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Pubbl. Mer, 7 Dic 2022

La prescrizione dei crediti previdenziali della gestione separata

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autori Gabriele Pacifici Nucci ,



Per la Corte di Cassazione la prescrizione dei crediti previdenziali decorre dalla scadenza dei termini di pagamento e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi


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The prescription of social security credits of the separate management

According to the Court of Cassation, the prescription of social security credits starts from the expiry of the payment terms and not from the date of submission of the tax return

Sommario: 1. Premessa; 2. La prescrizione dei contributi maturati dalla gestione separata I.N.P.S.; 3. Determinazione del dies a quo; 4. Occultamento doloso del dato reddituale ed effetti sulla prescrizione; 5.Il giudicato interno. Limite e poteri del giudice in ordine alla maturazione ed al computo dei termini prescrizionali; 6. Conclusioni.

1. Premessa

La sentenza della Quarta Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione n. 31343 del 24 maggio 2022 ripercorre l’annoso e, spesso controverso, tema della decorrenza dei termini prescrizionali, di cui possa beneficiare l’obbligato in relazione alla debenza dei contributi maturati rispetto ai redditi prodotti in un determinato anno di imposta.

L’analisi della Suprema Corte ha il proprio incipit dal caso di un professionista iscritto ad un Albo (dotato di una cassa di previdenza autonoma), che in specifiche fasi della propria attività - sovente durante il periodo di tirocinio obbligatorio - ha la facoltà e non l’obbligo di iscriversi alla propria cassa di previdenza ma che, comunque, ove egli opti per rinviare tale iscrizione ha il dovere di iscriversi alla c.d. gestione separata INPS, corrispondendo i relativi contributi annuali maturati e dichiarati nello specifico modello di comunicazione fiscale e previdenziale.

Soprattutto negli anni passati, quando le banche dati a disposizione delle P.A. non erano in collegamento fra di loro, questa alternatività ha spesso comportato un buco nero per gli enti previdenziali interessati, non in comunicazione fra loro.

L’I.N.P.S. poteva ritenere che l’interessato fosse iscritto alla cassa autonoma e quest’ultima avrebbe potuto svolgere analoga considerazione con il risultato che l’obbligato avrebbe potuto vivere anni di latitanza contributiva.

Ovviamente, in un siffatto vuoto amministrativo, il tempo a disposizione per gli enti previdenziali per rintracciare ed escutere attivamente l’interessato diveniva un argomento preponderante.

Su tale fattispecie si è costruita una prassi prima amministrativa e poi giurisprudenziale tesa a risolvere i nodi più spinosi di questa casistica, vale a dire la prescrizione; il dies a quo; le ipotesi di sospensione.

Peraltro, non con minor importanza, la Cassazione per risolvere il caso ermeneutico, è costretta a fornire l’esatta interpretazione anche di un altro istituto (più propriamente processuale) quale il giudicato interno ed i limiti che questo pone al giudice del gravame.

E' oggetto di questo contributo l'analisi di entrambi i punti di diritto evidenziati dalla Corte, fornendo riflessioni dottrinali certamente nella materia previdenziale ma, in alcuni casi, estendibili anche ad altri istituti di diritto sostanziale e processuale.

2. La prescrizione dei contributi maturati dalla gestione separata INPS

Per inquadrare da un punto di vista normativo il caso in esame, è necessario prendere in considerazione la legge 08 agosto 1995, n.335 che, in linea generale, sancisce la prescrizione dei contributi I.N.P.S. da dichiarazione, i cui termini sono i medesimi per tutte le gestioni previdenziali a cui è obbligato il contribuente.

Come regola generale, i contributi I.N.P.S. da dichiarazione si prescrivono in cinque anni ed entro tale periodo l’Istituto deve trasmettere al contribuente una richiesta di pagamento dei versamenti omessi, al fine di interrompere il decorso prescrizionale.

La disposizione legislativa in esame, peraltro, in deroga alla disposizione generale statuita in via ordinaria, di cui all’art.2940 del Codice Civile, per il credito prescritto (che consente de facto la rinunziabilità della prescrizione), dispone che i contributi previdenziali prescritti non possono più essere versati, neanche volontariamente, ove sia fatalmente decorso il termine anzidetto.

In sostanza, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva (e non semplicemente preclusiva), poiché non può formare oggetto di rinuncia.

Essa, quindi, opera di diritto, con il collaterale effetto di poter essere rilevata d'ufficio dal giudice, mentre il pagamento dopo la prescrizione costituisce pagamento d'indebito e dà diritto alla restituzione.

La ratio legis appare chiara ed evidente e si vuole distinguere dalla normativa regolatrice dei normali rapporti civilistici, avendo cura di tutelare un'esigenza di equilibrio finanziario degli enti previdenziali, inibendo agli assicurati - specie in riferimento ai lavoratori autonomi e, quindi, proprio alla gestione separata I.N.P.S. - di costituirsi benefici attraverso una contribuzione diluita o concentrata nel tempo, in ragione delle specifiche esigenze finanziarie dell’obbligato, con il pericolo di porre a rischio (con fenomeni massivi) la sostenibilità finanziaria ed economica dell’intero sistema assicurativo/previdenziale.

La giurisprudenza, confusa inizialmente sul punto, ha poi cristallizzato questo valore delineando un altro importante principio ad esso correlato e relativo alla riscossione dei contributi previdenziali.

Infatti, nell’ipotesi in cui il contributo previdenziale sia stato posto in riscossione tramite cartella di pagamento non opposta tempestivamente, si verifica l'estensione del termine di prescrizione a quello ordinario di durata decennale.

Di conseguenza, consolidato il credito contributivo per effetto della omessa impugnazione in sede giurisdizionale, si verifica una sorta di proroga rendendo il diritto alla contribuzione previdenziale non più soggetto ad estinzione per prescrizione.

Ebbene la prima giurisprudenza di legittimità appariva uniformarsi proprio a questo atteggiamento ermeneutico, sicuramente più attento ad una lettura formale che sostanziale della legislazione.

Appare evidente anche al lettore più distratto che l’ermeneutica giurisprudenziale distanziasse, in tal modo, il dettato normativo dalla ratio legis, pur probabilmente con la mal riposta idea di preferire la ragion di stato agli interessi del privato.

Non mancavano dall’altro lato, sentenze di contenuto opposto.

Dopo anni di disordine interpretativo sono finalmente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Per la Suprema Corte, la conversione della prescrizione da breve a decennale può avvenire solo per effetto di una sentenza che abbia formato il proprio giudicato, ovvero di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato, formale e sostanziale o anche di decreto o di sentenza penale di condanna divenuti definitivi.

Si esclude, dunque, che tale effetto si possa produrre in virtù di atti di natura amministrativa.

Detto orientamento ha reso stabile tale principio negli anni a seguire, dove la Corte ha più volte avuto modo e tempo di esprimersi nuovamente.

Questa lettura comporta il rafforzamento, più o meno direttamente, del motivo alla base della norma e costituisce una chiave di lettura interpretativa utile anche per il ragionamento operato dai giudici di legittimità nella sentenza in esame su temi affini, sia pur non coincidenti. 

3. Determinazione del dies a quo

Esplorato il terreno normativo nel quale siamo chiamati a muoverci ed entrando più specificatamente nell’esame del lavoro ermeneutico svolto dalla Corte di Cassazione, è necessario esaminare il primo importante principio dettato da quest'ultima.

La pronuncia n.31343 del 24 ottobre 2022 sancisce inequivocabilmente che «la prescrizione decorre dal momento in cui scadono i termini per il relativo pagamento e non già dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa».

L’obbligazione contributiva trova la sua genesi, orbene, con la correlativa e proporzionata produzione di un determinato reddito tassabile da parte dell’obbligato, mentre il modello dichiarativo a cui costui è chiamato è mera dichiarazione di scienza e mai ne può assurgere a presupposto sostanziale, allo stesso modo e nella medesima misura per cui non lo è per l’obbligazione fiscale nascente dal modello dichiarativo medesimo.

La Corte ha modo di chiarire che «per quanto il debito contributivo sorga sulla base della produzione di un certo reddito, la prescrizione dell’obbligazione decorre dal momento in cui scadono i relativi termini di pagamento», ricercando il lontano dettato legislativo di riferimento nell’art. 55 del regio decreto-legge 04 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 06 aprile 1936, n. 1155.

La Corte richiamando una copiosa giurisprudenza, tanto è convinta di siffatto principio che per dare una risposta alle argomentazioni delle parti in causa pone l’accento sull’importanza per il giudice di individuare, anno per anno, quale siano o siano stati i termini di versamento fissati.

Ed, infatti, è da prendere in considerazione la circostanza che l’art. 18, comma 4 del decreto legislativo 09 luglio 1997, n. 241 demanda ad un decreto (di evidente natura regolamentare) del Presidente del Consiglio dei Ministri la facoltà di modificare e sancire, anno per anno, i termini riguardanti gli adempimenti inerenti imposte e/o contributi, tenendo conto delle esigenze generali dei contribuenti, dei sostituti e dei responsabili d’imposta o delle esigenze organizzative della P.A.

Le parti interessanti, dunque, incluso il giudice di merito, dovranno ricercare nelle disposizioni regolamentari in vigore per l’anno sub iudice il dies a quo nei termini di versamento fiscali/contributivi in modo specifico e sincrono, anno per anno avendo cura di mettere tale data a confronto con l’ultima notificazione avente il contenuto (e la forma) di diffida ad adempiere.

Nel caso in esame, ad esempio, la Cassazione rileva come, nell’anno di imposta 2009 i versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e da quelle in materia di imposta regionale sulle attività produttive erano stati differiti dall’ordinaria data del 16 giugno (2010) al 06 luglio 2010, senza alcuna maggiorazione.

Ed è, dunque, proprio per esaminare la fattispecie concreta, a quest’ultimo termine che il giudicante deve far riferimento per far decorrere la prescrizione del diritto vantato/dovuto.

4. Occultamento doloso del dato reddituale ed effetti sulla prescrizione

Se appare ormai abbastanza chiaro e certo il tema della determinazione astratta del termine di decorrenza della prescrizione, la sentenza esaminata, in risposta alla doglianza dell’Istituto di Previdenza analizza ed espone su un altro aspetto non meno importante e determinante e, certamente, non meno frequente nella prassi, vale a dire sulla circostanza che l'omessa o infedele dichiarazione del dato reddituale nella spedizione del pur obbligatorio modello reddituale comporta la sospensione della prescrizione.

La Corte, nella sentenza in esame, non si esprime direttamente sul tema sollevato dall’I.N.P.S., in quanto ritenuto irrilevante rispetto alla decisione da assumere ma, certamente, riporta all’attenzione dell’interprete un altro argomento rilevante in questa materia.

Alla centralità della conoscibilità da parte del creditore della base imponibile si sovrappone evidentemente l’istituto della prescrizione, o più precisamente, della sospensione della prescrizione.

E si cadrebbe in inganno, così come ha fatto inizialmente l’interprete giudiziale, se si partisse da un esame della normativa generale dettata dal Codice Civile.

Infatti, l'istituto della sospensione della prescrizione è stato oggetto di attenta analisi dalla successiva dottrina e giurisprudenza, secondo le quali le circostanze che sospendono la prescrizione attengono, in genere, ad una speciale condizione di fatto (o di diritto) in cui si trovano il creditore o il soggetto passivo, ovvero entrambe.

L'ignoranza senza colpa del titolare sull'esistenza del diritto è causa sospensiva della prescrizione solamente quando dipenda dall'occultamento doloso da parte del debitore e fintanto che il dolo non sia stato scoperto (art. 2941 n. 8 c.c.).

Su tale presupposto è sorto un intero e duraturo filone amministrativo e giurisprudenziale che ha affermato tale principio, tuttavia non avendo ben chiaro il concetto di condotta dolosa.

In questo contesto, le prime pronunce hanno affermato un automatismo tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo.

In poche parole, la prova del dolo era insita nella mera omessa compilazione del quadro dichiarativo, costituendo una vera e propria presunzione di occultamento, non suscettibile, peraltro, di prova contraria.

Tale orientamento poteva dirsi predominante sino al 2021 ammettendo che, in generale, è stato sancito, innanzitutto, il principio per cui il giorno dal quale far decorrere i termini della prescrizione estintiva coincide, non con quello di presentazione della dichiarazione dei redditi, ma con la data di scadenza dei contributi.

In secondo luogo, è stato affermato il principio secondo cui deve essere accolta la causa di sospensione se il debitore abbia posto in essere una condotta dolosa che comporta l'impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito.

Tale causa doveva essere automaticamente e semplicemente ricercata nel doloso occultamento del debito contributivo verso l'ente previdenziale, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2941 n.8 c.c., che si sarebbe concretizzata nella condotta del professionista che omettesse di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la gestione separata (quadro RR del modello).

Nella recentissima pronuncia n.1293/2022, la Suprema Corte ha accennato, sia pur in modo timido e non diretto, che è onere probatorio dell’ente previdenziale chiarire gli aspetti complessivi della condotta del contribuente tali da costituire il doloso occultamento del debito, valutabile ai sensi dell’art. 2941 n. 8 c.c., quale causa di sospensione del decorso della prescrizione, ma apprezzabile solo se idonea a determinare un impedimento ad esercitare il diritto, non sormontabile con gli ordinari controlli.

Si ritiene che la ventata di novità ermeneutica sia in linea con gli strumenti penetranti ormai a disposizione della P.A. e degli enti previdenziali in modo specifico, con sistemi informatici collegati e correlati con banche dati tali da poter facilmente superare una mera difformità.

I giudici, nel caso di specie, avevano escluso la sussistenza del dolo perché il debitore aveva puntualmente presentato la propria dichiarazione dei redditi e denunciato i propri introiti, e la mancata compilazione del quadro RR era avvenuta in buona fede.

Dal canto suo, l’istituto di previdenza, anziché argomentare specificamente con detti elementi, si limitava ad affermare la sussistenza di una «presunzione di occultamento» derivante dall’omessa compilazione del quadro RR, situazione, invece, che la Corte, per la prima volta, esclude.

È stato chiarito, infatti, come non sia predicabile «un automatismo […] tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo» (v. Cass. n. 37529 del 2021; n. 7254 del 2021 in motivazione e successive conformi di questa sesta sezione)

Ed è chiaro che questa nuova visione apra il sindacato del giudice di merito sulla valutazione in concreto del dolo da parte del debitore effettuata dalla P.A.

5. Il giudicato interno. Limite e poteri del giudice in ordine alla maturazione ed al computo dei termini prescrizionali

L’ultima, ma non meno importante, riflessione che può scaturire dalla lettura della sentenza in parola deve essere ricercata nel concetto richiamato del c.d. giudicato interno e dei confini giudiziali in ordine alla valutazione della decorrenza del termine prescrizionale.

La quaestio iuris da cui è partita la Corte è, certamente, l’individuazione del momento iniziale della prescrizione.

È fermo il Collegio nel valutare la questione del computo della prescrizione come elemento rimesso alla valutabilità d’ufficio, certamente per ciò che concerne il momento iniziale (dies a quo), senza essere vincolato dalle deduzioni delle parti (di recente, Cass., sez. lav., 3 agosto 2022, n. 24047, punto 21; Cass., sez. VI-L, 10 novembre 2021, n. 33169, punto 10).

Pertanto, l’eventuale erronea identificazione del termine applicabile, del suo inizio o del suo epilogo, non limita, pertanto, la valida proposizione dell’eccezione (Cass., sez. lav., 27 ottobre 2021, n. 30303; Cass., sez. I, 27 luglio 2016, n. 15631), né tantomeno travolge aspetti eminentemente giuridici, rimessi per loro natura al vaglio del magistrato (íura novit curia).

Tale potere è d’obbligo non solo in sede di merito, bensì potendosi esplicitare in sede di legittimità, a condizione che non siano necessari verifiche dei presupposti di fatto.

In sostanza, per la Corte la rilevabilità d’ufficio, purché tutti gli elementi del fatto provengano dalle prove in atti, si estende anche agli ulteriori profili che attengono alla durata e al decorso del termine ed alla sospensione.

Integrano, dunque, eccezioni in senso lato, per giurisprudenza consolidata, i fatti interruttivi (Cass., S.U., 27 luglio 2005, n. 15661) e le cause di sospensione (Cass., sez. II, 30 settembre 2016, n. 19567).

Su questo filone si pone la considerazione che le eccezioni siano riservate alla parte solo quando la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente sancita quale elemento costitutivo della linea difensiva, ovvero quando esistano nell’ordinamento giuridico singole disposizioni che espressamente contemplino come indispensabile l’attività della parte.

In ogni altro caso, si devono ritenere rilevabili d’ufficio i fatti modificativi, impeditivi o estintivi che risultano dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass., S.U., 3 febbraio 1998, n. 1099).

La rilevabilità d’ufficio è strumentale non all’interesse del singolo, ma alla salvaguardia del diritto e della equità della decisione (Cass., S.U., 7 maggio 2013, n. 10531).

Tale esigenza si coglie in termini ancor più forti nel diritto previdenziale, fondato su interessi che oltrepassano i diritti individuali e, perciò, contraddistinta dal ruolo arbitrale e super partes dello Stato, la cui funzione è quella di assicurare, in una prospettiva solidaristica e di più efficace tutela degli stessi diritti dei singoli, la sostenibilità del sistema assicurativo, da un punto di vista economico e finanziario ma, ancor prima, sotto un profilo di tenuta sociale.

Pertanto, una volta che sia stato articolato in difesa l’elemento dell’eccezione di prescrizione, sarà il giudice, anche in sede di legittimità, ad individuare la disciplina appropriata e a scrutinare i fatti che incidono sulla durata del termine di prescrizione, al fine di verificare se sia decorso invano il termine richiesto dalla legge.

A proposito delle questioni poste all’odierno esame, è necessario fare riferimento ad una precedente (ma recente) pronuncia della Cassazione sulla rilevabilità del giudicato nel giudizio di cassazione e su come la giurisprudenza di legittimità equipari il giudicato interno a quello esterno, sostenendone la rilevabilità d'ufficio, a prescindere dalla posizione assunta dalle parti in giudizio, e addirittura anche quando lo stesso si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata.

Argomentava tale pronuncia che «il giudicato (interno o esterno), è, infatti, considerato alla stregua di un elemento normativo astratto, in quanto fissa la regola del caso concreto».

Il suo accertamento non costituisce baluardo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse costituzionale e pubblico, pilastro della funzione primaria del processo e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità dell’orientamento giurisprudenziale.

Tale principio deve ritenersi valido anche nel caso in cui il giudicato interno plasmatosi nel giudizio di merito abbia riguardato la prescrizione del diritto contestato.

6. Conclusioni

La sentenza esaminata si pone come una pronuncia di degno rilievo in quanto elaborazione ermeneutica di diverse questioni contese in dottrina e in giurisprudenza.

Certamente si sofferma sulla tematica della decorrenza dei termini della prescrizione dei contributi che, dopo anni di contesa, sembra posizionarsi sulla ferma inderogabilità del termine quinquennale di prescrizione dei contributi (di qualunque specie e natura), vanificando qualunque artifizio che ne possa, de facto, estendere la durata.

Ma non di meno, la Corte si occupa del tema della configurabilità del dolo del contribuente che ometta gli obblighi dichiarativi e di quello del c.d. giudicato interno e dei limiti che questo pone alla potestà giurisdizionale del magistrato supremo.

In precedenti pronunce la Corte non aveva mai trattato tali tematiche con un unico e conseguenziale argomento.


Note e riferimenti bibliografici