• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 29 Mar 2023

Le Sezioni Unite sulla morte dell´ ex coniuge durante la causa per l’assegno divorzile

Modifica pagina

Tiziana Anna Ghiotto



Con il presente contributo si analizza la pronuncia Cass. civ. Sez. Unite, Sent., ud. 14/06/2022, dep. 24/06/2022, n. 20494, concernente la natura dell´assegno divorzile, procedendo, altresì, ad un esame della giurisprudenza e della dottrina in relazione all´efficacia del giudicato delle sentenze di divorzio.


ENG

The United Sections on the death of the spouse during the divorce case

This paper analyzes the ruling Cass. civ. Sez. Unite, Sent., ud. 14/06/2022), dep. 24/06/2022, No. 20494, concerning the nature of divorce allowance, also proceeding to an examination of the case law and doctrine in relation to the res judicata effect of divorce judgments.

Sommario. 1. La vicenda concreta: assegno divorzile e morte del coniuge. 2. I motivi addotti dalla parte ricorrente. 2.1. Primo motivo: l’abnormità della sentenza di secondo grado. 2.2. Secondo motivo: il quid novi della domanda. 3. Procedimento divorzile e tipologie di sentenza. 4. La natura dell’assegno di divorzio. 5. Il rilievo del giudicato nelle pronunce de quibus e le decisioni di cessazione della materia del contendere. L’approccio teorico e l’argomentazione casistica delle Sezioni Unite. 6. La specificità della vicenda affrontata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Il richiamo a un meno recente orientamento e la scelta della prosecuzione del giudizio. 7. Conclusioni

1. La vicenda concreta: assegno divorzile e morte del coniuge

Assai di recente, nel giugno 2022, la Corte Suprema di Cassazione, nella sua composizione a Sezioni Unite si è trovata a decidere di un contrasto giurisprudenziale circa vicende significativamente ricorrenti nella prassi del diritto di famiglia.

Mi riferisco alla sentenza n. 20494 del 24 giugno 2022, con cui la Corte dichiara che, nel caso di procedimento per la revisione dell’assegno divorzile[1], ai sensi dell’art. 9, comma 1, l. n. 898 del 1970[2], la morte del coniuge ricorrente nel corso del medesimo procedimento non comporta la declaratoria di  non proseguibilità dello stesso. Invero, consumatasi una sorta di litis contestatio, gli eredi subentrano nella posizione del coniuge che aveva richiesto la revisione: la successione degli eredi ha lo scopo di accertare la non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino alla data del decesso. Gli eredi, peraltro, subentrano nell’azione di ripetizione dell'indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c. per la restituzione delle somme non dovute[3]. Nello specifico, la Cassazione è intervenuta per comporre un contrasto giurisprudenziale che coinvolgeva le sorti laddove fosse stata emessa una pronuncia parziale, poi passata in giudicato, sullo status matrimoniale e, come appena ricordato sulla prosecuzione della causa vertente sull’entità dell’assegno divorzile. Peraltro, come verrà accennato nel corpo del presente contributo, la sentenza in oggetto si segnala perché affronta a latere numerose altre questioni relative alle impugnazioni - parziali o totali - di sentenze sugli status e di natura endoprocessuale.

Dopo avere sintetizzato i contenuti della decisione, appare opportuno ripercorrere, seppur cursoriamente, il caso concreto giunto al giudizio supremo di legittimità[4].

Con una sentenza parziale datata 4 settembre 2013, il Tribunale di Macerata aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i due coniugi, rimettendo, con una separata ordinanza, la causa in istruttoria, al fine di accertare il diritto a percepire l'assegno divorzile a favore di uno degli stessi. In data 13 aprile 2014 era deceduto il marito, soggetto sul quale gravava la richiesta di corresponsione dell’assegno, sicché il Tribunale di Macerata aveva provveduto a dichiarare l'interruzione del processo. Successivamente, la ex moglie del defunto aveva riassunto il processo nei confronti degli eredi. Il Tribunale di primo grado marchigiano pronunciava sentenza il 26 giugno 2017, accertando il diritto post mortem della ex moglie a percepire un assegno divorzile sino alla data del decesso dell'ex marito. Gli eredi del defunto impugnavano la sentenza soltanto sulla decisione definitiva concernente l’assegno e non già sulla parte della sentenza che statuiva circa lo status matrimoniale. Il giudizio di secondo grado si concludeva con il rigetto della domanda di impugnazione versato nella sentenza della Corte d’Appello di Ancona del 23 marzo 2018, n. 390.

Le argomentazioni della Corte d’Appello si basavano su una carenza dell’atto di appello proposto. Più precisamente i giudici di Seconde Cure avevano ritenuto che l’atto di appello, così come formulato dagli eredi dell’ex marito, non avesse menzionato due richieste di riforma del provvedimento, essendosi limitato a morte sostenere morte la novità della domanda, asseritamente proposta con l'atto di riassunzione di controparte, e finalizzata ad affermare la debenza dell'assegno divorzile strumentalmente all'ottenimento di una quota della pensione di reversibilità, secondo quanto richiesto dall’art. 9, legge 1 dicembre 1970, n. 898 già citato. Precisando ancora, invero, la Corte d’Appello aveva sostenuto che la domanda, proposta con l’atto di riassunzione dalla ex moglie contro gli eredi dell'ex coniuge, fosse diretta esclusivamente all'accertamento della spettanza dell'assegno divorzile e limitatamente al periodo dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio a quella della morte del coniuge obbligato. Dal punto di vista della disciplina processuale, ne deriva che tale domanda non poteva considerarsi nuova, ma fosse invece ammissibile. Diversamente, non sarebbe stata ammissibile solo quella domanda, nei fatti di causa non proposta, volta a ottenere dagli eredi un contributo al mantenimento per il periodo successivo al decesso. Nel merito, poi, la Corte ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l'assegno divorzile.

La sentenza di secondo grado viene impugnata in Cassazione e assegnata alla Prima Sezione Civile; con un’ordinanza interlocutoria del 29 ottobre 2021, n. 30750, si decide per la rimessione al Primo Presidente, perché si valutasse l’assegnazione alle Sezioni Unite. Al ricorso, fondato su cinque motivi, gli intimati non oppongono eccezioni. Dopo la richiesta del Procuratore Generale di rigetto del ricorso, la causa viene decisa all’udienza collegiale del 10 maggio 2022.

Anticipiamo che oggetto specifico della rimessione alle Sezioni unite sono propriamente le questioni relative alle sorti del processo, conducendo a una riflessione sulle parti coinvolte nel giudizio divorzile, sulla natura delle sentenze ivi pronunciate e, infine sulla successione nel processo. Entrano in gioco e vengono sottoposti a rinnovata riflessione, gli istituti processuali dell'interruzione e della riassunzione della causa civile.

2. I motivi addotti dalla parte ricorrente

2.1. Primo motivo: l’abnormità della sentenza di secondo grado

Il caso de quo si rivela, all’evidenza, assai significativo, sia perché, adendo il Supremo Consesso, consente di esprimere una parola definitiva a proposito di un tema dalla portata generale assai impattante nella prassi, sia perché offre l’occasione per riflettere - guidati dalle argomentazioni della Corte - su alcuni nodi cruciali del diritto processuale di famiglia.

Conviene, dunque, passare in rassegna i cinque motivi sui quali le Sezioni Unite hanno avuto modo di pronunciarsi.

Con un primo motivo, la parte ricorrente ha dedotto la violazione o la falsa applicazione degli artt. 81[5], 300[6] e 303[7] cod. proc. civ., degli artt. 5, comma 6[8], e 9-bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898[9]. Si sosteneva, infatti, che il decesso del coniuge avesse determinato la cessazione della materia del contendere ex tunc, dal momento della morte medesima, e con riferimento a tutte quante le domande giudiziali proposte dalla donna. Il decesso in corso di causa - sostiene l’impugnante - avrebbe reso impossibile la definizione nel merito, anche a fronte della non trasmissibilità dell’obbligo personalissimo di corrispondere l’assegno che non si sarebbe potuto trasferire a carico degli eredi. Si aggiunge, nel primo motivo, che l’ex marito non aveva debiti nei riguardi della moglie, poiché quest’ultima riceveva l’assegno mensilmente direttamente dall’Inps. In questo senso - sostiene la parte ricorrente - nessun debito residuava in capo all’uomo deceduto e- si sosteneva - «a causa attiene non a debiti maturati e non pagati, ma alla domanda dell'assegno di mantenimento solo quale strumentale all'ottenimento della pensione di reversibilità». In questa prospettiva, la decisione di secondo grado sarebbe risultata abnorme, perché avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere e, invece, aveva statuito per la debenza di un assegno di mantenimento a carico dell’ex coniuge[10]. Tutto ciò avveniva in una fattispecie nella quale la causa di riassunzione vede come parti gli eredi, i quali, però, non possono tecnicamente succedere nell’obbligo di mantenimento, che mai era stato deciso con sentenza.

2.2. Secondo motivo: il quid novi della domanda

Il secondo motivo di gravame si riferisce alla violazione o la falsa applicazione degli artt. 183, 303 cod. proc. civ. e degli artt. 5, comma 6 e 9-bis della legge n. 898 del 1970. I ricorrenti, infatti, sostengono che la domanda proposta con il ricorso in riassunzione fosse una domanda nuova, perché finalizzata a ottenere l'accertamento della debenza di un assegno divorzile al solo scopo di acquisire la pensione di reversibilità.

Si era ritenuto, pertanto, che l’evenienza fosse tale da avere mutato la natura della domanda di debenza: non si richiedeva più, infatti, lo stesso oggetto della domanda originariamente mossa all’ex coniuge. Dunque, modificato il petitum, la domanda riversata nella domanda si considerava nuova e, pertanto, inammissibile. In altri termini, l’azione preposta si configurava come un’azione di mero accertamento, relativa, appunto, all’esistenza di un tal caso, la natura della domanda muta, perché essa mira ad ottenere un bene della vita del tutto diverso da quello oggetto dell’originaria domanda verso l’ex coniuge. La nuova domanda, in altri termini, avrebbe mirato ad una pronuncia di mero accertamento, relativa alla possibilità, in astratto, di godere dell’assegno di mantenimento, mentre la domanda originaria mirava a ottenere una condanna al mantenimento, parametrata alla condizioni di vita manente matrimonio. Dunque, la Corte d’appello di Ancona avrebbe errato, laddove negava il quid novi della domanda, riferendosi essa al periodo precedente la morte del marito. Inoltre, una simile richiesta non si sarebbe neppure legittimamente rivolgere agli eredi, poiché l'unico legittimato passivo titolare dell’obbligo era da considerarsi il defunto.

Tra i rimanenti tre motivi, con il terzo viene dedotta la violazione o la falsa applicazione delle regole sull’onere della prova. In particolare, la violazione si applicherebbe all'accertamento dello stato di bisogno disciplinato dall’art. 5, comma 6, legge n. 898 del 1970, gravante sul coniuge che domanda la corresponsione dell’assegno. Con il quarto motivo, invece, si segnala, nuovamente, la violazione o la falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, legge n. 898 del 1970: la corte territoriale avrebbe omesso qualunque giudizio di comparazione tra le posizioni economiche e le posizioni patrimoniali degli ex coniugi. Infine, con il quinto motivo si censura l’omissione di un esame ritenuto decisivo, l’esame condotto sui documenti prodotti con una memoria depositata nel corso del primo grado di giudizio, specificamente relativi alle condizioni di salute del marito.

3. Procedimento divorzile e tipologie di sentenza

L’art. 4, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (così come sostituito dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella legge 14 maggio 2005 n, 80), ai commi 12, 13 e 14, contengono delle previsioni che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ricorda e che vale la pena sinteticamente rammentare[11]. Si riferisce, infatti, anzitutto al caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette una sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso una simile sentenza è ammesso solamente l’appello immediato e, una volta formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all'art. 10, sicché occorre trasmettere la sentenza in copia autentica, a cura del cancelliere, all'ufficiale dello stato civile per le annotazioni e le ulteriori incombenze. Ne consegue che lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio «hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell'annotazione della sentenza». La seconda previsione si riferisce al caso in cui sia stata pronunciata la sentenza non definitiva: il tribunale, pronunciandosi sull’an di somministrazione dell'assegno, ha la possibilità di disporne gli effetti sin dal momento della domanda. Infine, la Cassazione civile a Sezioni Unite ricorda che «per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva». Alla luce di tali previsioni, è evidente come l’obiettivo sia di pervenire alla formazione del giudicato nel più breve tempo possibile. Difatti, il tribunale adempie alla propria funzione semplicemente accertando lo status, specificamente dello status di soggetto non coniugato[12]. Sotto altro profilo patrimoniale, l’attività giudiziaria consente il più complesso accertamento della condizione di bisogno di uno dei coniugi, presupposto per la corresponsione dell’assegno. Si tratterebbe, stante la previsione legislativa, di una «sentenza non definitiva» perché il giudice non decide di tutte quante le posizioni processuali, non si spoglia dell'intero processo; sotto altro profilo, però, decidendo una mera questione di stato, la sentenza si qualifica come sentenza definitiva parziale.

D’altra parte, poi, non vi sono dubbi nel riconoscere la natura di sentenza costitutiva alla sentenza che pronuncia in merito allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, a i sensi dell’art. 4 della legge n. 898 del 1970: essa, infatti, produce l’effetto di fare cessare il vincolo, riacquisendo entrambi i coniugi lo stato civile di liberi[13].

4. La natura dell’assegno di divorzio

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza del 24 giugno 2022, ha avuto modo di ricordare la struttura della sentenza che si pronuncia sull’assegno divorzile, richiamandone la natura. Essa, come la vera e propria sentenza di divorzio, ha una natura costitutiva. Oltre al contenuto accertativo, però, ve n’è uno propriamente condannatorio e una palese efficacia ex tunc, che decorre dal passaggio in giudicato della decisione inerente la cessazione del vincolo matrimoniale[14]. Il Giudice, dal canto suo, ‘dispone l’obbligo di corresponsione dell’assegno, ma non lo dichiara, e valuta, ai sensi dell’art. 5, comma 6, legge n. 898 del 1970, sia l’an che il quantum dell’assegno medesimo, secondo i suddetti parametri di legge. Dunque, appare evidente come la pronuncia da cui può scaturire una dichiarazione di debenza dell’assegno è solo la sentenza di accertamento costitutivo operato dal giudice; egli, «in presenza di determinati requisiti e interponendo il proprio apprezzamento discrezionale, può concedere o no l’assegno e, in caso positivo, stabilirne l’ammontare, secondo i parametri legali»[15]. Ancora più specificamente, si può dire che l’attribuzione dell’assegno divorzile può configurarsi esclusivamente come conseguenza di una pronuncia giudiziaria: in nessun caso può essere statuita da un accordo privato[16]. E, infatti, per entrare nel cuore della decisione nel caso de quo, la Corte di Cassazione ha richiamato pronunce consentanee che hanno escluso l’equiparabilità dell’ipotesi di assegno divorzile con l’ipotesi di assegno liberamente e spontaneamente corrisposto al fine di fondare il diritto alla pensione di reversibilità[17].

Nel corso delle sue argomentazioni, la Corte a Sezioni Unite ha avuto cura di ricordare tratti della pronuncia di divorzio e della decisione sull’assegno utili per la statuizione finale. Premesso, come noto, che il procedimento per lo scioglimento del vincolo matrimoniale mira, anzitutto, alla modifica dello stato del coniuge, ma sottolinea come a volte vi sono comprese altre previsioni, di natura economica (che sono conseguenti all’elisione del legame coniugale) oppure relative agli eventuali figli della coppia, alla loro gestione e al loro mantenimento. Da ciò deriva che l’assegno di divorzio si configura come la traduzione compiuta dal giudice «nel linguaggio della corrispettività», delle vicende che, in costanza di matrimonio, si presume, fossero, invece, ispirate al principio della gratuità. In questa prospettiva, appare significativa una pronuncia di qualche anno antecedente quella in esame. Come ricordato nella stessa sentenza in commento, le Sezioni Unite, con l’arresto dell’11 agosto 2018 n. 18287, ribadiscono che l’assegno divorzile svolge una funzione assistenziale, compensativa e perequativa, per la quale è richiesta, nel corso del giudizio, la prova della inadeguatezza dei mezzi economici vantati dalla parte istante e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive[18]. È ormai patrimonio giurisprudenziale consolidato, poi, che l’an e il quantum dell’assegno medesimo dovranno essere identificati non soltanto alla luce del contributo che l’istante aveva garantito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, ma anche alla luce del contributo personale fornito da ciascun coniuge, considerando la durata del matrimonio e l’età dell’avente diritto.

Questione diversa è quella relativa all’assegno periodico a carico dell’eredità. Difatti, se è indiscutibile che con la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ciascun coniuge perda i diritti successori nei confronti dell’ex coniuge divorziato che muoia, un’eccezione è prevista dall’art. 9-bis della legge n. 898/1970, dove si prevede che il divorziato possa chiedere che gli venga riconosciuto il diritto di ricevere un assegno periodico a carico dell’eredità, purché egli sia titolare dell’assegno di divorzio e si trovi in stato di bisogno[19].

5. Il rilievo del giudicato nelle pronunce de quibus e le decisioni di cessazione della materia del contendere. L’approccio teorico e l’argomentazione casistica delle Sezioni Unite

Dalla ricostruzione dei fatti di causa, si comprende come un ruolo centrale per risolvere la questione giuridica proposta sia svolto dal concetto di giudicato. Più precisamente, occorre domandarsi come l’evento della morte dell’ex coniuge impatti sulle decisioni passate in giudicato. Assodata la natura costitutiva e di accertamento della sentenza di divorzio e della sentenza di assegno divorzile, si può, dunque, ricordare la posizione della giurisprudenza di legittimità che sostiene come esse acquistino efficacia solamente con il passaggio in giudicato[20]; in altre parole, esse rimarrebbero impermeabili alla previsione dell’art. 282 cod. proc. civ., norma che prevede l’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado[21].

La morte di uno dei due coniugi che siano parti processuali in una causa finalizzata allo scioglimento del vincolo matrimoniale rappresenta una fattispecie peculiare della più ampia e varia serie di casi in cui si verifica il venire meno di una parte processuale. Si tratta di situazioni che, di per sé stesse, non possono precludere il legittimo interesse - anche solo di fatto - del coniuge superstite alla prosecuzione del giudizio. Basti ricordare - come fa la Cassazione - che la pronuncia per l’assegno divorzile è presupposto, ad esempio, per il conseguimento dell’assegno periodico a carico dell’eredità, secondo quanto previsto dall’art. 9-bis legge n. 898 del 1970. Esso è indispensabile, poi, per ottenere la quota dell’indennità di fine rapporto dell’altro coniuge, ai sensi dell’art. 12-bis, legge n. 898 del 1970. Infine, per quanto riguarda la specifica vicenda in esame, esso rappresenta il presupposto per l’attribuzione della pensione di reversibilità ex art. 9, legge n. 898 del 1970.

In qualunque di queste situazioni, a rilevare è il momento in cui si verifica il fatto. In particolare, rileva che esso accada prima della pronuncia di una qualsiasi sentenza, ovvero dopo la pronuncia della sentenza costitutiva di divorzio.

Nel primo caso, qualora si verifichi il decesso di uno dei due coniugi, si deve constatare, senza alcun dubbio, la cessazione della contesa, come prevede espressamente l’art. 149 cod. civ.[22]. Ne consegue che, se l’evento della morte si verifichi prima della pronuncia di scioglimento del matrimonio e di costituzione del nuovo stato dei coniugi, non si potrà formulare alcun tipo di pretesa di tipo patrimoniale. Anche la domanda sull’assegno divorzile, dunque, cadrà nel vuoto, non sussistendone i presupposti[23].

Nella seconda ipotesi, ossia quando l’evento si verifichi dopo la pronuncia della sentenza costitutiva di divorzio, occorre ulteriormente distinguere se si tratti di una sentenza parziale sullo status, con prosecuzione della causa per le statuizioni patrimoniali, oppure di una sentenza definitiva totale, avendo essa pronunciato sia sullo status, sia in ordine ai profili patrimoniali. In entrambi i casi, occorre distinguere delle sotto ipotesi. Per quanto attiene alla sentenza parziale relativa allo stato, può accadere che la sentenza sia stata impugnata[24], oppure, semplicemente, che non lo sia stata. Nel secondo caso, invece, quando si tratti di una sentenza definitiva totale, occorre verificare se la sentenza sia stata impugnata in toto, ovvero se la sentenza sia stata impugnata solamente sulle statuizioni patrimoniali; oppure che la sentenza non sia stata del tutto impugnata.

A questo proposito, le articolate soluzioni sono state efficacemente schematizzate dalle Sezioni Unite, rilevando come esse convergano solamente laddove non vi sia stata alcuna impugnazione sulla pronuncia relativa al divorzio[25].

Può accadere che il tribunale si esprima solamente sull’accertamento dello stato dei coniugi, dando poi indicazioni, in separata ordinanza, per regolare, nel prosieguo del giudizio, le conseguenze patrimoniali della cessazione del vincolo. Può accadere, in tale evenienza, che la sentenza relativa allo stato venga impugnata immediatamente e che, nel frattempo, prosegua il giudizio di primo grado sull’assegno. L’evento della morte di uno dei coniugi, in tal caso, escluderebbe che si possa pervenire a un giudicato, sicché il procedimento troverà la propria naturale conclusione in una declaratoria di cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 149 cod. civ. Logicamente, la stessa sorte spetterà anche al giudizio relativo all’assegno divorzile. Diversamente, se la sentenza di accertamento dello stato non viene sottoposta a impugnazione, una volta scaduti i termini di cui all’art. 325 c.p.c., essa passa in giudicato. A quel punto, la morte avvenuta dopo il passaggio in giudicato non produce conseguenze di alcun tipo.

Ancora differente è il caso in cui il giudice decide sullo stato dei coniugi e anche sulla condanna all’assegno divorzile. Infatti, dal momento che il provvedimento ha coinvolto ogni statuizione, laddove vi sia una impugnazione che impedisce la configurazione di un giudicato, l’intero oggetto processuale rimane controverso. Ciò significa che, laddove si verifichi l’evento della morte di uno dei due coniugi, non si potrà immaginare alcun tipo di trasmissibilità, non essendosi consolidato né lo status di libero (peraltro di per sé non trasmissibile), né la condanna alla corresponsione dell’assegno. In questo caso, la causa si estingue, perché si considera cessata la materia del contendere.

Più precisamente, quanto all’oggetto dell’impugnazione, avremo il consolidamento di tutti quanti i capi della sentenza, anche di quelli impugnati. E due sono le prospettive che rilevano. Da un lato, infatti, la sentenza impugnata si concluderà con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere ai sensi del più volte richiamato art. 149 cod. civ.; dall’altro lato, invece, neppure si può ipotizzare una prosecuzione del giudizio, ai fini della determinazione dell’an e del quantum dell’assegno, dal momento che l’unico soggetto legittimato come portatore degli interessi de quibus è venuto meno. Un ulteriore caso, diametralmente opposto a quello ora descritto, si verifica nell’ipotesi in cui la sentenza relativa allo status e all’assegno divorzile non sia stata oggetto di gravame, essendo già decorsi i termini per l’impugnazione. In un simile caso, il passaggio in giudicato coinvolge tanto l’accertamento dello stato, sia la condanna all’assegno. Il diritto alla corresponsione di quest’ultimo, infatti, deve ritenersi ormai consolidato[26].

Si tratta di ipotesi che nella prassi si verificano con significativa frequenza e la ricognizione operata dalla Corte, pur nell’apparente complessità, costituisce un utile strumento di interpretazione per gli operatori del diritto.

6. La specificità della vicenda affrontata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Il richiamo a un meno recente orientamento e la scelta della prosecuzione del giudizio

Infine, vi è il caso che ci interessa. Essa attiene all’ipotesi in cui la sentenza venga impugnata esclusivamente sulle decisioni patrimoniali e non relativamente allo stato dei coniugi: si tratta - conviene ribadirlo ulteriormente - del caso in cui la sentenza di divorzio abbia anche attribuito il diritto all’assegno e che questa sola decisione sia stata impugnata. Dunque, la pronuncia sullo stato deve ritenersi divenuta res iudicata, ossia già passata in giudicato e, quindi, non più suscettibile di impugnazione; al contrario, la disciplina, in caso di morte del coniuge obbligato, dell’obbligo di pagamento dell’assegno, assume connotati peculiari.

La conclusione della Suprema Corte di legittimità viene riassunta nel principio di diritto secondo cui

"nel caso di pronuncia parziale di divorzio sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine dell'attribuzione dell'assegno divorzile, il venir meno di un coniuge nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilità, ma il giudizio può proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all'accertamento della debenza dell'assegno dovuto sino al momento del decesso".

Il ragionamento cui si raggiunge tale conclusione poggia sulle argomentazioni poc’anzi richiamate e si articola in un discorso più accurato che ora si tenterà di riproporre.

Occorre ricordare che, proprio sul profilo che qui ci occupa, la Corte ha richiamato un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, nel caso in cui la sentenza parziale sullo status non venga impugnata, occorrerebbe necessariamente attribuire natura unitaria e complessa al giudizio divorzile[27]. In altri termini, come ripetuto in numerosi arresti dagli anni Ottanta ad oggi, dal momento che lo status rappresenta un diritto personalissimo e intrasmissibile, quando una delle parti venga meno, non vi è più alcuna possibilità di modifica della primitiva richiesta, né per la domanda principale, né per le domande accessorie[28]. Ma la Corte di Cassazione fa una precisazione dall’impatto teorico e sistematico significativo: afferma che, tecnicamente, non si tratterebbe di una cessazione della materia del contendere, bensì di una improcedibilità del giudizio.

Di opposto tenore era, invece, un più antico orientamento della Corte di legittimità, secondo il quale, alla morte di uno dei coniugi, il processo sarebbe potuto proseguire, per la corretta determinazione dell’an e del quantum dell’assegno divorzile. La questione, dunque, sarebbe stata decisa nei riguardi degli eredi[29].

E anche nel caso trattato le Sezioni Unite hanno abbracciato questa posizione, ammettendo la possibilità di proseguire il giudizio relativo all’obbligo di corresponsione di un assegno nei confronti degli eredi del preteso obbligato, ai fini di accertare se il diritto all’assegno fosse dovuto a partire dalla data del passaggio in giudicato della sentenza relativa allo stato di libero sino a quella del decesso.

Si tratta di un indirizzo minoritario e quindi occorre chiedersi: perché il Supremo Collegio ha deciso di accoglierlo? Quali sono le argomentazioni sostanziali sottese alla scelta, posto che le premesse riportate nei paragrafi precedenti avrebbero cautamente fatto optare per una decisione di segno opposto?

Le Sezioni Unite partono da una considerazione: che la perdurante pendenza del mero giudizio riguardante le domande accessorie possa rappresentare una causa di scissione proprio di quella unitarietà della causa di divorzio che rappresenta una caratteristica ineludibile del procedimento, come visto anche supra. La pronuncia sulle domande accessorie verrebbe solo differita e per meri motivi contingenti. E a tali considerazioni - precisa la Corte - si arriva anche laddove si debba intensificare l’espletamento di prove per ottenere la più corretta quantificazione dell’assegno, come previsto ex lege dagli artt. 5, comma 6, legge n. 898 del 1970[30] e del comma 9, della medesima disposizione[31]. Le Sezioni Unite ritengono tali parametri «elementi partecipativi al processo», che presuppongono obblighi di produzione istruttoria inerenti al patrimonio personale e comune; inoltre, al giudice è consentito anche disporre indagini sui redditi sui patrimoni e sul loro tenore di vita: e tale attività istruttoria può senz’altro essere svolta anche nei riguardi degli eredi[32].

In altre parole, - ed è questo lo snodo finale e definitivo della pronuncia in oggetto - taluni obblighi che hanno la propria origine nel vincolo coniugale e che già hanno assunto una configurazione pecuniaria possono essere stati già oggetto di valutazione giudiziaria e, pertanto, possono ritenersi stabilmente penetrati nel patrimonio dell’avente diritto e dei suoi eredi. Le obbligazioni di natura pecuniaria o le obbligazioni diverse nel caso in cui siano state già liquidate, infatti, come noto, godono della trasmissibilità sia dal lato attivo che dal lato passivo. Esse, se non sono state oggetto di una impugnazione, devono ritenersi confermate e la sentenza che li accerta rappresenta senza alcun dubbio un vero e proprio titolo esecutivo.

Alla luce di tali riflessioni, nella vicenda rappresentata alla Corte a Sezioni Unite, quest’ultima decide nitidamente: laddove un simile debito

"sussista come avente titolo in una sentenza sull'assegno impugnata, il quantum liquidato dal giudice, afferente il periodo tra il momento del giudicato della sentenza sullo status (o la diversa decorrenza stabilita, anche da un provvedimento provvisorio) e quello del decesso è un debito maturato in vita dal de cuius e passa agli eredi, così che avverso medesimi potrà essere fatto direttamente valere in via esecutiva".

7. Conclusioni

L’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza n. 20494 ha inteso porre fine a una questione assai intricata, che coinvolge temi sensibili propri del diritto di famiglia (come la debenza dell’assegno divorzile, l’ammontare dello stesso, le sentenze di accertamento dello status coniugale, le conseguenze del decesso di uno dei due coniugi) e questioni tecniche di diritto processuale civile (il giudicato, la trasmissibilità di diritti e di azioni, l’estinzione del processo, la sua improcedibilità, la scissione dei giudizi accessori). La percezione della portata della sentenza potrà forse essere maggiormente apprezzata riflettendo sui precedenti che l’hanno giustificata.

Si è già avuto modo di richiamare in note la sentenza Cass. civ., 11 novembre 2021, n. 33346. In essa si statuiva che la morte del coniuge in pendenza del processo di divorzio determina la cessazione della materia del contendere, sebbene tale evento si verifichi nel corso del giudizio di impugnazione promosso esclusivamente per ottenere una diversa quantificazione dell'assegno divorzile. La conseguenza, in un simile caso, sarebbe stata nel senso di determinare il passaggio in giudicato della decisione sullo stato dei coniugi; dal momento, poi, che il procedimento di divorzio deve essere inteso come procedimento unitario, le sottostanti esigenze istruttorie giustificano la pronuncia differita sulle domande accessorie, come quella inerente all’assegno divorzile. La Corte, invero, nel 2021, sottolinea come tale pronuncia differita sulle domande accessorie non giustificherebbe una deroga al principio per cui l’obbligo di contribuire al mantenimento dell’ex coniuge ha natura personalissima, e in quanto tale esso è intrasmissibile agli eredi e suscettibile di essere accertato esclusivamente in relazione all’esistenza della persona alla quale riferisce la dichiarazione di stato.

Cass. civ. 20 febbraio 2018, n. 4092, già citata, ricostruisce la fattispecie dal punto di vista della cessazione della materia del contendere: in tale arresto, si legge che, in tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, la morte del coniuge, quand’anche essa avvenga nel corso del giudizio di legittimità, fa cessare la materia del contendere. La cessazione avviene tanto nel giudizio relativo allo status, quanto nel giudizio relativo alle domande accessorie e, pertanto, anche nel giudizio sulla richiesta di assegno divorzile. Il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, peraltro, non acquista alcun rilievo, proprio in considerazione del fatto che l’obbligo di corresponsione dell’assegno è personalissimo e non è trasmissibile agli eredi,  «trattandosi di posizione debitoria inscindibilmente legata a uno status personale, che può essere accertata solo in relazione alla persona cui detto status si riferisce». È evidente, dunque, come le più recenti pronunce di legittimità si muovessero in senso conforme e contrario rispetto alla decisione poi assunta dalla Suprema Corte a Sezioni Unite.

Pronunce più risalenti - già ricordate dalla Corte nel suo argomentare e poc’anzi rapidamente citate - assumevano un punto di vista differente, affermando che, al contrario, il giudizio dovesse proseguire. In particolare, merita di essere citata Cass. civ., 11 aprile 2013, n. 8874, a tenore della quale la pronuncia sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso integrerebbe un capo autonomo della sentenza che, laddove non impugnato, passerebbe in giudicato anche in pendenza di un giudizio contro le statuizioni relative all’attribuzione e alla quantificazione dell’assegno. La soluzione cui giunge la Corte, dunque, è nel senso di ritenere che il procedimento per la definizione delle questioni di rilevanza patrimoniale non si estingue, non produce la cessazione della materia del contendere, ma, producendo riflessi sulla sfera giuridica delle parti e dei loro eredi, consente, invece, la prosecuzione del processo. Si tratta di una posizione già assunta nel 2007: in Cass. civ., 3 agosto 2007, n. 17041, si decide che nell’ambito del giudizio per la revisione delle condizioni di divorzio, finalizzato all’accertamento della sussistenza del diritto (che non sia stato riconosciuto in sentenza) alla corresponsione di un assegno a carico dell’ex coniuge, la morte del coniuge obbligato, nel caso sia avvenuta nelle more del giudizio, non determina la cessazione della materia del contendere. La Corte osserva, infatti, che il principio dell’intrasmissibilità dal lato passivo, dell’obbligo di corresponsione, una volta che sia stata proposta la domanda giudiziale, non trova applicazione per il periodo successivo all’inizio del procedimento e sino alla data del decesso della parte; in tale periodo, infatti, permane l’interesse dell’istante alla definitiva regolamentazione del diritto all’assegno.

Se è vero che le Sezioni Unite paiono avere abbandonato l’orientamento più recente per accogliere conclusioni sistematiche proprie di una giurisprudenza più risalente, a una attenta lettura risulta come l’operazione svolta sia ben più articolata, tendendo a conciliare gli esiti migliori delle riflessioni svolte dai giudici di legittimità nei decenni. Si arriva a una definizione del tema che soddisfa l’interprete più sensibile alla tutela degli interessi emergenti nella vicenda descritta, in un’ottica di razionalizzazione dei giudizi e di protezione degli interessi familiari che dovrebbe costituire sempre la bussola, laddove la tecnica processuale incontra il diritto di famiglia[33].


Note e riferimenti bibliografici

[1] Sulla revisione dell’assegno di divorzio, si può ricordare la recente pronuncia di Cass. civ., 24 maggio 2022, n. 16725, in Redazione Giuffrè, 2022, dove si legge che: «Allorché si proceda alla revisione delle condizioni economiche che hanno determinato l'attribuzione dell'assegno divorzile in favore di uno dei coniugi, l'apprezzamento a cui il giudice è chiamato impone una valutazione comparativa della condizione patrimoniale di entrambi i coniugi che deve limitarsi a prendere atto dei giustificati motivi posti a fondamento della relativa istanza e a registrarne la portata modificativa rispetto all'assetto assunto dai rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi di seguito allo scioglimento del vincolo matrimoniale».

[2] Art. 2033 cod. civ.: Indebito oggettivo. Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.

[3] In Dir. & Giust., 2022, 27 giugno, con nota di K. MASCIA, Quali conseguenze comporta la morte di un coniuge nel corso del giudizio di divorzio o di revisione dell'assegno divorzile?; in ilfamiliarista.it, 16 Settembre 2022, con nota di V. MAZZOTTA, Giudizio di revisione dell'assegno divorzile e morte dell'ex coniuge obbligato: quali conseguenze nei confronti degli eredi?.

[4] Per la dottrina sul punto, si possono ricordare le riflessioni e i richiami di M. BRUNO, La modifica dei provvedimenti di separazione, divorzio e tutela dei figli, Milano, 2018, passim.

[5] Art. 81 c.p.c. Sostituzione processuale.

[6] Art. 300 c.p.c. Morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace.

[7] Art. 303 c.p.c. Riassunzione del processo.

[8] Art. 5, comma 6, legge n. 898/1970: Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

[9] Art. 9-bis, legge 1 dicembre 1970, n. 898: A colui al quale è stato riconosciuto il diritto alla corresponsione periodica di somme di denaro a norma dell'articolo 5, qualora versi in stato di bisogno, il tribunale, dopo il decesso dell'obbligato, può attribuire un assegno periodico a carico dell’eredità tenendo conto dell'importo di quelle somme, della entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. L’assegno non spetta se gli obblighi patrimoniali previsti dall'articolo 5 sono stati soddisfatti in unica soluzione. Su accordo delle parti la corresponsione dell'assegno può avvenire in unica soluzione. Il diritto all’assegno si estingue se il beneficiario passa a nuove nozze o viene meno il suo stato di bisogno. Qualora risorga lo stato di bisogno l'assegno può essere nuovamente attribuito.

[10] Sul tema (ben più tipico della procedura penale), tra i vari contributi, ricordiamo A. CARRATTA, Sul provvedimento giudiziale c.d. abnorme e sui limiti della prevalenza della “sostanza” sulla “forma”, in Giur. It., 2000, 924; F.P. LUISO, Una vicenda (e un provvedimento) abnorme, in Giust. Civ., 2001, I, 232; A. CARRATTA, “Sostanza” del provvedimento abnorme e impugnazioni: le “sopravvalutazioni formalistiche” della cassazione, in Corr. Giur., 2002, 12, 1594; G.L. VERRINA, Principio di tassatività delle impugnazioni, provvedimenti abnormi e ricorso per cassazione, in Giur. It., 2003, I, 560; V. MAFFEO, L’abnormità, in Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, Assago, 2015; A. CAPONE, Per una dogmatica dell’abnormità, in Riv. Dir. Proc., 2016, I, 68.

[11] Art. 4, commi 12, 13 e 14, legge n. 898/1970: 12. Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all'articolo 10. 13. Quando vi sia stata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza che dispone l'obbligo della somministrazione dell'assegno, può disporre che tale obbligo produca effetti fin dal momento della domanda. 14. Per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva.

[12] Cfr. Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882, in Dir. & Giust., 2019, 24 gennaio, con nota di K. MASCIA, La sentenza di divorzio passa in giudicato prima della delibazione ecclesiastica di nullità: l'ex ha diritto all’assegno, che a proposito dello stato di divorziato, ritiene «che è uno status inesistente, determinando, piuttosto, la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero».

[13] Risulta, invero, differente rispetto alla vicenda in oggetto, la decisione di Cass. civ., SS.UU., 31  marzo 2021, n. 9004, in Ilfamiliarista.it, 30 agosto 2021, con nota di V. FASANO, Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e delibazione della sentenza canonica di nullità matrimoniale, sull’irrilevanza della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, una volta che sia ormai passata in giudicato la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, onde prosegue l'accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile.

[14] La Corte precisa, invero, che deve essere fatta salva l'ordinanza che disponga un assegno in via provvisoria ex art. 4, comma 8, oppure la decorrenza anticipata dalla data della domanda di divorzio sulla base del medesimo art. 4, comma 13, come deciso da Cass. civ., 17 settembre 2020, n. 19330, in Dir. & Giust., 2020, 18 settembre, con nota di L. TANTALO.

[15] Così, letteralmente, Cass. Civ., SS.UU., 24 giugno 2022, n. 20494.

[16] Cfr. recentemente Trib. Bolzano, 12 aprile 2022, n. 362, in Redazione Giuffrè, 2022. A parere di tale giudice, «i provvedimenti in materia di famiglia sia di natura personale, che economica - ivi compreso l'assegno divorzile - hanno un’attitudine al giudicato rebus sic stantibus, pertanto i fatti modificativi, quali ad esempio maggiori oneri economici gravanti su chi è tenuto al pagamento del contributo, sopraggiunti alla pronuncia giudiziale, non sono di per sé idonei ad incidere direttamente sulle statuizioni di ordine economico ed a determinarne automaticamente la modifica, essendo invece necessario che essi vengano fatti valere attraverso la speciale procedura di revisione ai sensi dell'art. 710 c.p.c. (previsto per la separazione) o dell'art. 9 della l. div.».

[17] Vengono richiamate a proposito Cass. civ., 27 novembre 2000, n. 15242, in Giur. it., 2001, 1111, con nota di O.B. CASTAGNARO; Cass. civ., 5 agosto 2005, n. 16560, in Giur. it., 2006, 7, 1369, con nota di A. SGROI; Cass. civ., 13 marzo 2006, n. 5422, in Giust. civ., 2006, 9, I, 1723; Cass. civ., 29 settembre 2006, n. 21129, in Giust. civ. 2006, 9, I, 1723; Cass. civ., 24 maggio 2007, n. 12149, in Guida al diritto, 2007, Dossier 10, 11; Cass. civ., 1 agosto 2008, n. 21002, in Giust. civ. Mass., 2008, 9, 1299, in Giust. civ., 2009, 6, I, 1339; Cass. civ., 18 novembre 2010, n. 23300, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ., 9 giugno 2011, n. 12546, in Giust. civ. Mass., 2011, 6, 873; in Foro it., 2011, 10, I, 2697; Cass. civ., 23 ottobre 2017, n. 25053, in Giust. civ. Mass., 2018.

[18] Cfr. Cass. civ., 5 marzo 2019, n. 6386, in Foro It., 4, I, 1181, con nota di G. LUCCIOLI. Nell’arresto citato, si legge che, posto che l’assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, e va determinato alla stregua dei canoni enucleati da Cass. 18287/18, non si discosta da questi ultimi e va pertanto confermata la pronuncia di merito che, in sede di revisione delle condizioni di divorzio, ai sensi dell'art. 9 l. div., ha revocato l'obbligo di corrispondere tale assegno a carico dell'ex marito, per il venir meno sia della richiamata funzione assistenziale, a causa della sopravvenuta riduzione della capacità reddituale dell'uomo, conseguente al suo pensionamento, mentre ormai l'ex moglie è del tutto autosufficiente economicamente, in quanto titolare di un reddito medio di euro 3.000 mensili, sia di quella perequativo-compensativa, atteso che la beneficiaria neppure aveva dedotto quale fosse stato il suo contributo alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell'ex coniuge».

[19] Cfr. Cass. civ., 27 novembre 1996, n. 10557, in Giust. civ. Mass., 1996, 1609, secondo cui, attribuendo al divorziato del defunto un assegno a carico dell’eredità, l’obbligo di corrispondere l’assegno di divorzio non si trasferisce sul coniuge superstite o sugli eredi del defunto, perciò non può essere considerato la continuazione dell’assegno di divorzio.

[20] Cass. civ., 30 gennaio 2019, n. 2537, in Guida al diritto, 2019, 11, 26; Cass. civ., 20 febbraio 2018, n. 4007; Cass. civ., 8 novembre 2018, n. 28508, in Giust. civ. Mass., 2019; Cass. civ., 10 gennaio 2014, n. 406, Giust. Civ. Mass., 2014; in Riv. del Notariato, 2014, 3, 523; Cass. civ., SS.UU., 22 febbraio 2010, n. 4059, in Giust. civ. Mass. 2010, 2, 242; in Il civilista, 2011, 6, 64 con nota di C.M. PENUTI; Cass. civ., 29 luglio 2011, n. 16737, in Foro it., 2012, 1, I, 182, con nota di G. IMPAGNATIELLO.

[21] Art. 282 c.p.c. Esecuzione provvisoria. La sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva tra le parti.

[22] Art. 149 cod. civ. Scioglimento del matrimonio. Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell'articolo 82 o dell'articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

[23] Sulla questione, in questo senso: cfr. Cass. civ., 11 novembre 2021, n. 33346, in Giust. civ. Mass., 2022; Cass. civ., 17 luglio 2009, n. 16801, in Giust. civ. Mass., 2009, 7-8, 1117; in Dir. famiglia, 2010, 3, 1126, con nota di S. CANESTRELLI; Cass. civ., 19 giugno 1996, n. 5664, in Dir. famiglia 1997, 543; in Giur. it. 1997, I,1, 634.

[24] L’impugnazione è possibile ai sensi dell’art. 4, comma 12, secondo periodo, legge n. 898 del 1970.

[25] La Corte di Cassazione precisa, altresì, come mutatis mutandis, considerazioni analoghe valgano non soltanto nel caso in cui il procedimento si concluda con una sentenza, ma anche quando le decisioni siano assunte nel decreto con cui si decide della richiesta di modifica delle condizioni, ex dell'art. 9, comma 1, Iegge n. 898 del 1970.

[26] Cfr. ex multis, ampiamente A. CAGNAZZO (a cura di), L’assegno nella separazione e nel divorzio, Roma, 2019, 245. Più dialettica la ricostruzione di M. MARINO, Separazione e divorzio. Normativa e giurisprudenza a confronto, Milano, 2012, 304.

[27] La Corte assimila a tale fattispecie quella della sentenza definitiva totale, impugnata solamente per i profili patrimoniali.

[28] Si orientano in tale senso svariate pronunce  ex multis, Cass. civ., 11 novembre 2021, n. 33346, in Giust. civ. Mass., 2022; Cass. civ., 2 dicembre 2019, n. 31358, in DeJure. Banche dati editoriali GFL; Cass. civ. 20 febbraio 2018, n. 4092, in Foro it., 2018, 5, I, 1674, con nota di C. BONA; Cass. civ., 12 dicembre 2017, n. 29669, in Giust. civ. Mass., 2018; Cass. civ., 8 novembre 2017, n. 26489; Cass. civ., 26 luglio 2013, n. 18130, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass civ., 20 novembre 2008, n. 27556, in Giust. civ. Mass., 2008, 11, 1652; in Dir. famiglia 2010, 1, 32; in Dir. famiglia, 2010, 2, 558; Cass civ., 27 aprile 2006, n. 9689, in Giust. civ. Mass., 2006, 4; Cass. civ., 4 aprile 1997, n. 2944, in Giust. civ. Mass., 1997, 537; Cass. civ., 3 febbraio 1990, n. 740, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 2; Cass. civ., 18 marzo 1982, n. 1757; Cass. civ., 29 gennaio 1980, n. 661, in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 1.

[29] Cass. civ.. 11 aprile 2013, n. 8874, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass. civ., 3 agosto 2007, n. 17041, in Giust. civ. Mass., 2007, 9; Cass. civ., 24 luglio 2014, n. 16951, in Dir. & Giust., 2014, 25 luglio; Cass. civ., 13  ottobre 2014, n. 21598, in Dir. & Giust., 2014, 14 ottobre; in Foro it., 2014, 7-8, I, 2461, con nota di G. CASABURI, così come richiamate dalla Corte a Sezioni Unite.

[30] La norma richiede la verifica «delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alfa formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», nonché del fatto che il richiedente «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive»

[31] Secondo cui i coniugi «devono presentare a/l'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria».

[32] Vi sono pronunce (ex multis: Cass. civ., 20 febbraio 2017, n. 4292, in Dir. & Giust., 2017, 21 febbraio; Cass. civ., 28 gennaio 2011, n. 2098, in Giust. civ. Mass., 2011, 1, 138, secondo le quali l’esercizio del potere del giudice di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali attraverso l’attività della polizia tributaria rappresenti una deroga alle regole generali sull’onere della prova.

[33] Arriva a simili conclusioni V. MAZZOTTA, Giudizio di revisione dell'assegno divorzile e morte dell'ex coniuge obbligato: quali conseguenze nei confronti degli eredi?, cit., secondo la quale «in sintesi la conclusione cui le Sezioni Unite sono pervenute con la sentenza in commento (n.d.a.: Cass. civ., 24 giugno 2022, n. 20495), e con la gemella n. 20494, realizza a pieno titolo la tutela dei diritti delle persone coinvolte; una diversa conclusione sarebbe stata potenzialmente lesiva di rilevanti diritti sul piano soggettivo, costituzionalmente protetti».

Bibliografia

BONA C., nota a Cass. civ., 20 febbraio 2018, n. 4092, in Foro it., 2018, 5, I, 1674.

BRUNO M., La modifica dei provvedimenti di separazione, divorzio e tutela dei figli, Milano, 2018.

CAGNAZZO A. (a cura di), L’assegno nella separazione e nel divorzio, Roma, 2019.

CANESTRELLI S., nota a Cass. civ., 17 luglio 2009, n. 16801, in Dir. famiglia, 2010, 3, 1126.

CAPONE A., Per una dogmatica dell’abnormità, in Riv. Dir. Proc., 2016, I, 68.

CARRATTA A., Sul provvedimento giudiziale c.d. abnorme e sui limiti della prevalenza della “sostanza” sulla “forma”, in Giur. It., 2000, 924.

CARRATTA A., “Sostanza” del provvedimento abnorme e impugnazioni: le “sopravvalutazioni formalistiche” della cassazione, in Corr. Giur., 2002, 12, 1594.

CASABURI G., nota a Cass. civ., 13  ottobre 2014, n. 21598, in Foro it., 2014, 7-8, I, 2461.

CASTAGNARO O.B., nota a Cass. civ., 27 novembre 2000, n. 15242, in Giur. it., 2001, 1111.

FASANO V., Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e delibazione della sentenza canonica di nullità matrimoniale, nota a Cass. civ., SS.UU., 31  marzo 2021, n. 9004, in Ilfamiliarista.it, 30 agosto 2021.

IMPAGNATIELLO G., nota a Cass. civ., 29 luglio 2011, n. 16737, in Foro it., 2012, 1, I, 182.

LUCCIOLI G., nota a Cass. civ., 5 marzo 2019, n. 6386, in Foro It., 4, I, 1181.

LUISO F.P., Una vicenda (e un provvedimento) abnorme, in Giust. Civ., 2001, I, 232.

MAFFEO V., L’abnormità, in Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, Assago, 2015.

MARINO M., Separazione e divorzio. Normativa e giurisprudenza a confronto, Milano, 2012.

MASCIA K., La sentenza di divorzio passa in giudicato prima della delibazione ecclesiastica di nullità: l'ex ha diritto all’assegno, nota a Cass. civ., 23 gennaio 2019, n. 1882, in Dir. & Giust., 2019, 24 gennaio.

MASCIA K., Quali conseguenze comporta la morte di un coniuge nel corso del giudizio di divorzio o di revisione dell'assegno divorzile?, nota a Cass. civ., 24 giugno 2022, n. 20494, in Dir. & Giust., 2022, 27 giugno.

MAZZOTTA V., Giudizio di revisione dell'assegno divorzile e morte dell'ex coniuge obbligato: quali conseguenze nei confronti degli eredi?, nota a Cass. civ., 24 giugno 2022, n. 20494, in Ilfamiliarista.it, 16 Settembre 2022.

PENUTI C.M., nota a Cass. civ., SS.UU., 22 febbraio 2010, n. 4059, in Il civilista, 2011, 6, 64.

SGROI A., nota a   Cass. civ., 5 agosto 2005, n. 16560, in Giur. it., 2006, 7, 1369.

TANTALO L., nota a Cass. civ., 17 settembre 2020, n. 19330, in Dir. & Giust., 2020, 18 settembre.

VERRINA G.L., Principio di tassatività delle impugnazioni, provvedimenti abnormi e ricorso per cassazione, in Giur. It., 2003, I, 560.