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Pubbl. Mar, 25 Ott 2022

Fiscalità e sovranità: verso un fisco europeo

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Giuseppe Attanasio



Il presente contributo si propone di delineare lo stato di fatto della della normativa fiscale dell´Unione Europea .


ENG

Towards a european taxation

This contribution aims to outline the state of fact of the tax legislation of the European Union.

Sommario: 1. Tributi Europei; 2. Sistema fiscale europeo; 3. Conclusioni. 

1. Tributi Europei 

Il varo del NextGenerationEU[1], la temporanea riforma del Patto di stabilità e crescita e il bilancio a lungo termine dell’Unione Europea, nel costituire delle risorse importanti per ricostruire un’Europa più ecologica e digitale, non solo hanno cambiato le prospettive della finanza dell’Unione Europea, ma hanno segnato anche la fine della politica di austerità, e  dunque hanno consentito di finanziare il grande programma di investimenti destinati a rilanciare l’economia europea dopo la crisi pandemica da Covid-19.

L'uscita dalla crisi globale conseguente alla pandemia potrebbe essere un'occasione per attuare, sul piano istituzionale, alcuni interventi legislativi che le passate politiche restrittive dell'Unione Europea non hanno consentito di effettuare con la dovuta completezza ed efficienza.

Si deve prendere atto che il capitalismo e l’economia digitale possono essere dei forti fattori di disoccupazione che possono causare la riduzione dei salari, la diminuzione della domanda di merci, il decremento del gettito fiscale, delle contribuzioni previdenziali e dell'assistenza sanitaria.

Su tale quadro, poi, è intervenuta la crisi pandemica da Covid-19 che ha aggravato drammaticamente questa situazione rendendo non più rinviabili politiche dirette a limitare i suddetti gravi inconvenienti.

È inevitabile, dunque, impegnare gli Stati membri e l’Unione Europea, in un’ottica sinergica ed unità, a riconvertire la produzione; lanciare un grande piano di risanamento per la conversione ecologica e lo sviluppo sostenibile; e ridurre la pressione tributaria sulle famiglie e sulle imprese; costruire tributi “propri” europei che abbiano il fine di finanziare gli interventi ridistributivi e anti-pandemia dell’Unione Europea.

Tali tributi dovrebbero costituire quello che potremmo genericamente definire un "fisco europeo" destinato ad alimentare un "bilancio europeo". Essi sono stati oggetto di specifiche proposte di direttiva della Commissione Ue e sono coerenti con il dettato dell'art. 311 del Trattato sul Funzionamento dell'Ue (TFUE)[2]. Quanto detto sull' istituzione di tributi europei presuppone, evidentemente, l'attribuzione alla Commissione europea di una potestà di imposizione, legittimata dal voto del Parlamento europeo ai sensi del richiamato art. 311 del TFUE; una potestà che le consenta di svolgere proprie politiche allocative, stabilizzatrici e ridistributive.

I “tributi europei” dovrebbero essere il primo strumento per la lotta ai cambiamenti climatici avendo il fine di ridurre l’emissione di gas del 55% di CO2 entro il 2030 e di garantire una transizione ecologica efficiente socialmente giusta ammontante al 2-3% del PIL mondiale. La proposta della Direttiva del Consiglio europeo del 14 luglio 2021, sulla spinta della comunicazione della Commissione, nel contesto del Green Deal europeo[3] e del pacchetto legislativo "Pronti per il 55 %" ("Fit for 55”)[4], ha ad oggetto la ristrutturazione del quadro dell’ Unione Europea per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità finalizzata tanto alla riduzione delle emissione di CO2, quanto ad affrontare le sfide legate all'ambiente e conseguire gli obiettivi dell'UE di riduzione delle emissioni interne di gas serra e di riduzione dell'inquinamento atmosferico per il 2030, lungo il cammino che viene definito “neutralità climatica”.

Dalla lettura di questa proposta e da altri atti della Commissione risulta che la prima risorsa propria dell’Unione dovrebbe essere fornita dalle entrate derivanti dal Carbon Border Adjustment Mechanism[5] che prevede l’imposizione di un dazio di natura doganale. La novità è quella di essere un diritto dogale introdotto secondo la procedura legislativa ordinaria, senza il consenso unanime dei Paesi membri. 

La seconda risorsa in tema ambientale è legata all’obiettivo di raggiungere entro il 2050 la neutralità quanto all’emissione di carbonio. Lo strumento di controllo dell’Unione Europea è costituito dall’ Emissions Trading System[6] (ETS) che dovrà essere esteso, in parallelo al sistema già esistente, anche al trasporto e al riscaldamento, prevedendo un’imposta del quale l’acquisto dei permessi è a carico di produttori e importatori che poi trasferiranno il costo sui consumatori finali con un meccanismo simile alla Carbon Tax.

Queste entrate, secondo la dottrina maggioritaria, sono delle risorse proprie dell’Unione e non una tassa o un’imposta perché tale entrata non colpisce la manifestazione di ricchezza in funzione del dovere di solidarietà del soggetto obbligato, ma remunera solo l’attribuzione della titolarità di un diritto suscettibile di essere collocato sul mercato. Non dovrebbe avere, dunque, natura tributaria e quindi non è una disciplina assoggettabile alla regola dell’unanimità.

Un altro tipo di prelievo europeo corrisponde alla Web Tax, che si è tentato, finora senza successo, di applicare in Italia con la legge di bilancio del 2019. Tale tributo dovrebbe essere rivisto e ristrutturato seguendo le indicazioni della Commissione Ue che ha proposto, con una sua prima direttiva in materia l'assoggettamento a tassazione di tutte quelle prestazioni di un servizio digitale inteso come «servizio fornito attraverso Internet o una rete elettronica, la cui natura renda la prestazione. essenzialmente automatizzata e richieda un intervento umano minimo»[7].

Si tratta, insomma di ancorare la tassazione del c.d. e-reddito ad un concetto nuovo, sganciato dalla tradizionale nozione di stabile organizzazione e fondato, invece, su indici alternativi quali i ricavi derivanti tanto dalla fornitura di servizi digitali, quanto dal numero degli utenti e dai contratti conclusi online.

Poi vi è la Plastic Tax prevista dalla direttiva comunitaria 2019/904/904 Ue del 5 giugno 2019 e introdotta in Italia con la legge di bilancio del 2020, la cui istituzione, al pari delle precedenti, non dovrebbe avere natura tributaria e quindi non richiederebbe l’unanimità ex art. 311. Questo prelievo costituisce un mero criterio di commisurazione di trasferimenti finanziari aggiuntivi dovuti dagli Stati membri nei confronti dell’Unione Europea che non richiede agli stessi di introdurre Eco-tributi sulla tassa riciclata, ma lascia liberi loro di individuare i mezzi a far fronte al loro perseguimento.

Se si considera questa tassa come tributo avente finalità energetica, per la sua istituzione non è necessario il consenso unanime degli Stati Membri perché gli artt. 191, 192 e 194 del TFUE sanciscono, attraverso la formula “chi inquina paga”, i doveri dell’inquinatore di contribuire alle spese dell’ambiente con il pagamento di uno specifico tributo, appunto la Plastic Tax.

Questa ricostruzione fondata su tale principio è condivisa da tutta la dottrina sul fondamento che la competenza dell’Unione Europea, in materia ambientale, ha la sua base giuridica anche sul principio di sussidiarietà dell’art. 5 del Trattato sull'Unione europea (TUE), ove si sancisce che le istituzioni europee hanno pieni poteri di intervento qualora l’azione degli Stati membri risulti insufficiente ai raggiungimenti degli scopi del Trattato.

Si può affermare, in via generale,  che da una parte sono le comunità nazionali ad istituire tributi secondo i meccanismi propri di ciascuno Stato e che l’Unione Europea  ha solo il potere di richiedere l’introduzione di tributi in materie collegate alle sue funzione, ma non di imporli; e dall’altra parte, se tali tributi sono ambientali, questa regola non trova applicazione; infatti gli artt. 191, 192 e 194 del TFUE attribuiscono una delega “in bianco” all’Unione Europea che sfugge da questa regola generale. Questo spostamento “eccezionale” verso l’alto della soggettività tributaria attiva dev’essere sempre coerente con i principi costituzionali fondamenti degli Stati membri in cui risiedono i contribuenti.

Principi, questi, che la dottrina costituzionale è solita definire “controlimiti”. Esiste la possibilità di aumentare le risorse proprie destinate a favore il NextGenerationEU senza dover procedere ad una riforma dei trattati, ma solo con il voto a maggioranza del Consiglio e del Parlamento. Ciò può avvenire solo per i prelievi non aventi natura tributaria (ETS, PLASTIC TAX), perché l’istituzione di questi prelievi non richiede il voto unanime dei Paesi membri. Questo vale anche per i prelievi ambientali i quali, pur avendo natura tributaria, sono espressamente previsti dagli artt. 191, 192 e 194 del TFUE.

2. Sistema fiscale europeo

Sembra difficile puntare sin d’ora alla creazione di un robusto sistema fiscale europeo se per la materia tributaria non si sostituisce la regola del voto all’unanimità con quella del voto a maggioranza qualificata del Consiglio e Parlamento europeo e se non si abbandona in parte l’attuale assetto dell’Eurozona che è caratterizzata da una parte dalla centralizzazione delle politiche monetarie, e dall’altra dalla decentralizzazione delle politiche fiscali.

Il NextGenerationEU, le proposte di direttiva e la recente dichiarazione della presidente Ursula von der Leyen a favore di un fisco europeo rappresentano un timido segnale della volontà di muoversi nella direzione di munire l’Unione Europea di una propria autonoma capacità fiscale.

Affinché ciò avvenga è necessario che questa sia distaccata dalle politiche di bilancio dei singoli Stati membri, che sia accompagnata da un proprio budget, e infine che vi sia l’effettivo potere istituire democraticamente tributi propri utilizzabili per scopi specifici. Questa sembra essere è l’unica via percorribile se si vuole che il criterio di legittimazione della tassazione sia la rappresentatività di coloro che hanno il potere di imporla.

La strada da percorre per un’unione fiscale sarà lunga e ostacolata da sovranismi e nazionalismi. La pandemia è un’occasione, un’opportunità per rispondere agli effetti devastanti della crisi economica attraverso nuove fonti finanziarie, anche fiscali di ampio raggio; fonti che dovranno aggiungersi all’incremento dei trasferimenti degli Stati membri a favore del bilancio europeo per consentire sia all’Unione che agli Stati membri di fare la propria parte avendo i mezzi per realizzare le competenze assegnate. I probabili effetti saranno: l’accrescimento del potere del Unione Europea del suo complesso.

Finché dovrà applicarsi con pienezza il principio di unanimità, esso porterà in superfice la frattura tra chi vuole che il potere rimanga agli Stati membri e chi, invece, ritiene che sia necessario trasferire almeno una parte del potere fiscale alle istituzioni sovranazionali ricorrendo alla formula dell’“Europa a più velocità o l'Europa a due velocità” (chiamata anche Europa a geometria variabile).

Un fisco europeo è un passaggio essenziale perché l'Unione Europea prenda il posto dello Stato sociale come co-produttore di sicurezza per i suoi cittadini. Il gettito dei tributi europei dovrebbe, in particolare, essere destinato al finanziamento sia di quegli specifici interventi congiunturali, come sono quelli richiesti dall'attuale situazione, sia, in prospettiva, di un futuro piano europeo di sviluppo che dovrebbe avere di mira anche la copertura delle spese standard per la protezione sociale, fino a creare un giorno l'embrione di un vero e proprio bilancio federale.

È evidente che, se il debito è assunto a nome dell'UE, dovrà essere il bilancio di quest'ultima a garantirlo, non già i singoli bilanci dei suoi Stati membri. Il che non può che significare il raddoppio del bilancio europeo attraverso anche l'apporto di risorse proprie dell'Ue, inevitabilmente comprensive delle entrate fiscali.

Su questa linea si sono mosse le conclusioni del vertice di Bruxelles delle settimane scorse. Ciò non significa che nelle intenzioni della Commissione si debba andare necessariamente verso un radicale accentramento europeo delle politiche fiscali. Nel presente regime gli Stati membri devono mantenere, almeno nella forma, la loro piena sovranità fiscale. Avendo però essi deciso di dare vita ad un'Eurozona basata sulla centralizzazione della politica monetaria e sulla decentralizzazione delle politiche fiscali, è inevitabile che queste ultime debbano essere nel tempo armonizzate in sede UE, al fine di renderle compatibili con la condivisione di una moneta comune.

3. Conclusioni

In conclusione pare evidente che la crisi pandemica ha reso ancor più manifesta questa contraddizione, perché la risposta alle conseguenze del Covid19 richiederà, come ha detto la Presidente della Commissione, la costruzione di un nuovo regime fiscale europeo che, pur non negando la responsabilità fiscale degli Stati, dovrà comunque consentire sia ad essi che all'UE di avere i mezzi per realizzare le competenze assegnate. La novità portata dalla pandemia sta nel fatto, eccezionale, che essa ha colpito la generalità degli Stati e, quindi, ha imposto di rispondere ai suoi effetti devastanti attraverso nuove fonti finanziarie sovranazionali di ampio raggio che dovranno aggiungersi all'incremento dei trasferimenti degli Stati a favore del bilancio europeo.

La conseguenza non può che essere l'accrescimento del potere fiscale dell'Unione nel suo complesso.


Note e riferimenti bibliografici

[1] NextGenerationEU è uno strumento temporaneo per la ripresa da oltre 800 miliardi di euro, che contribuirà a riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia di Coronavirus per creare un’Europa post COVID-19 più verde, digitale, resiliente e adeguata alle sfide presenti e future.

Il dispositivo per la ripresa e la resilienza metterà a disposizione 723,8 miliardi di euro di prestiti e sovvenzioni per sostenere le riforme e gli investimenti effettuati dagli Stati membri.

L'obiettivo è attenuare l'impatto economico e sociale della pandemia di coronavirus e rendere le economie e le società dei paesi europei più sostenibili, resilienti e preparate alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e di quella digitale.

Gli Stati membri stanno preparando i loro piani di ripresa e resilienza, che daranno diritto a ricevere finanziamenti nell'ambito dello strumento per la ripresa e la resilienza. Assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d'Europa (REACT-EU): NextGenerationEU stanzia anche 50,6 miliardi di euro per REACT-EU, una nuova iniziativa che amplia le misure di risposta alla crisi e quelle per il superamento degli effetti della crisi attuate mediante l'iniziativa di investimento in risposta al coronavirus e l'iniziativa di investimento in risposta al coronavirus Plus. REACT-EU contribuirà a una ripresa economica verde, digitale e resiliente.

Le risorse saranno ripartite tra: - il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR); - il Fondo sociale europeo (FSE); - il Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD). Tali risorse aggiuntive saranno erogate nel periodo 2021-2022.

Il NextGenerationEU assegnerà anche ulteriori finanziamenti ad altri programmi o fondi europei quali Orizzonte 2020, InvestEU, il Fondo per lo sviluppo rurale o il Fondo per una transizione giusta.

[2] In tale articolo si legge, infatti, che «L'Unione si dota dei mezzi necessari per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche» e che «Il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie». Il Consiglio, a sua volta, «deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell'Unione».

[3] European Green Deal (COM(2019)640) è una nuova strategia di crescita che mira «a rendere l'economia dell'Unione più competitiva ed efficiente sotto il profilo delle risorse» e abbia nel 2050 un impatto climatico pari a o privo di emissioni nette di gas a effetto serra. Sotto 10 specifico profilo fiscale, il Green Deal ha ribadito il ruolo cruciale della tassazione nella transizione verso una crescita europea più verde e più sostenibile e la necessità di allineare meglio i sistemi fiscali dei Paesi membri con gli obiettivi climatici dell'UE. Secondo la Commissione, riforme fiscali ben strutturate di questo genere dovrebbero ridurre le emissioni di gas a effetto serra e, perciò, contribuire ad una più equa transizione. L'obiettivo perseguito con questo nuovo atto è costruire un'imposta sul carbonio "pura", alternativa alla Carbon border tax, e perciò gravante su tutte le merci, comprese quelle prodotte nell'UE.

[4] In quanto si concentra sulle questioni ambientali e climatiche per sostenere l'impegno della Commissione nell'affrontare le sfide legate all'ambiente e conseguire gli obiettivi dell'UE di riduzione delle emissioni interne di gas a effetto serra e di riduzione dell'inquinamento atmosferico per il 2030

[5] Si tratta di un’imposta concepita per proteggere l’industria europea in fase di decarbonizzazione da quei competitor esterni che non sono soggetti ai rigidissimi obiettivi climatici dell’Unione.

[6] Il Sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union Emissions Trading System - EU ETS) è il principale strumento adottato dall’Unione europea per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 nei principali settori industriali e nel comparto dell’aviazione. Il sistema è stato introdotto e disciplinato nella legislazione europea dalla Direttiva 2003/87/CE (Direttiva ETS).

[7] Cfr. art. 7 del Regolamento d'esecuzione 282/2011UE.