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Pubbl. Mer, 11 Gen 2023

Il dolo specifico costituzionalmente orientato e le sue particolari ripercussioni sul reato di adescamento di minorenni

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Andrea Sorrentino
Laurea in GiurisprudenzaUniversità Cattolica del Sacro Cuore



L´articolo si propone di analizzare le caratteristiche essenziali del dolo specifico, con particolare riferimento ad una sua rivisitazione costituzionalmente orientata in grado di riallineare tale elemento soggettivo ai paradigmi del principio di offensività. Vengono, inoltre, affrontate diverse questioni problematiche in relazione al reato di adescamento di minorenni, soffermandosi sulle evidenti questioni di incompatibilità tra il dolo specifico rivisitato in termini costituzionali e il reato di cui all´art. 609 undecies c.p.


ENG

The constitutionally oriented specific intent and its particular repercussions on the crime of solicitation of minors

The article aims to analyze the essential characteristics of specific intent, with particular reference to a constitutionally oriented revisitation of it capable of realigning this subjective element with the paradigms of the principle of offensiveness. In addition, several problematic issues are addressed in relation to the crime of solicitation of minors, dwelling on the obvious issues of incompatibility between the specific intent revisited in constitutional terms and the crime referred to in Article 609 undecies of the Criminal Code.

Sommario: 1. Breve cenno sul concetto di dolo specifico; 2. L'interpretazione costituzionalmente orientata del dolo specifico; 3. Profili problematici del reato di adescamento di minorenni; 3.1 Il dolo specifico specifico e la questione del limite d'età; 4. Considerazioni conclusive.

1. Breve cenno sul concetto di dolo specifico

A parere di una dottrina autorevole[1] sul tema, il dolo specifico rappresenta la tecnica più semplice di inquinamento del principio di offensività e di costruzione di un diritto di stampo soggettivistico. 

Come noto, il dolo specifico costituisce un elemento soggettivo del reato che, ove richiesto dalla norma incriminatrice, richiede, da parte del soggetto, il perseguimento di una finalità ulteriore che accompagna il dolo generico. 

Tuttavia, mentre quest’ultimo, ai fini di una valida integrazione della fattispecie incriminatrice dolosa, richiede la rappresentazione e volizione del fatto, il dolo specifico postula la rappresentazione di un elemento extra fattuale il cui verificarsi non è necessario ai fini della consumazione del reato.

La categoria del dolo specifico ha suscitato diverse problematiche di frizione con il principio di offensività, in particolare con riferimento ai cc. dd. reati di dolo specifico d’offesa, in cui, a differenza dei reati di dolo specifico neutro, la finalità criminosa richiesta dalla norma denota il disvalore del fatto. 

Si è soliti fare riferimento, per esempio, ai reati associativi, i quali costituiscono espressione della libertà costituzionale prevista dall’articolo 18 che attribuisce a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente. Pertanto, si tratta di ipotesi in cui il dolo specifico denota il discrimen tra rilevanza-non rilevanza penale.

In altri casi, invece, il dolo specifico contribuisce a delineare la carica offensiva di un fatto che, di per sé, costituirebbe reato e che, tramite il dolo specifico, assume una maggiore significatività penale alla quale consegue un innalzamento del trattamento sanzionatorio, come ad esempio accade nel reato di sequestro a scopo di estorsione[2].

Talvolta, la finalità ulteriore da perseguire può sostanziarsi anche nel compimento di un reato, come accade, per esempio, nella fattispecie di cui all’articolo 609 undecies c.p., che verrà affrontato nel prosieguo della trattazione.

2. L’interpretazione costituzionalmente orientata del dolo specifico

Come anticipato, particolari profili di interferenza con il principio di offensività si presentano in relazione ai reati a dolo specifico d’offesa. 

La ragione risulta evidente: si tratta, infatti, di ipotesi delittuose la cui valida contestazione dipende interamente dalla presenza o meno del dolo specifico, e, di conseguenza, l’interpretazione del concetto di dolo specifico si ripercuote inevitabilmente sullo scioglimento dell’alternativa rilevanza-non rilevanza penale di quel determinato fatto.

Occorre, allora, per evitare di sconfinare in un diritto penale delle intenzioni - ripudiato dal nostro ordinamento giuridico –, dare atto della ormai pacifica ricostruzione, per mano sia della dottrina sia della giurisprudenza, del dolo specifico in chiave oggettiva.

Sebbene permangano tracce giurisprudenziali imperniate su un’interpretazione prettamente soggettivistica del dolo specifico[3], la giurisprudenza maggioritaria è concorde nel ritenere che, oltre alla mera finalità delittuosa, il dolo specifico necessita di una idoneità oggettiva, che si proietti all’esterno e che tenga conto anche delle caratteristiche della condotta, le quali devono costituire indice della reale offensività del fatto. 

Si tratta di una linea interpretativa che ha riguardato originariamente i reati associativi con finalità eversive, in cui la giurisprudenza ha rammentato che in ipotesi del genere non può ritenersi sufficiente il mero perseguimento della finalità eversiva, ancorché attraverso l’avvalimento di strumenti rudimentali; ma non si può prescindere dalla idoneità oggettiva della condotta al raggiungimento di quella specifica finalità dell’atto posto in essere dagli associati.

Tale opzione ermeneutica emerge a chiare linee nella sentenza della Corte di Cassazione, sez. V del 14/07/2016, in cui i giudici, negando significatività penale alla condotta di “indottrinamento” all’interno dell’associazione con finalità terroristica, hanno affermato la necessità, in primo luogo, dell’individuazione di atti terroristici posti come obiettivo dell’associazione, quanto meno nella loro tipologia; e, in seconda battuta, della capacità della struttura associativa di dare agli atti stessi effettiva concretizzazione. 

Dunque, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, in grado di riportare il concetto di dolo specifico sui binari del principio di offensività e materialità, quando c’è dolo specifico d’offesa non è sufficiente la sola finalità criminosa, perché il soggetto non può essere sottoposto a sanzione penale sulla base della sola intenzione, ma è necessario che quella specifica finalità si innesti in una condotta che sia “diretta” e idonea oggettivamente alla sua concreta realizzazione.

È chiaro, allora, come la nuova concezione oggettivistica del dolo specifico abbia tratti alquanto similari – se non identici – alla categoria del delitto tentato. 

L’argomento di maggiore rilievo a sostegno di tale tesi è l’identità degli elementi strutturali: la direzione univoca degli atti nel tentativo con la finalità di perseguire una determinata finalità nel dolo specifico; l’idoneità degli atti alla realizzazione del delitto nel tentativo con l’idoneità oggettiva a realizzare l’obiettivo nel dolo specifico. 

La dottrina è solita riportare, come caso esemplare, il reato di sequestro a scopo di estorsione. In questo caso, si tratterebbe di un’ipotesi di sequestro semplice più un tentativo di estorsione, perché rispetto a quest’ultima devono essere presenti anche atti oggettivamente idonei e diretti. 

Una ricostruzione di questo tipo ha importanti ripercussioni pratiche sulla punibilità a titolo di tentativo di tutti quei fatti riconducibili a fattispecie incriminatrici con dolo specifico.

Infatti, in queste ipotesi, si verrebbe ad affermare la punibilità di un tentativo di un tentativo avallando una lettura che si porrebbe in netto conflitto con il principio di offensività e per questo da ripugnare.

Infatti, con specifico riferimento al sequestro di persona a scopo di estorsione, per esempio, non sarebbe configurabile il tentativo; si potrebbe, al più, contestare il reato di sequestro di persona semplice in forma tentata.

Per una diversa tesi, invece, il tentativo sarebbe configurabile anche nei casi di reati a dolo specifico, sulla base dell’ormai pacifica e valida contestazione del reato di furto – caso esemplare di reato a dolo specifico neutro - anche in forma tentata. 

Tuttavia, si tratta di un orientamento che poggia su una premessa sbagliata, e cioè l’equiparazione tra dolo specifico d’offesa e dolo specifico neutro. 

Infatti, nel furto, il dolo specifico, e cioè la finalità di procurare a sé stesso o ad altri un qualsiasi vantaggio, è neutro rispetto all’offesa, che già si realizza con l’impossessamento della cosa altrui. Qui il dolo specifico, appunto, rappresenta un evento extra fattuale neutro rispetto all’offesa, a differenza dei reati a dolo specifico d’offesa, in cui lo stesso denota la carica offensiva di quel determinato fatto. 

Assolvendo, dunque, a funzioni diverse, è ragionevole differenziarne la disciplina, ritenendo applicabile il tentativo alle sole ipotesi delittuose a dolo specifico neutro e non anche ai reati a dolo specifico d’offesa.

Il concetto di dolo specifico, così rivisitato, ha suscitato profili particolarmente delicati in una specifica ipotesi incriminatrice – e cioè il reato di adescamento di minorenni previsto dall’art. 609 undecies c.p. - che verranno sviscerati paragrafo che segue.

3. Profili problematici del reato di adescamento di minorenni 

Il reato di adescamento di minorenni, previsto all’articolo 609 undecies c.p.[4], è stato inserito nel panorama normativo penale dal legislatore del 2012, in adesione alla c.d. Convenzione di Lanzarote del 2007.

Fattispecie incriminatrice che sin da subito ha suscitato significative problematiche sia interpretative sia applicative. 

In prima battuta è utile rammentare le numerose difformità intercorrenti tra le pretese contenute nella Convenzione di Lanzarote e la Legge[5] che ha introdotto il reato in questione. 

L’articolo 23 della Convenzione[6], rubricato “Adescamento di minorenni a scopi sessuali”, richiedeva, agli stati firmatari della Convenzione, di adottare strumenti di tutela per il minore a cui fosse stata avanzata una proposta di incontro, indirizzata alla commissione di taluni reati a stampo sessuale, a condizione, però, che tale proposta si concretizzasse nella realtà dei fatti.

A primo impatto ci si rende conto come il Legislatore sia andato oltre alla pretesa di tutela richiesta dalla Convenzione, in quanto in quest’ultima si fa riferimento a un livello già piuttosto avanzato di offesa – la proposta o l’organizzazione di un incontro con il soggetto minorenne -, a differenza della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 609 undecies c.p. che va a punire atti meramente preparatori e che, appunto, non richiede l’avvio di un’attività organizzativa, conseguendone una notevole anticipazione della soglia di tutela penale, incriminando condotte che teoricamente la Convenzione non richiedeva di punire.

Si tratta di una questione che ha già suscitato problemi di compatibilità costituzionale, sopiti dalla Corte di Cassazione[7] che, sebbene in quella sede avesse ritenuto manifestamente infondata la questione, ha però affermato l’evidente differenza tra l’impostazione convenzionale e il diritto interno. 

A giudizio della Corte, infatti, la Convenzione non richiedeva la criminalizzazione della condotta di adescamento che si fosse arrestata alla mera presa di contatto con il minorenne, ma prevedeva un requisito ulteriore integratosi nella reale concretizzazione della proposta d’incontro. 

Tuttavia, la questione di legittimità costituzionale è stata declinata dalla Corte di Cassazione ritenendo più che legittima l’attività discrezionale del legislatore che ha voluto introdurre una soglia di tutela superiore rispetto a quella garantita dalla Convezione – che è prerogativa di ogni stato -, volendo anticipare, appunto, la rilevanza penale a tutte quelle condotte antecedenti non solo ai reati-scopo consumati, ma anche ai suddetti reati in forma tentata[8].

Il diritto interno, dunque, allo stato degli atti, presenterebbe un doppio livello di tutela: da un lato, si puniscono a titolo di adescamento di minorenne tutti quegli atti preparatori con cui l’agente prende contatti con il minore e ne carpisce la sua fiducia indirizzandolo ad argomenti a sfondo sessuale; dall’altro, si puniscono a titolo di tentativo le condotte preliminari ai reati scopo previsti dall’articolo 609 undecies.

Si tratta di una visione che, sebbene lineare dal punto di vista logico e argomentativo, incontra non pochi ostacoli sotto il profilo interpretativo-applicativo conseguente alla infelice formulazione strutturale della fattispecie incriminatrice.

Ad ulteriore evidenza della poco chiara formulazione della norma viene in rilievo ulteriore un altro elemento di differenza con la Convenzione: la disposizione interna sancisce la punibilità del fatto realizzato non solo tramite l’utilizzo di internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, come richiedeva la Convenzione, ma anche fisicamente[9], conseguendone, dunque, un’ulteriore espansione della rilevanza penale delle condotte previste dalla norma.

In particolare, le condotte tipizzate dal legislatore per carpire la fiducia del minorenne sono le lusinghe, gli artifici e la minaccia. 

Sebbene le prime due condotte non pongano profili particolarmente problematici[10], al contrario, la condotta minacciosa presenta aspetti contraddittori con la struttura portante del reato. 

La minaccia, infatti, risulta strutturalmente incompatibile con un atto indirizzato a carpire la fiducia. Quest’ultimo, infatti, non è dotato della stessa carica offensiva di un atto minaccioso. Quest’ultimo, a differenza delle lusinghe e degli artifizi, integrerebbe già di per sé un tentativo di reato-scopo, verso il quale la minaccia è indirizzata.

3.1. Il dolo specifico e la questione del limite d’età 

Cionondimeno, il problema di maggiore rilievo applicativo è da ricondurre all’elemento soggettivo richiesto dalla norma. 

L’agente, nel realizzare una delle condotte tipizzate dal legislatore, ai fini di una valida integrazione del reato de quo, deve essere animato dal dolo specifico d’offesa, che, come anticipato, si sostanzia nel perseguimento della finalità di commettere uno dei reati-scopo previsti dalla norma[11].

Qui il dolo specifico, rivisitato nell’ottica costituzionalmente orientata, trova, però, un significativo ostacolo: richiedere, oltre alla finalità soggettiva di realizzare uno o più reati scopo, anche l’idoneità oggettiva della condotta, significherebbe svuotare di contenuto la fattispecie in questione, provocandone, in sostanza, una interpretatio abrogans, per le ragioni che seguono.

La clausola di sussidiarietà espressa, prevista dalla norma incriminatrice, comporta l’inapplicabilità della stessa tutte le volte in cui la condotta dell’agente sia riconducibile, anche in forma tentata, nell’alveo applicativo di uno dei reati scopo. 

Conseguentemente, l’articolo 609 undecies c.p. costituirebbe, dunque, lettera morta, perché in tutti i casi in cui può dirsi provato il dolo specifico nella sua accezione oggettiva, contestualmente si sta dando prova dell’integrazione di uno dei reati scopo che, sebbene in forma tentata, ne escludono la sua applicazione in ragione della clausola di sussidiarietà che risolve il concorso apparente di norme nel senso di ritenere contestabile il solo reato scopo, anche se non consumato.

Risulta allora chiara la conseguenza che la concezione oggettivistica del dolo specifico ha sul reato di adescamento di minorenni, la quale, se venisse disattesa per il reato in questione, potrebbe avere serie ripercussioni sul rispetto del principio di offensività, perché assumerebbero rilevanza penale anche atti meramente preparatori.

Dato atto del delicato profilo problematico inerente al dolo specifico, è doveroso accennare all’ulteriore tematica, non meno problematica, relativa all’inciso della norma “minore di anni sedici”, il quale si presta a significative discordanze con la disciplina generale del consenso sessuale, ritenuto valido dal raggiungimento del quattordicesimo anno di età in poi, ad eccezione del caso in cui l’agente sia un soggetto qualificato, in cui il limite d’età si innalza ad anni sedici. 

Qui le difficoltà interpretative si pongono tutte le volte in cui l’agente si adoperi per carpire la fiducia di un minore di età compresa tra i quattordici e i sedici anni: il dolo specifico di offesa non può configurarsi, proprio perché la finalità di realizzare uno dei reati scopo verrebbe smentita dal fatto che nei casi in cui vi è consenso e il minore abbia compiuto quattordici anni, non è configurabile il reato. 

4.  Considerazioni conclusive

Alla luce delle considerazioni suesposte, è evidente come l’intenzione del legislatore del 2012 fosse quella di anticipare significativamente la tutela penale a tutte quelle condotte preparatorie dei reati-scopo previsti dalla norma. 

D’altro canto, sono stati evidenziati i numerosi dubbi interpretativi che abbracciano la norma, primo fra tutti quello relativo al dolo specifico. 

Attenendosi ad una interpretazione autentica, che quindi faccia riferimento alle evidenti intenzioni del legislatore, deve necessariamente accogliersi l’idea che tale disposizione incriminatrice non possa essere svuotata di contenuto dal concetto di dolo specifico così come interpretato e rivisitato dalla giurisprudenza maggioritaria.

Potrebbe pensarsi ad una eccezione – e quindi ritenere integrato il dolo specifico anche a prescindere dalla idoneità oggettiva della condotta -, che consentirebbe di mantenere in vita la norma. Al contempo, però, provocherebbe seri problemi di conformità al principio di offensività e materialità. 

Dunque, l’auspicio che qui si vuole avanzare è quello di intervenire sulla formulazione della fattispecie per definirne, con determinatezza, i suoi confini applicativi; in particolare, riuscire a delineare il giusto equilibrio tra, da un lato, la disapplicazione della norma perché in contrasto con il concetto costituzionalmente orientato di dolo specifico, e, dall’altro, l’applicazione della norma sebbene in contrasto sia con l’attuale concezione di dolo specifico sia con l’intero impianto sistematico penale che pretende il rispetto, primo fra tutti, del principio di materialità e del principio di offensività; in sintesi, è necessario equilibrare le ragioni di giustizia sostanziale con il rispetto di taluni principi penalistici che costituiscono la base del nostro ordinamento giuridico.


Note e riferimenti bibliografici

[1] F. MANTOVANI, DIRITTO PENALE. Parte generale – IX Ed., 2015, Vicenza, p. 215.

[2] Tale ipotesi delittuosa rappresenta il caso esemplare di maggiore rilievo del c.d. reato a dolo specifico differenziale, che differenzia, appunto, la punibilità rispetto a fatti di pari offensività oggettiva, in quanto si fa dipendere l’entità della sanzione dalle mere intenzioni criminose dell’agente di reato.

[3] V. Cass. pen. sez. III del 06/07/2021, n.35625. In dettaglio, si è ritenuto che il dolo specifico non debba necessariamente risultare manifesto da quanto esplicitato nella condotta direttamente posta in essere nei confronti del minore, ben potendo la relativa prova essere ricavata anche aliunde.

[4] Testualmente prevede: “Chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l'utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. La pena è aumentata: 1) se il reato è commesso da più persone riunite; 2) se il reato è commesso da persona che fa parte di un'associazione per delinquere e al fine di agevolarne l'attività; 3) se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave; 4) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore”.

[5] L. 1 ottobre 2012, n. 172.

[6] Che così recita: “Ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o di altra natura necessarie per prevedere come reato la proposta intenzionale di un incontro, da parte di un adulto, mediante l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ad un minore che non ha raggiungo l’età stabilita conformemente all’articolo 18, paragrafo 2, al fine di commettere nei suoi confronti uno dei reati stabiliti conformemente all’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 20, paragrafo 1, lettera 1), quando tale proposta è stata seguita da atti concreti volti a realizzare il suddetto incontro”.

[7] Cass. pen., III sez. del 13/07/2018, n. 32170.

[8] L’articolo 609 undecies c.p. fa espressamente salve le ipotesi in cui il fatto costituisce più grave reato.

[9] E questo lo si deduce facilmente dalla formulazione dell’articolo che recita “… anche mediante l’utilizzo di internet o di altre reti o mezzi di comunicazione …”

[10] Consistendo, le lusinghe, in complimenti, gratificazioni ed esaltazioni della persona, e, gli artifizi, in comportamenti decettivi (come, per esempio, il classico caso di chi finge di essere una persona inserita nel mondo della moda).

[11] Testualmente: “allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600bis, 600ter, 600quater anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600quater.1, 609bis, 609quater, 609quinquies e 609octies”.