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Pubbl. Sab, 18 Feb 2023
Sottoposto a PEER REVIEW

Osservatorio di giurisprudenza amministrativa Ottobre/Dicembre 2022

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autori Luana Leo , Giurato Luisa



Osservatorio trimestrale relativo alle principali sentenze emesse dalla Corte costituzionale, dai Tribunali amministrativi regionali e dal Consiglio di Stato in tema di giurisprudenza amministrativa. Periodo Ottobre/Dicembre 2022.


ENG

Administrative Jurisprudence Observatory - October/ December 2022

Quarterly observatory on the main judgments issued by the Constitutional Court, by the regional amministrative Courts and by the Council of State on the subject of administrative Jurisprudence. Period October/Dicember 2022.

Indice: 1) Usi civici - Procedimento amministrativo - Norme della Regione Calabria - Modifica alla legge regionale n. 18 del 2007 - Procedimenti di liquidazione degli usi civici, di legittimazione della detenzione di fatto senza titolo di terre del demanio civico comunale, di affrancazione del fondo enfiteutico; 2) Natura e presunzione di legittimità del titolo edilizio; 3) Meccanismo di calcolo degli sconti ed i limiti di fatturato delle farmacie.

SENTENZE IN PRIMO PIANO

1) Usi civici - Procedimento amministrativo - Norme della Regione Calabria - Modifica alla legge regionale n. 18 del 2007 - Procedimenti di liquidazione degli usi civici, di legittimazione della detenzione di fatto senza titolo di terre del demanio civico comunale, di affrancazione del fondo enfiteutico.

Corte cost., sent. del 5 ottobre 2022, dep. 28 ottobre 2022, n. 236 – Pres. Sciarra – Rel. Navarretta – (rif. art. 1 della legge della Regione Calabria 28 dicembre 2021, n. 41).

 

(omissis)

 

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso depositato il 28 febbraio 2022 e iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 28 dicembre 2021, n. 41, recante «Modifica dell’articolo 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici). Proroga termini», per violazione degli artt. 9, 117, secondo comma, lettere s) ed l), e 118 della Costituzione.

La norma impugnata prevede la sostituzione, «alla fine del comma 1 dell’articolo 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici)», delle parole: «31 dicembre 2021» con le seguenti: «31 dicembre 2022». In particolare, il citato art. 27 stabilisce una procedura semplificata per la liquidazione degli usi civici, per la legittimazione dell’occupazione sine titulo di terre del demanio civico comunale e per l’affrancazione del fondo enfiteutico, relativamente alle aree individuate dall’art. 26 della medesima legge reg. Calabria n. 18 del 2007.

Il ricorrente, dopo aver evidenziato che la norma impugnata sarebbe idonea a «determinare, irrimediabilmente, la stabilizzazione» di una disciplina, dal carattere originariamente provvisorio, ravvisa, innanzitutto, una violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., relativamente alla materia «“tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema”». Il ricorrente asserisce che la norma impugnata, favorendo un meccanismo semplificato di liquidazione degli usi civici, nonché di legittimazione dell’occupazione senza titolo e di affrancazione dei fondi enfiteutici, si porrebbe «radicalmente in contrasto con la disciplina statale che non reca analoghe “semplificazioni”» e, in specie, con i «principi sottesi alla legge n. 168 del 2017». In particolare, ad avviso del ricorrente, detta norma regolerebbe in via autonoma una materia di competenza statale, posto che alle regioni sono state trasferite unicamente funzioni amministrative (sono richiamate, in proposito, le sentenze n. 178 e n. 113 del 2018 di questa Corte).

Al contempo, la norma impugnata, non tenendo conto della circostanza «che le zone gravate da usi civici sono assoggettate a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera h), del Codice dei beni culturali e del paesaggio», svolgerebbe «le funzioni riservate al piano paesaggistico, che è lo strumento al quale è rimessa la fissazione della disciplina d’uso dei beni paesaggistici, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio».

Il Presidente del Consiglio dei ministri asserisce, pertanto, l’«assoluta preminenza» assegnata nella legislazione statale allo strumento del piano paesaggistico, approvato sulla base di intesa tra Stato e regioni, (sono richiamati gli artt. 135, comma 1, 143 e 145 cod. beni culturali), che non sarebbe derogabile dal legislatore regionale (è richiamata, in proposito, la sentenza n. 182 del 2006). La citata violazione e, in particolare, il mancato ricorso allo strumento della co-pianificazione paleserebbero, al contempo, secondo il ricorrente, anche un contrasto con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 118 Cost. Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la norma impugnata violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Ad avviso del ricorrente, la disciplina impugnata andrebbe a incidere sul «regime dominicale degli usi civici», in modo difforme rispetto a quanto previsto dalle norme statali, così pregiudicando la necessaria uniformità della regolazione dell’istituto su tutto il territorio nazionale.

L’Avvocatura generale dello Stato richiama, in proposito, la giurisprudenza costituzionale, nella parte in cui afferma che la disciplina dell’istituto è attratta «nella materia “ordinamento civile”, alla quale [appartengono] la qualificazione della natura pubblica o privata dei beni (sentenza n. 228 del 2016), la regolazione della titolarità e dell’esercizio del diritto, l’individuazione del suo contenuto, la disciplina delle facoltà di godimento e di disposizione in cui esso si estrinseca (art. 832 del codice civile) e quella della loro estensione e dei loro limiti. L’attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato della materia “ordinamento civile” trova fondamento nell’esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati (da ultimo, sentenza n. 75 del 2021)» (sentenza n. 228 del 2021).

 

RITENUTO IN DIRITTO

Questa Corte ritiene di esaminare anzitutto l’eccepita lesione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile.

La questione è fondata.

La disciplina statale in materia di usi civici, nella sua complessa e articolata evoluzione, si è focalizzata su molteplici profili ascrivibili all’ordinamento civile, come sottolineato di frequente da questa Corte (sentenze n. 228 del 2021, n. 71 del 2020, n. 178 e n. 113 del 2018 e n. 103 del 2017): il regime della particolare categoria di beni, le vicende giuridiche che li riguardano, gli interessi implicati, nonché la natura e la titolarità delle situazioni giuridiche soggettive. In particolare, la disposizione regionale impugnata, che proroga la previsione di procedure semplificate dirette alla liquidazione degli usi civici, alla affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo, implicitamente si richiama ai paradigmi delineati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), nonché dal regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno).

 

Tale normativa statale, da un lato, adotta una prospettiva liquidatoria, quale riflesso di una «posizione di disfavore con cui il legislatore dell’epoca valutava l’uso promiscuo delle risorse fondiarie» (sentenza n. 228 del 2021), in quanto ritenuto foriero di conflittualità nel mondo agricolo, da un altro lato, tratteggia i caratteri dei beni che restano destinati agli usi collettivi, pur sotto l’egida della proprietà pubblica e talora della proprietà di associazioni agrarie. In base alla citata legge n. 1766 del 1927, la liquidazione degli usi civici consiste in una trasformazione del diritto reale atipico di uso civico: talora nella proprietà pubblica di una parte del fondo, che viene scorporata e divisa dalla restante parte lasciata alla proprietà privata (artt. 5 e 6); talora nella sua mera conversione in un canone di natura enfiteutica spettante al comune (art. 7, primo comma); talora – ma solo nel caso delle ex province pontificie – nell’attribuzione della proprietà «a favore della popolazione di un Comune, di una frazione, o di una associazione agraria» (art. 7, secondo comma), a seguito di un meccanismo di affrancazione invertita, che fa salva l’imposizione di un canone a favore del privato.

Inoltre, rispetto ai beni assegnati in proprietà a un comune, o a una frazione, o a una associazione agraria – o ad essi pervenuti all’esito dei citati meccanismi – il legislatore opera una ulteriore distinzione fra le terre con una destinazione boschiva o pascoliva e le terre «convenientemente utilizzabili per la coltura agraria» (art. 11, primo comma). Solo per queste ultime si prevede un processo di quotizzazione e l’assegnazione a privati di diritti reali di enfiteusi, fermo restando l’onere propter rem di corrispondere il canone enfiteutico e salva la possibilità, a seguito dell’apporto di migliorie, di affrancare il fondo, ciò che conduce all’acquisizione della proprietà privata (art. 21, secondo comma).

Infine, quanto al terzo paradigma cui si rapporta la previsione regionale, la legittimazione delle occupazioni sine titulo, essa riguarda – sempre in base alla legislazione statale del 1927 – l’ipotesi nella quale sui beni di proprietà di un comune, di una frazione, o di una associazione agraria si verifichino occupazioni sine titulo protratte per almeno dieci anni, a fronte delle quali, se «l’occupatore […] abbia apportato sostanziali e permanenti migliorie» e se «la zona occupata non interrompa la continuità dei terreni», è eccezionalmente ammesso un meccanismo di legittimazione (art. 9, commi primo e secondo), fatta salva l’imposizione di un canone di natura enfiteutica a favore del comune, della frazione o delle associazioni.

Il contrasto della disciplina regionale impugnata con la competenza esclusiva statale, segnata dal perimetro dell’ordinamento civile, emerge poi con ulteriore evidenza, ove si passi a considerare l’impostazione della legislazione statale successiva a quella sopra richiamata.

Si tratta, infatti, di una normativa tutta ispirata all’obiettivo assiologico della conservazione di realtà e di territori, che vedono intrecciarsi l’ambiente e il paesaggio con le tradizioni antropologiche e culturali associate ai luoghi. Un simile connubio si rinviene in due ordini di interventi. Il primo è quello che ha imposto l’apposizione di un vincolo paesaggistico alle «aree assegnate alle università agrarie e alle zone gravate da usi civici» (art. 1, primo comma, lettera h, del d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del 1985, che ha integrato l’art. 82, quinto comma, lettera h, del d.P.R. n. 616 del 1977, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, recante «Protezione delle bellezze naturali», disposizione poi trasfusa nell’art. 142, comma 1, lettera h, cod. beni culturali). Il secondo si identifica con la disciplina recata dalla legge n. 168 del 2017, fortemente innovativa rispetto ai capisaldi civilistici dell’istituto, a partire dal riconoscimento di una nuova istituzione espressamente attuativa degli artt. 2, 9, 42, secondo comma, e 43 Cost., i domini collettivi, qualificati come «ordinamento giuridico primario delle comunità originarie» e riferiti a una «collettività di membri» (art. 1, comma 1), che traggono normalmente utilità dal fondo (art. 2, comma 3, lettera a).

A tale paradigma si raccorda una nuova categoria di beni collettivi che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, ricomprende non soltanto le terre attribuite, originariamente o all’esito di liquidazioni, a comuni, frazioni o associazioni agrarie, nonché quelle derivanti da «scioglimento delle promiscuità» e da altri meccanismi previsti dalla legge n. 1766 del 1927; «da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione», ma anche le terre collettive delle comunioni familiari montane; i corpi idrici sui quali i residenti esercitano gli usi civici e, infine, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), le terre gravate da usi civici non ancora liquidati su proprietà di soggetti pubblici o privati. A tutto questo insieme di beni viene riferito il regime giuridico «dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale» (art. 3, comma 3). Deve, dunque, ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto disposizione che proroga una disciplina invasiva della materia di competenza esclusiva del legislatore statale «ordinamento civile», differenziando, per il solo territorio della Regione Calabria, il modo di procedere alla liquidazione degli usi civici, all’affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo. Viene, in tal modo, intaccato il fondamento stesso della «attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato» della competenza in materia di ordinamento civile, che si rinviene «nell’esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati» (da ultimo sentenza n. 228 del 2021; nello stesso senso, sentenza n. 75 del 2021). Parimenti fondata è la questione di legittimità costituzionale posta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riguardo alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

 

P.Q.M.

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Calabria 28 dicembre 2021, n. 41, recante «Modifica dell’articolo 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici). Proroga termini».

Il principio di diritto: la disciplina regionale impugnata configura un procedimento semplificato che, nel prendere le distanze dal puntuale modello tracciato dal legislatore statale e dalle finalità conservative dei beni gravati da usi civici, si traduce in un differente modo di incidere sul regime giuridico di tali beni, il che non spetta alle Regioni.

Il caso e il processo: il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, promuove questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021, per violazione degli artt. 9, 117, secondo comma, lett. s) ed l), nonché 118 Cost. In particolare, lo stesso ritiene che la disposizione impugnata sia tesa a “determinare, irrimediabilmente, la stabilizzazione” di una disciplina, che violerebbe gli artt. 9 e 117, secondo comma, lett. s), Cost., relativamente alla materia della “tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema”, nonché l’art. 118 Cost. Infine, egli rileva che la disciplina impugnata andrebbe a incidere sul regime degli “usi civici e ora domini collettivi”, ascrivibile alla materia “ordinamento civile” di esclusiva competenza statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.

La soluzione resa dai giudici costituzionali: i meccanismi di liquidazione degli usi civici, di affrancazione del fondo enfiteutico e di legittimazione delle occupazioni sine titulo delineati dal legislatore statale consentono, in talune ipotesi e per diverse ragioni, di trasformare il diritto reale di uso civico in una prestazione pecuniaria. In realtà, è proprio lo Stato a delegare alle Regioni le funzioni amministrative relative alle seguenti procedure (art. 66, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»), con l’eccezione dell’approvazione delle legittimazioni, di cui all’art. 9 della legge n. 1766 del 1927, che deve essere effettuata con decreto del Presidente della Repubblica d’intesa con la regione interessata (art. 66, settimo comma, dello stesso d.P.R. n. 616 del 1977). La delega si limita alle funzioni amministrative; pertanto, non consente alle Regioni di disciplinare i presupposti sostanziali dei diversi meccanismi e neppure di intervenire sui relativi procedimenti, ove il distacco dal modello delineato dal legislatore statale finisca per tradursi in un diverso modo di incidere sul regime giuridico di tali beni, operante solo nella singola Regione. L’ impugnato art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021 non solo invade una materia di esclusiva competenza del legislatore statale, ma, nel prorogare la vigenza di una disciplina improntata alla massima semplificazione delle citate procedure, si colloca agli antipodi delle esigenze cui fa fronte la disciplina statale. Parimenti fondata è la questione di legittimità costituzionale posta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., con riguardo alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: Come ammesso in passato, si ritiene intaccato il fondamento della «attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato» della competenza in materia di ordinamento civile, che si rinviene «nell’esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati» (sent n. 228 del 2021; nello stesso senso, sent. n. 75 del 2021). Il Giudice delle Leggi ha confermato che la materia “agricoltura e foreste” di cui al previgente art. 117 Cost., che giustificava il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni e l’inserimento degli usi civici nei relativi statuti, mai avrebbe potuto comprendere la disciplina della titolarità e dell’esercizio di diritti dominicali sulle terre civiche”  (sentt n. 228 del 2021, n. 103 del 2017, n. 367 del 2007, n. 46 del 1995, n. 133 del 1993, n. 391 del 1989, n. 151, n. 152 e n. 153 del 1986).

Sul tema oggetto della pronuncia, tra i diversi, si veda L. De Lucia, Gli usi civici tra autonomia della collettività e accentramento statale, in Giur. Cost., n. 3, 2018, 1260-1294; M. Masia, Usi del territorio e applicazione normativa. La prospettiva ambientale in tema di usi civici, in Ce.S.E.T : atti degli incontri. XXXI - Analisi degli aspetti economico-estimativi e giuridici delle terre soggette al diritto di godimento collettivo (14/15.9.2001), 2001, 1-12; A. Simonati. Usi civici, tutela ambientale e ruolo della Regione, in Le Regioni, n. 2, 2007, 335-347; Id., Gli usi civici nelle Regioni a statuto speciale, fra tutela delle autonomie e salvaguardia dell'interesse nazionale, in Le Regioni, n. 2, 2015, 411-424; L. Costato, Gli usi civici nell'esperienza legislativa nazionale e regionale, in I Georgofili: quaderni VII, 2012, 23-35.

 

2) Natura e presunzione di legittimità del titolo edilizio.

TAR Napoli, sez. I, sent. 13 ottobre 2022, dep. 4 novembre 2022, n. 9664 – Pres. Poli – Est. Rotondo – (rif. artt. 12, 13, 36 e 38 del d.p.r. n. 380 del 2001; art. 4,  della legge 1150 del 1942; violazione degli artt. 3, 42, 97 e 101 Cost.;  art. 9-bis, d.p.r. n. 380 del 2001)

 

(omissis)

 

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso allibrato al n.r.g. 1273 del 2021, il sig. agiva innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana per l’ottemperanza alla sentenza 30 giugno 2021, n. 1007 resa dallo stesso T.a.r., e per la conseguente declaratoria di nullità: a) del provvedimento prot. n. 0033305/2021 del 28 settembre 2021, adottato dal dirigente del Comune di Poggibonsi, nella parte in cui “si atteggia a rifiuto di adottare l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino ex art. 27, co. 2, d.p.r. 380 del 2001 della parte del fabbricato esistente ...”; b) del provvedimento protocollo prot. n° 0033743/2021 del 1 ottobre 2021 col quale il dirigente del Comune di Poggibonsi ha disposto “... che i soggetti proprietari dell'immobile di cui trattasi, destinatari della presente, provvedano a far redigere da tecnico abilitato la “Valutazione di sicurezza” di cui all'art. 8.3 del d.m. 18 gennaio 2018.

Il Ta.r. per la Toscana, con sentenza 4 febbraio 2022, n. 123 (oggetto dell’odierno appello) respingeva il ricorso e condannava il ricorrente alla rifusione delle spese processuali (euro 3.000,00 in favore del Comune di Poggibonsi).

Il permesso di costruire n. 68 del 2013 veniva impugnato dal sig., unitamente alla correlata autorizzazione paesaggistica, con ricorso al T.a.r. per la Toscana allibrato al n.r.g. 1045/2013, che respingeva il ricorso con sentenza n. 1238 del 20 luglio 2016 (con carico spese per un importo di euro 2.000,00); a sua volta, l’appello proposto avverso tale sentenza (allibrato al n.r.g. 8840/2016) veniva dichiarato improcedibile su espressa richiesta di parte ricorrente, con decisione deliberata dal collegio alla medesima udienza del 13 ottobre 2022; in particolare, la sentenza del T.a.r. n. 1238 del 2016 (passata in giudicato) chiariva che, con riguardo al presunto contrasto del permesso di costruire n. 2013/068 con il punto C.3 del d.m. 16 gennaio 1996 (lo stesso permesso sarebbe illegittimo, in quanto il relativo progetto sarebbe stato semplicemente "depositato" presso il Genio civile in conformità della normativa regionale vigente all'epoca ma dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 182/2006), la censura s’appalesava inammissibile in quanto diretta sostanzialmente a contestare il permesso di costruire n. 9 del 27/01/2004 rimasto inoppugnato; la stessa censura e i restanti motivi venivano, poi, ritenuti infondati.

Il sig. inoltrava in data 28 ottobre 2020, al Comune e al Prefetto, due diffide: la prima, volta a sollecitare l’adozione nei confronti dei controinteressati del provvedimento di decadenza del permesso di costruire n. 2013/068, nonché della sanzione demolitoria avuto riguardo a quanto costruito in violazione della normativa antisismica; la seconda, volta a ottenere la declaratoria di inefficacia e/o di decadenza dell’originaria concessione edilizia n. 9/2004, nonché l’ingiunzione a demolire quanto realizzato in forza della stessa e a ripristinare lo stato dei luoghi; a fronte del silenzio serbato dal Comune sulle diffide, il sig. proponeva ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a. al T.a.r. per la Toscana, allibrato al n.r.g. 375/2021, censurando: - l’inosservanza dell’obbligo di provvedere sancito dall’art. 2 della legge n. 241/1990 (primo motivo di ricorso); - la violazione dell’art. 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, quanto al mancato accertamento della decadenza del permesso di costruire n. 2013/068 (secondo motivo); - la violazione dell’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001, per mancata adozione dei provvedimenti sanzionatori resi necessari dal mancato rispetto della normativa antisismica e dalle condizioni di deterioramento e pericolo per la pubblica incolumità, nelle quali verserebbe la porzione di fabbricato interessata dai lavori (terzo motivo).

Il T.a.r., con sentenza 25 maggio 2021, n. 1007, in parte accoglieva il ricorso e in parte lo dichiarava inammissibile, compensando le spese. Avverso il capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro il silenzio serbato dal comune sulla diffida volta a eccitare i poteri di autotutela relativamente al p.d.c. del 2004 – 2009 proponeva appello il sig. (ricorso allibrato al n.r.g. 7288/2021).

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 5186 del 23 giugno 2022: - rigettava l’istanza di riunione presentata dal Sardelli (in relazione al presente giudizio ed a quello allibrato al n.r.g. 8840/2016); - imponeva al Comune di rispondere, con tutte le garanzie della legge n. 241 del 1990 ad entrambe le istanze-diffide del “...ma nei soli limiti della definizione dei procedimenti di cui alle diffide attoree del 28 ottobre 2020, ferme le autonome valutazioni comunali sull’intera vicenda dedotta”.

Il T.a.r., con sentenza n. 123 del 2022, respingeva il ricorso e condannava il ricorrente alla rifusione delle spese processuali (euro 3.000,00 in favore del Comune di Poggibonsi).

Ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza il sig. che ha articolato tre motivi (estesi da pagina 7 a pagina 23 del ricorso), così compendiati: i) violazione dei principi di: legalità, nominatività e di tipicità degli atti amministrativi, non contraddittorietà; violazione del diritto vivente (Corte costituzionale, sentenze nn. 5/1980 e 127/1983); violazione o falsa applicazione degli artt. 12, 13, 36 e 38 del d.p.r. n. 380 del 2001 e dell’art. 4, l. 1150 del 1942; violazione degli artt. 3, 42, 97 e 101 della Costituzione; ii) violazione dell’art. 101 Costituzione; violazione del principio di separazione dei poteri; violazione o falsa applicazione dell’art. 9-bis, d.p.r. n. 380 del 2001; violazione del diritto vivente (Corte costituzionale, ni 529/1995, 26/1996, 238/2000, 290/2019); iii) errata valutazione dell’atipico permesso di costruire n° 2013/068; annullamento implicito in autotutela in parte qua della concessione edilizia n° 9/2004; dovere di ordinare la demolizione dell’opera già accertata col permesso n° 2013/068 essere stata realizzata in violazione del punto C3) delle n.t.a. del 1996.

Si è costituito il comune per resistere in data 12 aprile 2022, con deposito di documentazione.

Il sig., con istanza depositata il 25 febbraio 2022, ha chiesto la riunione dell’odierno ricorso ai seguenti “appelli pendenti: a) Consiglio di Stato, Sez. IV (RG n° 8840/2016); b) Consiglio di Stato, Sez. VI (RG n° 7288/2021)”

 

RITENUTO IN DIRITTO

Va respinta l’istanza di riunione avanzata dall’appellante ravvisando il Collegio le medesime ragioni che hanno indotto la sentenza della VI sezione a rigettare analoga istanza.

In ogni caso si evidenzia che: i) l’appello allibrato al n.r.g. 7288/2021 è stato definito con sentenza del consiglio di Stato sez. VI, n. 5186/2022, pubblicata il 23 giugno 2022; ii) l’appello allibrato al n.r.g. 8840/2016 è stato parimenti definito, all’esito della camera di consiglio del 13 ottobre 2022 con decisione di improcedibilità a richiesta della medesima parte ricorrente; b) è tardivo, ex art. 73 comma 1 c.p.a., e quindi inutilizzabile, il deposito documentale effettuato dal comune in data 9 ottobre 2022.

Scendendo all’esame del merito, attesa la stretta connessione dei motivi di appello, gli stessi vengono congiuntamente esaminati e respinti. Correttamente il giudice di prime cure ha rilevato che il titolo edilizio è sempre riferito a uno specifico progetto; ragion per cui, una volta riscontrata la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, il suo rilascio ne attesta la conformità, senza che possa predicarsi una sorta di invalidità sopravvenuta del titolo medesimo ovvero il suo successivo annullamento implicito in autotutela.

Così conformato l’esercizio del potere urbanistico, il titolo entra nell’ordinamento giuridico assistito dalla presunzione di legittimità, che ne attesta la validità fino alla sua rimozione dall’ordinamento medesimo mediante i tipici strumenti previsti dal sistema, ovvero l’annullamento in via giudiziaria, giustiziale, in autotutela espressa oppure, nei soli casi consentiti, straordinaria da parte dell’autorità competente. La presunzione di legittimità che assiste il provvedimento nel momento in cui esso è adottato risponde a canoni costituzionali di certezza del diritto, stabilità dei rapporti, effettività del potere siccome funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico.

Nel caso in esame, rileva la circostanza che i titoli edilizi via via rilasciati nel tempo dal Comune (2004 – 2009) si sono consolidati nell’ordinamento giuridico, siccome rimasti inoppugnati, ragion per cui gli stessi non possono più essere rimessi in discussione nella presente sede giudiziaria; né è ravvisabile in capo al Comune un obbligo giuridico di rimuoverli in autotutela, ancorché conculcato dal privato, trattandosi di poteri (quelli di avvio del procedimento di autotutela decisoria) connotati dalla massima discrezionalità nell’an, appartenenti piuttosto alla sfera libera di determinazione dell’amministrazione, come tali insindacabili e incoercibili.

L’aggettivo “eventuale” che qualifica le misure da adottare a seguito della verifica circa l’intervenuta decadenza del permesso di costruire sta a significare esattamente che alcun vincolo conformativo è stato precostituito, imposto o veicolato dal giudice.

L’unico vincolo ha investito l’an dell’azione amministrativa, obbligando il Comune ad attivare i controlli previsti dall’art. 27 d.p.r. n. 380/2001, lasciando intonso il “quid” del potere in concreto esercitato.

 

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull'appello lo respinge. Condanna il sig. al pagamento delle spese del grado di giudizio che si liquidano, in favore del Comune di Poggibonsi, in euro 6.000,00 (seimila) oltre accessori e spese generali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa

Il principio di diritto: il permesso di costruire è un provvedimento autoritativo che, per quanto privo di indole concessoria, ha natura solo tendenzialmente vincolata perché richiede sempre un minimo esercizio di discrezionalità e lo svolgimento di una attività istruttoria complessa, quantomeno in ordine all’accertamento dei presupposti di fatto e diritto previsti dalla legge e dalla disciplina pianificatoria per il rilascio dei titoli.

Il caso e il processo: il ricorrente agisce innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana per l’ottemperanza alla sentenza 30 giugno 2021, n. 1007 resa dallo stesso T.a.r., e per la conseguente declaratoria di nullità: a) del provvedimento prot. n. 0033305/2021 del 28 settembre 2021, adottato dal dirigente del Comune di Poggibonsi, nella parte in cui “si atteggia a rifiuto di adottare l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino ex art. 27, co. 2, d.p.r. 380 del 2001 della parte del fabbricato esistente …”; b) del provvedimento protocollo prot. n° 0033743/2021 del 1 ottobre 2021 col quale il dirigente del Comune di Poggibonsi ha disposto “… che i soggetti proprietari dell'immobile di cui trattasi, destinatari della presente, provvedano a far redigere da tecnico abilitato la “Valutazione di sicurezza” di cui all'art. 8.3 del d.m. 18 gennaio 2018. Il Ta.r. per la Toscana, con sentenza 4 febbraio 2022, n. 123 respinge il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali. Ha interposto appello avverso la suddetta sentenza lo stesso per tre motivi: i) violazione dei principi di: legalità, nominatività e di tipicità degli atti amministrativi, non contraddittorietà; violazione del diritto vivente (Corte costituzionale, sentenze nn. 5/1980 e 127/1983); violazione o falsa applicazione degli artt. 12, 13, 36 e 38 del d.p.r. n. 380 del 2001 e dell’art. 4, l. 1150 del 1942; violazione degli artt. 3, 42, 97 e 101 della Costituzione; ii) violazione dell’art. 101 Costituzione; violazione del principio di separazione dei poteri; violazione o falsa applicazione dell’art. 9-bis, d.p.r. n. 380 del 2001; violazione del diritto vivente (Corte costituzionale, ni 529/1995, 26/1996, 238/2000, 290/2019); iii) errata valutazione dell’atipico permesso di costruire n° 2013/068; annullamento implicito in autotutela in parte qua della concessione edilizia n° 9/2004; dovere di ordinare la demolizione dell’opera già accertata col permesso n° 2013/068 essere stata realizzata in violazione del punto C3) delle n.t.a. del 1996. suali (euro 3.000,00 in favore del Comune di Poggibonsi).

La soluzione resa dal giudice amministrativo: il titolo entra nell’ordinamento giuridico assistito dalla presunzione di legittimità, che ne attesta la validità fino alla sua rimozione dall’ordinamento medesimo mediante i tipici strumenti previsti dal sistema, ovvero l’annullamento in via giudiziaria, giustiziale, in autotutela espressa oppure, nei soli casi consentiti, straordinaria da parte dell’autorità competente. La presunzione di legittimità che assiste il provvedimento nel momento in cui esso è adottato risponde a canoni costituzionali di certezza del diritto, stabilità dei rapporti, effettività del potere siccome funzionalizzato al perseguimento dell’interesse pubblico.

Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul tema: il giudice amministrativo si limita a riprendere quanto statuito in precedenza (Cons. Stato sez. IV, n. 7373 del 2021, n. 2965 del 2021, n. 6327 del 2018, n. 6265 del 2018, n. 2366 del 2018).

Sul tema oggetto della decisione, tra i tanti, si veda G. Guzzo, ‎G. Palliggiano, L'attività edilizia. Titoli, procedure, sanzioni e tutela, Milano, 2015; G. Bellucci, P. Pellegrini, La repressione degli abusi edilizi nella giurisprudenza amministrativa, penale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, Torino, 2012; G. Guzzardo, Semplificazioni e complicazioni nei titoli edilizi, in Giustizia amministrativa, 2014;

 

3) Meccanismo di calcolo degli sconti ed i limiti di fatturato delle farmacie

Cons. St., sez. III, sent. del 1° dicembre 2022, dep. 14 dicembre 2022, n. 10953 – Pres. Maruotti – Est. Maruotti – (rif. art. 1, co. 40, della legge n. 662/1996, come modificato dall’art. 11 del d.l. n. 347/2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 405/2001; art. 2, co. 1, della legge n. 549/1995).

 

(omissis)

 

RITENUTO IN FATTO

L’attuale appellata è titolare di una ‘farmacia rurale sussidiata’ con sede in - OMISSIS-, che opera in regime di Servizio sanitario regionale con la ASL di Salerno.

Il giudizio di primo grado ha riguardato le verifiche contabili alle quali la stessa farmacia è stata sottoposta dall’ASL al fine del calcolo degli sconti previsti dall’art. 1, comma 40, della legge n. 662/1996, come modificato dall’art. 11 del d.l. n. 347/2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 405/2001. La citata disposizione prevede che le ‘farmacie rurali sussidiate’, con fatturato annuo non superiore ad una certa soglia, applichino uno sconto ridotto in favore del Servizio sanitario nazionale. La ratio della previsione è quella di supportare i presidi farmaceutici che svolgono la loro attività nei centri di minore dimensione e che, per questa loro meno favorevole localizzazione, conseguono utili più bassi. L’agevolazione si realizza mediante l’applicazione di una percentuale di sconto inferiore ed il riconoscimento ai presidi farmaceutici di maggiori margini di profitto.

Il combinato disposto delle due previsioni impone, dunque, ai fini del calcolo dello sconto: a) di individuare le componenti rilevanti del “fatturato annuo in regime di Servizio sanitario nazionale” al fine di verificare il superamento o meno della soglia di fatturato prevista dall’art. 1, comma 40, della legge n. 662/1996 da parte dell’esercizio farmaceutico; b) sulla base di questa preliminare verifica, di accertare la correttezza del calcolo della percentuale di sconto da parte dell’ASL (da intendersi quale percentuale che il Servizio sanitario nazionale deve trattenere sugli importi dovuti all’esercizio farmaceutico convenzionato). La farmacia odierna appellata ha lamentato la violazione dell’art. 11 del d.l. n. 347/2001, sostenendo che l’Amministrazione avrebbe calcolato il fatturato del suo esercizio farmaceutico tenendo conto di tutte le componenti dello stesso, mentre, ai sensi dell’indicata disposizione, il fatturato di riferimento andrebbe calcolato computando i corrispettivi dei prodotti dispensati per conto del Servizio sanitario nazionale e non anche i ticket, gli sconti e i corrispettivi dei farmaci erogati in regime di assistenza integrativa regionale. Se, dunque, avesse applicato le corrette modalità di calcolo, l’Amministrazione avrebbe dovuto imputare alla farmacia, nell’anno di riferimento, un fatturato inferiore alla soglia prevista e, dunque, riconoscere la spettanza dello sconto agevolato.

Con la sentenza appellata n. -OMISSIS-, il Tar di Salerno ha accolto in parte le tesi della parte ricorrente

Ha proposto appello l’ASL Salerno.

La parte appellante aggiunge che dal 2019 - ai sensi della legge n. 145/2019 che, all’art. 1, comma 551, ha modificato il comma 40 bis all’art. 1 della legge 662/1996 - ai fini dell’applicazione della scontistica agevolata o dell’esenzione dello sconto concorrono le voci: “fatturato dei farmaci ceduti in regime di Servizio Sanitario Nazionale”, “remunerazione del servizio di distribuzione reso in nome e per conto”, “fatturato delle prestazioni di assistenza integrativa e protesica erogate in regime di Servizio Sanitario Nazionale e Regionale”, “quote di partecipazione alla spesa a carico dell’assistito (TICKET)”. Ne sono invece escluse “a) l’IVA; b) le trattenute convenzionali e di legge; c) gli importi che a titolo di sconto vengono trattenuti sul prezzo del farmaco nel determinare le somme da rimborsare alle farmacie convenzionate”; d) la quota a carico dei cittadini, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405; e) la remunerazione delle ulteriori prestazioni per i servizi erogati dalle farmacie per i servizi erogati dalle farmacie ai sensi del d.l.vo 3/10/2009 n° 153”.

Dunque, per gli anni dal 2012 al 2017, come stabilito per legge, non è possibile portare in detrazione le quote ticket e/o altre quote: difatti, in tutte le leggi di riferimento (L. 662/1996 – L. 172 del 4/12/2017 L. 145/2019) il ticket, a carico dell’assistito, concorre ai fini del fatturato SSN per cui in nessun caso può essere portato in detrazione. Viceversa, “la farmacia appellata conteggia erroneamente nel fatturato annuo SSN solo i medicinali e non tutte le prestazioni (v. integrative) erogate con oneri a carico del SSN e porta in detrazione voci di spesa, come evidenziato nella tabella allegata, che per legge invece non vanno detratte”.

La parte appellata non si è costituita in giudizio e la causa è stata discussa e trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 1° dicembre 2

 

RITENUTO IN DIRITTO

Ritiene la Sezione che l’appello risulta fondato e va accolto. Come già chiarito da questa Sezione con le pronunce nn. 5406 e 5407 del 2014: -- anche per le ‘farmacie rurali sussidiate’, ai fini dell’applicazione della deroga all’ordinario regime di sconti, è stato introdotto un limite di fatturato superato il quale la deroga non è applicabile; -- i limiti di fatturato previsti (sia per le ‘farmacie rurali sussidiate’ sia per le altre farmacie) sono stati ridefiniti rispetto alle precedenti disposizioni, prendendo a riferimento non il fatturato complessivo annuo – che poteva includere non solo la vendita dei medicinali (compresi quelli pagati dai cittadini), ma anche tutti gli altri prodotti normalmente venduti in farmacia, come i cosmetici, i giocattoli per la prima infanzia – ma il solo «fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale al netto dell’IVA»; -- l’espressione «fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale» si riferisce, secondo il suo significato letterale, a tutte le prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale, comprese quelle di assistenza integrativa, sicché come tale si intende il fatturato risultante dalla somma dei prezzi di vendita al pubblico, al netto dell’IVA, di tutti i prodotti dispensati dalle farmacie per conto del Servizio Sanitario Nazionale, compreso i prodotti integrativi e protesici.

Il prospetto di conteggio allegato dalla ASL, da leggersi unitamente alle contabili allegate in primo grado, risulta coerente con i criteri generali innanzi richiamati e non trova elementi di confutazione in atti o documenti istruttori di analogo dettaglio e segno contrario.

La censura dedotta in primo grado concerneva, d’altra parte, l’inesatta applicazione dei criteri e non già l’erroneità o non intellegibilità del calcolo.

 

P.Q.M.

accoglie l’appello n. 5445 del 2022 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 1637 del 2018. Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Il principio di diritto: per le farmacie rurali sussidiate, ai fini dell’applicazione della deroga all’ordinario regime di sconti, è stato introdotto un limite di fatturato superato il quale la deroga non è applicabile.

Il caso e il processo: l’appellata è titolare di una ‘farmacia rurale sussidiata’ che opera in regime di Servizio sanitario regionale con la ASL di Salerno. Il giudizio di primo grado ha riguardato le verifiche contabili alle quali la stessa farmacia è stata sottoposta dall’ASL al fine del calcolo degli sconti previsti dall’art. 1, comma 40, della legge n. 662/1996, come modificato dall’art. 11 del d.l. n. 347/2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 405/2001. 3. La disposizione in esame prevede che le ‘farmacie rurali sussidiate’, con fatturato annuo non superiore ad una certa soglia, applichino uno sconto ridotto in favore del Servizio sanitario nazionale. Il Tar di Salerno ha accolto in parte le tesi della parte ricorrente, statuendo che “l’Amministrazione non ha chiarito le esatte modalità con cui, a partire dai dati forniti dalla ricorrente, ha provveduto alla determinazione del “fatturato in regime di Servizio sanitario nazionale”, ritenendo poi superata la soglia di legge. Ha proposto appello l’ASL Salerno, sulla base del fatto che per “fatturato annuo in regime di S.S.N. al netto dell’IVA non superiore ad € 387.342,67, così come indicato nell’art. 11 della L. n. 405/2001, deve intendersi quello riferito sia all’assistenza farmaceutica che all’assistenza integrativa erogate dalle farmacie”. La parte appellata non si è costituita in giudizio e la causa è stata discussa e trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 1° dicembre 2022

La soluzione resa dal Consiglio di Stato: il giudice amministrativo giunge ala conclusione che il prospetto di conteggio allegato dalla ASL, da leggersi unitamente alle contabili allegate in primo grado, risulta coerente con i criteri generali innanzi richiamati e non trova elementi di confutazione in atti o documenti istruttori di analogo dettaglio e segno contrario. Con le note pronunce nn. 5406 e 5407 del 2014, la stessa Sezione aveva stabilito che i limiti di fatturato previsti (sia per le ‘farmacie rurali sussidiate’ sia per le altre farmacie) sono stati ridefiniti rispetto alle precedenti disposizioni, prendendo a riferimento non il fatturato complessivo annuo – che poteva includere non solo la vendita dei medicinali (compresi quelli pagati dai cittadini), ma anche tutti gli altri prodotti normalmente venduti in farmacia, come i cosmetici, i giocattoli per la prima infanzia – ma il solo «fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale al netto dell’IVA».

In particolare, l’espressione «fatturato annuo in regime di servizio sanitario nazionale» si riferisce, secondo il suo significato letterale, a tutte le prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale, comprese quelle di assistenza integrativa, sicché come tale si intende il fatturato risultante dalla somma dei prezzi di vendita al pubblico, al netto dell’IVA, di tutti i prodotti dispensati dalle farmacie per conto del Servizio Sanitario Nazionale, compreso i prodotti integrativi e protesici.

Sul tema oggetto della sentenza, tra i plurimi, si veda M. Auteri, Il mercato del farmaco. Tra andamenti e prospettive, Padova, 2013; D. Maggi, Economia dell'azienda farmacia e del settore farmaceutico, Milano, 2013; P. Minghetti, Legislazione farmaceutica, X ediz., Rozzano (MI), 2021.

 

 

ALTRE PRONUNCE IN RASSEGNA

 

T.A.R. Campania, sez. III - Napoli, 18 ottobre 2022, dep. 26 ottobre 2022, n. 6607 - Pres. Pappalardo - Rel. Pappalardo (rif. art. 476 c.c.; legge n. 392/1978)

Il contratto di locazione rientra nella materia di contratti di diritto comune, in cui ricade tutta la sfera di attività prettamente negoziale, che non subisce modificazioni per il fatto che una delle parti sia una Pubblica Amministrazione, non venendo comunque in rilievo alcun esercizio di potere autoritativo da parte della stessa.

Consiglio di Stato, sez. IV - 22 settembre 2022, dep. 27 ottobre 2022, n. 9161 - Pres. Lopilato - Rel. Conforti (artt. 3, 97 Cost.).

Nel caso di provvedimento c.d. “plurimotivato”, la declaratoria di legittimità di una delle ragioni giustificatrici esternate a sostegno della decisione dell'amministrazione rende legittimo l'atto, sul versante sostanziale, e, correlativamente, su quello processuale, determina la declaratoria di improcedibilità delle ulteriori doglianze articolate dalla parte sulle altre ragioni giustificatrici poste a sostegno del diniego.

Consiglio di Stato, sez. VII - 30 settembre 2022, dep. 27 ottobre 2022, n. 9271 - Pres. Lipari - Rel. Castorina (rif. art. 5 legge 8 ottobre 2010, n. 170)

In sede di svolgimento delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale devono essere garantite agli studenti con DSA “adeguate forme di verifica e di valutazione” (come previsto dall’art. 5 della legge n. 170/2010) anche mediante riconoscimento di strumenti compensativi (vedi, in particolare, d.m. n. 5669/2011). Gli strumenti compensativi devono essere ragionevolmente rapportati alla tipologia di prova e di disabilità e devono essere adeguati alla finalità di porre lo studente in posizione paritaria rispetto agli altri candidati, senza che questo possa determinare una posizione di vantaggio rispetto agli altri studenti non DSA.

T.A.R. Abruzzo, sez. I - L'Aquila, 19 ottobre 2022, dep. 27 ottobre 2022, n. 384 - Pres. Panzironi - Rel. Colagrande (rif. art. 4, d.lg. 25 luglio 1998, n. 286)

In caso di condanna (anche non definitiva) del cittadino extracomunitario per qualsivoglia reato in materia di stupefacenti, ai sensi dell'art. 4, d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno costituisce per l'autorità competente un atto vincolato, non occorrendo a tal fine alcuna ulteriore valutazione, né rispetto alla pericolosità sociale del cittadino straniero, né con riferimento al suo grado di integrazione nel contesto sociale italiano, con la sola eccezione costituita da eventuali legami familiari con soggetti residenti in Italia; in questo caso si impone una valutazione comparativa discrezionale dell'interesse alla sicurezza pubblica e di quello dello straniero alla tutela dei propri rapporti familiari.

T.A.R. Lazio, sez. V - Roma, 24 ottobre 2022, dep. 27 ottobre 2022, n. 13910 - Pres. Tomassetti - Rel. Mattei (rif. art. 9 legge 5 febbraio 1992, n. 91)

L'acquisto dello status di cittadino italiano per “naturalizzazione” è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, come si evince dalla norma che attribuisce tale potere, di cui all'art. 9, comma 1, l. n. 91/1992, che stabilisce che la cittadinanza “può” essere concessa. Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, nei diritti politici di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l'espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all'autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche, ma anche doveri nei confronti dello Stato - comunità, con implicazioni di ordine politico - amministrativo. L'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve, quindi, necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

T.A.R. Lazio, sez. I - Roma, 5 ottobre 2022, dep. 28 ottobre 2022, n. 13957 - Pres. Perna - Rel. Vallorani (art. 1392, comma 1, d.lgs. n. 66/2010)

Il termine entro il quale l'Amministrazione deve avviare e concludere il procedimento disciplinare nei confronti di un pubblico dipendente, a seguito di giudizio penale, con la contestazione degli addebiti, di cui all'art. 1392, comma 1, d.lgs. n. 66/2010, decorre dalla conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione, pertanto deve ritenersi insufficiente, per la determinazione del dies a quo, la conoscenza del mero dispositivo o degli estratti della sentenza.

T.A.R. Campania, sez. VIII - Napoli, 12 ottobre 2022, dep. 28 ottobre 2022, n. 6686 - Pres. Tomassetti - Rel. Cestaro (rif. art. 21 nonies legge 7 agosto, n. 241)

L'annullamento in autotutela, ad opera della Regione, dell'attestazione di deposito sismico deve avvenire rispettando tutte le garanzie per l'adozione del contrarius actus e in presenza dei presupposti di cui all'art. 21 nonies, l. n. 241/90, come confermato in modo certo dagli artt. 3, comma 4, e 4, comma 8 del reg. regionale n. 4/2010 che individua proprio nell'annullamento il rimedio all'esito negativo dell'istruttoria successiva al rilascio dell'attestazione di deposito.

T.A.R. Trentino-Alto Adige, sez. I - Trento, 13 ottobre 2022 dep. 28 ottobre 2022, n. 181 - Pres. Rocco - Rel. Tassinari (rif. art. 129 l. prov. 4 marzo 2008, n. 1)

L'ordine di demolizione deve contenere una puntuale descrizione delle opere abusivamente realizzate e qualificare la tipologia di abuso contestato. L’Amministrazione procedente, pur nell'attenuazione dell'onere motivazionale, nell'ordinare la demolizione, deve procedere, specie laddove si tratti di opere realizzate con variazioni essenziali o in parziale difformità dalla concessione edilizia, oltre che alla puntuale descrizione delle opere abusivamente realizzate, anche a qualificare la tipologia di abuso contestato, nel rispetto delle categorie previste dagli art. 129 della l. prov. Trento n. 1/2008.

T.A.R. Lombardia, sez. III - Milano, 25 ottobre 2022, dep. 28 ottobre 2022, n. 2384 - Pres. Bignami - Rel. Lombardi (art. 143, primo comma, lett. a), del r.d. n. 1775/ 1933)

Rispetto alle condizioni e ai presupposti di sussistenza del requisito dell'ingiustizia del danno, in un'ipotesi di responsabilità da fatto illecito della P.A. per lesione di interessi legittimi va evidenziato che il requisito dell'ingiustizia del danno, per sussistere, necessita che vi sia la lesione di un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere (mentre, nel caso di specie, tale titolo non sussisteva ab origine).

T.A.R. Puglia sez. III - Bari, 26 ottobre 2022, dep. 28 ottobre 2022, n. 1487 - Pres. Ciliberti - Rel. Ciliberti (rif. art. 34, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380)

Gli ordini di rimozione degli interventi illegittimi e di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile e si applicano anche in danno di chi non abbia commesso la violazione ma, al momento dell'irrogazione, si trovi in un rapporto con il bene, tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato. Per la parziale difformità delle opere edilizie, il comma 1 dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, inoltre, che gli interventi “sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili”.

Consiglio di Stato, sez. IV, 28 luglio 2022, dep. 28 novembre 2022, n. 10439 - Pres. Poli - Rel. Loria (rif. art. 34 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

La declaratoria di cessazione della materia del contendere, ai sensi dell'art. 34, comma 5, c.p.a., presuppone la soddisfazione della pretesa del ricorrente attraverso il provvedimento della pubblica amministrazione, emanato successivamente alla instaurazione del giudizio e con effetti retroattivi. Nel caso in esame, l’appellante ha depositato il ricorso di primo grado, e quindi instaurato il rapporto processuale, successivamente rispetto all’emanazione del provvedimento del comune con il quale sono stati rettificati gli errori materiali commessi e sono stati ostesi all’interessata i documenti richiesti (inclusi quelli rettificati). A tal proposito si osserva che il deposito del gravame successivamente al conseguimento del bene della vita richiesto può rappresentare un abuso del processo tenuto conto della scarsità della “risorsa giustizia”. Invero è stata aggravata la posizione debitoria del comune senza che ciò corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte in violazione del canone di lealtà processuale sancito dall’art. 88, comma 1, c.p.c. pacificamente applicabile al processo amministrativo.

T.A.R. Piemonte, sez. II - Torino, 28 settembre 2022, dep. 28 novembre 2022, n. 1041 - Pres. Bellucci - Rel. Caccamo (rif. art. 6 legge 7 agosto 1990, n. 241)

In tema di limiti al ricorso al soccorso istruttorio, previsto dall’ art. 6, comma 1, lettera b), l. n. 241 del 1990, va evidenziato che tale strumento non può essere invocato, quale parametro di legittimità dell'azione amministrativa, tutte le volte in cui si configurino in capo al singolo partecipante obblighi di correttezza, specificati mediante il richiamo alla clausola generale della buona fede, della solidarietà e dell'autoresponsabilità, che rinvengono il loro fondamento sostanziale negli artt. 2 e 97 Cost. e che impongono che quest'ultimo sia chiamato ad assolvere oneri minimi di cooperazione, quali il dovere di fornire informazioni non reticenti e complete, di compilare moduli, di presentare documenti.

T.A.R. Abruzzo, sez. I - Pescara, 18 novembre 2022, dep. 28 novembre 2022, n. 483 - Pres. Passoni - Rel. Passoni (artt. 14 ss. legge 7 agosto 1990, n. 241)

Il parere interno ad una conferenza di servizi in fieri non è impugnabile ed è, di conseguenza, inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento di un parere interno ad una conferenza di servizi in fieri, perché manca l'attuale lesività.

T.A.R. Veneto, sez. III - Venezia, 23 novembre 2022, dep. 28 novembre 2022, n. 1815 - Pres. Farina - Rel. Bertagnolli (rif. art. 4 d.l. 1 aprile 2021, n. 44)

Sulla giurisdizione in caso di controversie concernenti l'inadempimento all'obbligo vaccinale per la prevenzione dall'infezione da SARS-CoV-2, ex art. 4, d.l. n. 44 del 2021, va osservato che la giurisdizione spetta al giudice ordinario. Tali controversie, infatti, non ineriscono a situazioni di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo, perché non sussiste intermediazione del potere amministrativo, dato che trattasi di attività della P.a. sottoposta a limiti e condizioni previste esaustivamente dalla legge. Pertanto, sussiste il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la giurisdizione spetta al giudice ordinario.

Consiglio di Stato, sez. II, 31 maggio 2022, dep. 29 novembre 2022, n. 10484 - Pres. Castriota Scanderbeg - Rel. Frigida (rif. art. 31, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380)

L'ordine di demolizione, conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, non richiede l'instaurazione del contraddittorio con il suo destinatario. Si tratta, al pari di altri provvedimenti sanzionatori edilizi di un atto dovuto e, in quanto tale, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge. Inoltre, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l'abuso edilizio, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.

Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2022, dep. 29 novembre 2022, n. 10470 - Pres. Lotti - Rel. Caminiti (rif. artt.  29 e 76 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)

Nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, l'individuazione della decorrenza del termine di impugnazione degli atti di una procedura di gara per l'affidamento di un contratto di appalto è, così, articolata: 1) dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, comprensiva anche dei verbali ai sensi dell'art. 29, comma 1, d.lg. n. 50 del 2016; 2) dall'acquisizione, per richiesta della parte o per invio officioso, delle informazioni di cui all'art. 76, d.lg. n. 50 del 2016, ma solo a condizione che esse consentano di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, così da consentire la presentazione, non solo dei motivi aggiunti, ma anche del ricorso principale; 3) nel caso di proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara è prevista la dilazione temporale, fino al momento in cui è consentito l'accesso, se i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta; 4) dalla comunicazione o dalla pubblicità nelle forme individuate negli atti di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati.

T.A.R. Puglia, sez. I - Bari, 9 novembre 2022, dep. 29 novembre 2022, n. 1605 - Pres. Scafuri - Rel. Blanda (rif. art. 32 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)

Il rinnovo di un contratto pubblico non costituisce un obbligo per l'Amministrazione, ma una mera facoltà di scelta, pertanto se il soggetto pubblico non ritiene più conveniente rinegoziare la prosecuzione del rapporto oltre la scadenza, può certamente indire una nuova procedura di evidenza pubblica, ovvero procedere al soddisfacimento delle proprie necessità con altri metodi.

Consiglio di Stato, sez. IV - 12 ottobre 2022, dep. 30 novembre 2022, n. 10548 - Pres. Gambato Spisani - Rel. Martino (rif. art. 2 legge 7 agosto 1990, n. 241)

E’ da ritenersi non sussistente l'obbligo dell'Amministrazione di concludere il procedimento avviato d'ufficio o su istanza di parte solo nei casi limite di domande manifestamente assurde, o totalmente infondate e al cospetto di pretese illegali.

T.A.R. Campania, sez. I - Napoli, 19 ottobre 2012, dep. 01 dicembre 2022, n. 7512 - Pres. Salomone - Rel. Esposito - (rif. art. 23, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50)

In tema di appalti e contratti pubblici, con specifico riferimento all’atto di autotutela della revoca della gara avente ad oggetto l'appalto di lavori, si deve ritenere legittima la revoca se motivata dalla possibilità sopravvenuta di usufruire dei finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e dalla conseguente necessità di predisporre un progetto di fattibilità tecnica ed economica più ampio rispetto a quello originario.

Consiglio di Stato, ad. plen. 12 ottobre 2012, dep. 06 dicembre 2022, n. 15 - Pres. Frattini - Rel. Franconiero (rif. art. 723 D.p.r. 22 settembre 1988, n. 477)

È sindacabile dal giudice amministrativo, sotto il profilo del difetto di motivazione, l'atto con cui il Ministero della Giustizia provvede sulle richieste di assistenza giudiziaria internazionale (art. 723 c.p.p.), trattandosi di un provvedimento amministrativo discrezionale che in quanto tale può essere sottoposto al vaglio del giudice amministrativo sotto il profilo del difetto di motivazione.

 

T.A.R. Campania, sez. I - Napoli, 14 dicembre 2022, dep. 22 dicembre 2022, n. 8016 - Pres. Salomone - Rel. Esposito (art. 133, primo comma, lett. e) d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

In tema di riparto di competenze tra giudice amministrativo e giudice ordinario, la revisione dei prezzi del contratto d'appalto, sub specie di revisione straordinaria del prezzo d'appalto per l'aumento dei costi dei materiali, la giurisdizione è esclusiva del giudice amministrativo. Spetta, infatti, al giudice amministrativo la cognizione della domanda allorché venga in rilievo l'esistenza di un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, mentre spetterà al giudice ordinario conoscere della pretesa che si concreta in una richiesta di adempimento, sulla base di una clausola contrattuale che delinea esattamente l'obbligazione della parte pubblica.

Consiglio di Stato sez. III, 17 novembre 2022, dep. 15 dicembre 2022, n. 11000 - Pres. Greco - Pescatore (art. 133, primo comma, lett. e) d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

La delibera del direttore generale dell'ASL con cui era stata disposta la risoluzione dei rapporti contrattuali in essere e la sua esclusione da futuri affidamenti di Progetti Terapeutico-Riabilitativi Individuali, a seguito di accertamenti attestanti l'irregolarità degli affidamenti effettuati a favore della medesima struttura, costituisce un atto di “vigilanza e controllo nei confronti del gestore”, rispetto al quale trova applicazione l’art. 133 c.p.a. che estende la giurisdizione esclusiva alla fase esecutiva del rapporto di concessione, poiché è in questo momento che la pubblica amministrazione concedente svolge la sua attività autoritativa in funzione di regolazione del rapporto concessorio per tutta la sua durata, al fine di verificare costantemente la rispondenza dell’attività svolta dal concessionario ai canoni del servizio pubblico.

Consiglio di Stato, sez. V, 17 novembre 2022, dep. 16 dicembre 2022, n. 11037 - Pres. Caringella - Rel. Ungari (artt. 5, comma 2, e 5-ter, comma 1, l. n. 89/2001, modificati dalla l. n. 134/2012)

La scelta dell’amministrazione aggiudicatrice di tradurre una modalità esecutiva delle prestazioni in uno dei criteri di valutazione della qualità tecnica dell’offerta non può essere interpretata come necessità per l’offerente di anticipare alla fase di gara la dimostrazione del possesso o della disponibilità di tutti i mezzi e le risorse per l’esecuzione delle prestazioni programmate (cfr. Corte giust. UE 8 luglio 2021, in causa C-295/20). L’offerta tecnica è da ritenersi comunque conforme alla lex specialis se dalla stessa risulta l’impegno dell’offerente a rispettare tali condizioni nella fase esecutiva del servizio; ove possibile e nel rispetto dei principi di buona fede e di correttezza, la disponibilità dei mezzi e delle risorse che hanno formato oggetto di valutazione della qualità dell’offerta tecnica potranno essere accertate dalla stazione appaltante nella fase successiva all’aggiudicazione e antecedente alla stipula del contratto, fermo restando che la mancata attuazione nel corso dell’esecuzione del contratto non potrà che rilevare come inadempimento ed eventualmente portare alla risoluzione.

Consiglio di Stato, sez. I, 26 ottobre 2022, dep. 21 dicembre 2022, n. 2057 - Pres. Torsello - Rel. Perrelli (art. 3 Cost.; direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, n. 2000/78/CE, recepita dall’art. 3, commi 3 e 4, del D.lgs. 9 luglio 2003, n. 216, degli artt. 14 e 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea)

E’ da ritenersi legittimo il limite massimo di età fissato in 45 anni previsto dal bando che prevede una borsa di  studio per conseguire il titolo di cassazionista, poiché l'art. 6, par. 1, della direttiva Ue n. 2000/78 prevede che le disparità di trattamento in ragione dell'età non costituiscano discriminazione laddove siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell'ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro e di formazione professionale. Rientra in questo caso, il bando col quale si manifesta la volontà di concedere delle borse di studio a tutti coloro che hanno conseguito il titolo di cassazionisti frequentando l'apposito corso, a patto che non abbiano compiuto il 45° anno di età. Tale limite di età pare ragionevole e non discriminatorio, poiché risponde ad una logica che permea il Regolamento per l'erogazione dell'assistenza della Cassa di Previdenza e Assistenza che mira a sostenere l'avvio dell'attività dei giovani professionisti iscritti alla Cassa e, in particolare, di quelli di età inferiore ai 40 anni.

Consiglio di Stato, sez. III, 01 dicembre 2022, dep. 21 dicembre 2022, n.11160 - Pres. Maruotti - Rel. De Miro - (rif. art. 10 d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166)

Concorso per notaio: è insindacabile, in sede di legittimità, il tempo che le commissioni esaminatrici dedicano alla valutazione degli elaborati dei candidati, a maggior ragione se tali tempi siano stati calcolati in base a un computo presuntivo dato dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero di concorrenti o degli elaborati esaminati, in quanto non è generalmente possibile stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e, quindi, se il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato. Il suddetto termine orario, che prevede una durata minima per ogni seduta, ha carattere meramente ordinatorio e non è volto a garantire la qualità della valutazione della prova concorsuale, ma attiene più propriamente ai rapporti tra Amministrazione e Commissione, riguardando aspetti retributivi ed essendo collegata all'originario sistema di retribuzione "a seduta" oggi superato in quanto il compenso si basa sul numero di elaborati corretti.

Consiglio di Stato. sez. V, 06 ottobre 2022, dep. 22 dicembre 2022 n. 11200 - Pres. Lotti, - Rel. Fasano (art. 37 del d.l. 90/2014; art. 41 CEDU; artt. 1, 3 e 9 della l. 7 agosto 1990, n. 241; art. 97 Cost.; art. 37 del d.l. 90/2014; art. 213 Codice Appalti, art. 37 del d.l. 90/2014)

Sulla natura degli atti dell'ANAC assunti in esecuzione del potere di vigilanza e controllo e sul regime di impugnazione degli stessi va evidenziato che le deliberazioni dell’ANAC quando contengono vincoli conformativi puntuali alla successiva attività dei soggetti vigilati, in capo ai quali non residuano facoltà di modulazione quanto al contenuto e all’estensione, costituiscono provvedimenti lesivi nei confronti dei quali va garantita la tutela del diritto di difesa del destinatario (art. 24 Cost.). Per tale ragione è impugnabile la delibera con la quale l’ANAC ha concluso il procedimento di vigilanza, ritenendo sussistenti “gravi disfunzioni e irregolarità” nell’esecuzione dell’appalto in relazione a diversi aspetti, invitando l’amministrazione committente a comunicare “le misure che intende adottare alla luce dei rilievi dinanzi evidenziati” e disponendo, altresì, la trasmissione dell’atto alla Procura regionale della Corte dei conti e alla locale Procura della Repubblica.

Consiglio di Stato, ad. plen., 20 luglio 2022, dep. 28 dicembre 2022, n.17 - Pres. Corradino - Rel. Forlenza - (rif. artt. 39 e 40, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151)

Il padre ha diritto ai riposi giornalieri parentali anche se la moglie è casalinga. L'art. 40, comma 1, lett. c), d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, laddove prevede che i periodi di riposo di cui al precedente art. 39, sono riconosciuti al padre lavoratore dipendente del minore di anni uno, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, intende riferirsi a qualsiasi categoria di madre lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla donna che svolge attività lavorativa in ambito familiare, senza che sia necessario, a tal fine, che la madre sia impegnata in attività che la distolgono dalla cura del neonato, ovvero sia affetta da infermità.


Note e riferimenti bibliografici