Pubbl. Gio, 30 Mar 2023
Legittima la compensazione delle spese di lite in caso di accoglimento del motivo di appello sulla condanna per lite temeraria
Modifica paginaCon il presente contributo si analizza la pronuncia Cass. civ. Sez. III, Ord., ud. 26/01/2021, dep. 31/05/2021, n. 15102, in cui si è affermato che, in materia di liquidazione delle spese di lite, la proposizione di un motivo d´appello relativo alla condanna per lite temeraria, introduce una specifica censura e il cui accoglimento può giustificare la compensazione, anche integrale, ai sensi dell´art. 92, comma 2, c.p.c.
Legitimate offsetting of costs in the event that the ground of appeal on the conviction for reckless litigation is upheld
This contribution analyses the pronouncement Cass. civ. Sec. III, Ord., ud. 26/01/2021, dep. 31/05/2021, no. 15102, which affirmed that, with regard to the settlement of legal costs, the presentation of a ground of appeal relating to the conviction for reckless litigation, introduces a specific censure and the acceptance of which may justify compensation, even in full, pursuant to art. 92, paragraph 2, c.p.c.Sommario. 1. La quaestio iuris, tra temerarietà e accessorietà. 2. L’esame delle vicende. 3. La dialettica della giurisprudenza: l’orientamento superato dalla Corte di legittimità. - 4. La lettura della Corte, tra thema decidendum e accessorietà. 5. La soluzione. 6. Conclusioni.
1. La quaestio iuris, tra temerarietà e accessorietà
Nel presente contributo si intende indagare una problematica che da tempo occupa la giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi, in merito ai casi di rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c.[1], se le spese di lite possano essere compensate ex art. 92 c.p.c.[2]
I giudici sul punto hanno manifestato diverse oscillazioni. Segna un punto di svolta, invero, un arresto del 2021 (Cass. civ., Sezione Terza, n. 15102 del 31 maggio 2021) che ha segnato un superamento di quello che, sino a quel momento era stato l’orientamento predominante, determinando una linea interpretativa poi seguita dalla giurisprudenza successiva. La Corte di Cassazione ha classificato come accessoria la domanda ex art. 96 c.p.c., non ritenendo legittima la compensazione laddove chi ha visto rigettare l’istanza di lite temeraria sia risultato vittorioso nel merito della domanda principale. L’esame del provvedimento offre significativi spunti di riflessione e consente di valutare l’obiettivo della corte di assumere un atteggiamento ispirato a equità, avvalendosi di un’articolata ed equilibrata argomentazione, attenta a separare i diversi momenti ed esiti processuali nei successivi gradi del giudizio. Infatti, se è vero quanto poc’anzi ricordato circa il merito della decisione, la Corte di legittimità ha precisato l’ambito di applicazione del principio di diritto, avendo, altresì, avuto modo di affermare che «in tema di liquidazione delle spese di lite, la proposizione di un motivo d'appello relativo alla pronuncia in primo grado della condanna per lite temeraria introduce una specifica censura, il cui accoglimento, in conseguenza dell'effetto devolutivo, genera soccombenza (parziale, se ricorrono altri motivi, non accolti) della controparte e può giustificare la compensazione, anche integrale, dei costi del giudizio ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c.». Dunque, sulla base della regula iuris versata all’art. 92 del codice di rito, in presenza di una pronuncia generante soccombenza - anche laddove il rigetto verta sulla domanda di lite temeraria, occorre ammettere la possibilità di compensare le spese del giudizio. La compensazione sarebbe ammessa, peraltro, anche integralmente.
Solo in via preliminare, per collocare il tema nell’ambito della discussione dottrinale, che ripercorrerà, tra le righe, le riflessioni successive[3], risulta opportuno rammentare come il legame tra temerarietà e accessorietà sia presente sin nella letteratura più risalente, essendo stato messo in luce con nitore già da Chiovenda[4]. Esso è stato in parte sconfessato dagli studiosi successivi, che hanno preferito leggere la condanna alle spese come una declinazione della responsabilità civile, talvolta interpretandola come di natura contrattuale, talaltra come avente una natura extracontrattuale[5].
2. L’esame delle vicende
Con atto di citazione una coppia di coniugi conveniva dinanzi al Tribunale di Bari un notaio, domandando il risarcimento per responsabilità professionale. Il notaio, infatti, era stato nominato delegato dal Giudice dell’Esecuzione e, nella redazione del bando d’asta, aveva identificato erroneamente l’immobile oggetto di procedura esecutiva: nello specifico, nel predetto bando il numero civico era stato scambiato con il numero dell’interno. L’errore avrebbe cagionato - nella ricostruzione attorea - un’infondata convinzione negli abitanti del luogo che in un piccolo borgo identificano le persone con gli immobili di loro proprietà, cagionando ai coniugi un danno all’immagine, all’onore e alla reputazione. Di conseguenza, domandavano la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
Il notaio, costituitosi in giudizio, si opponeva alle richieste degli attori e domandava a sua volta, in via riconvenzionale, la condanna al risarcimento dei danni a lui cagionati dalla temeraria proposizione del giudizio.
Il Tribunale di Bari rigettava le domande proposte dagli attori e, accogliendo la pretesa del convenuto, li condannava ai sensi dell’art. 96 c.p.c. qualificando come temeraria l’attivazione della causa.
I coniugi proponevano appello, al quale gli eredi del notaio (nel frattempo deceduto) resistevano.
Il giudice di seconde cure riformava la sentenza, ma limitatamente alla condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c.: infatti, veniva esclusa la condanna al risarcimento del danno per lite temeraria, compensando poi le spese di ambo i gradi per il parziale accoglimento del gravame e il rigetto, già contenuto nella sentenza di primo grado, della domanda riconvenzionale. Il giudice di appello qualificava i due elementi - il parziale accoglimento del gravame e il rigetto della domanda per lite temeraria - come ‘giuste ragioni’ della compensazione stessa.
Gli eredi del professionista proponevano ricorso per Cassazione e i coniugi attori resistevano nel giudizio. Nel settimo motivo, che risulta articolato in due submotivi, viene denunciata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.[6]
Con il primo submotivo, si oppone che la nozione di ‘accoglimento parziale’ andrebbe rapportata in modo diverso quanto al capo relativo alla responsabilità aggravata, perché una decisione contraria all’abuso del processo non integrerebbe rigetto, e quindi non genererebbe una soccombenza parziale[7].
Con il secondo submotivo, invece, si osserva che la domanda riconvenzionale risarcitoria risulterebbe ‘rinunciata dagli appellati’, perché non riproposta tra le richieste che chiudevano la costituzione in appello[8]. Di conseguenza, l’unica pronuncia effettivamente favorevole agli appellanti sarebbe stata quella relativa alla lite temeraria, che, in quanto tale, non era però idonea a integrare la soccombenza di controparte.
È proprio l’interpretazione dell’art. 96 c.p.c. che ha affannato dottrina e giurisprudenza, soprattutto per quanto attiene la lettura del comma 3, che da oltre un decennio è penetrato nel nostro ordinamento nella sua formulazione attuale e, forse per il suo carattere ‘ellittico’[9], ancora è oggetto di ampie discussioni[10]. Gran parte degli autori ne hanno sottolineato la funzione afflittivo/deterrente, paragonabile a quella svolta da taluni istituti di matrice anglosassone[11], i quali configurano i propri schemi giuridici anche attraverso lo sfruttamento di canali privati che realizzino obiettivi di respiro pubblico[12]. Sulle conseguenze pratiche di siffatta tecnica di creazione degli schemi punitivi si proporrà un mero cenno nell’immediato prosieguo, allorquando si tratterà di valutare l’impatto che la soccombenza richiamata dal terzo comma dell’articolo de quo manifesta nelle contingenze giudiziarie[13].
Ad ogni modo, con il motivo segnalato nel caso pratico proposto, si criticava l’applicazione da parte del giudice di prime cure dell’articolo 96 c.p.c., sostenendone l’erroneità. Specificamente, il giudice di secondo grado avrebbe accolto siffatto motivo escludendo che negli attori sussistesse l’elemento soggettivo della malafede o della colpa grave necessario per la configurazione della condanna. In altre parole, il giudice d’appello, sancendo la riforma del capo della sentenza gravata relativo alla condanna al risarcimento del danno per lite temeraria, avrebbe concluso nel senso che il parziale accoglimento del gravame e il rigetto della domanda riconvenzionale avanzata dal notaio costituissero giuste ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio[14]. Dunque - e in ciò risiede il nocciolo del problema giuridico - la censura mossa in sede di legittimità non riguarda il tema della infondatezza della domanda accessoria ex art. 96 c.p.c. invece riconosciuta dalla corte territoriale: non è questo profilo che interessa ai giudici di legittimità. Le critiche sono, invece, concentrate sulle conseguenze relative alle spese di lite: difatti, l’infondatezza risulta la ragione della compensazione, sostenendosi che la condanna per lite temeraria non può mai incidere, in quanto accessoria, sulla pronuncia relativa alle spese di lite, che è ulteriormente accessoria.
Enucleata la quaestio iuris connessa al tema della accessorietà della domanda di risarcimento per lite temeraria e della relativa idoneità alla compensazione, la Corte procede a una revisione della ricostruzione teorica e giurisprudenziale dei due profili.
La Corte di Cassazione parte da un assunto: non si può certo disconoscere che la condanna al risarcimento per lite temeraria o il diniego della condanna stessa costituiscano una decisione accessoria. La decisione accessoria, in quanto tale, è dipendente dall’esito della pronuncia sulla domanda principale: l’accessorietà si configura tecnicamente come correlazione logica prima ancora che giuridica alla vicenda processuale principale[15].
Le pronunce della corte di legittimità nazionale, sino alla sentenza n. 15102/2021 si sono sempre espresse nel senso di escludere che il diniego della condanna per lite temeraria potesse avere ricadute sulla decisione relativa all’alternativa conformazione che può investire l’ulteriore decisione accessoria. In altre parole, sono sempre stati tenuti distinti gli esiti di pronunce accessorie, perché coincidenti con la condanna in toto alle spese processuali, oppure alla compensazione parziale o integrale delle spese medesime. Così statuendo, la giurisprudenza di legittimità ha mantenuto una lucida distinzione connessa alle singole prospettive fattuali, ora negando la facoltà di compensazione[16], ora ammettendola, in presenza di ‘giusti motivi’[17].
3. La dialettica della giurisprudenza: l’orientamento superato dalla Corte di legittimità
La Corte sottolinea come una lettura congiunta delle previsioni normative relative alla temerarietà della lite sia in grado di condurre a un risultato univoco: il disposto dell’art. 96, comma 1, c.p.c. non è sufficiente, infatti, a interferire sul sistema predisposto dagli artt. 91 e 92 c.p.c. I giudici di legittimità del 2021 qualificano addirittura “inevitabile” l’applicazione del «paradigma governante le spese», laddove concretizzato in una condanna integrale alle spese del soccombente, come «un necessario presupposto della valutazione della sussistenza o meno della fattispecie di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c.».
La sintesi della premessa che la Corte offre al proprio ragionamento proviene da arresti pregressi, citati nelle stesse argomentazioni di Cass. Civ. n. 15102/2021 e che risulta opportuno rammentare, partendo da una sentenza del 2016, a tenore della quale il rigetto della domanda disciplinata dall’art. 96 c.p.c. configurerebbe un’ipotesi di soccombenza reciproca, idonea a giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. La ricostruzione sarebbe valida nonostante l’accoglimento della domanda principale proposta dalla stessa parte: in applicazione del principio di causalità, infatti, sarebbero imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate o per aver avanzato istanze infondate (così Cass. Civ. n. 20838 del 14 ottobre 2016[18]). Successivamente, nel 2017, la Corte di Cassazione, pur rievocando il precedente dell’anno prima, ne prende le distanze, richiamando un opposto orientamento giurisprudenziale, più recente, secondo il quale, in sede di impugnazione di un provvedimento, il rigetto della domanda meramente accessoria ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configurerebbe un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in secondo grado, tanto da non potere giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 c.p.c. (si legge in Cass. civ., ord. n. 9532, del 12 aprile 2017[19]).
È evidente come le ricostruzioni proposte presuppongano un concetto di soccombenza specifico, legato alla peculiare natura della previsione del danno ex art. 96, comma 3, c.p.c., sulla quale sembra opportuno rammentare come la soccombenza sia un mero fatto, un fatto processuale, indipendente dai comportamenti delle parti, sicché non può rappresentare l’unico criterio di responsabilità di una condanna che - come si è detto - riveste un carattere afflittivo; non può accettarsi una simile ricostruzione neppure nel caso in cui si sia dinanzi a una soccombenza totale[20].
4. La lettura della Corte, tra thema decidendum e accessorietà
Appare, quindi, opportuno valutare la natura squisitamente accessoria della domanda ex art. 96 c.p.c. in riferimento al concreto tema della lite: solamente in tale prospettiva si può procedere con una verifica dell’effettiva soccombenza, per il cui accoglimento è richiesto, come requisito necessario ma non sufficiente, il riconoscimento della soccombenza integrale della parte cui si attribuisce l’illegittima condotta processuale.
L’altro profilo su cui insiste la Corte di legittimità è quello della accessorietà.
Il meccanismo sotteso al concetto di accessorietà posiziona la domanda di condanna al risarcimento da lite temeraria - per così dire - al di fuori della res iudicata. Essa si configura, in altri termini, come una conseguenza della domanda medesima, similmente a quanto accade per la domanda di condanna alle spese di lite. Non partecipando direttamente a essa, ne deriva l’impossibilità di rappresentare una domanda idonea a contrapporsi a un’altra domanda per potere stabilire i confini di una soccombenza reciproca. Il vero e proprio thema decidendum da sottoporre all’esame dei giudici, dunque, sarà quello descritto in una domanda diretta e finalizzata specificamente alla questione in riferimento alla quale è stato instaurato il processo[21].
La casistica sul punto è ampia e molto documentata, ma il concetto fondamentale su cui insiste la giurisprudenza di legittimità nell’arresto in esame è il seguente: laddove emergano questioni in termini di spese di lite, anche qualora si configuri il problema della concessione o del rifiuto della condanna per lite temeraria, esse divengono oggetto di un motivo di impugnazione, finendo per essere conglobate proprio nel thema decidendum, e perdendo, così, il loro requisito dell’accessorietà[22].
Da questo punto di partenza la situazione si complica: infatti, l’effetto dell’introduzione, attraverso uno dei motivi di impugnazione (e, quindi, nel devolutum) della condanna o del diniego di condanna per lite temeraria produce un distacco dal vincolo dell’accessorietà, nel senso che, laddove gli altri motivi vengano rigettati, il motivo riguardante la temerarietà, sebbene accolto, non potrebbe ritenersi idoneo alla configurazione di una soccombenza parziale.
Ecco il cuore dell’argomentazione della Corte, su cui si fonda, invero, il rigetto anche dell’ultimo motivo di illegittimità.
In altri termini, solamente laddove le questioni relative alla condanna per lite temeraria riguardino una condanna effettuata nella pronuncia conclusiva del grado precedente e risultino, pertanto, correttamente veicolate nel devolutum, una decisione sulla lite temeraria è idonea a generare soccombenza della controparte, perché si qualifica specificamente come accoglimento di una censura devolutiva. Al contrario, non si configurerà alcun tipo di soccombenza quando la decisione sulla lite temeraria consegue al diniego della condanna ex art. 96, comma 1, c.p.c. pronunciato nello stesso grado in cui la condanna viene richiesta[23].
5. La soluzione
Tornando all'esame della singola doglianza proposta, la Corte di Cassazione ha osservato che a venire censurata sia stata la scelta di compensare le spese di lite relativamente ad entrambi i giudizi. Il profilo risulta potenzialmente censurabile da due punti di vista. Anzitutto occorre sottolineare che il rigetto della domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. non può mai costituire, di per sé solo, soccombenza. In secondo luogo, risulterebbe scorretto il riferimento alla domanda riconvenzionale risarcitoria, dal momento che essa, nonostante sia stata rigettata in primo grado, non potrebbe essere valutata dai giudici di secondo grado, perché, in quanto oggetto di rinuncia da parte degli appellati e, quindi, non devoluta.
Nello specifico, poi, la Corte, richiamando pronunce coeve[24], precisa come il giudice di seconde cure abbia preso in considerazione un elemento che era escluso dal primo giudizio, ossia la più volte citata domanda riconvenzionale risarcitoria proposta dal notaio: tuttavia, l’estraneità al devolutum non può inficiare il potere/dovere del giudice, che riformi una sentenza, di decidere in merito alle spese processuali, pure su quelle del grado precedente, perché - come spiega la Corte - essendo le spese oggetto di una pronuncia accessoria, vengono assorbite dalla sentenza che modifica la domanda principale[25].
Concludendo sull’annosa questione, la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha valutato corretta la decisione della corte territoriale, interpretando la lite temeraria come incidente soltanto sulla compensazione del giudizio di secondo grado; al contrario, la compensazione del giudizio di primo grado era stata fondata sul rigetto della domanda accessoria ex art. 96 c.p.c., che - lo si ripete perché il cuore del problema sta anche in tale non irrilevante particolare - era stata in via riconvenzionale proposta. In siffatta evenienza, il rigetto si configura come idoneo a generare la soccombenza reciproca, perché non costituisce una mera domanda accessoria.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo nel corso dell’ultimo anno, di ritornare sul rapporto tra il regime della soccombenza e la natura meramente accessoria delle decisioni sulle spese processuali. Non sorprende, in questo senso, quanto si legge in una pronuncia del giugno 2022, che riafferma con sicurezza quanto Cass. civ., n. 15102/2021 ha sostenuto, elevando a principio di diritto le distinzioni in fatto che da sempre avevano generato nelle singole decisioni quella ‘disarmonia’ da taluni messa in luce[26]. Secondo la Corte di legittimità, infatti, «il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, di cui all’art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un'ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 c.p.c.»[27]. Consentanea è, un mese dopo, la posizione della Corte di Appello di Perugia, che con la sentenza del 14 luglio 2022, n. 354 accoglie il principio di diritto e ne fa una pedissequa applicazione in sede territoriale, confermando un’auspicabile uniformità di letture delle fattispecie, ispirate alle argomentazioni che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15102, se non ha inaugurato, ha senza dubbio avuto modo il merito di avere rafforzato, proponendosi come paradigma per le successive decisioni.
6. Conclusioni
Il provvedimento in commento si rileva assai articolato e denso nei suoi passaggi e, come in parte già segnalato, segna un passaggio cruciale nell’interpretazione giurisprudenziale della lite temeraria, laddove la fattispecie si intersechi con i temi dell’accessorietà e della compensazione.
Sulla rilevanza teorica e processuale del provvedimento si è già detto nel testo. Di certo Cass. civ. n. 15102/2021 rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per gli operatori: ma non soltanto i giudici che, come già osservato, hanno mantenuto una consentanea lettura anche nelle decisioni successive, ma anche per i professionisti chiamati a interpretare correttamente l’art. 96 c.p.c. In particolare, la lettura proposta dalla Corte di Cassazione segnala la necessità, anche per il ceto forense, di acquisire una consapevolezza maggiore in materia di temerarietà della pretesa (e, si può osare dire, di danno punitivo), che coincide con la necessità di informare correttamente il cliente. In questa prospettiva, la costruzione di una ponderatezza nelle scelte processuali, finalizzata a creare una responsabilità maggiore dei protagonisti dell’agone processuale garantirà il completamento di un ulteriore importante tassello verso gli obiettivi di celerità ed efficienza che animano ancora le più recenti riforme.
[1] Art. 96 c.p.c. Responsabilità aggravata. 1. Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d'ufficio, nella sentenza. 2. Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. 3. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
[2] Art. 92 c.p.c. Condanna alle spese per singoli atti. Compensazione delle spese. 1. Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88, essa ha causato all'altra parte. 2. Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero. 3. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.
[3] In riferimento alle quali sembra utile ricordare la dottrina più recente sul punto: si pensi a C. CALVOSA, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1954, 378 ss.; G. SCARSELLI, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998; P. CARBONE, Danno da lite temeraria, in DR, 6, 2007, 705; M.A. MAZZOLA, Responsabilità processuale e danno da lite temeraria, Milano, 2010; M. LUPANO, Responsabilità per le spese e condotta delle parti, Torino, 2013; L. DITTRICH, Diritto processuale civile, Torino, 2019; G. DE MARZO, I. CUBICCIOTTI, C.M. CELOTTO, Le spese di lite: soccombenza, distrazione, compensazione e responsabilità aggravata, Rimini, 2019.
[4] G. CHIOVENDA, La condanna nelle spese giudiziali, Torino, 1901, rist. 2001, 179.
[5] Cfr. a mero titolo esemplificativo, C. RIPEPI, Concorso di norme e concorso di azioni nella responsabilità per spese e danni nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ, 1987, 358; G. GUALANDI, Spese e danni nel processo civile, Milano, 1962, 405; P. PAIARDI, La responsabilità per le spese e i danni, Milano, 1959, 79 ss.
[6] Per una rapida ma efficace disamina del testo dell’art. 92 c.p.c., si può leggere Cass. civ. 7 gennaio 2022, n. 284, in DeJure online. Nel testo del provvedimento si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 19 aprile 2018, in Giurispr. Cost., 2018, 2, 703, nonché successive pronunce di legittimità: Cass. civ., 18 febbraio 2020, n. 3977, in Giust. civ. Mass., 2020; Cass. civ., 18 febbraio 2019, n. 4696, in Giust. civ. Mass., 2019.
[7] La questione dell’accoglimento parziale, peraltro, agita molto la giurisprudenza di legittimità, se è stata sottoposta alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il dubbio relativo alla condanna alle spese dell’attore la cui domanda sia stata accolta in misura notevolmente inferiore al petitum (cfr. Cass. civ., ord. int., 14 ottobre 2021, n. 28048, in GiustiziaCivile.com, 11 febbraio 2022, con nota di G. CICALESE).
[8] Il principio che regolamenta fattispecie di tale natura è stato di recente nuovamente ribadito dalla Corte di Cassazione, laddove il supremo consesso afferma che qualora «la parte abbia proposto, nello stesso giudizio, due o più domande alternative, ma tra loro compatibili, ovvero legate da rapporto di subordinazione, l'accoglimento della principale o della domanda alternativa compatibile non obbliga l’attore, che voglia insistere su quella non accolta, a proporre appello incidentale, essendone sufficiente la riproposizione ai sensi dell'articolo 346 del c.p.c. Peraltro, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l'appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia prevista dall'articolo 346 del c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse, fermo restando, però, che, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice»: così Cass. civ., 5 maggio 2022, n. 14203, in Guida al dir., 2022, 33.
[9] Coì ricorda le parole di Carlo Castronovo, C. DE MENECH, Alla ricerca del contenuto dell’art. 96, ult. comma, c.p.c. tra principi costituzionali e frammenti di disciplina (in margine a corte cost. 6 giugno 2019, n. 139), in Eur. e Dir. Priv., fasc. 2, 1 giugno 2020, 723 ss.
[10] L’introduzione avvenne con la legge 18 giugno 2009 n. 69.
[11] Cfr. G. PONZANELLI, I punitive damages nell'esperienza nordamericana, in Riv. dir. civ., 1983, 435; ID., I punitive damages, il caso Texaco e il diritto italiano, in Riv. dir. civ., 1987, 405; F. BENATTI, Correggere e punire. Dalla law of torts all'inadempimento del contratto, Milano, 2008; P. PARDOLESI, Contratto e nuove frontiere rimediali. Disgorgement v. punitive damages, Bari, 2012; C. DE MENECH, Le prestazioni pecuniarie sanzionatorie. Studio per una teoria dei «danni punitivi», Padova, 2019; AA.VV., Funzioni punitive e funzioni ripristinatorie Combinazioni e contaminazioni tra sistemi, a cura di D. BIANCHI e M. RIZZUTI, Torino, 2020. A titolo esemplificativo di una letteratura di Common Law assai ampia, si possono citare i lavori di R.D. COOTER, Economic Analysis of Punitive Damages, in Southern California Law Review, 56, 1982; D. HADDOCK- F.S. MC-CHESNEY-M. SPIEGEL, An Ordinary Economic Rationale for Extraordinary Legal Sanctions, in California Law Rev., 78, n. 1, 1990; K.N. HYLTON, Punitive Damages and the Economic Theory of Penalties, in Georgetown Law Journal, 87, 1998, 421; A.M. POLINSKY-SHAVELL, Punitive Damages: An Economic Analysis, in Harvard Law Review, 111, 1987, 869 ss.; G. CALABRESI, The complexity of torts. The case for punitive damages, in Liber Amicorum per Francesco D. Busnelli: il diritto civile tra principi e regole, II, Milano, 2008, 327; C.M. SHARKEY, Punitive Damages as Societal Damages, in Yale Law Journal, 113, 2003, 349 ss.; A.J. SEBOK, Punitive Damages: From Myth to Theory, in Iowa Law Review, 92, 2007, 957 ss.
[12] Scrive C. DE MENECH, Alla ricerca, cit., online, e nt. 37 che tra questi, «i punitive damages, ossia prestazioni pecuniarie afflittivo/deterrenti che vengono poste a carico dell'autore di atti illeciti connotati da speciale lesività, poiché suscettivi di pregiudicare - non solo l'interesse di un soggetto determinato, ma anche - un interesse di rilievo generale, e che, malgrado questa loro natura, vengono rivolte (in tutto o, almeno, in parte) a beneficio del plaintiff, sì da incentivare, prima, e retribuire, poi, l'utile apporto che i soggetti privati possono dare alla repressione di comportamenti che nuocciono al benessere collettivo».
[13] Cfr. tra gli altri, N.C. SACCONI, La responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c. tra risarcimento punitivo e sanzione di ordine pubblico, in Resp. civ. e previd., fasc. 2, 1 febbraio 2020, 589 ss.; C. TRAPUZZANO, La figura ibrida della condanna anche d'ufficio per lite temeraria tra risarcimento punitivo e pena privata - I parte, in Resp. civ. e prev., fasc. 1, 1 gennaio 2021, 84 ss.; F. GIGLIOTTI, I danni punitivi dopo le Sezioni Unite - danni punitivi e sistema processuale (civile), in Giur. it., 2018, 2274; A. CARRATTA, L'abuso del processo e la sua sanzione, in Fam. dir., 2011, 809; T. DALLA MASSARA, Terzo comma dell'art. 96 cod. proc. civ.: quando, quanto e perché?, in Nuova giur. civ. comm., 2011, II, 55; G.C. SALVATORI, Tra abuso del diritto e funzione punitiva: una lettura ricognitiva dell'art. 96, comma 3, cod. proc. civ. e prospettive ‘de iure condendo’, in Nuova giur. civ. comm., 2011, II; A. GIORDANO, Il litigante temerario paga «in ogni caso». Riflessioni sull'art. 96, comma 3, c.p.c. tra “abuso del processo” e “danni punitivi”, in Giur. it., 2012, 2114; D. COVUCCI, Deterrenza processuale e pena privata: il nuovo art. 96, terzo comma, c.p.c., in Danno resp., 2012, 523; M. LUPANO, La “nuova” responsabilità aggravata, in Giur. it., 2011, 234; L. DE ANGELIS, La misura prevista dall'art. 96, comma 3, cod. proc. civ., e l'abuso del processo, in Arg. dir. lav., 2016, 620; G. DE MARZO, Le spese giudiziali e le riparazioni nella riforma del processo civile, in Foro it., 2009, V, 397.
[14] Sulle ‘giuste ragioni’, cfr. Cass. civ., 11 gennaio 2022, n. 565, in Dejure online.
[15] Il rapporto di accessorietà tra domande è regolato, lo ricordiamo, dall’art. 31 c.p.c., a tenore del quale «iLa domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale affinché sia decisa nello stesso processo, osservata, quanto alla competenza per valore, la disposizione dell'articolo 10, secondo comma». Tra i contributi fondamentali per la comprensione del principio processualcivilistico, si possono ricordare C.E. BALBI, Connessione e continenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ., III, Torino 1988, 457; V. DE PETRIS, Connessione (diritto processuale civile), in Enc. dir., IX, Milano 1961, 10; G. FABBRINI, Connessione (diritto processuale civile), in Enc. giur., VIII, Roma, 1.
[16] Si pensi, in via esemplificativa, a Cass. civ., sez. Lavoro, del 7 agosto 2018, n. 20617, in Giust. Civ. Mass., 2018, a parere della quale «In tema di spese legali, nei giudizi soggetti alla disciplina dell'art. 92, comma 2, c.p.c. come modificato dall'art. 2 della l. n. 263 del 2005, ove non sussista la reciproca soccombenza, è legittima la compensazione delle spese processuali se concorrono altri giusti motivi, che vanno esplicitati nella motivazione in modo logico e coerente, dovendosi ritenere insufficiente a tal fine il mero richiamo alla buona fede della parte soccombente, elemento che può assumere rilievo per escludere la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ma che non giustifica di per sé la pronuncia di compensazione».
[17] Come specifica Cass. civ., 12 aprile 2017, n. 9532, in Giust. Civ. Mass., 2017, laddove afferma che il rigetto nel gravame di domanda meramente accessoria non configura reciproca soccombenza. Più precisamente, i giudici di legittimità sostengono che «il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, né in primo grado né in appello, sicché non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c.».
[18] In Giust. civ. Mass., 2016.
[19] in Giust. civ. Mass., 2017.
[20] In giurisprudenza cfr. Cass. civ., ord. 9 dicembre 2019, n. 32090; Cass. civ., ord. 7 febbraio 2018, n. 2957; Cass. civ., 9 novembre 2017, n. 26515. In dottrina cfr., ex multis e a mero titolo esemplificativo, F.P. LUISO, Diritto processuale civile. Parte generale, I, Milano, 2015, 431 s. e 437; G. FINOCCHIARO, Ancora sul nuovo art. 96, comma 3°, c.p.c., in Riv. dir. proc., 2011, 1185; G. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile. I principi, I, Bari, 2009, 300.
[21] La Corte di Cassazione inserisce in tale argomentare un ulteriore elemento: la dicotomia tra il paradigma della causazione e quello della devoluzione, sulla quale è utile spendere qualche parola. Il paradigma della causazione andrebbe inteso come identificativo del thema decidendum del giudizio, nel senso che il giudizio viene instaurato sulla scia dell’urgenza di decidere su un determinato oggetto. Tale determinato oggetto è il vero obiettivo della lite. Diversamente, la decisione sulle spese di lite e sulla temerarietà dell’azione o della resistenza all’azione »costituiscono un accessorio della pronuncia, accertatoria e/o costitutiva e/o di condanna, che viene perseguita per il reale oggetto del giudizio». L’opposto paradigma della devoluzione funziona in modo differente, poiché coincide con l’oggetto dell’impugnazione ed emerge quando un grado di giudizio è definito: esso si configura come il criterio per identificare il contenuto del grado di giudizio successivo qualora non si sia raggiunto il giudicato.
[22] Si pensi alla già citata Cass. civ., ord. 12 aprile 2018 n. 9064, in Giust. civ. Mass., 2018, con la quale si riconosce che la decisione sulle spese della sentenza di primo grado può essere modificata in sede d’appello se oggetto di specifico motivo e anche qualora la sentenza non sia per il resto affatto riformata. Consentanea a tale impostazione è Cass. civ., sez. Lavoro, 1 giugno 2016 n. 11423, in Giust. civ. Mass., 2016. Di orientamento opposto è, invece, Cass. civ., ord. 28 febbraio 2020 n. 5466, in DeJure online, secondo la quale all’impugnazione del capo di condanna per lite temeraria non consegue l'ingresso nel thema decidendum.
[23] La Corte di Cassazione precisa, altresì, come l’art. 96, comma 3, c.p.c. non configuri una domanda accessoria, ma una fattispecie definita come “ufficiosa”, destinata a rimanere anche se la sua applicazione venga comunque proposta da una parte al giudice.
[24] Cass. sez. lavoro, ord. 14 gennaio 2019, n. 602, in Dir. & Giust., 2019, 15 gennaio, con nota di M. CORRADO; Cass. civ., ord. 31 agosto 2020, n. 18108, in Giust. civ. Mass., 2020; cfr. anche Cass. civ., 26 settembre 2019, n. 23985, in Giust. civ. Mass., 2019, e Cass. civ., 29 ottobre 2019, n. 27606, in Ilprocessocivile.it 10 dicembre 2019, con nota di C. TARASCHI.
[25] Cfr. Corte d’appello di Firenze, 3 febbraio 2022, n. 210, in Redazione Giuffrè 2022, laddove si è affermato che Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione.
[26] Si leggano le argomentazioni di Cass. civ., 14 ottobre 2016, n. 20838, in Ilprocessocivile.it, 10 novembre 2016, con nota di R. GIORDANO, secondo cui in tema di spese processuali, il rigetto di parte della domanda ovvero di alcune delle domande proposte dalla stessa parte configura l'ipotesi di soccombenza reciproca che giustifica, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., la compensazione delle spese: detto principio opera anche, a fronte dell'accoglimento della domanda principale della medesima parte, nell'ipotesi di rigetto di quella di condanna per lite temeraria, costituendo, quest'ultima, un'autonoma domanda.
[27] Cass. civ., 6 giugno 2022, n. 18036, in Giust. Civ. Mass., 2022.