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Pubbl. Ven, 18 Nov 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Voci di musulmane e femministe

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Saverio Regasto
Professore OrdinarioUniversità degli Studi di Brescia



Il lavoro analizza il dibattito sul femminismo islamico e la sua incidenza su quelle società


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Voices of Muslims and Feminists

The work analyzes the debate on Islamic feminism and its impact on those societies

Sommario: 1. La condizione giuridica della donna musulmana in quanto femminista; 2. Il femminismo islamista.

1.La condizione giuridica della donna musulmana in quanto femminista 

Al giorno d’oggi l’opinione pubblica considera l’Islam la religione che maggiormente contrasta il riconoscimento della parità dei diritti e parità di condizione fra uomini e donne. Agli occhi dell’opinione pubblica la civiltà islamica appare in pieno processo di involuzione, la cui cultura e religione viene spesso ritenuta incompatibile con i discorsi di laicità, democrazia e modernità. Ma la concezione dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo compare in tutte e tre le fedi monoteistiche ed anzi trae origine dalle tradizioni giudaico- cristiane, dato che è Adamo la prima creazione di Dio mentre Eva è creata da una costola del primo uomo e più tardi diviene persino la principale colpevole del Peccato originale.

Secondo la studiosa e femminista islamica Asma Lamrabet, da molto tempo ormai la questione della donna musulmana si trova divisa fra due percezioni estreme: una percezione conservatrice e tradizionalista che lascia pochi margini di discrezionalità e una percezione dettata dall’occidentalismo. I due approcci danno vita ad uno scontro ideologico non da poco, che però ritrova il filo comune ad una situazione di stallo dove ognuna delle due parti cerca di dettare le proprie convinzioni. In questo scontro, la donna musulmana continua a vivere in un sistema sociale ingiusto e disonesto, che perpetua l’oppressione nel nome della religione. Per Asma Lamrabet, nella stessa società musulmana l’accusa è rivolta all’Occidente, colpevole di voler erodere la struttura della società tradizionale e sedurre con le proprie mode e i propri stili di vita.

La studiosa sostiene che, allo stesso tempo l’immagine della musulmana velata, sottomessa e oppressa continua ad essere, per l’egemonia occidentale, l’immagine migliore per gettare discredito su tutta la società islamica e il suo pensiero. Si tratta di perpetuare una visione orientalista e colonialista ancora in voga. Questa immagine mentale vuole mettere in evidenza due modelli: quello della donna occidentale libera e liberata e quello della donna musulmana ancora vittima delle discriminazioni sessuali. Nonostante l’apporto dell’Occidente sia inconfutabile e i suoi valori moderni abbiano permesso l’avanzare della democrazia, la critica è rivolta alla presunzione occidentale di vedere nel proprio sistema sociale e di pensiero, il Liberatore Universale, unico detentore della Verità.

Si tratta di denunciare un modo di pensare che farebbe dell’Islam un unicum monolitico e immutato, dove solo l’imposizione dei valori occidentali possono liberare la sua componente femminile. Per Lamrabet, e per le femministe islamiche in generale, solo con l’intrapresa di una terza strada, tra fondamentalismo e occidentalismo, la donna può ritrovare le sue aspirazioni e la sua volontà. Una terza via che rientra nella cornice islamica in quanto l’Islam possiede naturalmente un messaggio di uguaglianza di generi. Il nodo della questione sta nel comprendere come non sia la religione in sé a sancire l’oppressione delle donne quanto invece una realtà sociale che, appropriandosi del sistema religioso, lo riformula a suo favore per trarne i maggiori vantaggi. Quindi il problema, nei paesi islamici non è imputabile all’Islam in quanto tale, bensì nella permanenza di una mentalità maschile retrograda e ristretta.

La cultura è essenzialmente influenzata dall’uomo e l’interpretazione della religione gioca a suo vantaggio. Le tematiche religiose scompaiono in favore di pratiche conservatrici e patriarcali. Si tratta di costrizioni emotive, psicologiche e di subordinazione che sono state usate per sostenere tradizioni sociali quali la reclusione ed esclusione delle donne.  Il divorzio fra islam e religione è necessario se vogliamo comprendere la reale distanza che esiste fra il messaggio spirituale del Corano e la pratica dei musulmani.

Quest’ultima si è basata su una interpretazione tradizionalista della religione che porta l’uomo ad essere il primo occupante della scala gerarchica e sancisce la sua predominanza rispetto alla donna. Nei commentari classici possiamo facilmente ritrovare questo schema classico che sancisce la dominanza maschile nell’ambito della realtà quotidiana. Di conseguenza risulta chiaro come le diverse interpretazioni religiose portano impresse le caratteristiche dei contesti sociopolitici nei quali si sono formate ovvero società dei primi secoli islamici dove la componente tribale e pagana continua a far sentire i suoi influssi e dove le donne finiscono per far parte dei bottini di guerra. Nel corso dei secoli queste interpretazioni diventano la norma; attraverso una chiusura ermetica del processo di esegesi coranica, esse diventano immutabili senza nessuna possibilità di essere messe in dubbio. Qualsiasi altra interpretazione che devia da quella considerata ortodossa indicata come “eretica”. Si tratta di interpretazioni patriarcali che occultano il messaggio originale e lo spirito profondo della Parola di Dio, che rendono molto difficile distinguere la volontà coranica vera e propria dall’interpretazione soggettiva operata dall’uomo.

Molte donne si preoccupano di smontare i pregiudizi che sono imputabili solo al contesto socioculturale, non alla religione. Per molte studiose femministe e per Lamrabet in particolare, si può constatare, all’interno del mondo musulmano, una corrente nuova, espressione di una timida volontà riformista, che si muove per riformulare un pensiero religioso troppo a lungo prerogativa maschile. Si tratta di una corrente islamica che getta le premesse per un cambiamento pacifico e ragionato dalla forte valenza etica e morale. All’interno di questo fenomeno riformista e modernista trova naturalmente spazio la questione femminile: le donne stanno cercando di riappropriarsi della propria voce dando vita ad una lettura femminile dei testi sacri. L’attività di queste donne è visibile tanto nei Paesi musulmani quanto all’estero, grazie alle loro conferenze, alle loro ricerche, ai loro scritti pubblicati in più lingue e a livello internazionale.

Allo stesso tempo queste musulmane praticanti cercano di rimettere in discussione alcune letture misogine e androcentriche dell’Islam da un punto di vista intrinseco ai precetti coranici e di contestare la condizione di inferiorità in cui si ritrova a vivere la donna musulmana. Quindi lo scopo finale di queste donne è quello dell’emancipazione e della parità di diritti. La lettura femminile che viene proposta deve essere adattata al contesto della realtà della società moderna, secondo il principio dell’adattabilità del Corano a tutte le epoche. Per le femministe islamiche, la lettura del Corano da una prospettiva di genere può rivalorizzare la donna nel contesto islamico, ridandole la parola, la sua identità e infine le sue aspirazioni.

Il fenomeno femminista appena esposto non si pone in contrasto con la componente maschile, ma cerca di appropriarsi del proprio peso e di apportare il proprio contributo secondo un principio imparziale fra gli esseri umani. Questo fenomeno tenta di decostruire tutti i pregiudizi che si sono formati e perpetuati finora e di ridare alle donne la loro memoria dimenticata. Quindi uno dei primi passi per la democratizzazione è innegabilmente il miglioramento della condizione della donna. Oggigiorno, per una donna del Maghreb, rivolgersi ad un giudice o in tribunale per far valere un’istanza di divorzio può ancora significare emarginazione

Nonostante tutto, secondo molti autori, i primi cambiamenti si stanno avvertendo rapidamente grazie alle moderne tecnologie e alla velocità con cui le notizie circolano incontrollate sul web.

Nella società musulmana non si è propensi ad applicare i Codici internazionali sulla base del fatto che in tali leggi vi sia lo zampino dell’Occidente. Sebbene alcune influenze occidentali siano ormai divenute la norma, altri cambiamenti sono disapprovati perché considerati come filoccidentali e quindi estranei alla propria cultura. Più in generale, permane una forte opposizione a qualsiasi cambiamento che possa favorire la condizione femminile. Ma i mass media e la letteratura giocano un ruolo molto importante nel far conoscere, anche all’Europa, una molteplicità di soggettività femminili in moto all’interno dei Paesi Musulmani. Queste associazioni femminili rivendicano l’uguaglianza di genere come un progetto perfettamente in armonia con la religione islamica, dimostrando come tali diritti siano tutt’altro che estranei all’islam. Le donne usano la religione come arma ideale per ribattere ad antiche interpretazioni misogine ed oscurantiste della religione stessa. Le donne sono impegnate in un pericoloso ma deciso processo di empowerment per conquistare libertà insperate e a lungo agognate. In generale dimostrano una sorprendente forza di liberazione dalle tradizioni patriarcali che le vuole sottomesse agli uomini affermandosi in tutti i campi: università, aziende, mondo della politica e mondo televisivo. Durante il secolo scorso esse ottengono diritti civili anche se permangono i pregiudizi di un substrato culturale patriarcale e conservatore, che continua ad assegnarle come prima e più importante funzione sociale quella della procreazione.

Per la studiosa femminista Fatima Mernissi questa modernità rappresenta una valida alternativa alla prevaricazione e condizionamenti sociali che da secoli la tradizione di stampo maschile scatena contro le donne. La modernità comporta il loro accesso al mondo dell’istruzione e del lavoro, migliora la loro condizione liberandole dagli stretti vincoli di una tradizione millenaria. Per Fatima Mernissi, la tendenza delle giovani arabe è quella di contrarre matrimonio sempre più tardi poiché preferiscono investire sul proprio futuro e ottenere un’istruzione, alla pari dei ragazzi. Mentre oggi il matrimonio precoce rimane legato perlopiù a contesti rurali. Secondo Fatima, l’attuale problema della disoccupazione giovanile deriva da una ineguale distribuzione dei redditi e dal forte incremento demografico. La maggior parte della popolazione è giovane e determinata a concludere gli studi e a trovare un lavoro ponendo il matrimonio in secondo piano.

Questo ci segnala come vi sia una presa di coscienza tra le giovani che pongono il proprio futuro in cima alle priorità, a discapito dei movimenti più intransigenti che vorrebbero rimandarle in cucina.

L’istruzione si trasforma in uno strumento fondamentale contro l’arbitrio maschile, la conoscenza delle leggi e il suo essere informata le concedono la possibilità di non essere manipolata dalla mentalità dell’uomo. L’istruzione permette alle donne di accedere a un mondo nuovo, un mondo fatto di consapevolezza dei propri diritti e anche dei propri doveri e fornisce loro la possibilità di sfuggire le contraddizioni e fugare i dubbi, contestare le opinioni prevalenti su solide basi eliminando la possibilità di subire condizionamenti.

Il femminismo e l’Islamismo non si presentano come fenomeni a sé stanti; essi vanno intesi come processi di identificazione culturale; forgiati secondo le logiche e conseguenze postcoloniali. Risulta chiaro come anche sui Paesi del Maghreb pesi un’eredità coloniale; quindi, si tratta di vedere come l’oppressione della quale sono vittime le donne non è frutto della religione bensì colpa di una successiva opera di esegesi oscurantista, che legittima le ideologie sui diritti delle donne.

Femministe come Fatima Mernissi e Asma Lambert leggono nel Corano ciò che non piace agli uomini, mostrando come l’Islam sia tutt’altro che sessista e misogino.

Nello specifico possiamo asserire che, dal periodo coloniale in poi, si diffondono in Occidente costruzioni mentali che vedono le donne musulmane come vittime sottomesse rinchiuse negli harem.

Agli occhi degli europei di questo periodo storico, il velo, l’harem e la poligamia sono i tre elementi che meglio caratterizzano e dimostrano il grado di arretratezza della società orientale.

La studiosa Ruba Salih ci segnala come, a cavallo fra Settecento e Ottocento, l’orientalismo Europeo dà vita ad una propria immagine mentale di islam che prevede la figura della donna velata; figura del fascino esotico che da sola incarna l’idea di Oriente avventuroso, pericoloso e misterioso. La donna, nascosta dietro tende, muri e veli è la prova di come siano le tradizioni islamiche a non permettere all’Oriente di emulare l’Occidente. La letteratura coloniale asserisce come la stessa pratica della poligamia comporti un certo grado di decadimento intellettuale.

Per i colonizzatori la civiltà europea non può essere paragonata ad un popolo che non riconosce i diritti più elementari alla sua componente femminile e che pratica ancora tradizioni arcaiche come la poligamia. Ma, a parte la poligamia (che indica il perpetuarsi di una tradizione preislamica) il velo e l’harem non sono simboli relativi alla religione islamica, bensì usi e costumi di popoli conquistati in periodi successivi alla cosiddetta “età dell’oro”. Nella maggior parte dei casi si tratta quindi di ipocrisia coloniale. Per Ruba Salih, la donna algerina e la sua condizione sono quindi strumentalizzati da parte degli stessi assimilazionisti per provare l’impossibilità di mischiare indigeni e cittadini francesi. Di conseguenza, nelle menti di molti musulmani, il femminismo è associato al colonialismo filoccidentale. Dato che i colonizzatori si pongono come i liberatori della donna che la relega ad una condizione di inferiorità; quindi, il fatto di aderire ad una lotta di genere per la promozione dei propri diritti porta le donne ad essere tacciate di tradimento, la società le accusa di seguire un’ideologia che non è né musulmana né araba.

Nonostante la globalizzazione e gli intensi movimenti di popolazioni, la retorica dello scontro di civiltà porta al rafforzamento delle posizioni di coloro che, in Occidente così come nel mondo islamico, concepiscono l’esistenza di una “cultura e civiltà islamica” ben separata da quella occidentale.

I movimenti femministi locali, successivi all’ indipendenza, sono quini additati come movimenti che non sono né arabi né musulmani.

Reinterpretare il messaggio iniziale della Sunna e del Corano diventa quindi il compito fondamentale per molte studiose musulmane che mirano a delegittimare l'interpretazione maschilista dei testi sacri. Infatti, secondo il parere di molte scrittrici e studiose, è solo in un’epoca successiva all’avvento dell’Islam che si formano e si consolidano paradigmi giuridici misogini completamente estranei alla Parola di Dio esplicata nel Corano e agli insegnamenti del Profeta Muhammad.

Il termine femminismo è stato coniato in Francia nel 1880 da Hubertine Auclert, che lo introdusse nella sua rivista la Citoyenne per criticare la predominanza maschile e per farsi portavoce dei diritti e dell’emancipazione delle donne promessi dalla Rivoluzione francese. Per Auclert i colonizzatori francesi perpetuano l’assoggettamento delle donne musulmane nelle colonie anziché liberarle dai vincoli di una rigida tradizione. Così facendo non si rispettano quei valori illuministi così largamente professati in patria.   

Per porre rimedio alla situazione la Auclert propone la concessione della cittadinanza alle algerine e il diritto al voto delle stesse. Nonostante ciò, Auclert non riesce nel suo intento, finendo invece per dare maggior forza alla voce degli antiassimilazionisti.

Da ora in avanti il termine femminismo si diffonde a macchia d’olio entrando a far parte del vocabolario di studiose e intellettuali anche nei Paesi del Maghreb.

Il velo nel Corano l’hijab metafisico è un ostacolo tra gli uomini e Dio, questo termine presenta inizialmente un’accezione negativa. La sura XXXIII “delle Fazioni Alleate” al versetto 53 fa riferimento all’hijab come ad una cortina di stoffa che il Profeta tira fra sé e un uomo che si trova sulla soglia della sua camera da letto. Questo versetto è rivelato da Dio e trasmesso dal Profeta per preservare l’intimità di quest’ultimo nella propria casa. L’hijab è soggetta a varie interpretazioni, da quella inziale in cui chiaramente emerge la necessità del Profeta di difendere la propria intimità in una comunità come quella medinese che “invade” i suoi spazi e non rispetta la sua privacy, a quello più tardo che si orienta verso una divisione meticolosa dei sessi.

L’hijab serve quindi a coprire la donna musulmana e a separarla dall’esterno o più precisamente la discesa del versetto dell’hijab sancisce la separazione fra il mondo femminile e quello maschile.

Nella società islamica dei primi secoli le donne musulmane sono invitate a coprirsi per distinguersi dalle schiave e per proteggersi dalle aggressioni sessuali che sono ormai frequenti nelle strade di una Medina sull’orlo della guerra civile. Velare le donne libere significa quindi proteggerle.

E ancora la sura XXIV “della Luce” al versetto 31 recita: “E di alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e ci coprano i seni d’un velo e non mostrino le loro parti belle altro che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli” (…).

Tuttavia, per alcune studiose questi precetti non sono estesi a tutte le donne della comunità, ma, anzi presentano un carattere prettamente privato.

Se la reclusione delle donne comincia già durante la vita di Muhammad, è durante il periodo della dinastia degli abbasidi che comincia il confinamento delle donne anche a causa della fusione di abitudini e pratiche sociali dei popoli che l’impero si trova a governare. La pratica del velo e la reclusione delle donne delle classi medio-altre, infatti, è una tradizione culturale bizantina e sasanide che non trova riscontro nella prima società musulmana. Consuetudini considerate come parte della tradizione islamica, supportate dal Corano e altre fonti, sono in realtà un’usanza della società bizantina.

Le fonti descrivono l’interpretatrice Irene di Bisanzio come completamente velata dalla testa ai piedi, mani comprese. Le donne dell’età abbaside vengono quindi progressivamente segregate e si diffonde capillarmente l’uso del velo. È anche il periodo in cui gli harem prolificano. Anche l’harem è una istituzione che si consolida nel corso dell’impero califfale abbaside. Il suo scopo è quello di separare le donne dagli uomini estranei alla famiglia., ed è la parte della casa dedicata alle donne e ai bambini. Mentre in epoca islamica questo fenomeno riguarda solo le donne agiate, successivamente si diffonde anche nelle zone rurali. Le pratiche persiane tra cui l’harem sono acquisite dai nobili abbasidi in un periodo in cui possedere un harem con decine di schiave e concubine cominciano a diventare una consuetudine e una pratica molto diffusa anche in Arabia. Risultato di questa contaminazione è che il concubinato e l’harem divengono istituzioni interne all’islam.

Nell’Islam la donna è considerata pari all’uomo in tutti gli ambiti, dal momento che è anche lei una credente ed è dotata di ragione e volontà ma da quel momento in poi deve diventare invisibile nella sfera politica. Nel palazzo del califfo aveva il suo posto, dietro l’hijab, nell’harem, lo “spazio proibito”. Come il mondo, il palazzo del califfo fu diviso in due parti: uno spazio maschile, dove il sovrano gestiva il potere e usava la violenza; e uno spazio femminile, l’harem, nel quale le donne venivano tenute a distanza da tutto ciò che avesse una parvenza di potere.

La questione del velo ha sempre riscosso molto successo data l’esagerazione con cui se ne è discusso e si continua a discuterne fino a divenire un tema cruciale. Se in contesto coranico il velo serve a coprire l’awra (nudità) di una donna nubile e libera, oggi rappresenta il nodo dello scontro fra Paesi musulmani ed europei dato che, da un punto di vista occidentale, esso significa invariabilmente sottomissione e repressione della donna musulmana.

Da un punto di vista moderno occidentale è infatti difficile non percepirlo come una discriminazione sessuale, portandoci a volte a opinioni e considerazioni fuorvianti.  Tutto può sembrarci tranne che sinonimo di emancipazione. In generale, il motivo rimane quello di sottrarsi a sgradite attenzioni maschili. Nel suo libro “Le donne velate dell’Islam”, l’autrice Hinde Taarji riporta l’intervista a una donna istruita, velata e militante islamista, la quale interrogata sulla questione del velo risponde che il velo impone agli uomini il rispetto nei confronti delle donne musulmane. E ancora, per gli integralisti rappresenta il simbolo dell’identità musulmana in un ambiente costantemente minacciato da influssi devianti e mode, frutti dell’emulazione dell’Occidente. Ma il velo non imposto significa volontà di sottomettersi, non agli uomini, bensì all’Islam cioè a Dio.

Secondo gli studi condotti da Ruba Salih, il velo significa, per coloro che lo indossano, devozione religiosa, esprime un’identità culturale, sociale ed economica ma può anche diventare uno stile, un modello di consumo e una vera e propria moda globalizzata promossa su internet.

Ad esempio, vi sono donne musulmane che, vivendo in un Paese non musulmano, sperimentano una maggiore libertà di scelta; solitamente osservano sporadicamente i pilastri nell’Islam, non indossano un abbigliamento islamico e non frequentano la moschea. Nonostante nel loro Paese d’origine queste donne prendano parte all’attività religiosa, seguano i pilastri islamici e portino il velo, il cambiamento di stile di vita mette in atto un cambiamento anche nei propri comportamenti.

Il continuo e nuovo confrontarsi con uno stile di vita differente porta queste donne a prestare meno attenzioni ai rituali che sono abituate a seguire nel loro Paese d’origine. Questo non lo rende meno credenti ma implica un ridimensionamento del peso che tali obblighi religiosi assumono nella loro nuova vita.

Indossare il velo, quindi, rappresenta sia una scelta individuale sia un obbligo religioso. Il velo diviene quindi oggigiorno simbolo di una modernità islamica vista come alternativa a quella occidentale, questa conseguenza dell’islamismo mira proprio a rendere visibile la soggettività islamica.

Negli anni ’50 nacque il femminismo laico, una corrente femminista che non aveva nulla da spartire con la religione.

I movimenti femministi di stampo laico si ispirano solamente al linguaggio e alla pratica dei diritti umani; secondo le attiviste del femminismo laico, infatti, la religione è totalmente conciliabile con le rivendicazioni di cui loro si fanno le portavoci. Per queste femministe l’Islam ha insito in sé una tendenza patriarcale e misogina e una vera femminista non può allo stesso tempo credere nella nozione islamica.

Essere femministe, secondo le femministe laiche, significa adeguarsi al volere maschile o religioso. Le istituzioni religiose, infatti, continuarono a predicare la superiorità dell’uomo sulle donne nelle cose terrene.

Non esiste una separazione fra sfera privata e sfera pubblica, le valenze religiose si riscontrano nelle basi stesse del sistema sociale della comunità. Di conseguenza l’importanza che questo popolo attribuisce all’Islam non scema abbastanza da permettere al femminismo laico di attecchire.

Il femminismo laico è accusato dalle femministe di altre correnti di pensiero di essere occidentalizzato, neocolonialista, elitario, pura e semplice emulazione della società occidentale. Questo discredito nei confronti del femminismo laico rafforza la voce dei movimenti fondamentalisti che vedono nel femminismo filoccidentale un neocolonialismo nemico delle donne musulmane.

 Lo stesso sceicco Abassi Madani, leader del FIS algerino accusa le donne moderniste di essere una minaccia per la stessa Algeria. Hinde Taarji ci riporta le sue parole: “Alcune manifestazioni sono una sfida alla coscienza del popolo algerino e consacrano la negazione dei valori di una nazione.

Queste donne, chiaramente manipolate, sono le sparviere del neocolonialismo e le avanguardie dell’aggressione culturale. Ma il leader del FSI, così dicendo, non si rivolge solo alle femministe di stampo laico, la sua denuncia è anche a quelle femministe islamiche che, negli anni Ottanta, manifestano in piazza per la democrazia, quelle femministe di cui ne parliamo adesso.

A causa delle critiche che gli vengono rivolte e per un cambiamento di orientamento generale, il femminismo secolare si colora, di tematiche religiose, fino a diventare noto come “femminismo islamico”.

Riformisti islamici come Jamal al Din al Afgani a Muhammad Abduh diventano i principali punti di riferimento per alcune frange del cosiddetto femminismo islamico contemporaneo. La loro retorica si basa sul rinnovamento della società tramite l’acquisizione della conoscenza l’elevazione dello status delle donne, considerato come passo necessario per il progresso della società musulmana.

Possiamo definire il femminismo islamico come pratica innovativa e un discorso femminile nuovo, contestualmente inattaccabile sul piano religioso, che si pone come obbiettivo principale l’uguaglianza nella vita pubblica e in ambito familiare.

Ciò può avvenire solamente attraverso la ricerca di diritti e giustizia per le donne nel Corano e nei suoi insegnamenti.

Il femminismo islamico si afferma dagli anni Novanta del secolo scorso a diversi livelli e in diverse parti del mondo compreso il Maghreb. Nasce in risposta ad un peggioramento della situazione per le donne nei Paesi di appartenenza; laddove quindi i diritti sono maggiormente violati o in pericolo, e dove l’islamismo conservatore si va rafforzando.

Mentre, come abbiamo visto fino agli anni Ottanta si diffonde un clima permeato di diffuso laicismo, il cosiddetto femminismo islamico degli anni Novanta rappresenta un movimento di donne che lottano per vedere affermati i principi di uguaglianza e libertà basandosi sulla religione islamica, con alcune differenze.

È molto importante distinguere fra femminismo islamico come progetto esplicito dichiarato, come termine analitico, e femminismo islamico come termine d’identità. Alcune donne musulmane descrivono il loro progetto di avocare a sé la pratica, insita nel Corano, di equità di genere e giustizia sociale come femminismo islamico.

Altre lo descrivono come un progetto di rilettura del Corano.

 Un valido aiuto a queste donne è offerto anche dagli intellettuali progressisti. Ad esempio, grazie al loro contributo, negli ultimi decenni le università marocchine diventano i luoghi per eccellenza del cambiamento sociale, un luogo dove realizzare le aspirazioni di molti giovani. Tra queste intellettuali vi è chiaramente chi si definisce sia femminista che musulmana e chi invece è riluttante a identificarsi come femminista musulmana e chi invece è riluttante a identificarsi come femminista musulmana. Una diversa definizione di sé stesse non cambia però il concetto di fondo; tutte queste studiose vedono nell’islam una religione di pace e di giustizia che predica l’uguaglianza fra i sessi. Queste donne, infatti, vedono esplicitati nel libro sacro del Corano i diritti e le libertà a cui anelano, usurpati invece, nel corso della storia, da una società patriarcale e da una mentalità androcentrica. Per loro è la tradizione, forte di millenni di storia, a interpretare il Corano e i suoi precetti in maniera sbagliata, strumentalizzando il messaggio originale per gli scopi di coloro che, nei primi secoli islamici, si pongono a capo della società, ignorando o nascondendo così il vero significato dei testi sacri.

Sono, infatti, gruppi elitari di esegeti di sesso maschile che si arrogano il diritto di interpretare il Corano e il messaggio religioso insito in esso.

In quell’epoca il rapporto delle donne con il potere risulta assente e ciò che giunge ai nostri giorni sono quindi i testi codificati da autori di sesso maschile. Di conseguenza, gli stessi legiferano escludendo totalmente la componente femminile da questo importante processo politico e culturale. Per questo motivo una priorità del femminismo islamico è quella di andare direttamente al testo sacro, il Corano, per recuperare il suo messaggio ugualitario. Le rivendicazioni di uguaglianza delle femministe non si basano solo sull’universalismo dei diritti umani ma su un’interpretazione di genere di orientamento progressista. Queste donne guardano all’Islam e ai versetti esplicitati nel Corano come all’arma ideale per promuovere la loro visione di Islam. Nell’approccio al Corano le donne portano una propria interpretazione nuova e si interrogano quindi secondo una prospettiva di genere. Secondo le studiose e le attiviste del femminismo islamico esistono, in realtà, molti versetti del Corano che sembrano affermare l’uguaglianza uomo-donna.

Ad esempio, della sura XIX” delle Stanze Intime” al versetto 13 leggiamo: “O uomini in realtà Noi v’abbiam creato da un maschio e da una femmina e abbiam fatto di voi popoli vari e tribù a che vi conosceste a vicenda, ma il più nobile fra voi è colui che teme Iddio.”  

L’ermeneutica femminista afferma come il suddetto versetto implichi l’uguaglianza fra i sessi; uomo e donna presentano chiaramente delle differenze biologiche ma sono uguali sul piano ontologico. Qui non si distingue fra uomo e donna, l’essere amato da Dio è semplicemente il più timorato, colui che applica la giustizia sociale, senza discriminazioni di genere. Altro esempio di nuova interpretazione riguarda la sura IV “delle Donne”, versetto 34: “Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle.”

Il termine arabo per “essere preposti” è qawwumuna. La maggior parte delle traduzioni enunciano come tale parola implichi un significato di superiorità. Ma, secondo l’opera di esegesi femminista tale termine finisce per significare “provvedere per, essere responsabili” escludendo qualsiasi concetto di superiorità maschile.

Dato che solo le donne possono partorire, in questa circostanza particolare al marito viene chiesto di occuparsi materiale di lei e della famiglia. Quello che è effettivamente richiesto è il mutuo supporto fra moglie e marito, il sostegno dell’uomo alla donna durante la gravidanza, e che ruoli e mansioni siano ben distribuiti; mentre ella è impegnata a generare figli, egli lo è nel prendersi cura della donna. L’ermeneutica femminista insiste su tali versetti che sottolineano l’uguaglianza fra i generi.

Teologhe e studiose producono nuove interpretazioni anche dei detti collegabili al Profeta, che svelano come anch’egli, nel corso della sua vita, sia imparziale e predichi l’uguaglianza di genere. Dato questo assunto, le femministe sostengono come le donne possano facilmente assurgere a ruoli di leadership come quello di mufti e possano ricoprire la funzione di imam. Esse ritengono che il fatto di essere escluse dal processo di esegesi coranica e successivamente da quello di legiferazione abbia comportato la subordinazione delle donne musulmane e all’occultamento del loro ruolo nella storia.

Il femminismo islamico vuole quindi rianalizzare le fonti, svelando il verso senso dei versetti o degli hadith trasmessi dal Profeta nella Sunna, mostrando che proprio perché le leggi sono elaborate successivamente dagli uomini, esse possono essere perfettibili e il loro carattere è quindi da ritenersi non sacratile.

Mentre le leggi degli uomini sono modificabili e potenzialmente ingiuste, la shari’a è la sola ad essere saggia ed eterna, ma la stessa deve essere interpretata alla luce della realtà storica del momento. Il movimento si pone come obiettivi anche dimostrare che un femminismo di tipo islamico è necessario poiché non è l’islam che nega i diritti e la libertà alle donne ma il patriarcato.

Si può essere femministe e anche musulmane. Si può lottare per i propri diritti senza rinnegare la propria religione. Questo è lo scopo principale che si pongono le attiviste. Anzi, è proprio la religione lo strumento fondamentale e indispensabile per rivendicare i propri spazi all’interno della società.

Il femminismo islamico si afferma proprio perché ha la capacità di tenere assieme identità diverse, appartenenze diverse, talvolta in Paesi non musulmani.

L’adesione al femminismo coniuga, quindi, lotta per la rivendicazione dei diritti e impegno per eliminare le correnti retrograde e conservatrici all’interno del complesso e variegato discorso islamico.

Caratteristica essenziale è il rifiuto di adeguarsi ai valori occidentali, continuando invece a rifarsi ai valori della propria religione.

La “colpa” del femminismo occidentale consiste nel non considerare percorsi alternativi per l’emancipazione di genere.

Per quanto riguarda l’interpretazione della legge sacra le femministe affermano la necessità che essa sia libera; uomini e donne possono partecipare all’interpretazione del Corano poiché è compito della comunità.

Lo scopo è quello di dimostrare l’importanza che hanno le donne all’epoca della neonata civiltà islamica. Come si constata dall’indagine circa la vita del Profeta, le mogli di Maometto e in particolare Aisha sono delle figure di grande prestigio sia nell’ambito religioso che politico.

Secondo le femministe islamiche, il Profeta nella sua epoca, garantisce un certo status sociale alle donne della nuova comunità di Medina così come l’avvento dell’islam apporta notevoli miglioramenti rispetto alla jahiliyya preislamica. 

Il discorso femminista preso in esame non si si presenta dunque come omogeneo; posizioni e opinioni diverse si sovrappongono o si contrappongono in un dinamismo più che mai sorprendente.

Nella parte precedente notiamo come esistano associazioni femminili laiche che sostengono come femminismo e islam siamo antitetici. Femministe che guardano all’islam come un ostacolo alle loro rivendicazioni ed escludono totalmente che esso possa essere un alleato nella loro lotta. Questa molteplicità di correnti di pensiero risulta lampante se consideriamo le donne che invece si battono per i diritti femminili e allo stesso tempo militano in movimenti islamici.

Le donne che militano in movimenti islamici affermano, ad esempio, che indossare il velo sia un obbligo riscontrabile nel Corano e che ricoprire il ruolo di Imam non sia possibile per una donna. Ad esempio, mentre il velo è fortemente osteggiato dalle femministe occidentali, secondo le quali rappresenta un simbolo della sottomissione delle donne agli uomini, esso è difeso da quelle islamiste che difendono questa scelta nel caso in cui sia una decisione incondizionata.

Ancora una volta il femminismo nel Maghreb ci si presenta sotto molteplici forme e identità, non sempre concilianti fra loro, e in perenne cambiamento. Si tratta però di tante posizioni dello stesso identico discorso. Il fenomeno femminista diventa oggi un fenomeno universale, grazie ai mass media e alla sua diffusione nel web. Internet aiuta a creare un ponte fra i vari movimenti con lo stesso scopo finale.

L’inglese diventa la lingua veicolare per eccellenza di questo fenomeno anche se la conoscenza dell’arabo rimane tuttora essenziale poiché, data la necessità di un’opera di esegesi femminista dei versetti coranici, ci si deve poter avvalere della conoscenza dell’arabo.

2. Il femminismo islamista

Il fenomeno femminista nel Maghreb è ricco di sfumature e correnti diversificate con molte differenze più o meno marcate.

Tra queste correnti possiamo collocare la cultura islamista. I fondamentalisti islamici sono coloro i quali credono nella realizzazione di una società retta dalla shari’a, una società ideale che si ispira a quella dei primi secoli della civiltà musulmana. Le donne che si definiscono islamiste rivendicano una migliore condizione sociale e un maggiore coinvolgimento nelle attività pubbliche.

Questo universo islamico è molto variegato al suo interno, ma in generale cerca di opporsi con tutte le sue forze all’omologazione culturale occidentale, alla globalizzazione e ai regimi considerati autoritari o corrotti. I movimenti islamici auspicano un ritorno all’islam originale, e si battono per debellare il laicismo dalla società. Grazie al revivalismo islamico, che si prefigge la resistenza alla globalizzazione occidentale e una maggior definizione fra sfera pubblica e privata, il movimento islamista conta ora fra le sue fila molte attiviste militanti. Le cause del successo di questi movimenti sono da ricercarsi nell’incapacità degli Stati di assicurare un miglior standard di vita, un’equa distribuzione dei redditi, lo scarso controllo della dilagante corruzione e la militarizzazione di molti governi. Il revivalismo islamico attecchisce, quindi, soprattutto fra le fasce dei giovani musulmani istruiti e delle donne, le maggior vittime della crescente insoddisfazione e insicurezza economica dovuta ai fallimenti dei processi di modernizzazione e liberalizzazione e che quindi avvertono il bisogno di sentirsi parte dell’umma.

Per rafforzare questo senso di appartenenza sempre più musulmane avvertono il bisogno di un ritorno verso la religione. Si tratta di un vero e proprio risveglio religioso che riavvicina il fedele alle pratiche musulmane, pratiche che aveva trascurato di seguire attraverso stili di vita corrotti e occidentali.

All’interno di questi movimenti si può notare la presenza femminile a tutti i livelli. Il fatto di partecipare attivamente in seno a questi movimenti allontana le donne dal focolare domestico e dalla sfera della vita privata, entro la quale sono tradizionalmente relegate, generando una dinamica di cambiamento sociale.

Questi movimenti riscuotono un grande successo e un grande appoggio femminile; le donne che militano all’interno dei movimenti islamisti hanno età differenti, provengono da differenti background culturali, diversi livelli di istruzione e differenti mansioni.   

Questo tipo di islamismo non riscuote successo solo nelle zone meno abbienti, ma include anche persone che provengono da aree ricche delle città. L’influenza del movimento si registra anche nelle scuole e soprattutto nelle università; si contano infatti, al suo interno, molte laureate e dottorande. La sezione femminile di questi movimenti è seriamente e attivamente impegnata nelle opere di volontariato e beneficenza, nell’organizzazione di momenti di preghiera e riflessione religiosa. In questi ritrovi si lavora all’educazione di base, all’interpretazione dei testi e allo studio della legge islamica, ma si discute anche di attivissimo e di politica del movimento.

Oltre ad essere incontri spirituali, si tratta di ritrovi di indottrinamento politico e per questo spesso sono al centro dell’interesse dei servizi di polizia.

Per le donne dei movimenti islamisti la soluzione ad un miglioramento della condizione femminile non si può ritrovare nella dialettica femminista poiché essa è considerata troppo progressista e a volte legata all’idea di femminismo occidentale.

La soluzione potrebbe figurarsi con una re-islamizzazione della società puntando però al suo inserimento all’interno del contesto storico, culturale, politico e sociale della contemporaneità.

L’islam che vive e agisce secondo i suoi dettami adeguandosi e inserendosi nella società moderna può definirsi un interessante modello politico-religioso, degno di essere perseguito. Un insieme di fenomeni quali disoccupazione, crisi economica, condizioni di vita difficili e la presenza di una monarchia che, come tutti i regimi accentratori, soffoca le libertà civili portano alla nascita in Marocco, di organizzazione politiche islamiste.

Nasce così nel 1981 il movimento al Adl wa al Ihsan, il movimento si pone come obbiettivo finale la formazione di un governo che si basi prettamente sui codici sciariatici, attraverso opere di proselitismo religioso.

Un’ altra figura chiave del femminismo marocchino è Asma Lambert.

Nata a Rabat, dove lavora in qualità di medico, oggi è una rappresentante di spicco del femminismo islamico come la sua collega Mernissi.

Proprio come quest’ultima Asma nel corso della sua vita cambia orientamento; dapprima simpatizzante per le posizioni delle femministe occidentali, ora crede nella re-islamizzazione della società, condividendo con Fatima Mernissi la necessità di conciliare diritti femminili e discorso islamico.

Successivamente decide di velarsi, una scelta non imposta che suggerisce la volontà di intraprendere un percorso di fede più vicino ad un femminismo islamico di stampo religioso.

Definisce la sua scelta di indossare il velo come una convinzione personale che è legata alla fede, non un obbligo vero e proprio, come vorrebbero far credere gli integralisti religiosi.

Asma Lambert definisce il femminismo islamico come un normale femminismo ispirato all’universalità dei diritti, delle libertà, e dell’uguaglianza, un fenomeno sempre più diffuso e plurale. Si definisce islamico perché si rifà al messaggio spirituale insito nella religione islamica.

Il medico marocchino considera l’attuale femminismo come la naturale continuazione del femminismo nazionalista degli anni Quaranta e Cinquanta, quando le donne di impegnano assieme agli uomini nella lotta per scacciare i colonizzatori.

Asma Lambert specifica come la lapidazione sia una pratica giudaica preislamica, che non esiste nel Corano. Per la studiosa, ad esempio, la punizione del taglio della mano per il ladro va applicata solo nella società dei primi secoli quando la povertà è dilagante e i furti sono all’ordine del giorno. Al giorno d’oggi si potrebbe parlare di una metafora piuttosto che di una punizione vera e propria.

Il Corano ha quindi una funzione fondamentale pedagogica, per educare il popolo   arabo tribale a rispettare le libertà altrui.

Come Mernissi, anche Lambert traccia dei profili femminili presenti nel Corano, raccontandoci la storia di donne importanti, sovrane illuminate come Bilqis, regina di Saba, o Maria madre di Gesù, tratto d’unione fra cristiani e musulmani. Donne che contribuiscono alla diffusione della Parola di Dio, e di cui il Corano riporta un’immagine positiva e virtuosa.

Il Corano parla delle donne attraverso personaggi femminili saggi e credenti, riabilitando quello che i pregiudizi sociali hanno voluto negare ovvero la rivalutazione della donna, mediatrice della fede e del messaggio profetico.

Asma sostiene che la poligamia è molto pratica nella tradizione preislamica e che non viene incoraggiata dal Corano, quanto piuttosto limitata, secondo un processo graduale.

Il Corano così cerca di scoraggiare tale pratica e risulta chiaro che il matrimonio monogamo è l’unico raccomandato. Ma, nel corso della storia, questo versetto è usato, al contrario, per legittimare la pratica della poligamia, e le ingiunzioni coraniche che cercano di dissuadere dal praticare tale costume sono ignorate. La poligamia è così, a torto, considerata un diritto sancito da Dio in persona. Di questi versetti, il cui significato è manipolato, ne esistono parecchi: “Gli uomini sono preposti alle donne, perché dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri, le donne buone sono dunque devote a Dio e sollecite della propria castità, quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi “battetele”, sia “correggetele”. È curioso notare come venga scelto tra i significati proprio quello di “battere”. Secondo Asma il termine che meglio si adatta al contesto è quello di “allontanarsi fisicamente”. Il versetto non autorizza la violenza sulle donne, inoltre altri versetti che incoraggiano la tranquillità, la serenità e l’affetto nella vita coniugale pongono le basi per il principio legale secondo cui marito e moglie devono poter godere di un rapporto amoroso, onesto, nell’assoluto divieto di farsi del male a vicenda.

Asma parla anche dei numerosi hadith che trattano l’argomento del mutuo rispetto tra marito e moglie.

Il parere generale è a favore del divieto di qualsiasi tipo di violenza verso le donne; anche le interpretazioni attuali evidenziano il carattere non violento promosso dal Corano.

Ma, per Lambert, la filosofia della gradualità che il Corano auspica per l’emancipazione femminile è ignorata. Anche le opere per lei mostrano come la teologia femminista non sia un mero prodotto dell’Occidente e non sia un prodotto esclusivamente dei musulmani che vivono in Occidente. 

Bisogna ricercare una valida alternativa, a metà fra femminismo occidentale e patriarcato tradizionalista. Dato che l’islam stesso assicura l’uguaglianza non c’è bisogno di uscire dalla cornice islamica, ma ricercare il messaggio originale all’interno di essa.

Per Lamrabert, il Corano è intriso di messaggi di pace, amore e giustizia che sono mal interpretati e mal recepiti dall’autorità maschile e da qualche forma di estremismo che li traduce in obbedienza e sottomissione assoluta al padre, fratello o marito.

Quindi, la decadenza della società islamica inizia con la progressiva regressione della condizione delle donne. Essendo escluse dalla sfera pubblica quest’ultime perdono i propri diritti e il divario fra i generi comincia a diventare sempre più vasto. Per tornare ad uno status migliore deve risvegliarsi una coscienza femminile che combatta contro gli estremisti religiosi, i quali mirano perpetuare lo status di inferiorità femminile, e contro i modernisti che si sono lasciati ammaliare dal desiderio di emulare l’Occidente. La coscienza femminile deve risvegliarsi partendo dalle donne che si sono lasciate influenzare dal sistema patriarcale, dalla mentalità androcentrica della società e che ora sono restie a cambiare.

Il perpetuarsi dell’ignoranza e la mancanza di risorse fanno sì che la logica patriarcale colpisca e influenzi anche le donne, abituandole ad accettare i condizionamenti sociali e psicologici. Ma per Lambert, vi è una vera e propria rivoluzione silenziosa che ridà alle donne la propria voce per cambiare la situazione attuale. Cambiare la situazione attuale significa anche far qualcosa per eliminare gli alti tassi di analfabetismo femminile nel mondo islamico.

Dato che l’istruzione è uno dei doveri degli esseri umani secondo il Corano, significa che questa ingiunzione coranica continua ad essere tradita. I testi sacri inoltre elencano altri diritti/doveri che non trovano applicazione nella realtà; scolarizzazione e lavoro, libera scelta dello sposo e possibilità di divorzio, partecipazione alla vita politica.

Nonostante ciò, Alma si differenzia da altre studiose musulmane per il fatto che non crede che le donne possano digerire la preghiera e ricoprire quindi la carica di imam. 

Oltre alle condizioni storiche, le interpretazioni sono molto influenzate anche dall’uso della lingua. Urge inoltre una distinzione fra ciò che effettivamente predicano le scritture sacre e la pratica dell’Islam che invece si afferma nel corso dei secoli.

Ne risulta una grande differenza di pratiche, usi e costumi.

Alcune studiose propongono anche la continua interpretazione dei testi sacri proprio per il fatto che la realtà cambia continuamente e la società moderna è perennemente in via di trasformazione. Il musulmano moderno è quindi chiamato ad un continuo sforzo interiore inteso come uno sforzo per avvicinarsi sempre più intimamente al senso di giustizia evocato nel Corano e per lottare l’uguaglianza di genere nella pratica musulmana. La lotta contro il patriarcato rappresenta il primo passo per la costruzione di un sistema sociale giusto a paritario, che assicuri lo sviluppo e il benessere della comunità.     

Un esempio di femminista islamista è Nadia Yassine, è l’icona del movimento islamista marocchino e fondatrice della sezione femminile dello stesso movimento e sua portavoce. Nadia Yassine nasce a Casablanca. in Marocco, nel 1958. Figlia del fondatore del movimento di al Adl wa al Ihsan, dopo gli studi primari ottiene la laurea in Scienze Politiche all’università di Fez e si getta nel mondo della politica. Eminente femminista, dagli anni Ottanta acquista fama anche all’estero e milita per l’abolizione della monarchia ereditaria e autoritaria in Marocco, a favore di una repubblica islamista basata sulla shari’a e non sull’autocrazia. A causa di queste critiche alla famiglia reale è più volte perseguita, processata e come il marito e il padre conosce l’esperienza del carcere ella difende l’idea di una società musulmana basata sulla legge divina ma critica l’estremismo come la corrente wahhabita dell’Arabia Saudita che è a favore di una rigida segregazione dei sessi e rigorosamente ostile ad ogni forma di interpretazione personale. Nadia Yassine giudica la religione islamica amica delle donne, anzi afferma che l’islam stesso pone la donna in una condizione privilegiata. Il problema semmai risiede nel potere e nelle élite che esercitano questo potere. In un’intervista del giornale tedesco “Der Spiegel” Yassine afferma: “le femministe laiche fanno parte soltanto di una piccola élite. Vivono in una enclave intellettuale, imitano l’occidente e si sono allontanate dalla cultura islamica.

La nostra religione è molto più capace di risolvere i problemi sociali rispetto ai modelli occidentali di cui beneficiano soltanto le élite. Se risolvi i problemi sociali, aiuti anche le donne. Le donne non hanno nessun problema con l’islam. Hanno un problema con il potere”.  Quindi per Yassine, come per le femministe islamiche e islamiste in genere, il femminismo laico non può rappresentare le donne musulmane nella loro marcia per l’emancipazione. Solo eliminando ogni legame con il potere si può creare un movimento e un governo che si occupi delle questioni dei più e non dei privilegi di pochi. La shari’a indica chiaramente come organizzare questo modello familiare. Yassine predica il ritorno all’islam puro, critica l’Occidente e rifiuta le interpretazioni erronee dei testi sacri. Sceglie di indossare il velo, come molte altre donne, come atto di fede e simbolo di impegno politico. Anche l’attività di questa donna contribuisce ad affermare nella società l’idea che le donne si debbano riappropriare dei diritti che sono stati sottratti loro secoli addietro.

La rivoluzione di cui si necessita vede uomini e donne che lottano fianco a fianco. Tuttavia, per Yassine, solo la costituzione di uno stato islamico retto dalla shari’a può risolvere la questione femminile. Per le islamiste le condizioni di sottosviluppo in cui versano i Paesi islamici sono frutto di regimi autoritari e corrotti che si sono allontanati o hanno volutamente dimenticato i principi della religione islamica. Il movimento femminile islamista, perciò, si occupa di questioni generali e universali che riguardano tutti gli aspetti della vita e della società. Il discorso islamista è quindi universale, e la questione femminile al suo interno è inserita in un più ampio progetto politico. Obbiettivo principale è la lotta al laicismo e alle ingerenze occidentali e la ricerca di un modello da seguire all’interno della civiltà islamica. Le islamiste criticano l’immoralità dell’Occidente, dove le donne lavoratici finiscono col trascurare l’educazione dei figli sconvolgendo il naturale ordine della società. Le islamiste difendono il valore della verginità e rispolverano il concetto di obbedienza al marito. Le donne musulmane possono ritrovare i loro diritti direttamente nel Corano, si tratta di renderli visibili agli occhi di tutti senza dover combattere per doverli affermare.


Note e riferimenti bibliografici