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Pubbl. Ven, 3 Mar 2023

Il whistleblowing tra disciplina nazionale ed esperienza europea: lo schema di decreto attuativo della Direttiva UE 2019/1937

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Simone Matarise



Lo scopo del presente elaborato è quello di ricostruire la nascita e l´evoluzione legislativa dell´istituto del ”whistleblowing” nell´ordinamento italiano quale strumento di lotta alla corruzione, mettendo in luce soprattutto le novità previste dalla Direttiva UE 2019/1937 e l´intervento legislativo nazionale, non ancora in vigore, volto al recepimento del diritto europeo.


ENG

The ”whistleblowing” between national legislation and European experience: the draft decree implementing EU Directive 2019/1937

The purpose of this paper is to reconstruct the origin and legislative evolution of the instrument of ”whistleblowing” in the Italian legal system as a tool to fight corruption, highlighting above all the innovations provided by the EU Directive 2019/1937 and the national legislative intervention, not yet in force, aimed at transposing EU Law.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Origine e affermazione del “whistleblowing”; 3. Lo strumento della segnalazione dopo la legge “anticorruzione”; 4. (segue) La legge 30 novembre 2017 n. 179; 5. Il “whistleblowing” nell’esperienza europea. La Direttiva UE 2019/1937; 6. Lo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva UE; 7. Conclusioni. 

1. Introduzione

Il presente contributo ha lo scopo di analizzare l’istituto del “whistleblowing” quale strumento di lotta alla corruzione sia nelle Pubbliche Amministrazioni che nel settore privato. L’analisi si soffermerà sulla disciplina pubblicistica contenuta oggi nell’art. 54-bis d. lgs. 165/2001 (Testo Unico Pubblico Impiego). L’ordinamento giuridico italiano, a differenza dei sistemi giuridici anglosassoni, si è dotato di una disciplina organica sulla materia in tempi abbastanza recenti. Inoltre, i primi interventi legislativi hanno riguardato esclusivamente il settore pubblico e soltanto nel 2017 la disciplina interviene con importanti novità anche nel settore privato.

 La rilevanza dell’istituto è dimostrata anche dai recenti sviluppi nella legislazione europea. Nel 2019 è stata approvata la Direttiva UE 2019/1937 al fine di armonizzare le legislazioni degli Stati membri. Si tratta di un intervento di grande importanza che comporta necessariamente una modifica delle normative interne al fine di raggiungere gli obiettivi preposti dalla norma comunitaria.

Il Legislatore italiano non ha ancora provveduto al recepimento della Direttiva nonostante la scadenza per l’intervento nazionale fosse fissato il 17 dicembre 2021 e solo a distanza di oltre un anno dalla scadenza del termine è in corso l’iter di approvazione del decreto legislativo attuativo. È quindi utile analizzare quali potranno essere le conseguenze sulla disciplina interna a seguito del recepimento della Direttiva analizzando le modifiche e gli adeguamenti più rilevanti che il Legislatore italiano è chiamato ad attuare, ma non prima di soffermarsi sull’evoluzione legislativa che ha interessato l’istituto.

2. Origine e affermazione del “whistleblowing”

Le origini dell’istituto devono essere ricercate negli ordinamenti di common law. Gli Stati Uniti sono stati uno dei primi ordinamenti a dotarsi di una disciplina organica sulla materia. L’ordinamento statunitense non si è dotato di una sola normativa, ma sono state promulgate numerose disposizioni che possono essere ricondotte al fenomeno della denuncia anonima del dipendente. Uno dei tratti caratteristici della disciplina americana è la misura che prevede un incentivo economico per il segnalante, elemento da cui si discosta la disciplina italiana che invece si limita a prevedere soltanto forme di tutela per il dipendente (1).

 La normativa statunitense è stata più volte emendata con lo scopo di rendere più efficiente il procedimento di segnalazione. Infatti, nel 1989 venne emanato il “Whistleblower Protection Act”, una norma che mira a potenziare l’anonimato del segnalante e la previsione di un termine entro il quale concludere il procedimento di accertamento delle irregolarità denunciate. Quest’ultima novità dovrebbe incentivare le segnalazioni in quanto crea un sistema trasparente e conoscibile dal quale si possono verificare le azioni concrete intraprese dall’Amministrazione.

Ulteriore esperienza normativa di particolare rilevanza è quella del Regno Unito che, a differenza del sistema statunitense, ha una disciplina unitaria per il settore pubblico e privato. Il sistema inglese si concentra maggiormente sulla qualificazione della denuncia a seconda del soggetto a cui è rivolta (2). Nell’ordinamento inglese sono infatti qualificate le segnalazioni che attengono a un illecito penale, a comportamenti volti a intralciare il corso della giustizia, a comportamenti che possono provocare danni all’ambiente o comportamenti volti a ledere la salute e la sicurezza di terzi. Inoltre, il segnalante gode di diversa tutela in base all’autorità a cui rivolge la segnalazione (3). Il modello britannico è quello a cui il legislatore italiano si è maggiormente ispirato per introdurre la disciplina nell’ordinamento interno.

Il quadro che emerge dalle due legislazioni suindicate è quello della necessità di individuare tecniche e strumenti di tipo preventivo oltre al tradizionale approccio repressivo contro il fenomeno della corruzione (4).

 La necessità di nuovi modelli con i quali contrastare il fenomeno corruttivo emerge altresì dagli impegni assunti dalla comunità internazionale in più occasioni a partire dal 1999 quando a Strasburgo, in sede di Consiglio d’Europa, venne approvata la Convenzione penale sulla corruzione e nel 2003 con l’approvazione della Convenzione contro la corruzione adottata dalle Nazioni Unite.

 Da ambedue i documenti emerge il bisogno di istituire nuovi strumenti di tipo preventivo da affiancare al sistema repressivo abbastanza consolidato in tutti gli ordinamenti. Ed è proprio da tali impegni internazionali, a cui l’Italia ha aderito, che verrà poi adottata la legge 6 novembre 2012 n. 190 (5).

3. Lo strumento della segnalazione dopo la legge “anticorruzione”

Le legge 190, nota come legge “anticorruzione”, si inserisce in questo quadro di nuove esigenze. Lo dimostra il metodo seguito dal Legislatore che, prevedendo una “doppia anima” per tale normativa, da un lato ha rafforzato gli strumenti repressivi con un tradizionale approccio penalistico, ma ha altresì potenziato il meccanismo della prevenzione. Tra i numerosi istituti e innovazioni che la “legge Severino” ha introdotto nell’ordinamento giuridico l’art. 1 comma 51 prevede l’inserimento dell’art. 54-bis nel d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165 rubricato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”.

 Tale intervento legislativo rappresenta una prima azione minimale e in alcuni aspetti carente. La legge anticorruzione era riferita al solo settore pubblico escludendo di fatto l’applicazione dell’istituto anche al di fuori di tale confine. L’istituto, infatti, era applicabile solo ai dipendenti pubblici ex art. 1 d. lgs. 165/2001, vale a dire i soggetti aventi un rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione nonché alle dipendenze degli Enti elencati nel secondo comma del medesimo articolo (6).

Inoltre, più che una portata innovativa, l’istituto si limitava ad affermare la tutela del lavoratore licenziato o demansionato a seguito di una ritorsione, previsione di fatto già disciplinata nel nostro ordinamento. Invero, nell’ordinamento italiano la denuncia o la testimonianza del dipendente relativa a comportamenti illeciti del datore di lavoro se effettuata nel rispetto della verità dei fatti non determina una violazione dell’obbligo di fedeltà e quindi eventuali provvedimenti di ritorsione sarebbero illegittimi (7).

Passando a un’analisi dell’originaria previsione contenuta nell’art. 54-bis, questo era composto da quattro commi. Nel primo comma l’attenzione del Legislatore si soffermava sul divieto di eventuali misure ritorsive o discriminatorie verificatesi a seguito della segnalazione rivolta alla Corte dei conti, all’autorità giudiziaria o al superiore gerarchico.

 Il secondo comma della norma poneva l’attenzione sulla tutela dell’identità del dipendente segnalante nel procedimento disciplinare, mentre nulla era previsto per un sistema protettivo in sede di processo penale o contabile. Previsione che è stata aggiunta con la novella apportata dalla legge 30 novembre 2017 n. 179 che, nel terzo comma del modificato art. 54-bis, dispone la tutela della segretezza del segnalante secondo quanto previsto dall’art. 329 c.p.p. Nel procedimento penale, ma lo stesso vale per quello contabile, gli illeciti segnalati possono portare a conseguenze anche particolarmente gravi per l’incolpato quindi in un’ottica di bilanciamento di interessi la riservatezza cede il passo al diritto di difesa; nel procedimento disciplinare, dove le conseguenze negative si verificano al più sul rapporto di lavoro, la riservatezza del segnalante prevale su ogni altra esigenza. Non si parla dunque di anonimato, ma di applicazione delle regole ordinarie previste per il processo penale (8).

Il terzo comma prevedeva la comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica delle misure discriminatorie eventualmente applicate contro il segnalante; mentre il quarto comma prevedeva, e prevede tutt’oggi, l’esclusione dal diritto di accesso dei documenti contenenti la segnalazione e l’identità del segnalante.

Sul divieto del diritto di accesso sono necessarie alcune considerazioni: la prima di carattere giurisprudenziale poiché il divieto contenuto nella norma deve necessariamente essere coordinato con l’art. 24 l. 241/1990 che, prevendendo i limiti all’accesso, al comma 7 afferma come l’accesso ai fini difensivi debba essere sempre garantito. Infatti, anche la giurisprudenza era orientata in questo senso prevendendo la necessaria ostensione del documento al datore di lavoro che motivasse la propria richiesta di accesso al fine di tutelare i propri interessi giuridici (9); la seconda attiene al tenore letterale della norma che, nonostante faccia riferimento esplicito alla legge 241/1990 inerente quindi all’accesso documentale classico, è da considerarsi altresì riferita alle ipotesi di accesso civico semplice e generalizzato disciplinate dal Testo Unico sulla trasparenza (d. lgs. 14 marzo 2013 n. 33) (10).

4. (segue) La legge 30 novembre 2017 n. 179

La disciplina della legge 179 (11) è fondamentale per due ragioni: da un lato viene emendata la disciplina del “whistleblowing” contenuta nel TUPI, ma soprattutto per la prima volta il Legislatore italiano ha previsto una regolamentazione dell’istituto nel settore privato.

La legge rispecchia in particolare le osservazioni apportate dall’ANAC nella determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 recante le “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti” (12) nella quale l’Autorità mette in luce i punti critici della disciplina e sui quali riteneva la necessità di un intervento urgente.

Tra le osservazioni, che verranno poi affrontate dal Legislatore, vi è un ampliamento inerente all’ambito di applicazione soggettivo nel settore pubblico. Difatti, oltre ai soggetti nei confronti dei quali la previgente disciplina si riferiva, la novella del 2017 estende l’applicazione anche al personale non contrattualizzato ex art. 3 d. lgs. 165/2001, agli Enti pubblici economici e agli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 c.c., nonché ai lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni e servizi che realizzano opere per la Pubblica Amministrazione (13).

 L’aspetto su cui è interessante soffermarsi riguarda i soggetti estranei all’apparato organizzativo interno dell’Amministrazione: da una parte la tutela viene garantita anche per i dipendenti di imprese private che collaborano con la P.A. per evidenti ragioni di contrasto alla corruzione; nella norma però non si fa menzione di quei soggetti non dipendenti pubblici, ma nemmeno dipendenti di imprese private che collaborano comunque con il settore pubblico in quanto collaboratori o consulenti esterni. Dal tenore letterale della norma quest’ultimi sembrerebbero essere esclusi dall’ambito applicativo. Secondo un’interpretazione dottrinale un’esclusione di tali soggetti sarebbe da considerare del tutto illogica, dovendosi al contrario effettuare un’interpretazione estensiva del comma 2 dell’art. 54-bis ed includere tutti i soggetti che a qualsiasi titolo, anche temporaneo, collaborano con una Pubblica Amministrazione (14).

Sul punto è rilevante la Determinazione ANAC contenente le Linee Giuda, già citate, del 2016 nella quale per la prima volta affronta la questione in relazione ad un ulteriore norma, il D.P.R. 62/2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici). Il suddetto Codice all’art. 2 prevede che le Pubbliche Amministrazioni estendano, per quanto compatibili, gli obblighi di condotta del codice anche ai consulenti o collaboratori con qualsiasi tipologia di contratto, mentre l’art. 8 della medesima norma prevede l’osservazione per tutti i dipendenti a cui si applica il codice delle norme anticorruzione al fine di prevenire illeciti nelle P.A. Dal combinato disposto dei due citati articoli tali prescrizioni e quindi anche la segnalazione degli illeciti dovrebbero estendersi ai prestatori d’opera autonomi (15).

In realtà, esistono alcuni elementi che ostano a questa conclusione. In primis, sembra che il Codice di comportamento dei pubblici dipendenti prescriva solo obblighi di condotta e dunque situazioni in qualche modo sfavorevoli o passive anche per i prestatori d’opera autonomi, mentre la segnalazione di un illecito trattandosi di una mera facoltà non va inclusa tra le prescrizioni previste da tale norma.

Inoltre, non essendo il collaboratore o il consulente un dipendente pubblico, non è nemmeno concepibile pensare di applicare il divieto di atti ritorsivi previsti dalla legge n. 179/2017. Tali misure, infatti, presuppongono un rapporto di lavoro subordinato che non sussiste nel caso del prestatore d’opera. Un’ultima e importante considerazione riguarda il comma 3 della legge 179 in cui è previsto che la segnalazione effettuata da chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o assistenza con l’Ente non costituisce giusta causa al fine di rilevare notizie coperte da segreto. La conclusione è quindi che i collaboratori e i consulenti, nonostante le disposizioni del D.P.R. 62/2013 non sono assoggettati alla disciplina del "whistleblowing".

La riforma del 2017 incide altresì sulle segnalazioni meritevoli di tutela. Tra le novità apportate dalla legge una prima importante considerazione riguarda i soggetti a cui è possibile far pervenire la segnalazione: nell’originaria previsione della norma la segnalazione poteva essere rivolta all’autorità giurisdizionale ordinaria o contabile e, successivamente, con la legge 11 agosto 2014 n. 114 è stata inserita anche l’ANAC tra i soggetti destinatari. Nell’attuale previsione legislativa è stato altresì aggiunto il Responsabile della prevenzione della corruzione. La scelta legislativa da un lato è senz’altro condivisibile in quanto tale soggetto è deputato a occuparsi di tutte le questioni inerenti al fenomeno corruttivo. Inoltre, tale previsione è stata posta in essere anche per sostituire il Responsabile con il superiore gerarchico che, nell’originaria previsione, era tra i destinatari della segnalazione.

 Il legislatore però, ancora una volta, non si è preoccupato di coordinare la riforma con le ulteriori normative di contrasto alla corruzione. Infatti, considerando l’art. 8 D.P.R. 62/2013 è previsto l’obbligo per il dipendente pubblico di segnalare eventuali situazioni di illecito al superiore gerarchico (16). Tale mancato coordinamento può creare alcune problematiche poiché la segnalazione riferita al superiore gerarchico all’interno dell’Amministrazione non garantisce la riservatezza dell’informatore. Per cui, potenzialmente, il denunciato potrebbe esercitare il diritto di accesso documentale inoltrando l’istanza al superiore gerarchico ed avere così conoscenza dell’identità del segnalante.

Quanto al contenuto della segnalazione la riforma stabilisce che essa deve avere ad oggetto condotte illecite di cui il segnalante sia venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. L’espressione “condotte illecite” rimanda oltre che ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, anche ad abusi di potere del funzionario per vantaggi privati nonché a situazioni di cattivo funzionamento dell’Amministrazione dovute a comportamenti dei dipendenti. La novità più importante apportata nel comma 1 dell’art. 54-bis è la previsione secondo cui la segnalazione deve essere effettuata nell’interesse dell’integrità della Pubblica Amministrazione. Il legislatore ha voluto riconoscere le garanzie della legge alle sole condotte lesive di un interesse collettivo o diffuso escludendo di fatto quelle condotte che hanno rilevanza nella sfera meramente personale, il c.d. egoistic whistleblowing (17).

Tale elemento si pone in linea con il successivo intervento europeo contenuto nella Direttiva UE 2019/1937. Nel preambolo della Direttiva viene più volte menzionato il pubblico interesse come requisito fondamentale per la segnalazione. Pertanto, anche il Legislatore europeo ha voluto limitare l’utilizzo egoistico dell’istituto.

Quanto alla tutela del segnalante nel primo comma dell’art. 54-bis è prevista la nullità di ogni atto ritorsivo, compreso il licenziamento per il quale eventualmente è disposta la reintegrazione nel posto di lavoro. Non si tratta di disposizioni particolarmente innovative se si considera che la nullità di atti discriminatori nel settore pubblico è sempre stata pacifica.

Più interessante è invece la disposizione secondo cui vi è il trasferimento dell’onere di prova dalla persona del segnalante all’apparato organizzativo che ha posto in essere l’atto. Questo regime di protezione a favore dell’autore della segnalazione trova comunque un contrappeso nel comma 9 dell’art. 54-bis in cui è disposta l’inapplicabilità dell’istituto qualora sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale per i reati di calunnia e diffamazione a seguito della segnalazione o comunque se si ravvisano ipotesi di responsabilità civile in casi di dolo o colpa grave. È però anche vero che l’inapplicabilità dell’istituto a seguito di sentenza non definitiva sembra contrastare con quanto disposto dall’art. 27 Cost. relativo alla presunzione d’innocenza, ma nemmeno si coordina con l’art. 22 della Direttiva europea che prevede la garanzia del riconoscimento della presunzione di innocenza per i segnalanti.

6. Il "whistleblowing" nell'esperienza europea. La Direttiva UE 2019/1937

L’ultimo tassello nell’evoluzione normativa dell’istituto è rappresentato dalla Direttiva UE 2019/1937 approvata il 26 novembre 2019 dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

Si tratta di un intervento con il quale il Legislatore europeo introduce norme minime comuni di tutela con lo scopo di dare maggiore uniformità alle discipline nazionali che si presentavano, e in parte si presentano ancora tutt’oggi, estremamente frammentate ed eterogenee.

Il proposito del Legislatore europeo, oltre ad armonizzare le discipline dei 27 Stati membri, è altresì quello di utilizzare lo strumento del “whistleblowing” per rafforzare i principi di trasparenza e responsabilità (18), nonché incentivarne l’utilizzo dell’istituto come strumento di prevenzione al fenomeno corruttivo (19). Emerge quindi che, oltre a uno strumento con il quale perseguire la prevenzione del fenomeno corruttivo, l’istituto assurge a strumento di garanzia per i diritti fondamentali del cittadino europeo quali libertà di pensiero, espressione (20), nonché il diritto di essere informati (21).

Questa doppia dimensione dell’istituto emerge sia nel preambolo che nelle disposizioni normative in cui si alternano elementi riconducibili alla dimensione di “governance” e “human rights oriented”.

Passando ora all’analisi della Direttiva è innanzitutto utile evidenziare che l’ambito di operatività della norma è limitato alla violazione della normativa comunitaria per una gamma di settori elencati nell’art. 2 tra cui si ricorda la tutela ambientale, sicurezza dei trasporti, appalti pubblici, salute pubblica, sicurezza e conformità dei prodotti e protezione dei consumatori.

 Occorre poi evidenziare che tale direttiva ha valore residuale rispetto ad alcuni specifici settori che regolano con normative speciali l’istituto del whistleblowing. Si tratta delle discipline elencate nella parte II dell’Allegato della Direttiva che ricomprende la prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento al terrorismo. È inoltre esclusa l’applicazione, tra l’altro, nei settori della sicurezza nazionale, la protezione del segreto professionale medico e forense, e le norme di procedura penale che rimangono appannaggio delle legislazioni statali.

Caratteristica fondamentale dell’ambito di operatività così delineato negli artt. 2 e 3 è che non si prevede una distinzione tra il settore pubblico e quello privato. Trattasi quindi della prima rilevante distinzione rispetto alla normativa interna.

Altra importante innovazione apportata dalla Direttiva riguarda l’ambito applicativo soggettivo come sancito nell’art. 4. Sono ricompresi nella definizione di whistleblower i dipendenti, i lavoratori autonomi, collaboratori esterni, i volontari e tirocinanti retribuiti o meno (22), i soggetti che svolgono l’attività lavorativa sotto la supervisione di appaltatori, subappaltatori e fornitori. La direttiva per espressa disposizione è inoltre applicabile ai soggetti segnalanti per i quali il rapporto di lavoro non è ancora iniziato, ma hanno avuto conoscenza di illeciti in ambito delle procedure di reclutamento o comunque nella fase precontrattuale, nonché nei confronti di coloro per i quali il rapporto di lavoro è terminato ma denunciano irregolarità acquisite nel periodo di svolgimento dell’attività lavorativa.

È evidente che in relazione alla disciplina italiana quella europea prevede una tutela molto più estesa ricomprendendo soggetti che nella normativa interna non erano indicati né nell’art. 54-bis del TUPI, ma nemmeno nella disciplina privatistica dell’istituto contenuta nell’art. 6 d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231.

Per quanto attiene ai canali di segnalazione la Direttiva introduce alcune interessanti novità: il Legislatore europeo individua, oltre ai tradizionali canali interni ed esterni ai quali far pervenire la segnalazione, una terza ipotesi (art. 15) concernente la divulgazione pubblica. Utilizzando questo strumento può essere accordata la medesima forma di tutela purché sussistano precise condizioni: deve essere stato preventivamente utilizzato il canale interno o esterno senza ricevere una risposta adeguata, ovvero che i due canali non siano stati utilizzati per rischio di ritorsioni o per inefficacia di quei sistemi.

Sul contenuto delle tutele per il segnalante non sembrano esserci particolari novità rispetto alle previsioni normative nazionali. Interessanti sono però, a fianco al divieto di atti ritorsivi, le misure di sostegno al segnalante tra cui consulenze gratuite sui propri diritti e sulle procedure necessarie per attivare le tutele, patrocinio a spese dello Stato in caso di procedimenti penali o civili derivanti dalla segnalazione e sempre riferito a tali procedimenti sono altresì previste forme di sostegno finanziario e psicologico (23).

Da questa breve analisi della Direttiva emerge come la normativa interna in verità non si discosta particolarmente da quella europea, anzi in alcuni passaggi le due discipline si sovrappongono. È però altresì evidente che esistono delle novità che incideranno sulla fisionomia dell’istituto quali l’ambito di applicazione soggettivo, per il quale si dovrà ampliare il novero dei soggetti che possono ricevere tutela, o la possibilità divulgazione pubblica, elemento non considerato dal Legislatore italiano.

6. Lo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva UE

Il Parlamento italiano, al fine di consentire il recepimento della normativa comunitaria, ha approvato la legge 22 aprile 2021 n. 53 che nell’art. 23 conferisce delega al Governo per recepire la Direttiva in esame e adattare l’ordinamento nazionale alle previsioni comunitarie.

 Il 9 dicembre 2022 è stato predisposto uno schema di decreto legislativo che ha intrapreso l’iter di approvazione seguendo criteri direttivi stabiliti dall’art. 32 legge 234 del 2012. Lo schema di decreto è attualmente al vaglio delle competenti commissioni parlamentari alle quali è stato trasmesso il 10 dicembre, mentre in data 11 gennaio 2023 è stato espresso parere favorevole del Garante per la protezione dei dati personali. L’Autorità ritiene che lo schema recepisce pressoché tutte le indicazioni che il Garante aveva avanzato al Governo nelle fasi preliminari di redazione normativa (24).

Le principali novità emergenti dallo schema di decreto seguono le prescrizioni dettate dal Consiglio e dal Parlamento europeo nella Direttiva del 23 ottobre 2019. Una prima valutazione di carattere generale sulla norma riguarda la scelta legislativa di contenere in un’unica normativa la disciplina sia per il settore pubblico che privato.  

Tra le singole novità normative si può notare l’ampliamento applicativo dal punto di vista soggettivo, includendo altresì i volontari e i tirocinanti, retribuiti e non che prestano la propria attività presso soggetti del settore pubblico o presso soggetti diversi (art. 3). Nello stesso articolo viene, inoltre, recepita la previsione contenuta nella direttiva per cui la segnalazione può avvenire anche in una fase precontrattuale o durante il processo di reclutamento nonché durante il periodo di prova. Non è quindi strettamente necessario un rapporto di lavoro subordinato. La segnalazione può infatti verificarsi anche a seguito della conclusione del rapporto contrattuale.

Per quanto concerne i canali utili per porre in essere le segnalazioni una modifica rilevante è contenuta nell’art. 15 dello schema di decreto nel quale è prevista la possibilità di divulgazione pubblica. Canale che si aggiunge ai metodi tradizionali già presenti. In questo caso è però necessario che ricorrano alcune condizioni quali avere fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse, avere fondato motivo di ritenere che l’utilizzo dei canali tradizionali possa essere motivo di ritorsioni, ovvero non aver ottenuto riscontro a seguito di segnalazione tramite il canale interno o esterno.

Quanto ai canali, e in particolare riguardo al canale esterno elemento di novità consiste nell’individuazione di Anac come destinataria delle segnalazioni anche per il settore privato. Il punto è rilevante poiché in un primo momento si era esclusa la possibilità di estendere il ruolo dell’Autorità al settore privato, e difatti il Legislatore, consapevole del maggior carico di lavoro ha predisposto nel decreto in esame l’ampliamento di ventidue unità nell’organico di Anac. Il ruolo dell’autorità anticorruzione è poi valorizzato anche considerando il compito di emanare delle Linee guida per definire la modalità di presentazione e gestione delle segnalazioni esterne.

Infine, da una lettura della bozza di decreto, emerge che sia le Amministrazioni Pubbliche che le imprese private coinvolte nella normativa devono dotarsi di strumenti adeguati a tutelare la segnalazione e l’identità del segnalante. Si parla di utilizzo di strumenti di crittografia sia per le segnalazioni interne, gestite quindi dalla struttura, che per quelle esterne gestite da ANAC. Innovativa è poi la possibilità sia per le segnalazioni tramite canale interno (art. 4) che esterno (art. 7) di poter procedere non solo in forma scritta, ma anche tramite l’utilizzo di linee telefoniche e strumenti di messaggistica vocale nonché, a richiesta del segnalante, anche mediante incontro diretto con il responsabile.

Da quest’ultima analisi, non esaustiva, dell’intervento legislativo italiano si è voluta porre l’attenzione su alcuni punti cruciali dell’intervento prima europeo e ora nazionale che incideranno sull’istituto. L’ampliamento della platea dei soggetti a cui applicare la norma, il rafforzamento dei canali utili per segnalare e l’utilizzo di strumenti di crittografia e altri sistemi telematici volti a tutelare l'identità del segnalante sono probabilmente i punti che se ben attuati determineranno un’imposizione maggiore di questo prezioso strumento nella lotta alla corruzione.

7. Conclusioni

In conclusione, è chiaro che la ratio dell’istituto è quella di prevenire non solo il fenomeno corruttivo, ma in generale fenomeni di maladministration, sia nel settore pubblico che in quello privato. In verità l’istituto può essere considerato anche sotto un ulteriore prospettiva guardandolo come uno strumento funzionale a garantire l’esercizio di alcuni diritti democratici quali il diritto di libertà di espressione e pensiero. Prospettiva questa che emerge in particolar modo dall’ordinamento europeo e dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Al fine poi di garantire un maggiore sviluppo dell’istituto all’interno dei luoghi di lavoro senz’altro interessante è il dibattito intorno agli incentivi che i vari ordinamenti riconoscono a tali soggetti. È infatti opportuno chiedersi se maggiori vantaggi anche di tipo finanziario possano in qualche modo incentivare l’emersione di illeciti. Si tratta di una posizione molto lontana rispetto a quella del Legislatore italiano, ma comunque valida sotto alcuni aspetti. Stimolanti sotto questo profilo sono altresì le aperture del diritto europeo che oggi garantisce alcuni incentivi di tipo non economico, ma che rappresentano comunque un leggero cambio di passo rispetto al passato.

Da ultimo, l’intervento europeo rappresenta la maggiore consapevolezza che anche a livello comunitario si ha dell’importanza di questo strumento. Per quanto concerne l’intervento italiano sarà necessario attendere per comprendere l’attuazione pratica di quelle che oggi sono importantissime novità, ma non ancora in vigore.


Note e riferimenti bibliografici

1. G. Gargano, “La cultura del whistleblower quale strumento di emersione dei profili decisionali della Pubblica Amministrazione”, in federalismi.it, fasc. 1, 2016; 

2. Per un approfondimento sulle origini si veda Pizzuti, Paolo. Whistleblowing E Rapporto Di Lavoro. Vol. 45. Torino: G. Giappichelli, 2019. Studi Di Diritto Del Lavoro. Web.

3. V. Zallocco, “Il whistleblowing”, in www.ildirittoamministrativo.it; 

4. F. Tuccari, “Il whistleblowing tra intelligenza della corruzione e conoscenza della malamministrazione”, in AmbienteDiritto.it, fasc. 4, 2020;

5. L’Italia fino al 2012, infatti, non si era dotata di una disciplina organica sulla materia come aveva rilevato altresì il gruppo GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione) nel 2009. Si tratta di un organo istituito in sede di Consiglio d’Europa con lo scopo di promuovere e migliorare la lotta alla corruzione tra gli Stati membri del Consiglio. Nel rapporto del 2009 viene evidenziato come l’Italia non avesse un programma coordinato per la lotta al fenomeno corruttivo;

6. Comma 2, art. 1 d. lgs. 165/2001 “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Provincie, i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi o associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e le loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le Agenzie di cui al d. lgs. 30 luglio 1999 n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”.

7. Cass. Civ. sez. lav., 24 gennaio 2017, n. 1752 “è legittimo il licenziamento intimato al lavoratore pubblico che segnali illeciti palesemente privi di fondamento in quanto diretti a gettare discredito sull’amministrazione stessa, non potendosi considerare le condizioni di applicabilità della disciplina del whistleblowing”;

8. Cassazione penale, sez. VI, 30 gennaio 2018, n. 9047;

9.  M. Magri, “Il whistleblowing nella prospettiva di una disciplina europea armonizzata: la legge n. 179 del 2017 sarà (a breve) da riscrivere?”, in federalismi.it, fasc. 18, 2019;

10. Per un approfondimento in tema di diritto di accesso e segnalazione del dipendente si veda Tenore, Vito La trasparenza del procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato: rapporti tra il diritto di accesso (da parte del dipendente o di terzi) e la tutela del whistleblowing (art. 54-bis d.lgs. n. 165) di Vito Tenore in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2020, p. 46-55. (2020);

11. Per un approfondimento sulle novità apportate dalla legge si veda Corso, Stefano Maria. Segnalazione Di Illeciti E Organizzazioni Di Lavoro. Torino: Giappichelli, 2020. Web, cap. IV;

12. Il documento è disponibili in www.anticorruzione.it

13.  R. Cantone, “Il dipendente pubblico che segnala illeciti; un primo bilancio sulla riforma del 2017”, in “Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità” (a cura di) A. Della Bella-S. Zorzetto, Edizioni Giuffrè, 2020;

14. Riccio A., “La tutela del lavoratore che segnala illeciti dopo la l. n. 179 del 2017. Una prima lettura giuslavoristica”, in Amministrazione in Cammino, 2018, disponibile in www.amministrazioneincammino.luiss.it;

15. Nella deliberazione ANAC n. 6 del 28 aprile 2015, nella Parte V del documento, si afferma che “L’Autorità auspica un intervento del legislatore volto ad estendere misure di tutela analoghe a quelle protettive previste dall’art. 54-bis d. lgs. 165/2001 anche per i consulenti e i collaboratori”;

16. Parte della dottrina sostiene che l’art. 8 D.P.R. 62/2013 è stato tacitamente abrogato a seguito dell’emanazione della legge 179/2017; abrogazione che sarebbe anche intervenuta verso il comma 8 dell’art. 13 del medesimo Codice nella parte in cui prevede una serie di obblighi in capo al dirigente destinatario della segnalazione per quanto riguarda la gestione dell’identità del segnalante nel procedimento disciplinare;

17. TAR Campania (Napoli) sez. IV 6 febbraio 2020 n. 580

18. Considerando n. 2 Direttiva UE 2019/1937 “Essi forniscono ai sistemi di contrasto nazionali e dell’Unione informazioni che portano all’indagine, all’accertamento e al perseguimento dei casi di violazione delle norme dell’Unione, rafforzando in tal modo i principi di trasparenza e responsabilità”;

19. A. Della Bella, “La direttiva europea sul whistleblowing: come cambia la tutela per chi segnala illeciti nel contesto lavorativo”, in www.sistemapenale.it;

20. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riconduce l’istituto del whistleblowing all’art. 10 CEDU relativo alla libertà di espressione nella decisione del 27 febbraio 2018 n. 1085/10 nella quale vengono individuati alcuni criteri affinché possa essere accordata la tutela prevista dalla disciplina tra cui l’informazione divulgata nell’interesse pubblico, la buona fede dei segnalante nonché l’autenticità e l’accuratezza dell’informazione;

21. N. Parisi, “Whistleblowing: esperienze nazionali e sovrannazionali- la funzione del whistleblowing nel diritto internazionale ed europeo”, in “Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità” (a cura di) A. Della Bella-S. Zorzetto, Edizioni Giuffrè, 2020;

22. Sul punto è fondamentale il parere reso dal Consiglio di Stato in data 4 marzo 2020 n. 615 relativo all’interpretazione delle Linee Giuda ANAC che al punto 6.2.8 esclude l’applicazione delle Linee Guida anche a stagisti e tirocinanti. È quindi evidente come la normativa europea si situa all’estremo opposto rispetto a quella italiana;

23. A. Della Bella in “Il whistleblowing nell’ordinamento italiano: quadro attuale e prospettive per il prossimo futuro” in “Whistleblowing e prevenzione dell’illegalità” (a cura di) A. Della Bella-S. Zorzetto, Edizioni Giuffrè, 2020, secondo cui sarebbe necessario introdurre non un premio in senso economico, piuttosto un avanzamento di carriera per il segnalante, o comunque un riconoscimento sociale per chi si espone in prima persona, nonché un riconoscimento anche per l’Ente che ha saputo rilevare l’illecito e gestire il procedimento di segnalazione;

24. Il parere favorevole del Garante per la protezione dei dati personali è disponibile in www.garanteprivacy.it;

25. Lo schema di decreto è disponibile su www.documenti.camera.it;

26. Per un'analisi inerente all'ambito di applicazione oggettivo del decreto si veda S. Ventullo, "Decreto attuativo della Direttiva Whistleblowing: criticità nella definizione dell’ambito applicativo", in Giurisprudenza Penale, fasc. 12, 2022;