari, diversamente da quanto previsto per il Vertice politico, la norma non riconosce, né tantomeno esclude, la facoltà di delega.

Dunque, al fine di rendere più agevole l’utilizzo dell’istituto dell’istanza di conferimento, la prassi amministrativa ha adottato un’interpretazione estensiva di detta facoltà di delega, consentendo alle autorità intermedie di far uso del diverso istituto del “conferimento preliminare”.

Pertanto, i comandi intermedi chiamati ad esprimere un parere in merito all’istanza, prima di trasmettere la stessa al comando superiore, possono, laddove ritengano che al proprio livello ordinativo vi sia un’unità organizzativa che possa individuare una soluzione alle questioni prospettate dall’istante, determinare che quest’ultimo venga sentito da un rappresentante di detta unità organizzativa.

Infatti, secondo un’analisi di sistema, è corretto affermare che il comandante a qualsiasi livello ordinativo, nell’esercizio della propria azione di comando, può disporre che l’istante venga preliminarmente chiamato a rapporto da un’altra autorità militare, ad esso gerarchicamente subordinata e che sia titolare delle competenze tecniche necessarie per tentare di individuare soluzioni alle questioni sottoposte dall’istante.

Per quanto concerne, invece, autorità non subordinate o con cui non sussista una relazione gerarchica che consentano di esercitare le prerogative tipiche dell’azione di comando, è comunque possibile richiedere ogni attività di supporto attraverso l’espressione di un parere tecnico, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 241 del 190[10].

Al riguardo del “colloquio preliminare”, se all’esito dello stesso venga individuata una soluzione confacente alle esigenze emerse in detta sede, allora il procedimento amministrativo relativo all’istanza di conferimento può essere definito a tale livello ordinativo. Se, al contrario, all’esito del colloquio non venga individuata alcuna soluzione, allora l’istanza deve essere trasmessa al comando superiore.

La differenza tra la “delega” e del “conferimento preliminare” si sostanzia nel fatto che con la delega l’autorità delegante incarica l’autorità delegata di ricevere l’istante in proprio nome e per proprio conto. Infatti, l’istituto della delega consente all’autorità adita di disporre che il militare che faccia richiesta di colloquio venga ricevuto da un terzo soggetto, il quale agisce come se fosse l’adita autorità delegante.

In altri termini, l’autorità delegata rappresenta nel colloquio il Ministro della Difesa e, dunque, quando riceve l’istante, lo fa in nome e per conto dell’autorità delegante, potendo esercitare le medesime prerogative e attribuzioni.

Inoltre, la delega opera nei limiti in cui è conferita: pertanto, l’autorità delegante può imporre prescrizioni particolari nell’espletamento del compito, precisandone le modalità o limitando i contenuti su cui il colloquio delegato verterà.

Inoltre, ai sensi dell’art. 5, 1° comma, della legge n. 241 del 1990, all’esito di un “conferimento delegato” l’autorità delegata può definire direttamente il procedimento amministrativo, dandone conoscenza all’autorità delegante.

Nel “conferimento preliminare”, invece, l’autorità che riceve l’istante rappresenta sé stessa ed esercita i poteri e le competenze proprie.

Infine, poiché il “conferimento delegato”, come accennato, costituisce un colloquio in rappresentanza del Ministro della Difesa, l’interesse dell’istante è da considerarsi automaticamente ex lege soddisfatto a conferimento avvenuto.

Mentre, per il “conferimento preliminare” occorre sviluppare un’ulteriore considerazione e distinguere due distinte ipotesi.

Trattandosi di un colloquio con un’autorità diversa da quella adita, al termine del conferimento l’istante potrà dichiararsi soddisfatto o meno dello stesso: nel primo caso, il procedimento potrà essere automaticamente definito a quel livello ordinativo, non dovendo, pertanto, proseguire l’iter verso le superiori autorità. Viceversa, qualora il militare si dichiari non soddisfatto degli esiti del conferimento preliminare il procedimento amministrativo prosegue verso la superiore autorità.

4. Profili oggettivi. L'interesse giuridico sotteso alla norma e i motivi a base dell'istanza

Come visto, l’art. 735, 1° comma, T.U.O.M. afferma che “ogni militare può chiedere di conferire” con un superiore.

Il verbo “chiedere di conferire” sta a indicare che alla base della richiesta vi è un mero “interesse legittimo” a conseguire un provvedimento che accordi colloquio con un superiore.

Non si tratta di un “diritto soggettivo” ad essere ricevuto, stante la discrezionalità pura dell’Autorità adita di decidere, nel libero esercizio dell’azione di comando e sulla base di una valutazione di mera opportunità, se ammettere o meno l’istante.

L’art. 735 T.U.O.M., infatti, non deve essere letto in combinato disposto con l’art. 725, 2° comma, lett. g), secondo cui il superiore "deve accordare i colloqui richiesti".

Tale impostazione trova conferma nell’orientamento costante della magistratura amministrativa, la quale ha affermato che “la facoltà di presentare una richiesta di conferimento, per pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, non comporta l’obbligo per il Ministero di accoglierla, spettando all’Organo di vertice di valutare l’opportunità di aderire all’istanza, motivando la sua decisione politica che resta altamente discrezionale”[11].

In altri termini, la scelta di accordare o meno un colloquio è giuridicamente definita “attività amministrativa caratterizzata da discrezionalità pura” a cui corrisponde, da parte dell’istante, la posizione giuridica soggettiva dell’interesse legittimo.

Peraltro, tale “discrezionalità pura” è insindacabile anche dal giudice amministrativo sotto il profilo dell’opportunità di concedere o meno il chiesto colloquio. In altri termini, né il “Ministro della Difesa” né tantomeno “qualunque superiore” possono essere giuridicamente obbligati ad incontrare alcuno, rimanendo sempre liberi di stabilire, nell’an e nel quomodo, chi e quando ricevere[12].

Ciò detto, occorre ora soffermarsi sul substrato motivazionale alla base di un’istanza di conferimento. Infatti, l’art. 735, 1° comma, T.U.O.M. prescrive che l’istanza di conferimento deve essere motivata. I motivi possono essere ricondotti a due categorie:

  • le “questioni di servizio”;
  • le questioni “carattere privato, non riguardanti il servizio e la disciplina”.

Per esigenze di compendiosità, in questa sede si utilizzeranno le espressioni “motivi di servizio” e “motivi privati”.

Tale indicazione iniziale è dirimente in quanto, a seconda che si tratti della prima piuttosto che della seconda, sarà differente il procedimento amministrativo da sviluppare.

Infatti, solo per le istanze di conferimento per motivi di servizio l’art. 735, 4° comma, T.U.O.M. dispone che “il superiore che la inoltra deve esprimere il proprio motivato parere in merito all’oggetto della richiesta”.

Al riguardo, dunque, una volta che viene presa in carico un’istanza ai sensi dell’art. 735 T.U.O.M. per motivi di servizio, ciascun livello ordinativo sovraordinato all’istante è tenuto ad esprimere il proprio parere in merito alla eventuale concessione del chiesto conferimento.

Il parere, inoltre, ha natura obbligatoria per chi lo pronuncia e non vincolante per l’autorità adita.

In sede di manifestazione del parere, ciascuna autorità intermedia è tenuta a vagliare analiticamente la richiesta al fine di tentare di risolvere al proprio livello la questione, individuando possibili soluzioni alle esigenze prospettate dall’istante. In questo modo si assicura la corretta applicazione del principio di sussidiarietà, in virtù del quale l’interesse dell’istante deve essere soddisfatto al livello ordinativo ad egli più vicino e l’intervento del livello superiore si giustifica solo se il livello inferiore non è in grado di soddisfare le esigenze prospettate.

Per quanto concerne, invece, l’istanza prodotta per motivi privati, essa deve riguardare esclusivamente la trattazione di problematiche attinenti alla sfera personale dell’interessato che, pur non riferendosi specificatamente ad aspetti connessi al servizio ed alla disciplina, possano auspicabilmente trovare soluzione nell’intervento dell’Autorità adita.

Laddove nel corso dell’istruttoria del procedimento dovessero emergere situazioni che afferiscono al servizio, l’istante incorrerà in una sanzione disciplinare. Infatti, qualificare un’istanza per motivi privati significa che “il superiore che la inoltra” non è tenuto ad esprimere il parere che il 4° comma dell’art. 735 T.U.O.M. prescrive, invece, per i motivi di servizio.

Pertanto, laddove dietro un’istanza formalmente qualificata “per motivi privati” dovesse sostanziarsi una richiesta “per motivi di servizio” verrebbe eluso il vaglio che la catena di comando è chiamata a svolgere sulle questioni attinenti al servizio, non potendo esprimere alcun parere in merito e, laddove possibile, adottare opportuni provvedimenti che possano mitigare le situazioni prospettate.

Ciò determina una violazione del menzionato art. 735, 4° comma, T.U.O.M. che, come detto in apertura di trattazione, costituisce una norma sulla disciplina e, in quanto tale, deve essere prontamente sanzionata.

Tanto detto, qualora l’istanza sia effettivamente di carattere privato, preso atto del riserbo che deve essere garantito al riguardo e della circostanza per cui la norma de qua non prevede che la catena di comando esprima pareri nel merito, quest’ultima dovrà inoltrare la medesima, per dovere d’ufficio e sempre seguendo la via gerarchica, all’autorità adita.

Quest’ultima, una volta che riceve l’istanza deve effettuare un’analisi: laddove l’istante, nell’ambito della propria richiesta, abbia fornito sufficienti elementi istruttori, delineando una situazione privata chiara e puntuale, l’autorità adita potrà determinarsi immediatamente sull’istanza, decidendo se ammettere o meno il richiedente a rapporto.

Laddove, al contrario, le questioni di natura privata sono state prospettate in maniera generica e tale da non consentire un congruo vaglio, l’autorità adita potrà ricorrere all’istituto del plico chiuso (o busta chiusa), disciplinato all’art. 735, 5° comma, T.U.O.M. Tale strumento consente all’autorità adita di acquisire direttamente dall’interessato un’integrazione istruttoria: specificatamente, esso viene utilizzato dall’autorità adita per conoscere i motivi privati, celati nell’istanza originaria in modo da renderli oscuri alla catena gerarchica, per cui l’istante chiede di essere ammesso a conferire.

Trattasi di un istituto autonomo rispetto all’istanza di conferimento ma che s’inerisce comunque alle relazioni con i superiori.

Infatti, al pari dell’istanza di conferimento il plico chiuso deve essere presentati dall’interessato, per via gerarchica, al Comandante di Corpo. Tuttavia, una volta presentata a quest’ultimo, la busta chiusa deve essere direttamente inoltrata all’autorità adita, senza che la linea di comando si esprima sui relativi contenuti.

Tipicamente l’istituto de quo viene utilizzato alla luce delle garanzie di riservatezza che assicura per illustrare i motivi strettamente legati alla sfera privata.

Infine, qualora si chieda nel plico chiuso di illustrare esclusivamente ragioni di carattere privato o comunque l’istanza sia stata qualificata dall’istante esclusivamente per motivi di carattere privato, il militare dovrà limitarsi a trattare le citate questioni di carattere privato.

Per le motivazioni espresse in precedenza, qualora nell’ambito del plico chiuso il militare tratti indebitamente questioni sostanzialmente di servizio si concretizzerebbe una elusione della linea gerarchica, non consentendo a questa di esprimere i pareri che il 4° comma le impone.

5. Cronologia procedimentale e provvedimento decisorio espresso

I profili cronologici del procedimento amministrativo relativo all’istanza di conferimento sono disciplinati dal T.U.O.M. e dalla legge n. 241 del 1990.

In dettaglio:

  • l’art. 1033, 1° comma, T.U.O.M. prevede che “per i procedimenti a iniziativa di parte, il termine iniziale decorre dalla data del ricevimento, da parte della competente unità organizzativa, della domanda o dell’istanza”;
  • l’art. 1039, 1° comma, lett. s) e t) T.U.O.M. fissa i limiti temporali entro cui il procedimento deve concludersi.

Essi si distinguono a seconda dell’autorità adita:

  • per la “autorizzazione a conferire con il Ministro della difesa o autorità delegata: 150 giorni”;
  • per la “autorizzazione a conferire con altre autorità di vertice: 120 giorni”;
  • l’art. 2, 7° comma, della legge n. 241/1990 stabilisce che “i termini per la conclusione del procedimento possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a 30 giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’Amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni”.

Dunque, qualora l’istruttoria procedimentale risulti particolarmente complessa ed occorra acquisire dati da altre articolazioni amministrative, i termini del procedimento possono essere sospesi per un massimo di 30 giorni.

Per quanto concerne la natura dei termini procedimentali, essa è ordinatoria, e non perentoria, e regolamentare, e non primaria.

Pertanto, una volta infruttuosamente decorsi i termini:

  • l’amministrazione non decade dal potere di emanare un provvedimento con cui si determina in ordine alla concessione o meno del conferimento;
  • il “silenzio amministrativo” non assume il valore giuridico di “silenzio qualificato”, né in termini di assenso né di rigetto dell’istanza;
  • l’eventuale risposta ultra temporis da parte dell’A.D., dovuta alla necessità di acquisire e vagliare, anche comparativamente, un copioso numero di dati istruttori, non dà luogo ad alcuna forma di responsabilità da ritardo.

Pertanto, la formulazione inserita all’art. 735, 3° comma, T.U.O.M. per cui “la richiesta di conferire (…) deve essere trasmessa con la massima sollecitudine” deve essere letta in un’ottica programmatica, nel senso che ciascuna unità organizzativa deve trattare, al proprio livello, l’istanza in tempi congrui da consentire al livello superiore di analizzare parimenti la questione[13].

Per quanto concerne il provvedimento decisorio, esso è il documento che definisce il procedimento amministrativo relativo al conferimento. In altri termini, mentre l’istanza del militare è l’atto che dà inizio all’iter burocratico, il provvedimento è l’atto con cui l’A.D. definisce il procedimento. Esso deve essere in forma scritta, in quanto, come si è detto, il silenzio dell’A.D., oltre i 120/150 giorni, non ha valore qualificato né in termini di assenso né in termini di rigetto.

Nei casi ordinari, il provvedimento deve essere emesso dall’autorità adita, nel senso di concessione o diniego del conferimento. In casi particolari, ossia laddove venga riscontrata la “manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda” il procedimento deve essere definito dalla prima U.O. che rileva tale circostanza, con un provvedimento in forma semplificata ai sensi dell’art. 2, 1° comma, 2° periodo, della legge n. 241/1990.

Per quanto riguarda la motivazione del provvedimento, essa non è certamente richiesta nei casi di accoglimento dell’istanza, né nei casi di concessione del colloquio con l’autorità adita né nei casi di delega ad altra autorità, ai sensi dell’art. 735, 2° comma, T.U.O.M.

Nei casi di rigetto dell’istanza, la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato ha dichiarato che quello relativo ad un’istanza di conferimento è “un procedimento diretto all’adozione di un provvedimento ampiamente discrezionale che non richiede, ai sensi dell’art. 3 L. n. 241/1990, una puntuale e specifica motivazione, potendo fondarsi su motivi di semplice opportunità”[14].

Sempre la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “le norme relative alla partecipazione del privato al procedimento amministrativo devono armonizzarsi con la natura specifica del provvedimento conseguente all’istanza di colloquio. Non trova pertanto applicazione l'art. 10bis, L. n. 241/1990, nei limiti in cui il rigetto dell’istanza si fondi su motivi tali da ritenere che anche l’eventuale trasmissione da parte dell’interessato di ulteriori motivi giustificatori del colloquio non avrebbe potuto mutare la decisione del Ministro”[15].

6. Conclusioni.

Come si ha avuto modo di osservare, dietro una fattispecie apparentemente neutrale e, sommariamente, amorfa si cela un fenomeno giuridico e sociale complesso.

Infatti, quando il legislatore introduceva, nel lontano 1986 tale fattispecie all’art. 39 dell’allora “regolamento di disciplina militare” (DPR n. 545/1986), stava offrendo concreta attuazione di quello che viene definito dagli studiosi “processo di democratizzazione delle Forze Armate”.

Tale fenomeno sorge dall’esigenza di dare attuazione alla previsione normativa contenuta nella Carta costituzionale all’art. 52, 3° comma, Cost. secondo cui “l’ordinamento giuridico delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”.

Questo procedimento, da una parte ha portato, ad esempio, alla “smilitarizzazione” della Polizia di Stato, avvenuta con la legge del 1° aprile 1981 n. 121; d’altra parte, ha visto l’introduzione nell’ordinamento propriamente militare di una serie di norme che rendono “più elastico” il sistema, attribuendo maggiore centralità alla figura dell’”Uomo Soldato”. Tra queste norme, dunque, si inserisce l’art. 735 del DPR n. 90/2010.

In tal senso, dunque, trova reale collocazione l’istituto dell’istanza di conferimento che, a seguito della profonda mutazione organica della compagine sociale castrense, che ha visto, come si è detto l’apertura dei ranghi militari al sesso femminile, la professionalizzazione delle carriere e, da ultimo, un’ampia apertura verso l’associativismo sindacale, ha saputo veicolare le nuove e crescenti esigenze verso i vertici dell’Amministrazione, orientandone conseguentemente la policy direttiva generale dello strumento militare.


Note e riferimenti bibliografici

[1] C. Cost., sentenza n. 120 dell’11 aprile 2018. Per approfondimenti sulla materia: A. CONTI, Il diritto sindacale e le Forze Armate: fonti normative, approdi giurisprudenziali e problemi interpretativi, in Rassegna della Giustizia Militare, 2020.

[2] Al riguardo, è necessario evidenziare che l’istituto dell’istanza di conferimento originariamente era previsto all’art. 39 del Regolamento di disciplina militare (Decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1986 n. 545), ora confluito nel vigente art. 735 T.U.O.M..

[3] Sotto un profilo più ampio, è bene ricordare che mentre i contenuti della previgente legge dell’11 luglio 1978 n. 382 (“norme di principio sulla disciplina militare”) sono stati recepiti nell’ambito del vigente C.O.M., quale norma di rango primario, i contenuti del citato Regolamento di disciplina militare sono confluiti nell’attuale T.U.O.M., fonte, invece, di rango secondario. Il dato cronologico delle prime fonti normative assume particolare rilievo per comprendere l’originario contesto storico-sociale in cui il legislatore aveva operato: infatti, la fattispecie dell’istanza di conferimento s’innesta nell’ordinamento giuridico in un periodo storico particolare definito dagli studiosi “processo di democratizzazione delle Forze Armate”. Tale processo, giuridicamente, nasce dall’esigenza di dare attuazione alla previsione normativa contenuta nella Carta costituzionale all’art. 52, 3° comma, Cost. secondo cui “l’ordinamento giuridico delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”. Questo procedimento, sotto un altro versante, ha portato alla “smilitarizzazione” della Polizia di Stato, avvenuta con la legge del 1 aprile 1981 n. 121.

[4] Direzione Generale per il Personale Militare - Guida tecnica “Procedure disciplinari”, 7^ edizione, aprile 2021, 152. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 1354 e 1396 C.O.M. rientra tra le esclusive attribuzioni proprie del Comandante di corpo la valutazione e qualificazione dei fatti e la conseguente irrogazione di sanzione.

[5] L’art. 626 C.O.M. apre il Capo II sulla “gerarchica militare”. Ivi si sancisce che “il personale militare è ordinato gerarchicamente in relazione al grado rivestito. Il grado corrisponde alla posizione gerarchica che il militare occupa nella scala gerarchica”.

[6] Circolare del Gabinetto del Ministro della Difesa pubblicata in data 28 giugno 2017 con protocollo M_D GUDC REG2017 0025285.

[7] Conseguentemente, il menzionato (supra) Ufficio di Gabinetto ha ritenuto “di dover escludere la possibilità di ammettere a colloquio il personale che cessi dal servizio attivo in un momento successivo alla proposizione della relativa richiesta, a prescindere dalle cause che possano averla determinata”.

[8] Nello specifico, il Consiglio di Stato, nel parere n. 1782 del 15 luglio 2008, ha affermato l’inammissibilità di un’istanza di conferimento con il Direttore della Direzione Generale per il Personale Militare presentata da un militare appartenente a linea gerarchica diversa da quella facente capo alla menzionata autorità.

[9] Ci si riferisce ai casi di “manifesta irricevibilità, inammissibilità improcedibilità o infondatezza della domanda” di cui all’art. 2, 1° comma, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990.

[10] Ad esempio, qualora si tratti di un’istanza di conferimento per motivi di servizio connessi con la disciplina di stato, potrebbero essere chiesti elementi di informazione e valutazione in merito, tramite l’emanazione di un parere, alla Direzione Generale per il Personale Militare, la quale, ai sensi degli artt. 1354 e 1376 C.O.M. costituisce “l’Autorità militare con potestà sanzionatoria nel capo della disciplinare” ed essendo un’Autorità interforze dipendente direttamente dall’Autorità politica, non è legata ad alcun vincolo gerarchico con la F.A..

[11] Da ultimo, si è pronunciato in tal senso il TAR Lazio nella sentenza n. 642/2023. Siffatta decisione di merito si pone in linea con i precedenti del Consiglio di Stato espressi, in sede consultiva, con il parere n. 135/2014 e, in sede giurisdizionale, con la sentenza della III Sezione n. 1727/2008.

[12] TAR Lazio, sentenza n. 642 del 13.01.2023.

[13] Istanze di conferimento con le S.A. a mente dell'art. 735 del T.U.O.M. - Termini di trattazione ex L. 241/90 del 13.01.2015 di Stato Maggiore dell’Esercito – I Reparto – Ufficio Giuridico Legale (protocollo M_D E0012000 0003783).

[14] Consiglio di Stato, parere n. 135 del 2014 e parere n. sezione 1727 del 2008. Al riguardo, per integrazione, nota istanze di conferimento con il Ministro della Difesa – motivazione del provvedimento di diniego del colloquio ed inapplicabilità dell’art. 10bis L.241/1990 del Ministero della Difesa – Ufficio di Gabinetto del Ministro del  17.04.2009 (protocollo 17537/6.11.1/09). In senso conforme, la giurisprudenza di merito, da ultimo, TAR Lazio, sentenza n. 642 del 13.01.2023.

[15] Ibidem.