Pubbl. Lun, 21 Nov 2022
Ancora in tema di responsabilità da reato dell’ente: l´assenza di un modello organizzativo non determina la “colpa in organizzazione”
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Wanda Nocerino
Con la pronuncia n. 18413/2022, la IV Sezione della Suprema Corte torna a far chiarezza sui profili di responsabilità da reato degli enti delineati dalla disciplina del d.lgs. 231/2001. Nell’occasione, la Corte chiarisce che solo l´elemento della “colpa in organizzazione” caratterizza la tipicità dell´illecito amministrativo imputabile all'ente; viceversa, l’assenza del modello organizzativo, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito contestabile alla societas.
Still on the subject of criminal liability of the body: the absence of an organisational model does not determine “fault in organization”
With the pronouncement n. 18413/2022, the Fourth Section of the Supreme Court returns to shed light on the profiles of criminal liability of entities outlined in the regulations of Legislative Decree n. 231/2001. On this occasion, the Court clarifies that only the element of “fault in the organization” characterises the typical nature of the administrative offence attributable to the entity; conversely, the absence of the organisational model, its inadequacy or its ineffective implementation are not ex se constituent elements of the offence attributable to the societas.Sommario: 1. Premessa; 2. Il caso; 3. I modelli organizzativi; 4. La “colpa in organizzazione”.
1. Premessa
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte aggiunge un nuovo tassello per delineare i confini della responsabilità dell’ente, secondo la normativa delineata dal d.lgs. 231/2001[1].
In particolare, i giudici di legittimità ribadiscono (seguendo l'impostazione di Cass., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343) il principio per cui l'assenza di un modello organizzativo, richiamato negli artt. 6 e 7 del d.lgs. 231/2001, e il vantaggio economico a favore dell’ente, non rappresentano di per sé elementi sufficienti ad integrare la responsabilità amministrativa dell'ente; solo la "colpa in organizzazione" caratterizza la tipicità dell'illecito amministrativo imputabile alla societas. In quest’ottica, la responsabilità dell’ente non può essere sovrapposta o confusa con i profili di responsabilità degli amministratori/datori di lavoro (persone fisiche).
2. Il caso
Al fine di comprendere i termini della questione, occorre ripercorrere brevemente i fatti da cui muove il caso di specie.
La Corte di appello di Venezia, confermando la decisione del Tribunale di Vicenza, condanna una società veneta per violazione dell’articolo 25-septies, comma 3 del decreto legislativo n. 231/2001 a seguito dell’infortunio di un dipendente avvenuto nel 2011.
Avverso tale provvedimento, il difensore della società propone ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, violazione di legge e vizio di motivazione, dal momento che la Corte territoriale non precisa le ragioni per le quali sussiste la “colpa in organizzazione” dell’ente, travisando i profili di responsabilità personale del datore di lavoro con quelli propri della societas.
La Suprema Corte accoglie il ricorso in quanto il modello di organizzazione e gestione, cioè il modello organizzativo adottato con lo scopo di prevenire la responsabilità, se assente o inefficace non implica, ex se, un automatico addebito di responsabilità a carico dell’ente. In questo senso, ai fini della determinazione dell’illecito, sono necessari «oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente, la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due».
Di conseguenza, in riferimento ai casi di omicidio colposo o infortunio grave sul lavoro (art. 25-septies), ciò che riguarda l’equipaggiamento o il controllo dei macchinari ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro. La colpa dell’amministrazione, però, di per sé non è assimilabile alla colpa di organizzazione che invece definisce la responsabilità dell’ente.
In quest’ottica, per determinare la responsabilità dell’ente, il fine della condotta del singolo deve essere la conseguenza di un preciso assetto organizzativo negligente dell’impresa e non di un atteggiamento soggettivo.
«Ne consegue che, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal d.lgs. n. 231/01».
Queste carenze organizzative, se riscontrate, giustificano l’imputazione del reato all’ente: «ciò rafforza l’esigenza che la menzionata colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del (dipendente o amministratore dell’ente) responsabile del reato».
3. I modelli organizzativi
Come noto, i “modelli organizzativi” sono documenti contenenti regole di condotte minime[2], tali da costituire un «modello comportamentale per chi agisce nell’ambito dell’ente, orientato ad impedire la commissione di determinati reati»[3].
Essi, quindi, rappresentano modelli operativi di gestione del rischio, posti in essere al fine di tracciare le linee guida (ovvero schemi di regole) per il raggiungimento degli obblighi di risultato che l’ente stesso si prefigge.
Seppur in una prima stesura si preferì non indicare dettagliatamente il contenuto del modello al fine di lasciare all’interprete ampia libertà delle forme in relazione agli obiettivi pratici che l’ente intendeva raggiungere, la Commissione Giustizia della Camera, invocando la necessaria tipizzazione dei modelli di organizzazione, si preoccupò di delineare il contenuto minimo che gli stessi avrebbero dovuto detenere[4].
Muovendo dalle indicazioni contenute nell’art. 6, d.lgs. 231/2001, ogni modello organizzativo deve, in sostanza, fondarsi su due pilastri: l’idoneità e la efficace attuazione dei compliance programs.
In particolare, ai sensi del comma 2 del sopra citato articolo, al fine di considerare “idoneo” il modello, lo stesso dovrà indicare: le attività maggiormente esposte al rischio-reato (c.d. mappatura del rischio)[5]; la regolamentazione della formazione ed attuazione delle decisioni in dette aree; la disciplina della gestione delle risorse finanziarie e della trasmissione delle informazioni; la predisposizione di un organismo di vigilanza (c.d. compliance officer) e di un relativo sistema disciplinare.
Posto che ogni ente deve dotarsi della medesima struttura organizzativa, l’assenza di uno o più elementi che rappresentano il contenuto minimo di ogni modello, determina, de plano, l’inidoneità e l’inefficacia del modello stesso[6].
Una scelta, quindi, quella di creare mere linee guida operative di costruzione di modelli organizzativi piuttosto che veri e propri modelli di categoria[7]; scelta che ha uniformato la dottrina verso una concezione “sartoriale”[8] dei modelli organizzativi.
E, infatti, al fine di determinare le caratteristiche variabili del modello, il legislatore ricorse ad un criterio funzionale, disponendo che lo stesso dovesse essere arricchito di un contenuto ah hoc, determinabile sulla base delle esigenze e degli obiettivi che la struttura è tenuta a garantire.
Al tema dei modelli di organizzazione e gestione, dunque, gli artt. 6 e 7 del Decreto attribuiscono «un ruolo sistematico autenticamente fondativo nel nuovo sistema di responsabilità degli enti»[9], che rappresenta un rinnovato modello di «cultura imprenditoriale della legalità[10]»: la finalità preventiva ad essi riconosciuta costituisce, infatti, il parametro di riferimento per la definizione di una colpa dell’ente che si basa, appunto, sulla “omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire alcune tipologie criminose”.
4. La “colpa in organizzazione”
La predisposizione e la conseguente attuazione di compliance programs “idonei” rappresenta, in sostanza, la condizione necessaria (ma non sufficiente) che consente di escludere la responsabilità dell’ente per fatto commesso dai dipendenti o dagli apicali: l’ente, dunque, soggiace a sanzione per il reato-presupposto commesso da chi è parte dell’organigramma azienda solo nel caso i cui sussista una “colpa di organizzazione”[11].
Come precisato nella Relazione al Decreto, essa consiste in un rimprovero imputabile all’ente collettivo qualora non abbia implementato o, comunque, efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a scongiurare fatti-reato del tipo di quello effettivamente verificatosi[12].
La colpevolezza, dunque, si basa su un fatto omissivo, ovvero il non aver impedito la commissione del fatto tipico da parte delle persone fisiche inserite nell’organigramma aziendale, in conseguenza dell’inottemperanza dell’onere di auto-organizzarsi in modo da comprimere il rischio dell’illegalità penale[13].
Dunque, i doveri dell’impresa si traducono in un precauzionale obbligo di controllo in forme di vigilanza fattiva ed attiva rispetto alla commissione dei reati, precisamente indicati nei modelli organizzativi; mentre è rispetto al successivo livello della responsabilità penale che si tratterà di accertare la colpa della persona fisica.
Si scorge, così, il chiaro confine tra colpa penale e colpevolezza nell’organizzazione e gestione del rischio: la prima, imputabile al soggetto persona fisica, pretende il mancato controllo rispetto ai casi in cui sia successo qualcosa di percepibile come pericoloso e, al contempo, gestibile dall’uomo stesso; il secondo, estende la responsabilità dell’ente anche per pericula lontani nel tempo e nello spazio che si sarebbero potuti evitare se fossero stati posti in essere strumenti di garanzia per il rispetto della normativa prevenzionale.
[1] Il tema del processo a carico dell’ente ha suscitato e continua a suscitare un certo fascino nel panorama dottrinale. Senza pretese di completezza, cfr. AA. VV., Enti e responsabilità da reato, a cura di A. Cadoppi-G. Garuti-P. Veneziani, Torino, 2010; AA. VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. Garuti, Padova, 2002; AA. VV., Responsabilità da reato degli enti, vol. II, Diritto processuale, a cura di G. Lattanzi-P. Severino, Torino, 2020; P. BALDUCCI, L’ente imputato, Torino, 2015; H. BELLUTA, L’ente incolpato, Torino 2018; T. BASSI-E. EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, Milano, 2006; G. DE VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008; M. CERESA GASTALDO, Procedura penale delle società, II ed., Torino, 2017; M.L. DI BITONTO, Reati e responsabilità degli enti, Milano, 2010; M.L. DI BITONTO, Studio sui fondamenti della procedura penale d’impresa, Napoli, 2012; G. GARUTI, Il processo “penale” agli enti, in AA. VV., Modelli differenziati di accertamento, a cura di G. Garuti, in Trattato di procura penale, diretto da G. Spangher, vol. VII, t. II, Torino, 2011, 1068; R. GUERRINI, La responsabilità da reato degli enti, Milano, 2006; S. LORUSSO, La responsabilità da reato delle persone giuridiche: profili processuali del d.lg. 8 giugno 2001 n. 231, in Cass. pen., 2002, 2522; M.A. PASCULLI, La responsabilità “da reato” degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, Bari, 2005; G. SPANGHER, Le incursioni di regole speciali nella disciplina del diritto ordinario, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti. D.lg. 8 giugno 2001 n. 231, Milano, 2002, 53; G. VARRASO, Il procedimento per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, Milano, 2012.
[2] Così C. DE MAGLIE, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle società, Milano, 2002, 101 ss.
[3] Relazione al d.lgs. 231/20012001, in AA. VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002, 488.
[4] Cfr., P.BASTIA, Criteri di progettazione dei Modelli Organizzativi, in Resp. amm. soc. 2008, n. 2, 203.
[5] Come rileva la dottrina, per la c.d. mappatura del rischio” è opportuno effettuare una ricognizione delle concrete attività svolte dall’ente; individuare i reati da cui possono dipendere gli illeciti dell’ente; gli elementi di contatto tra l’attività svolta dall’ente e singoli reati secondo parametri variabili da reato a reato. Così A. BASSI-T.E. EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, Milano, 2006, 224. Nello stesso senso la giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 4.4.2003, in Foro it., 2004, 317 ss.
[6] Così Trib. Bari, 18.4.2005, in www.rivista231.it
[7] Cfr., B. ASSUMMA, Il ruolo delle Linee Guida e delle best practies nella costruzione del modello di organizzazione e di gestione e nel giudizio di idoneità di esso, in Resp. amm. soc., 2010, n. 4, 193 ss.
[8] Si esprime così T.E. ROMOLOTTI, Modelli organizzativi e soluzioni applicative, in AA. VV., La responsabilità da reato degli enti. Modelli di organizzazione, gestione e controllo e strategie per non incorrere nelle sanzioni, Macerata, 2006, 267.
[9] Si esprime così C. PIERGALLINI, Paradigmatica dell’autocontrollo penale (dalla funzione alla struttura del “modello organizzativo” ex d.lg. n. 231/2001, in Cass. pen., 2013, 383.
[10] A. ALESSANDRI Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in AA. VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002, 44 s.
[11] Per un’applicazione pratica della normativa, A. ORSINA, Il caso “Rete Ferroviaria Italiana S.p.a”: un’esperienza positiva in tema di colpa di organizzazione, in Dir. pen. cont., f. 1, 2017, 27 ss.
[12] Cfr., A. MANNA, La cd. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: un primo sguardo d’insieme, in Riv. trim dir. pen. econ., 2002, 501 ss.
[13] Sul tema, A. GARGANI, Imputazione del reato agli enti collettivi e responsabilità penale dell’intraneo: due piani irrelati?, in Dir. pen. proc. 2002, 1061 ss.; E. PALIERO-C. PIERGALLINI, La colpa di organizzazione, in Resp. amm. soc., 2006, n. 3, 167 ss.