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Pubbl. Mer, 22 Feb 2023

Il controllo giudiziario delle aziende: criticità dogmatiche e prospettive di riforma

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Massimo Coppolino
Università degli Studi di Reggio Calabria Mediterr



Con la legge 17 ottobre 2017, n. 161, è stata introdotta nel codice antimafia la misura del controllo giudiziario delle aziende. L´istituto, sin dal suo esordio nel panorama normativo nostrano, ha sollevato dubbi e perplessità ermeneutici, stante la sua ambigua formulazione, in relazione ai quali la dottrina e, in particolare, la giurisprudenza hanno tentato - e tentano ancora oggi, a fronte di un mancato intervento chiarificatore da parte del legislatore - di far chiarezza. Tale incombenza è senza alcun dubbio di particolare pregio, stante l´importanza che riveste il controllo giudiziario nella lotta contro la criminalità organizzata.


ENG

Judicial control of companies: dogmatic issues and prospects for reform

Law no. 161 of 17 october 2017 introduced into the anti-mafia code the measure of judicial control of companies. The institute, since its inception in the Italian normative panorama, has raised hermeneutical doubts and perplexities, given its ambiguous formulation, in relation to which doctrine and, in particular, jurisprudence have attempted - and still attempt today, in the face of a lack of clarification by the legislator - to clarify. This task is undoubtedly of particular value, given the importance of juficial control in the fight against organised crime.

Sommario: 1. Premessa; 2. Un dato definitorio imprescindibile; 3. Il controllo giudiziario delle aziende e l’amministrazione giudiziaria: due misure (quasi) complementari; 4. Il controllo giudiziario c.d. “volontario” e il sottile discrimen delineato dalla giurisprudenza tra il sindacato del Giudice della prevenzione e il sindacato del Giudice amministrativo; 5. I mezzi di impugnazione ammessi avverso il decreto che dispone il controllo giudiziario ex art. 34 bis co. 6 D. Lgs. 159/2011; 6. Il controllo giudiziario: crocevia nella lotta contro la criminalità organizzata, specie la ‘Ndrangheta; 7. Brevi osservazioni conclusive in prospettiva di una (auspicata) riforma legislativa “chiarificatrice”.

1. Premessa

Con legge 17 ottobre 2017, n. 161, è stato introdotta nel codice antimafia la misura del controllo giudiziario delle aziende. L’ambigua formulazione del dettato normativo ha portato la giurisprudenza ad assolvere, in via suppletiva in sede giudiziaria, un impervio compito di razionalizzazione dell’istituto, a fronte di un intervento legislativo – per pacifica opinione – mal formulato.

È indubbio che il Legislatore del 2017 abbia introdotto nel sistema delle misure di prevenzione uno strumento di inopinabile e impreteribile importanza avente quale funzione quella di salvaguardare la regolare prosecuzione delle attività economiche delle aziende, poste sotto l’influenza delle consorterie mafiose. Pur tuttavia, il dato normativo lascia ampio spazio a rilievi critici, specie in merito alla mancanza di una netta definizione del concetto di “occasionalità”, dei confini tra il sindacato della giurisdizione amministrativa e quello della giurisdizione ordinaria, nonché dei mezzi di impugnazione ammessi avverso il provvedimento che dispone il controllo giudiziario, aspetto, quest’ultimo, recentemente meglio definito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte.

2. Un dato definitorio imprescindibile

L’istituto del controllo giudiziario delle aziende è stato recentemente introdotto nel c.d. Codice antimafia (D. Lgs. n. 159/2011) dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161. La disciplina dell’istituto de quo è contenuta nell’art. 34 bis D. Lgs. cit. Più precisamente, trattasi, come recita il Capo V del Titolo II del D. Lgs. cit., di una misura di prevenzione patrimoniale diversa dalla confisca.

Il controllo giudiziario assurge precipuamente ad una funzione di tutela, nel senso che tende a preservare il fisiologico prosieguo delle attività economiche e delle aziende, poste sotto l’influenza illecita delle consorterie mafiose.

L’art. 34 bis, co. 1, D. Lgs. 159/2011 dispone che «Quando l'agevolazione prevista dal comma 1 dell'articolo 34 risulta occasionale, il tribunale dispone, anche d'ufficio, il controllo giudiziario delle attività economiche e delle aziende di cui al medesimo comma 1, se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attività».

Giova preliminarmente rilevare che la lapalissiana intentio legis sia quella di ricomprendere nella generica formulazione «attività economiche e aziende», contenuta della disposizione de qua, qualsiasi soggetto economico operante nel libero mercato. Ciò trova conforto, peraltro, nel mero dato letterale offerto dalla norma, seguendo una interpretazione improntata sull’art. 12 disp. prel. c.c. In tal guisa, il Legislatore non ha posto alcun vincolo di tipo nozionistico in termini tecnico-giuridici entro cui restringere l’ambito applicativo dell’art. 34 bis D. Lgs. 159/2011.

Presupposto indefettibile perché possa essere disposto il controllo giudiziario è che l’agevolazione, di cui all’art. 34 bis co. 1 D. Lgs. cit, sia occasionale. Invero, la “occasionalità” dell’agevolazione segna una sorta di linea di confine tra l’amministrazione giudiziaria (art. 34) e il controllo giudiziario (art. 34 bis).

Il concetto di “occasionalità”, tacciato da taluno di eccessiva vaghezza[1], indica un accostamento fortuito tra colui che opera nel libero mercato e l’organizzazione criminale.

Tuttavia, ciò che più perplime gli operatori del diritto è comprendere sotto che angolo prospettico interpretare la “occasionalità”.

La valutazione cui il giudice è chiamato a formulare passa attraverso la disamina del rapporto intercorrente tra il soggetto economico e la consorteria mafiosa, per poi giungere, in definitiva, alla definizione del contatto, eventualmente qualificandolo come occasionale.

Una valutazione di tipo quantitativo presupporrebbe la mancanza del connotato della occasionalità a fronte di un ragguardevole lasso di tempo all’interno del quale si sia registrata una certa contiguità tra il soggetto economico e la consorteria mafiosa.

Una valutazione di tipo qualitativo, invece, implica che l’occasionalità, a prescindere dal rapporto duraturo consolidatosi tra il soggetto economico e l’organizzazione criminale, si misuri in ordine al volume di affari conseguito dall’operatore economico e da cui la consorteria mafiosa tragga un ingiusto guadagno.

Cionondimeno, formulare un giudizio di tipo qualitativo indurrebbe alla sovrapposizione di due momenti distinti afferenti alla valutazione della sussistenza dell’agevolazione, prodromica a quella inerente all’occasionalità, poiché la prima ne costituisce l’antecedente logico. Con maggior sforzo esplicativo, è necessario, in via preliminare, stabilire se si sia verificata una vera agevolazione e, successivamente, in via inferenziale, in termini quantitativi, procedere ad una analisi afferente all’an e al quomodo dell’occasionalità[2].

Quanto alle «circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attività», secondo presupposto su cui poggia il controllo giudiziario, giova sin da subito rilevare che è esclusa la competenza del Tribunale in ordine alla valutazione della sussistenza di tali circostanze, il cui giudizio di merito è demandato al Giudice amministrativo[3].

Sul punto, i Giudici di Palazzo Spada[4] hanno ritenuto le mere frequentazioni con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata sufficienti e idonee a fondare un giudizio di pericolosità di infiltrazione mafiosa nell’impresa e nell’attività economica da questa svolta, da cui ne conseguirebbe con ogni probabilità una alterazione delle dinamiche del libero mercato e della concorrenza. In specie, la più recente giurisprudenza amministrativa ha rilevato che l'esistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa non presuppone necessariamente stabili relazioni economiche con malavitosi, essendo sufficienti anche mere frequentazioni, situazioni di convivenza e/o di condivisione di interessi, e che le forme di contiguità con gli ambienti della criminalità organizzata possono anche prescindere da ipotesi di dipendenza economica e trovare copertura in assetti gestionali d'impresa ineccepibili.      
Il numero e la frequenza degli incontri e la conseguente indubbia frequentazione con persone malavitose gravitanti nell'orbita della criminalità organizzata rappresentano elementi di fatto che risultano essere bastevoli per ritenere sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa nell'impresa e nell'attività economica da questa svolta, con possibile alterazione delle dinamiche del libero mercato e della concorrenza. Si è precisato, al riguardo, che il senso dell'occasionalità o meno delle frequentazioni deve essere colto non in relazione al singolo individuo malavitoso, ma con riferimento al complessivo ambiente criminale indipendentemente dai soggetti via via frequentati, con la conseguenza che acquistano pregnanza più situazioni di contatto con tale ambiente a prescindere dai personaggi che ne sono espressione. Infatti, più episodi di frequentazione con soggetti malavitosi diversi sono pericolosi, in termini di infiltrazione mafiosa, al pari della ripetuta frequentazione di uno stesso soggetto malavitoso e, tanto più frequenti sono gli incontri con persone controindicate, tanto meno l'autorità è obbligata a fornire riscontri in ordine alle modalità e alla natura degli incontri avvenuti ed è invece facoltizzata a dedurre il pericolo di contaminazione a fondamento della informativa, sulla base di un giudizio di normalità causale integrato dal principio del rischio specifico[5].

Tanto premesso, qualora il Tribunale ravvisi l’assenza dell’elemento della occasionalità dell’agevolazione nulla quaestio: la richiesta di ammissione al controllo giudiziario deve fisiologicamente essere rigettata.

Problemi ermeneutici si erano posti, invece, quantomeno prima del decisum delle Sezioni Unite del 2019[6], in relazione ai poteri conferiti al Tribunale della prevenzione alla stregua dell’accertamento di una stabile agevolazione, in tal guisa emergendo la necessità dell’applicazione di misure più incisive, quali l’amministrazione giudiziaria, se non anche il sequestro di cui all’art. 20 D. Lgs. 159/2011.

Sulla risoluzione della questione non ha giovato l’ambigua formulazione dell’art. 34 bis del codice antimafia. Pur non di meno, in siffatta ipotesi, dal tenore letterale della disposizione de qua era chiaramente desumibile, fin dalla sua entrata in vigore, che, a fronte della richiesta di ammissione al controllo giudiziario pervenuta dal soggetto economico destinatario dell’interdittiva antimafia, al Tribunale non fosse conferito alcun potere di disporre ex officio misure più incisive, venendosi altrimenti a creare in tal guisa un automatismo procedurale in contrasto con la struttura dell’istituto e con i principi costituzionali e sovranazionali in materia di contraddittorio[7].

Il comma 6 dell’art. 34 bis stabilisce che «Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali».

Il controllo giudiziario c.d. volontario rappresenta l’unica fattispecie nel genus delle misure di prevenzione patrimoniali in ordine alla quale, ai fini applicativi, il D. Lgs. 159 del 2011 rinvia al rito camerale di cui all’art. 127 c.p.p.

Invero, per ciò che attiene il procedimento applicativo afferente alle misure di prevenzione personali, l'udienza si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero. I soggetti legittimati a partecipare all’udienza camerale sono sentiti se compaiono. Se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa tempestiva richiesta, la partecipazione all'udienza è assicurata a distanza mediante collegamento audiovisivo ai sensi dell'art. 146 bis, commi 3, 4, 5, 6 e 7, disp. att. c.p.p., salvo che il collegio ritenga necessaria la presenza della parte. Inoltre, per quanto non espressamente previsto dal D. Lgs. cit., si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'art. 666 c.p.p.

Analogamente, al procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, salvo che sia diversamente disposto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dettate per il procedimento applicativo di misure di prevenzione personali.

Ne consegue che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 7 e 23 D. Lgs. 159/2011, il rito camerale – tanto nell’ambito delle misure di prevenzione personali, quanto in quello delle misure di prevenzione patrimoniali – si svolge secondo le regole generali dettate in materia dall’art. 666 c.p.p.

In considerazione dell’inquadramento sistematico, il dubbio ermeneutico verteva sulla possibilità per cui il richiamo operato dall’art. 34 bis D. Lgs. 159/2011 all’art. 127 c.p.p. potesse interferire con i poteri istruttori del Tribunale della prevenzione.

Il procedimento finalizzato all’applicazione di una misura di prevenzione regolato dall’art. 666 c.p.p. ha ancora una connotazione in parte inquisitoria, sia alla luce del disposto di quest’ultimo articolo sia in ragione dei poteri officiosi che il codice antimafia attribuisce all’organo giudicante. Invero, l’art. 666, comma 5, c.p.p. attribuisce al giudice il potere di «chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno» precisando che, «se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio». Tale previsione pone a chiare lettere quale criterio generale – e non potrebbe essere diversamente – il principio del contraddittorio. Essa trova specificazione nell’art. 185 disp. att. c.p.p., a mente del quale «il giudice, nell'assumere le prove a norma dell'articolo 666 comma 5 del codice, procede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l'esame dei testimoni e l'espletamento della perizia».

Dunque, rispetto alle previsioni di cui all’art. 127 c.p.p, l’art. 666 c.p.p., nonché l’art. 185 disp. att. c.p.p., espressamente contempla i poteri istruttori del giudice in tale ultimo rito camerale.

Ebbene, non vi è alcun dubbio che con riferimento all'istituto di cui all'art. 34 d.lgs. n. 159 del 2011 e a quello del controllo giudiziario a richiesta della parte pubblica o disposto di ufficio sia doveroso il preliminare accertamento da parte del giudice delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento e cioè il grado di assoggettamento dell'attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie.

Con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento non scolora del tutto, dovendo pur sempre il Tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l'accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l'accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa.

La peculiarità dell'accertamento del giudice, sia con riferimento all’amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco dell’attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso dell’amministrazione giudiziaria, anche di vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare l’impresa infiltrata.

L'accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l'iter che la misura alternativa comporta[8].

Ne discende che, all’esito dell’udienza camerale fissata per la discussione dell’istanza di ammissione al controllo, la parte pubblica – laddove ne ritenga sussistenti i presupposti – possa chiedere al Tribunale non il semplice rigetto dell’istanza di ammissione al controllo inoltrata dall’azienda, bensì l’applicazione di altra misura di prevenzione patrimoniale[9]. Ciò garantirebbe, alla parte privata, nel pieno rispetto del diritto al contraddittorio, la possibilità di proporre delle repliche in ordine alla richiesta della parte pubblica.

Le valutazioni ora formulate autorizzano a ritenere altresì che, in sede giudiziale, il Tribunale della prevenzione può comunque sollecitare il potere di impulso, proprio della parte pubblica, volto alla richiesta di misure più incisive all’esito dell’udienza camerale di discussione e prima che il Collegio riservi la decisione, laddove ritenga che la parte pubblica, per gli elementi prospettati in sede di discussione, abbia messo in luce una certa stabilità dell’agevolazione. Ciò in quanto, in virtù del dato sistematico offerto dalla L. 161/2017, il Giudice della prevenzione non può disporre ex officio misure più incisive del controllo giudiziario, qualora rilevi un certo grado di stabilità nell’agevolazione.

Tale approdo trae linfa precipuamente, ad avviso di chi scrive, da ragioni che attengono, oltre al dato sistematico, al piano del diritto di difesa e, più in generale, del diritto al contraddittorio, nonché, in ordine alle conseguenze ablatorie delle misure adottate, alla tutela del diritto di proprietà.

Invero, le misure di prevenzione patrimoniali, anche quelle diverse dalla confisca, ancorché non abbiano natura penale, limitano, con maggiore o minore incisività, a seconda della misura applicata, il diritto di proprietà e di iniziativa economica, il cui fondamento costituzionale e sovranazionale si rinviene, rispettivamente, negli artt. 41 e 42 Cost. e nell’art. 1 Prot. addiz. CEDU. Ne consegue che «dovranno, pertanto, soggiacere al combinato disposto delle garanzie cui la Costituzione e la stessa CEDU subordinano la legittimità di qualsiasi restrizione ai diritti in questione, tra cui – segnatamente –: a) la sua previsione attraverso una legge (artt. 41 e 42 Cost.) che possa consentire ai propri destinatari, in conformità alla costante giurisprudenza della Corte EDU sui requisiti di qualità della “base legale” della restrizione, di prevedere la futura possibile applicazione di tali misure (art. 1 Prot. addiz. CEDU); b) l’essere la restrizione “necessaria” rispetto ai legittimi obiettivi perseguiti (art. 1 Prot. addiz. CEDU), e pertanto proporzionata rispetto a tali obiettivi, ciò che rappresenta un requisito di sistema anche nell’ordinamento costituzionale italiano per ogni misura della pubblica autorità che incide sui diritti dell’individuo, alla luce dell’art. 3 Cost.; nonché c) la necessità che la sua applicazione sia disposta in esito a un procedimento che – pur non dovendo necessariamente conformarsi ai principi che la Costituzione e il diritto convenzionale dettano specificamente per il processo penale – deve tuttavia rispettare i canoni generali di ogni “giusto” processo garantito dalla legge (artt. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., e 6 CEDU, nel suo “volet civil”), assicurando in particolare la piena tutela al diritto di difesa (art. 24 Cost.) di colui nei cui confronti la misura sia richiesta»[10].

3. Il controllo giudiziario delle aziende e l’amministrazione giudiziaria: due misure (quasi) complementari

Il controllo giudiziario, sebbene presenti taluni tratti comuni con l’amministrazione giudiziaria (art. 34 D. Lgs. cit.), si distingue nettamente da essa. Infatti, secondo quanto disposto dall’art. 34, qualora il Tribunale della Prevenzione disponesse l’amministrazione giudiziaria, il proprietario dei beni e dell’azienda verrebbe sostituto dal giudice delegato e dall’amministratore giudiziario e, conseguentemente, verrebbe estromesso, seppur temporaneamente (art. 34, co. 2), dall’esercizio dei propri poteri.

Il controllo giudiziario si pone, dunque, rispetto all’amministrazione giudiziaria, come una misura meno invasiva, poiché presuppone che il giudice delegato e l’amministratore eventualmente nominato dal Tribunale esercitino dei meri poteri di controllo sull’attività dell’impresa.

Con maggior grado di dettaglio, il Tribunale della Prevenzione dispone l’amministrazione giudiziaria allorquando sussistano «sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24 del presente decreto» ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per i delitti tassativamente indicati nel comma primo dell’art. 34 D. Lgs. 159/2011, e non ricorrano i presupposti per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali di cui al Capo I del Titolo II del codice antimafia (art. 34, co. 1, D. Lgs. n. 159/2011).

Secondo quanto disposto dall’art. 34 bis, invece, il Tribunale della Prevenzione, anche d’ufficio, dispone il controllo giudiziario allorquando l’agevolazione di cui sopra risulti occasionale e se sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare le attività economiche e delle aziende (art. 34 bis, co. 1, D. Lgs. n. 159/2011), nei termini in cui si è avuto modo di chiarire.

L’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario si inseriscono nel genus delle misure di prevenzione patrimoniali, diverse dalla confisca[11], e sono ambedue deputate ad assolvere una funzione di recupero alla legalità del soggetto economico e di bonifica dello stesso da “probabili”[12] tentativi di contaminazione criminale.

Con maggior grado di dettaglio, nella rinnovata cornice delle misure di prevenzione, ridisegnata dalla L. 161/2017, l’art. 34 bis si pone a latere rispetto agli artt. 33 e 34 del codice antimafia, disciplinanti – rispettivamente – le misure dell’amministrazione giudiziaria dei beni personali del proposto per l’applicazione di una misura di prevenzione e quello dell’amministrazione giudiziaria delle imprese.

Trattasi di misure di prevenzione patrimoniali che, a differenza del sequestro finalizzato alla confisca e della confisca medesima disciplinati dal codice antimafia, producono effetti meno invasivi sulla proprietà di colui che viene raggiunto dal provvedimento di prevenzione. Ed invero, le misure di cui agli artt. 33, 34 e 34 bis D. Lgs. 159/2011 divergono dalle misure patrimoniali del codice antimafia del sequestro finalizzato alla confisca e dalla stessa confisca in ordine agli effetti e alle finalità.

L’amministrazione dei beni personali, l’amministrazione giudiziaria dei beni e il controllo giudiziario delle aziende si caratterizzano per la mancanza della rimozione del bene oggetto della misura dalla disponibilità del soggetto coinvolto nel procedimento di prevenzione, ai fini dell’affidamento all’autorità giudiziaria, elemento, questo, proprio del sequestro prodromico alla confisca (art. 20) e della confisca stessa (art. 24). Ne discende che la titolarità del bene resta in capo all’individuo raggiunto dalla misura di prevenzione.

La precipua finalità cui sopperiscono il sequestro e la confisca di prevenzione, dunque, è quella di rimuovere dal contesto socio-economico il prodotto delle attività illecite[13].

4. Il controllo giudiziario c.d. “volontario” e il sottile discrimen delineato dalla giurisprudenza tra il sindacato del Giudice della prevenzione e il sindacato del Giudice amministrativo

Il controllo giudiziario c.d. “volontario” costituisce l’elemento di maggior novità all’interno della riforma del codice antimafia del 2017[14].

L’art. 34 bis co. 6 D. Lgs. 159/2011, che disciplina il controllo giudiziario c.d. volontario, stabilisce che «Le imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l'impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del presente articolo. Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti; successivamente, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo giudiziario e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali».

La disposizione de qua, fin dalla sua entrata in vigore, ha sollevato dei nodi interpretativi di non poco momento che hanno impegnato la giurisprudenza di merito, prima, e quella di legittimità, poi, in un arduo compito di razionalizzazione dell’istituto in esame, specie in relazione al tipo di accertamento che compete al Tribunale della prevenzione e alla valutazione delle condizioni di accesso al controllo giudiziario disciplinato dall’art. 34 bis, co. 6, codice antimafia[15].

La peculiarità della forma di controllo giudiziario denominato, nella prassi, “volontario”, risiede nella facoltà conferita all’impresa, raggiunta dal provvedimento prefettizio dell’informazione interdittiva antimafia, di invocare l’applicazione della misura de qua. L’accoglimento della richiesta dell’accesso al controllo giudiziario di cui al comma 6 implica la sospensione degli effetti prodotti dal provvedimento prefettizio, che rappresenta una misura di natura amministrativa e preventiva, il cui fine è quello di salvaguardare il corretto svolgimento di taluni procedimenti amministrativi, di particolare rilievo, che potrebbero essere altrimenti inficiati dalla partecipazione, a cui conseguirebbero i relativi benefici, di imprese, in corrispondenza delle quali si siano verificati dei tentativi di infiltrazione mafiosa.

Sin dalle primigenie applicazioni dell’art. 34 co. 6 D. Lgs. cit., la giurisprudenza di merito si è sobbarcata della responsabilità di individuare con chiarezza gli elementi essenziali dell’istituto e il rapporto intercorrente tra la forma – per così dire – generale, di cui al co. 1 dell’art. 34 bis, e quella particolare, di cui al co. 6. In altre parole, i Tribunali della prevenzione si sono occupati di chiarire se si trattasse di un istituto omogeneo ovvero se l’intenzione del Legislatore fosse quella di disciplinare due forme diverse di controllo giudiziario.

Nella prassi giudiziaria, i Tribunali hanno fin da subito optato – comunemente – per una interpretazione che propendesse a ritenere che tra il controllo giudiziario di cui al comma 6 e quello di cui al comma 1 sussistesse un rapporto di species a genus, precisando che il controllo giudiziario volontario fosse pedissequamente sottoposto ai requisiti di cui al comma 1 dell’art. 34 bis e che fosse, perciò, scevro da automatismi[16].

Il richiamo ai presupposti contenuto nel comma 6, ancorché la dottrina abbia espresso delle riserve al riguardo[17], fa riferimento a quelli di cui al comma 1 (id est, accertamento in concreto della sussistenza di una vera agevolazione e pericolo concreto di infiltrazione mafiosa).

In effetti, il testo della disposizione, recante il rinvio all’agevolazione descritta nell’articolo 34 del codice e qualificata dall’aggettivo “occasionale”, appariva sufficientemente chiaro nel pretendere – ai fini dell’operatività, quanto meno, del controllo richiesto dai soggetti istituzionali – un’agevolazione occasionale, da parte dell’impresa richiedente, rispetto ai soggetti portatori di pericolosità, e che tale condizione evocasse il rischio concreto di infiltrazione mafiosa.

Non vi era inoltre ragione plausibile, d’altronde, per ritenere che il comma 6 si potesse discostare – in ordine ai presupposti – rispetto all’istituto di cui al comma 1 dell’articolo 34 bis. Quindi, il primo indirizzo, anche di legittimità, ha ben presto messo in luce il dato per cui il controllo di cui al comma 6 non riflettesse un automatismo, idoneo a operare in base alla sola istanza dell’impresa sottoposta a interdittiva, ma che occorresse valutare, da parte del giudice, la presenza di “un’agevolazione occasionale" e il rischio di un’infiltrazione mafiosa per l’impresa richiedente, nel medesimo senso di quello richiesto dal comma 1[18].

In linea di continuità con il filone interpretativo della giurisprudenza di merito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[19] hanno ribadito il concetto tale per cui il controllo giudiziario c.d. volontario non rispecchia un dispositivo automatico, un istituto, cioè, a mera valenza difensiva, ma postula – come nel caso disciplinato dal comma 1 – l’accertamento della agevolazione e del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose nell’attività economica.

La ratio sottesa a tale linea interpretativa, prima delineata dalla giurisprudenza di merito e poi recepita dalla giurisprudenza di legittimità, è evidente. Se si ammettesse un automatico accesso al controllo giudiziario verrebbe svilita la precipua funzione cui il controllo giudiziario è deputato a svolgere. Ma v’è di più. A fronte della conclamata evoluzione organizzativa delle consorterie mafiose, specie della ‘Ndrangheta, capaci di insidiarsi nei diversi settori dell’ordinamento giuridico, una siffatta ipotesi gioverebbe alla criminalità organizzata che potrebbe servirsi dell’automatico accesso al controllo giudiziario come schermo protettivo delle proprie attività illecite e continuare ad operare illecitamente nel territorio, perpetrando le proprie condotte criminose.

Il discorso legato ai presupposti del controllo giudiziario interferisce inevitabilmente con una questione altrettanto problematica, afferente al sindacato del Giudice della prevenzione e quello del Giudice amministrativo.

Ed invero, attesa l’ambigua formulazione del co. 6 dell’art. 34 bis, D. Lgs. cit., la Corte di Cassazione[20] ha recentemente chiarito che il Tribunale della Prevenzione non ha alcuna competenza sul controllo dei presupposti che legittimano l’interdittiva antimafia, potere che invece rimane in capo al Prefetto. In altre parole, al Giudice della prevenzione spetta esclusivamente valutare l’eventuale occasionalità del condizionamento mafioso sull’impresa, mentre il Giudice amministrativo sarà competente a pronunciarsi in ordine alla legittimità del provvedimento interdittivo predisposto dal Prefetto[21].

Se così non fosse, invero, verrebbe a verificarsi una patologica sovrapposizione tra l’Autorità amministrativa e quella giurisdizionale.

Peraltro, tali principi sono stati ribaditi a più riprese dalla giurisprudenza amministrativa[22] che ha ulteriormente precisato che il procedimento di prevenzione attinente all’ammissione al controllo giudiziario ha quale unico scopo quello di verificare se l’impresa destinataria dell’interdittiva antimafia sia assoggettata al costante condizionamento della criminalità organizzata.

Sul punto, tra l’altro, giova precisare che il Consiglio di Stato, in un recentissimo approdo giurisprudenziale[23], ha categoricamente affermato che la decisione pronunciata nell’ambito del procedimento di prevenzione non può in alcun modo produrre un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, in relazione al rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata, tacciando di irragionevolezza il ragionamento contrario. Ed invero, secondo l’autorevole opinione dei Giudici di Palazzo Spada, non può ammettersi la tesi per la quale venga imposta alla Prefettura la rimozione dell’informazione – che si colloca a monte dell’intera sequenza – qualora il Giudice della prevenzione penale abbia rinvenuto una soglia di infiltrazione inferiore rispetto a quella ritenuta necessaria per l’ammissione al controllo giudiziario. Ciò in ragione del fatto che, stante la ratio dell’istituto del controllo giudiziario, è impensabile un ripensamento, in termini tecnico-giuridici, del suo antecedente logico, cioè l’informazione, a seguito della pronuncia del Giudice della prevenzione concernente esclusivamente il grado di condizionamento mafioso sull’impresa.

Ed invero, «la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo.

Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum.

Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati – anche sul piano diacronico – nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata»[24].

Sulla scorta degli insegnamenti giurisprudenziali testé prospettati, lapalissianamente si desume pertanto che il procedimento amministrativo e quello di prevenzione sono sorretti da un principio di reciproca autonomia.

Alla luce di quanto sin qui detto, si desume altresì che l’ordinamento giuridico appresta nei confronti delle imprese destinatarie di interdittive antimafia una tutela a “doppio binario”. Ed invero, queste potranno adire, da un lato, il giudice amministrativo al fine di contestare i presupposti su cui si fonda il provvedimento prefettizio e, dall’altro lato, potranno adire il giudice ordinario per far sì che vengano ammesse alla misura del controllo giudiziario.

Orbene, chiarito che quanto stabilito dal Giudice nell’ambito del procedimento di prevenzione non vincola in alcun modo il Giudice amministrativo adito al fine di valutare la legittimità dell’informazione prefettizia, giova precisare in questa sede che, alla stessa stregua, il decisum del Giudice amministrativo non vincola il Giudice della prevenzione, competente a valutare l’occasionalità o la stabilità del pericolo di condizionamento in cui versa l’impresa, ex art. 34 bis D. Lgs. n. 159/2011. Ciò non esclude, tuttavia, che il giudizio espresso in sede giurisdizionale finisca per collidere con la valutazione espressa in sede amministrativa, venendo in tal guisa messi in discussione i presupposti del provvedimento prefettizio.

Attesa la delicatezza del tema, giova in questa sede confrontarsi con quanto sostenuto da certa giurisprudenza amministrativa, secondo cui, in particolare, a fronte della reciprocità del rapporto di autonomia tra i diversi ambiti di valutazione cui sono chiamati il Tribunale della prevenzione e il Giudice amministrativo, si potrebbe inferire che il Tribunale della prevenzione possa valutare positivamente l’ammissibilità della misura del controllo giudiziario, richiesta dalla stessa impresa interessata, sia quando gli elementi sottoposti alla sua valutazione rispondano al requisito della occasionalità, sia anche qualora i suddetti elementi si manifestino ad un livello inferiore rispetto alla soglia di cui si è detto.

Tuttavia, come già si è avuto modo di dire, anche alla luce di quanto stabilito dai Giudici di Piazza Cavour, in realtà resta esclusa dalla competenza del Giudice della prevenzione la possibilità di ampliare il proprio ambito valutativo alla delibazione dei presupposti soggiacenti all’adozione del provvedimento prefettizio, attività che invece resta, come chiarito, di esclusiva competenza del Giudice amministrativo.

Altrimenti, se si ritenesse che il Giudice della prevenzione possa rigettare la richiesta della misura del controllo giudiziario ove non ravvisasse neanche l’occasionalità del pericolo, si creerebbe un paradosso giuridico a fronte del quale l’impresa sarebbe vittima di un pregiudizio poiché, da un lato, si troverebbe inibita nella sua attività dalla perdurante efficacia del provvedimento interdittivo e, dall’altro, non potrebbe usufruire di una misura, quale il controllo giudiziario, volta salvaguardare il compendio aziendale.

Ne discende che «un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, possibile in quanto rientrante nello spazio esegetico dell’art. 34 bis del TUA, imporrebbe, invece, di adottare una soluzione coerente con il principio di ragionevolezza, che non potrebbe ammettere che un’impresa, per la quale il Tribunale della prevenzione non ravvisi nemmeno la soglia dell’occasionalità del pericolo di condizionamento mafioso, finisca per essere assoggettata ad un regime inibitorio più pregiudizievole di altre imprese per le quali una tale condizionamento, quanto meno nella forma dell’occasionalità, venga invece ravvisato»[25].

Da ultimo, la Corte di Cassazione ha aggiunto un ulteriore tassello nella travagliata opera di matrice giurisprudenziale, volta alla razionalizzazione dell’istituto. In specie, secondo la soluzione adottata dalla Suprema Corte, secondo taluno pienamente condivisibile, perché coerente col dato normativo e in quanto ritenuta unica alternativa esegetica[26], lungi dall’accedere alla tesi che possa ammettere automatismi, il Tribunale della prevenzione deve valutare il grado del pericolo di infiltrazione, concedendo la misura del controllo giudiziario solo se l'agevolazione di cui al co. 1 dell’art. 34 bis del codice antimafia sia ritenuta occasionale; altrimenti, negandola se tale requisito non sussista per essere l'impresa compromessa in maniera più incisiva dalla contaminazione mafiosa sì da non lasciar presagire possibilità di recupero alla legalità. L'occasionalità si pone, dunque, quale parametro che orienta la discrezionalità giudiziaria, in quanto indica il livello del rischio, così come accertato in relazione al requisito dell’attualità dello stesso, e consente, al contempo, una valutazione prognostica sulla base degli elementi che in concreto caratterizzano la fattispecie.

L'ambito dell'indagine giudiziaria si restringe maggiormente nel caso del sesto comma dell'art. 34 bis, a dispetto del primo comma, proprio in ragione della "confluenza" dell'istituto dell'interdittiva, essendo finalizzato a verificare se la misura del controllo giudiziario è in grado di perseguire l'obiettivo di "bonificare" l'impresa. Obiettivo, questo, che invero si è prefisso il Legislatore intervenendo, da ultimo, con il D.L. D.L. 6 novembre 2021, n. 152, che ha introdotto, con il Titolo IV, rubricato Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia, artt. 47, 48 e 49, importanti modifiche al Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione. Tuttavia, giova ribadirlo, anche con tale ultima opera razionalizzatrice, il Legislatore non si è mostrato in grado di colmare le evidenti lacune che affliggono il D. Lgs. 159 del 2011[27].

Ad ogni modo, riprendendo le fila del discorso, il dato primigenio da cui deve discendere la valutazione del Tribunale di prevenzione si rinviene nel materiale probatorio messo a disposizione dal provvedimento prefettizio, al fine di decidere se l'azienda istante, grazie all'applicazione della misura, possa adoperarsi in modo adeguato al fine di scongiurare in futuro «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa diretti a condizionare l'impresa», subìti in passato secondo le indagini prefettizie, che hanno fatto scattare l'interdizione amministrativa.

Ed invero, mentre nel caso del primo comma dell'art. 34 bis la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione, trattandosi di misura richiesta ad iniziativa pubblica in funzione di un controllo cd. prescrittivo; nel caso del sesto comma la valutazione deve tener conto del provvedimento preventivo di natura amministrativa, nel senso che non può prescindere dall'accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall'organo amministrativo, substrato della decisione riservata alla cognizione del giudice ordinario, a garanzia del contemperamento fra diritti costituzionalmente garantiti (i.e., la tutela dell'ordine pubblico e la libertà d'iniziativa economica attraverso l'esercizio d'impresa).

Fra i "presupposti" di cui alla seconda parte del sesto comma non può essere ricompreso dunque il prerequisito del pericolo di infiltrazione, nei termini indicati, sì da negare addirittura la misura - come nel caso del provvedimento impugnato - qualora il tribunale ritenga inesistente, con gli standard probatori propri del giudizio penale di prevenzione, quello stesso pericolo che, invece, l'organo amministrativo ha affermato, sia pure con la regola del "più probabile che non"[28].

Che il tema dei presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario sia di particolare rilievo, peraltro, è dimostrato dall’intensa attività del formante giurisprudenziale, dedito ad una costante opera di razionalizzazione dell’istituto.

Invero, all’articolato quadro di riferimento, si aggiunge un recentissimo arresto giurisprudenziale sul tema.

In tale ultima occasione, i giudici di Piazza Cavour hanno avuto modo di ribadire, conformemente ad un’altra precedente decisione del Supremo Consesso, che, ai fini dell’applicazione dell’istituto in parola, il Tribunale della prevenzione è tenuto a verificare sia il carattere occasionale della agevolazione che il libero svolgimento dell’attività economica può determinare nei soggetti di cui al comma 1 dell’art. 34-bis del D. Lgs. 159/2011, sia la concreta possibilità dell’impresa stessa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose. Il Supremo Collegio ha altresì chiosato che il tribunale è anche tenuto a valutare, sulla base del dato patologico acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva, se il richiesto intervento giudiziale di “bonifica aziendale” risulti possibile, in quanto l’agevolazione dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1, D. Lgs. cit., debba ritenersi occasionale, escludendo tale evenienza, pertanto, nel caso di cronicità dell’infiltrazione mafiosa[29].

A ben vedere, se la decisione de qua nulla di nuovo avrebbe aggiunto al complesso quadro inerente l’istituto di cui trattasi, è pur vero che assume dirimente rilievo giacché si pone in linea di continuità con l’ormai consolidato orientamento, secondo cui la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, proprio in relazione al contesto criminale di riferimento, mediante gli strumenti di controllo previsti dall’art. 34-bis, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 159 del 2011.

5. I mezzi di impugnazione ammessi avverso il decreto che dispone il controllo giudiziario ex art. 34 bis co. 6 D. Lgs. 159/2011.

Da un punto di vista squisitamente processuale, un ulteriore profilo, intimamente collegato con i presupposti e il riparto di giurisdizione, che ha ingenerato dubbi ermeneutici ha riguardato i mezzi di impugnazione ammessi in sede di giurisdizione ordinaria avverso il provvedimento che dispone il controllo giudiziario volontario[30].

La questione aveva fatto sorgere, nel corso del tempo, un contrasto giurisprudenziale in seno alle Sezioni semplici del Supremo Consesso, tanto da rendersi necessario l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

In specie, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza del 15.5.2019, n. 24661, aveva sottoposto alle Sezioni Unite il seguente quesito: «se contro il provvedimento con cui il tribunale, competente per le misure di prevenzione, neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34 bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, dall'impresa destinataria di una interdittiva antimafia, sia proponibile il ricorso per cassazione».

Ed invero, secondo un primo filone giurisprudenziale, che ammetteva il ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale, di accoglimento o di rigetto che fosse, avente ad oggetto la richiesta di controllo giudiziario da parte dell’impresa destinataria dell’informazione antimafia interdittiva, a tal fine, i soggetti interessati potevano proporre ricorso per Cassazione in linea con il procedimento disciplinato dall’art. 127, co. 7, c.p.p.

Il fondamento di tale filone interpretativo era rinvenibile nel dato per cui il richiamo alle forme del procedimento in camera di consiglio avrebbe fornito «l’addentellato normativo”, in virtù di «un modello snello, idoneo a contemperare le esigenze di celerità, proprie di un procedimento a carattere para-incidentale, con la necessità di assicurare il controllo di legittimità, imposto, ex art. 111 Cost., dalla interferenza con diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, quale è la libertà d'impresa». Ne sarebbe disceso che il provvedimento emesso dal Tribunale della prevenzione, ai sensi dell’art. 34 bis, co. 6, D. Lgs. n. 159 del 2011, avrebbe potuto essere impugnato con ricorso per Cassazione, ben inteso, solo per violazione di legge, secondo quanto disposto dall’art. 10, co. 3, D. Lgs. 159/2011[31].

Contrariamente, secondo altro e diametralmente opposto orientamento giurisprudenziale, doveva escludersi ogni sorta di impugnabilità. La ratio giustificatrice di tale assunto giurisprudenziale era rinvenibile, invece, nel dato tale per cui il rinvio all'art. 127 c.p.p. operato in altre norme dello stesso codice con la formula «secondo le forme previste» o con altre equivalenti avrebbe riguardato le regole di svolgimento dell'udienza camerale e non avrebbe implicato ex se la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, atteso che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio[32]; ne sarebbe derivato che il richiamo all'art. 127 c.p.p., contenuto nell'art. 34 bis, co. 6, D. Lgs. n. 159/2011 avrebbe riguardato solo la forma partecipata del procedimento e non avrebbe potuto estendersene la portata ai mezzi di impugnazione per i quali vale il principio di tassatività ex art. 568, comma 1, c.p.p.

Tale assunto giurisprudenziale muoveva dall’elemento in virtù del quale la disciplina del controllo giudiziario non prevede un mezzo di impugnazione, né contiene un rinvio al procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali o patrimoniali o al sistema di impugnazione dei provvedimenti patrimoniali, previsto dagli artt. 27 e 10 del D. Lgs. n. 159 del 2011, e che anche nella materia delle misure di prevenzione vale il principio di tassatività (art. 568, comma 1, cod. proc. pen.). Inoltre, tale tesi sarebbe stata corroborata dalla mancanza di previsione di uno specifico mezzo di impugnazione, che in tal guisa sarebbe risultato non casuale, tenuto conto della specificazione inserita nell'ultimo comma dell'art. 34 dalla novella n. 161 del 2017, unitamente all'introduzione dell'esaminato art. 34 bis, di uno specifico richiamo ai mezzi di impugnazione esperibili avverso quel provvedimento. Infine, non sarebbe stato conducente il richiamo all'art. 111 Cost. in quanto il provvedimento ex art. 34 bis, co. 6, d.lgs. n. 159/2011, non incide sulla libertà personale, né concerne l'esercizio di diritti di rango costituzionale. Inoltre, la decisione del Tribunale della prevenzione ha un contenuto provvisorio sempre rivedibile in forza di elementi nuovi che sopraggiungano fino al momento in cui, attraverso il giudicato amministrativo, gli effetti della misura di prevenzione amministrativa si stabilizzino e un potere di controllo da parte del Tribunale di prevenzione sui presupposti che legittimano l'applicazione della interdittiva antimafia duplicherebbe i controlli sulla legittimità delle interdittive, la cui valutazione resta esclusivamente di competenza del Prefetto e del Giudice amministrativo.

La Sezione rimettente, incontestabilmente, ha precisato, tuttavia, che non poteva trascurarsi «l'approccio interpretativo - quantunque non collaudato con riferimento alla materia in esame - che non esclude a priori l'appellabilità di provvedimenti in materia di misure di prevenzione diversi da quelli per i quali l'art. 27, comma 2, d. lgs. n. 159/2001, rinviando all'art. 10 dello stesso decreto, prevede la possibilità di proporre ricorso alla Corte di appello anche nel merito (Sez. Un., n. 20215 del 23/02/2017, Yang Xinjao, Rv. 269590), con connessa inammissibilità del ricorso per saltum in cassazione contro le decisioni del tribunale (Sez. 2, n. 31075 del 5/07/2013, P.M. in proc. Cubeddu, Rv. 256840)».

Le Sezioni Unite della Suprema Corte sono, dunque, intervenute al fine di dirimere il contrasto sorto in seno alle Sezioni semplici della Cassazione, affermando il seguente principio di diritto: «Il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è impugnabile con ricorso alla Corte di Appello anche per il merito»[33].

Inopinabilmente, la soluzione intrapresa dalle Sezioni Unite risulta essere adeguata e coerente con la struttura e le finalità dell’istituto del controllo giudiziario. Ed invero, ancorché manchi nella disposizione di cui all’art. 34 bis del codice antimafia una lapalissiana indicazione in ordine ai mezzi di impugnazione ammessi avverso il provvedimento che dispone il controllo giudiziario volontario, non può disattendersi il dato per cui il Tribunale della prevenzione è chiamato a pronunciarsi nel merito circa l’occasionalità della agevolazione, sebbene la sua valutazione muova necessariamente, e fisiologicamente, dal primigenio dato probatorio offerto dal provvedimento prefettizio dell’informazione interdittiva antimafia. In tanto si giustifica l’appellabilità del provvedimento con cui il Tribunale dispone il controllo giudiziario ex art. 34 bis co. 6 D. Lgs. cit. Inoltre, volgendo lo sguardo al sistema delle misure di prevenzione, precludere o limitare l’appellabilità avverso i decreti con cui il Tribunale dispone la misura ex art. 34 bis implicherebbe una ingiustificata disparità di trattamento nella tutela degli interessi di cui siano portatori le parti coinvolte nel procedimento di prevenzione.

Peraltro, le opzioni interpretative sopra richiamate presentavano dei limiti insuperabili che le rendevano inidonee a fornire una soluzione coerente et sul piano logico et sul piano sistematico.

I limiti afferenti alla prima tesi ermeneutica – favorevole alla ammissibilità del solo ricorso per Cassazione – si rinvenivano, anzitutto, nella assenza di incisività in ordine al richiamo contenuto per due volte, nell’art. 34 bis, alle forme dell’art. 127 c.p.p.

Invero, il richiamo all’art. 127 c.p.p., operato con la formula «secondo le forme previste», è da ritenersi del tutto neutro. La regolamentazione della procedura camerale e del contraddittorio che in essa deve essere garantito, ai sensi della norma citata, non determina la automatica applicazione del comma 7 di quella norma e quindi del principio di ricorribilità per Cassazione, senza limiti, del provvedimento emesso all’esito del procedimento. Né tantomeno può comprimere l’ampiezza e le regole di quella impugnabilità. Tale ultimo aspetto trova conforto nel lampante esempio delle impugnazioni in materia di misure cautelari, con procedimento regolato nelle forme dell’art. 127 c.p.p., ma con contestuale previsione di specifiche e differenziate norme sulla ricorribilità per Cassazione.

L’affermazione della ostatività, ad una opzione diversa, del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione è soprattutto suggestiva.

Infatti, se si sostiene che il provvedimento del tribunale è ricorribile per Cassazione ai sensi dell’art. 127 c.p.p., comma 7, si fa una affermazione incompatibile con la operatività del principio di tassatività richiamato, tanto che lo si riferisca “ai casi” di impugnabilità (ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. b) quanto lo si riferisca ai “mezzi di impugnazione” (art. 568 c.p.p., comma 1).

Se invece si richiama la tassatività dei mezzi di impugnazione per favorire una lettura rigorosa dell’elenco di provvedimenti appellabili contenuto nel D. Lgs. n. 159 del 2011, art. 27, si dà per presupposto che la tipizzazione della impugnazione è avvenuta ai sensi dell’art. 127 c.p.p., comma 7. Di talché si omette l’esame di diverse opzioni che pure potrebbero avere il necessario sostegno legislativo.

E ciò, in primo luogo, perché la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in sintonia con una certa parte della dottrina, non ha mancato di fare ricorso, nella materia delle impugnazioni che qui interessa, al principio della interpretazione analogica, alla stregua dell’art. 12 preleggi, quando si è trattato di sopperire ad una lacuna o a una deficienza del sistema in relazione ad un caso analogo. In tali situazioni, infatti, il divieto di applicazione analogica di cui all’art. 14 susseguente non opera perché il precetto che viene in considerazione (nel caso particolare il D. Lgs. n. 159 del 2011, art. 27) non è strutturato in modo tale da dare luogo ad una eccezione rispetto ad una regola generale.

In secondo luogo, si desume che il detto sostegno si possa rinvenire, appunto, nella previsione del D. Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, (che altro non è che il successore dell’art. 14 legge cit.), concepito come norma generale di impugnazione, anche per il merito, delle misure di prevenzione personale, ma estensibile anche ai provvedimenti in tema di misure di prevenzione patrimoniale che rechino un vulnus a posizioni garantite costituzionalmente analoghe ad altre presidiate dal mezzo di impugnazione.

D’altra parte, la evocazione della regola generale sulla impugnazione con ricorso, di cui all’art. 111 Cost., comma 7, è un fuor d’opera se si considera che i provvedimenti dei quali si discute non attengono alla materia della libertà personale e non hanno il connotato della definitività proprio delle sentenze, essendo in primo luogo temporanei e, in secondo luogo, rivedibili e aggiornabili in base al mutamento della situazione di fatto.

Ugualmente impropria si rivela la presa di posizione, di quella parte della giurisprudenza, sulla necessaria delimitazione dei motivi di ricorso per cassazione alla sola violazione di legge, posto che l’argomento sistematico utilizzato, e cioè il riferimento alla analoga previsione contenuta nel D. Lgs. n. 159 del 2011, art. 10, comma 3, finisce per attribuire a tale precetto proprio quella valenza di norma generale e di sistema che si vuole contemporaneamente disconoscere.

I limiti dell’opposto orientamento ermeneutico risiedono, d’altra parte, nella ritenuta possibilità di individuare una volontà certa del Legislatore di escludere i provvedimenti in materia di controllo giudiziario dal novero di quelli impugnabili con qualsiasi modalità.

In realtà, in siffatta ipotesi più che un legislatore volutamente silenzioso, si è avuto un legislatore che ha parlato in maniera occasionale e poco coerente, offrendo la tangibile sensazione che alcune fattispecie “analoghe” possano essergli sfuggite.

Ciò che assume dirimente rilievo è dunque l’irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, derivante da un assetto normativo che assoggetta il provvedimento applicativo della misura del controllo giudiziario alla impugnabilità con appello e poi con ricorso, soltanto in una ipotesi residuale e non in quella maggiore che, a differenza della prima, non è nemmeno preceduta dal collaudo, quantomeno sulla tenuta delle comuni premesse e dalla possibilità di revoca della misura della amministrazione giudiziaria.

Alla stregua di tale precipua ragione, le Sezioni Unite hanno ritenuto ammissibile, per colmare tale ingiustificato scompenso, il ricorso al sistema impugnatorio derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 27 e 10 del D. Lgs. n. 159 del 2011, con riferimento al provvedimento dispositivo del controllo giudiziario; l’applicazione analogica, conseguentemente, deve investire parimenti anche i provvedimenti diversi sul tema e segnatamente quello reiettivo della domanda della parte privata.

Altrimenti, si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento nella tutela degli opposti interessi perseguiti da ciascuno dei rispettivi soggetti legittimati (parte pubblica o tribunale e parte privata). Inoltre, non appare condivisibile l’assunto secondo il quale la parte privata non sarebbe, nel caso descritto, titolare di un interesse perseguibile dinanzi alla giurisdizione della prevenzione, poiché la limitazione alla libertà di impresa sarebbe avvenuta ad opera del solo provvedimento prefettizio, aggredibile nella sola sede giudiziaria amministrativa.

In realtà, sebbene sia indubbio che il tribunale non abbia potere di sindacato sulla legittimità della interdittiva antimafia adottata dal prefetto, per la evidente autonomia dei mandati delle due giurisdizioni, è anche vero che l’intera gamma delle situazioni richiamate dal D. Lgs. n. 159 del 2011, art. 34 bis, comma 6, è devoluta alla sua cognizione, dovendosi esso esprimere non solo sulla applicabilità del controllo giudiziario «di cui alla lett. b), del comma 2» dell’articolo citato – cioè quello che prevede la nomina del giudice delegato e dell’amministratore giudiziario con poteri di controllo – ma anche sulla occasionalità della agevolazione ai soggetti mafiosi e non ivi previsti, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sua intensità, dovendo indagare sulla sussistenza delle condizioni per applicare uno o più degli obblighi informativi ed anche gestionali previsti dall’art. 34 bis, comma 3.

A fronte di quanto appena detto, occorre precisare che l’accesso al controllo giudiziario non preclude gli effetti della interdittiva antimafia, la cui verifica giurisdizionale è soggetta alla competenza del giudice amministrativo.

Ne discende che davanti al giudice amministrativo potrà essere proposto ricorso avverso il provvedimento con il quale il prefetto abbia ritenuto in concreto sussistere dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività dell’impresa da cui risulti che l’attività di impresa possa, direttamente o anche indirettamente, agevolare le attività criminose (“contiguità concorrente”) ovvero esserne condizionata in qualche modo (“contiguità soggiacente”). Con l’informativa interdittiva antimafia, pertanto, il Prefetto interrompe ogni tipo di attività di impresa nei rapporti con la Pubblica Amministrazione[34].

In tale articolato quadro di riferimento, è utile confrontarsi con un recente arresto giurisprudenziale, con cui la Corte di Cassazione[35] ha offerto un ulteriore elemento chiarificatore[36] afferente ai profili processuali legati al controllo giudiziario ex art. 34 bis co. 6 D. Lgs. 159/2011.

La Prima Sezione della Suprema Corte ha chiarito che alla Prefettura, che abbia promanato l’informazione interdittiva antimafia di segno negativo, ex art. 84 ss. D. Lgs. cit., non è conferito alcun potere di impugnazione avverso il decreto con cui Tribunale della prevenzione abbia ammesso al controllo giudiziario volontario il soggetto economico, anche quando lo stesso organo sia intervenuto nel corso della fase cognitiva preliminare ai fini dell’integrazione del contraddittorio in ordine alla valutazione delle condizioni per la concessione della suddetta misura di prevenzione patrimoniale.

Il binario interpretativo su cui si assesta il decisum è offerto dal tenore letterale di cui all’art. 10 D. Lgs. 159/2011 che, in riferimento al regime delle impugnazioni nell’ambito delle misure prevenzionali, attribuisce tale facoltà al Procuratore della Repubblica e al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ovvero all’interessato e al suo difensore. In virtù del principio di tassatività, pertanto, nel concetto di “interessato” non può farvisi rientrare anche la Prefettura che ha adottato il provvedimento interdittivo.

In conclusione, i Giudici di Piazza Cavour hanno categoricamente statuito che la parte pubblica coinvolta nel procedimento di prevenzione, titolare perciò del potere di impugnare l’atto conclusivo del procedimento medesimo, è identificabile esclusivamente nella persona del Procuratore della Repubblica e nel Procuratore Generale, restando esclusi altri soggetti pubblici.

6. Il controllo giudiziario: crocevia nella lotta contro la criminalità organizzata, specie la ‘Ndrangheta.

Il controllo giudiziario assurge precipuamente ad una funzione di tutela, nel senso che tende a preservare il regolare svolgimento delle attività economiche e delle aziende, poste sotto l’influenza illecita delle consorterie mafiose, e, più in generale, è volto a garantire l’integrità del libero mercato.

Pur tuttavia, a parere di chi scrive, l’istituto rappresenta altresì uno strumento utile nella lotta contro la criminalità organizzata, forse, a tal fine, anche più incisivo rispetto alle altre misure di prevenzione patrimoniali.

Emerge un dato sempre più allarmante in ordine alla capacità delle consorterie mafiose, specie della ‘Ndrangheta, di inserirsi in più settori dell’ordinamento giuridico, in particolare quello economico, compromettendone la probità.

Nel corso del tempo si è assistito ad una evoluzione della ‘Ndrangheta, che da rurale è divenuta “invisibile”, capace di insinuarsi nei circuiti economici.

Nella prassi giudiziaria è stato riscontrato un nuovo livello della ‘Ndrangheta che, introducendosi silentemente nei diversi settori dell’ordinamento, specie in quelli da cui può trarre un guadagno in termini monetari e da cui può accrescere i suoi poteri, riesce a perseguire gli obiettivi posti a fondamento del pactum sceleris.

Gli elementi sino ad oggi acquisiti permettono di portare in evidenza una realtà preoccupante, poiché fanno comprendere come ogni momento della vita economica del territorio in cui si articola la ‘Ndrangheta appaia essere stato determinato dall’organizzazione criminale.

Il controllo giudiziario si profila quale strumento più utile, ancorché meno invasivo, rispetto alle altre misure di prevenzioni patrimoniali, poiché rappresenterebbe un anello di congiunzione tra Stato e soggetto economico, in un’ottica di collaborazione nella lotta contro la ‘Ndrangheta, purché, in sede giudiziale, sia stata esclusa una contiguità “compiacente” tra l’operatore economico e la consorteria mafiosa.

7. Brevi osservazioni conclusive in prospettiva di una (auspicata) riforma legislativa “chiarificatrice”.

L’ambiguità delle espressioni utilizzate dal Legislatore del 2017 ha senz’altro sollevato dubbi ermeneutici che hanno costretto la giurisprudenza in un’ardua opera di razionalizzazione.

Pur tuttavia, tale dinamica, sebbene da un lato possa essere apprezzata perché consente di riportare a sistema istituti la cui applicazione appaia problematica, d’altro lato comporta una erosione del compito cui è chiamato il Legislatore, che in tal guisa si sente sempre più legittimato a formulare testi sempre più lacunosi e demandando al Giudice penale una responsabilità che, sostanzialmente, non gli appartiene.

Il significativo intervento della giurisprudenza, operato in via suppletiva, ancorché sorretto da nobili fini, sembrerebbe condurre a un sovvertimento dell’ordine prestabilito. In altre parole, il nostro sistema, fondato sulla certezza del diritto, si tramuterebbe, se si proseguisse per questa strada, de facto in un sistema di case law, lontano, peraltro, dalla tradizione giuridica del nostro ordinamento giuridico[37].

È inopinabile che il modo “occasionale” e “poco coerente” con cui ha parlato il Legislatore del 2017 abbia portato a incertezze interpretative, peraltro compiutamente e adeguatamente risolte dalla giurisprudenza.

A fronte delle “zone grigie” createsi intorno alla L. 161/2017, certa dottrina invoca un intervento legislativo volto a ridisegnare l’intera disciplina, poiché genera difficoltà operative per i giudici e introduce elementi ostativi all’effettivo esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost., che sarebbe dunque compromesso per il soggetto raggiunto dal provvedimento prefettizio.

A tal punto giunti, a parere di chi scrive, impensabile appare un ripensamento dell’intera disciplina, non tanto perché il Legislatore non si sia reso autore di un intervento legislativo claudicante, quanto piuttosto perché in tal guisa verrebbe svilito lo sforzo profuso dalla giurisprudenza, tanto ordinaria quanto amministrativa, nell’opera di razionalizzazione dell’istituto di cui all’art. 34 bis D. Lgs. 159/2011.

Inoltre, sebbene talune espressioni si connotino per una vaghezza, da taluni ritenuta eccessiva, è incontrovertibile l’impossibilità per il Legislatore di tipizzare la varietà di ciascun elemento caratterizzante la fattispecie, ed espressivo del disvalore giuridico penale, in quanto taluni aspetti, equivoci in astratto, possono essere colti solo in concreto.

Ne discende che restringere entro limitati argini il potere discrezionale conferito al giudice rischierebbe di compromettere la finalità cui è preposto il controllo giudiziario.

In ultima istanza, è auspicabile, certamente, che il Legislatore intervenga, seppur a una distanza di tempo ravvicinata dall’entrata in vigore della L. 17 ottobre 2017, n. 161, che ha introdotto nel codice antimafia l’art. 34 bis; pur non di meno, è altrettanto auspicabile che il Legislatore non intervenga sulla materia in termini assoluti, quanto piuttosto in termini chiarificatori, meglio tracciando i confini dell’istituto, traendo giovamento dagli insegnamenti della giurisprudenza e riportando le responsabilità delle istituzioni all’ordine prestabilito.


Note e riferimenti bibliografici

[1] In tal senso T. ALESCI, I presupposti ed i limiti del nuovo controllo giudiziario nel codice antimafia, 1525, che lo definisce evanescente oltre che «opinabile, soprattutto nel contesto delle misure di prevenzione, in cui lo standard probatorio decisionale risulta di gran lunga inferiore al processo di merito»: citato in nota da F. BALATO, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all’art. 34 bis codice antimafia, in Dir. pen. cont., 2019, 3, 82.

[2] Cfr. F. BALATO, op. cit., 84 ss., secondo cui «È quindi sul polo dell'agevolazione che dovrà apprezzarsi il momento qualitativo del contributo, la sua consistenza, la sua fisionomia, cercando di comprendere se quella agevolazione possa evocare un bisogno di prevenzione collegato al soggetto economico in questione e, quindi, un bisogno di intervento. L'accertamento successivo, ovvero il profilo della stabilità, della ripetitività del contatto che attesterebbero quindi il difetto di occasionalità, dovrebbero essere apprezzate per la scelta del modulo (controllo o amministrazione) da mettere in campo per soddisfare quel tipo di bisogno prevenzionale. In tal modo si conferirebbe anche un significato più preciso alla locuzione “occasionalità”, depurandola così da quei rischi di vaghezza ed evanescenza che la connotano. Essa andrebbe intesa dunque in termini di non abitualità del contatto, onde ridurre la discrezionalità giudiziale nell'interpretazione dell'attributo che segna, come anticipato, la linea di demarcazione tra moduli prevenzionali di diversa intensità».

[3] V. infra.

[4] Cons. St., 3 maggio 2016, n. 1743.

[5] Tar Napoli, 24 luglio 2018, n. 4952.

[6] Cfr. Cass., Sez Un., 26 settembre 2019, n. 46898.

[7] V. infra.

[8] Così Cass., Sez. Un., cit.

[9] F. BALATO, Le Sezioni Unite e il doppio grado di giudizio per il controllo giudiziario delle aziende: verso il crepuscolo della tassatività delle impugnazioni?, cit., 166.

[10] Corte cost., sent. n. 24 del 27 febbraio 2019.

[11] Così recita il Capo V, Titolo II, Libro I, D. Lgs. 159/2011.

[12] Il giudice amministrativo è chiamato a operare un giudizio prognostico ex ante in concreto, tenendo conto di tutte le circostanze verosimilmente esistenti al momento della condotta. Il pericolo, di cui all’art. 34 bis D. Lgs. 159/2011, è di natura tipicamente relazionale, nel senso che costituisce la base su cui deve innestarsi il giudizio probabilistico, in termini di probabilità di verificazione del danno temuto a scapito del bene-interesse, danno che costituisce l’approdo ultimo della struttura relazionale.

[13] Sul punto si veda F. BALATO, op. cit., 62 ss.; M. GRIFFO, Una lettura costituzionalmente orientata del controllo giudiziario, unico rimedio alle interdittive, ergastolo delle imprese, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 3.

[14] C. VISCONTI, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, in www.penalecontemporaneo.it, 23 settembre 2019.

[15] Sul punto si veda F. BALATO, op. cit.; F. BALATO, Le Sezioni Unite e il doppio grado di giudizio per il controllo giudiziario delle aziende: verso il crepuscolo della tassatività delle impugnazioni?, in Sist. Pen., 2020, 5, 157 ss.; G. FRANCOLINI, Questioni processuali in tema di applicazione di controllo giudiziario delle aziende ex art. 34 bis, comma 6, D. Lgs. 159/2011, in www.penaleocontemporaneo.it, 25 settembre 2019; M. GRIFFO, op. cit., 3 ss.; C. VISCONTI, op. cit., 3 ss.

[16] Trib. Catanzaro, Sez. II pen., n. 3/2017 Reg. CC., deciso in data 18/12/2018; Trib. Reggio Calabria, Sez. Mis. Prev., n. 135/2017, deciso il 31/01/2018; Trib. Santa Maria Capua Vetere, Decreto n. 3/2018 Reg. Gen. M.P. Speciale; Trib. Bologna, Sez. II pen., n. 4/2018, deciso il 6/3/2018: per una più attenta disamina si veda PERONACI, Dalla confisca al controllo giudiziario delle aziende: il nuovo volto delle politiche antimafia. I primi provvedimenti applicativi dell’art. 34 bis D. Lgs. 159/2011, in Giurisprudenza Penale Web, 2018, 9, 19 ss.; v. anche VISCONTI, op. cit., 2.

[17] C. VISCONTI – G. TONA, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte

nella riforma del codice antimafia, in Legislazione penale, 14 febbraio 2018, 32, citato in nota da F. BALATO, Le Sezioni Unite e il doppio grado di giudizio per il controllo giudiziario delle aziende: verso il crepuscolo della tassatività delle impugnazioni?, cit., 158.

[18] F. BALATO, ibid., 158 ss.

[19] Cfr. Cass., Sez. Un., 26 settembre 2019, n. 46898, ric. Ricchiuto.

[20] Cass. Pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, n. 26342.

[21] Cass. Pen., Sez. Un., 26 settembre 2019, cit.

[22] TAR Napoli, 29 aprile 2020, n. 1588; ma v. anche TAR Napoli, 2 novembre 2018, n. 6423; Cons. St., 31 maggio 2018, n. 3268.

[23] Cons. St., 4 febbraio 2021, n. 1049.

[24] Cons. St., 4 febbraio 2021, cit.

[25] così TAR Napoli, 29 aprile 2020, cit; cfr. anche Cass. Pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, cit.

[26] G. AMARELLI, La Cassazione riduce i presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario ed i poteri cognitivi del giudice ordinario, in Sist. Pen., 10 marzo 2021.

[27] Cfr. M. VULCANO, Le modifiche del decreto-legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 11.

[28] G. AMARELLI, ibid., individua nel decisum una ipotesi di overruling giurisprudenziale. In realtà, la decisione della Suprema Corte sembra assestarsi su un piano interpretativo consolidatosi nel tempo in seno alla giurisprudenza ordinaria e amministrativa, che si ritiene peraltro coerente con il dato sistematico e le finalità cui mira l’istituto.

[29] Cass. Pen., Sez. V, 22 dicembre 2022, n. 48913.

[30] Per una disamina più approfondita si veda F. BALATO, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all’art. 34 bis codice antimafia, cit.; F. BALATO, Le Sezioni Unite e il doppio grado di giudizio per il controllo giudiziario delle aziende: verso il crepuscolo della tassatività delle impugnazioni?, cit.; G. FRANCOLINI, Questioni processuali in tema di applicazione di controllo giudiziario delle aziende ex art. 34 bis, comma 6, D. Lgs. 159/2011, cit.

[31] cfr. Cass., Sez. II, nn. 16105 del 15/03/2019, 17451 del 14/02/2019, 14586 del 13/02/2019, 18564 del 13/02/2019; Sez. V, n. 34526 del 2/07/2018.

[32] cfr. Cass., Sez. Un., n. 17 del 06/11/1992, Bernini ed altri, Rv. 191786.

[33] Cass., Sez. Un., sent. n. 46898/2019, ric. Ricchiuto, cit.

[34] cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, cit.

[35] Cfr. Cass., Sez. I, 30 gennaio 2020, n. 8084.

[36] Di contrario avviso è G. AMARELLI, Interdittive antimafia e controllo giudiziario volontario: la Cassazione delinea un nuovo ruolo per le prefetture, in Sist. Pen., 10 aprile 2020, secondo cui la decisione «fa profilare sul suo sfondo una questione ancora non messa bene a fuoco in questa “terra di nessuno” collocata a metà strada tra il diritto penale ed il diritto amministrativo: quella della frammentazione e sovrapposizione delle competenze e delle giurisdizioni in materia di interdittive antimafia e di misure di prevenzione “palliative” delle stesse».

[37] Nel medesimo senso F. BALATO, Le Sezioni Unite e il doppio grado di giudizio per il controllo giudiziario delle aziende: verso il crepuscolo della tassatività delle impugnazioni?, cit., 182.