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Pubbl. Mar, 8 Ott 2024

La non punibilità dell´omesso versamento per sopravvenienze all´effettuazione di ritenute e all´incasso di IVA

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Natascia Dell Avvocato
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Bari



Nel percorso di analisi dell’istituto della non punibilità con riferimento, in particolare, ai reati di omesso versamento, si nota come il recente “decreto sanzioni”, attuativo della legge delega 111/2023, abbia riportato in auge una problematica non nuova nel diritto penale tributario, tangente il controverso rapporto tra crisi d’impresa e reati fiscali. Il nuovo comma 3-bis di cui all’art. 13, nonostante si presenti come un primo passo risolutivo di una complessa tematica, non riesce a contenere tutta la gamma di sopravvenienze possibili. Il timore, stimolo di analisi, è che si tratti dell’ennesima occasione andata per offrire risposte ad una problematica sociale ed economica attuale e di rilievo.


ENG

The non-punishability of the failure to pay due to events arising instead of withholding and VAT payment 

In the course of analyzing the concept of non-punishability, particularly in relation to the offenses of omitted payments, it becomes evident that the recent ”sanctions decree,” implementing the enabling law n. 111 2023, has revived a long-standing issue in tax criminal law, touching on the contentious relationship between business crises and tax crimes. The new paragraph 3-bis of Article 13, although presented as a first step toward resolving a complex issue, fails to encompass the full range of possible contingencies. The concern, which drives this analysis, is that this may represent yet another missed opportunity to provide solutions to a pressing and significant social and economic issue.

Sommario: 1. Cenni sull’audace introduzione di cause di non punibilità nel sistema penale tributario; 2. L’art. 13 d.lgs. 74/2000 e la sua centralità nella legge delega di riforma fiscale; 3. Peculiarità strutturali dell’omesso versamento di ritenute e di IVA; 4. Conflitto teorico tra prassi e giurisprudenza: l’inadempimento dei contribuenti e il “pugno duro” dei giudici; 5. Il legislatore in soccorso con il nuovo comma 3-bis; 6. Conclusioni.

1. Cenni sull’audace introduzione di cause di non punibilità nel sistema penale tributario

La confusionaria opera edificatoria che il legislatore ha tentato di condurre sin dalla L. n. 4/1929, coniugando la complessa materia penale alla ancora poco esplorata disciplina tributaria, culmina la posa delle sue fondamenta con la Legge delega 25 giugno 1999, n. 205, caposaldo sul quale si è poi costruito il primo vero e particolarissimo sistema punitivo fiscale.

Considerando che il diritto penale, inteso come strumento di intimidazione finanziaria, necessita di essere prudentemente calibrato ove esso sia «esclusivamente orientato alla monetizzazione della responsabilità dell’autore»(1), la coscienza giuridica dei nostri tempi si aspetta che l’ordinamento preveda appositi meccanismi premiali, tali da indurre il contribuente alla riparazione del proprio rapporto con il Fisco.

In tal senso si esprimeva già la citata Legge delega del 1999 che, tra i criteri direttivi, supponeva l’inserimento nella nuova disciplina penal-tributaria di «meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno», tuttavia senza specificarne la natura.

Attuando le direttive parlamentari, l’Esecutivo preferì optare per lo strumento delle "circostanze attenuanti", cercando di sconfessare un ipotetico effetto criminogeno, intenzione accuratamente testimoniata dalla Relazione ministeriale al d.lgs. 74/2000 (2); in esso tale scelta fu consacrata negli articoli 13 e 14, i quali prevedevano una diminuzione di pena in caso di “pagamento del debito tributario” e di “riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario”.

Sulla scia di questo timido indirizzo, risulta apprezzabile il cambio di rotta effettuato dal legislatore con il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158: il “pagamento tardivo” del debito tributario ha maturato la sua rilevanza divenendo, a talune condizioni, “causa di non punibilità”(3).

Negli anni l’obiettivo è stato quello di “scartare” la rilevanza penale della condotta attraverso una «piena soddisfazione della pretesa erariale» (4), a patto che ciò avvenisse prima del procedimento penale.

2. L’art. 13 d.lgs. 74/2000 e la sua centralità nella legge delega di riforma fiscale

La letteratura scientifica che per prima si è cimentata nell’analisi della “non punibilità”, è partita dall’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità penale del contribuente: dall’imputabilità, passando per l’elemento soggettivo della colpa grave o del dolo, sino “all’assenza di cause di discolpa”(5).

L’art. 13 del d.lgs. 74/2000, al comma 1 conferisce al contribuente inadempiente la non punibilità per i reati cd. di versamento (di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1) se, «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari [...] siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti o a seguito dell’accesso a speciali procedure conciliative».

Il comma 2, invece, regola la non punibilità dei reati cd. dichiarativi (di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5) (6) «se i debiti tributari, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso (7) o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo».

Preme specificare che il “debito tributario”, presidiato dalle fattispecie penali di cui al d.lgs. n. 74/2000, è rivolto unicamente alle imposte dirette IRPEF ed IRES e all’indiretta imposta sul valore aggiunto, e che esso ricomprende oltre al quantum afferente all’imposta, anche le sanzioni amministrative eventualmente irrogate e gli interessi maturati.

Recentemente, l’art. 13 è stato oggetto di modifica con il d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, cd. “Decreto Sanzioni”(8) attuativo della Legge delega per la riforma fiscale n. 111 del 9 agosto 2023; questa ha impegnato il Governo all’adeguamento dei profili processuali e sostanziali connessi proprio alle ipotesi di non punibilità, oltre che all’applicazione di circostanze attenuanti con riferimento all’effettiva durata dei piani di estinzione dei debiti tributari, anche nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale.

Dalla lettura dei tratti salienti della Legge delega si percepisce un’esigenza di natura “riscossiva” da parte dello Stato, accompagnata dalla volontà di indurre il contribuente inadempiente alla consapevolezza del proprio errore, ciò in coerenza con l’evoluzione del diritto dalla matrice repressiva a quella riparativa.

In particolare, il d.lgs. 87/2024, scritto per il soddisfacimento del Titolo III della Delega (9), ha inteso ampliare il ventaglio di ipotesi di non punibilità, normando anche le fattispecie di “cause non imputabili all’autore del reato” e di “particolare tenuità del fatto”, con l’introduzione, rispettivamente, dei commi 3-bis e 3-ter all’art. 13 d.lgs. 74/2000.

In questo modo si conferma la scelta politica, riscontrabile già negli interventi del 2015 (10) e del 2019 (11) di voler «favorire istituti volti a valorizzare la “resipiscenza” del contribuente, previo pagamento all’Erario delle somme dovute in conseguenza dell’evasione fiscale»(12).

3. Peculiarità strutturali dell’omesso versamento di ritenute e di IVA

Nonostante nella disamina dell’art. 13 si sia fatta menzione della preoccupante tipologia dei reati di tipo dichiarativo, in questo lavoro si intende focalizzare l’attenzione sulle cause di non punibilità̀ attinenti ai soli reati di omesso versamento.

Si tratta delle violazioni fiscali disciplinate dagli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1 d.lgs. 74/2000, che rispettivamente trattano l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate, l’omesso versamento di IVA e l’indebita compensazione.

In termini preliminari si deve considerare che la fattispecie di omesso versamento di ritenute (art. 10-bis) comprende in sè le sole ritenute d’acconto, in quanto le ritenute definitive si applicano in misura prevalente ai redditi di capitale; per questo, stando alla prassi, è meno probabile che l’intermediario finanziario manchi di versare tali ritenute definitive, fermo restando che queste non danno diritto allo scomputo in capo al sostituito.

Quanto all’omesso versamento di ritenute, si è pensato di rafforzare la reazione sanzionatoria con la norma penale. Il disvalore di tale condotta, registrando la fattispecie in oggetto il solo caso di ritenuta d’acconto e assegnando ai “sostituiti” il diritto di scomputare tale somma dalle loro imposte da versare, si traduce in un mancato incasso per il Fisco.

D’altro canto, la causa scatenante la reazione penale per le fattispecie di omesso versamento di IVA (art. 10-ter) è riscontrabile, ad esempio, nelle frodi carosello, fenomeno da intendersi come l’omesso versamento da parte di un soggetto che emette fattura e che assegna il diritto di detrazione a terzi (13).

Significativa è la disciplina amministrativa in ordine all’omesso versamento, che conduce ad una risposta sanzionatoria, seppur calibrata ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 471/1997(14), in presenza di una violazione di qualsiasi cifra; mentre, una prima caratteristica strutturale di queste fattispecie in ambito penale consiste nella previsione di “soglie di punibilità” (15).

Con il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 tali soglie sono state significativamente aumentate: a centocinquantamila euro per le ritenute e a duecentocinquantamila euro per l’IVA; ciò con l’obiettivo di escludere dall’area penale contribuenti inadempimenti per importi contenuti, nella lodevole ottica di limitare il diritto penale a condotte caratterizzate propriamente dalla fraudolenza.

Seconda peculiarità delle fattispecie penali di omesso versamento di ritenute e di IVA consiste nella previsione di una scadenza allargata (rispetto alla configurazione dell’illecito amministrativo) che il recente d.lgs. 87/2024 ha fissato al «31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale (di sostituto di imposta)».

Continuando la lettura normativa rileva il dato secondo cui le fattispecie di omesso versamento non sono punibili se il debito tributario sia «in corso di estinzione mediante rateazione, ai sensi dell’articolo 3-bis del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462».

Le comunicazioni di irregolarità ai sensi dell'art. 36-bis d.P.R. 600/1973, di norma, sono trasmesse ai contribuenti prima che inizino a decorrere i termini di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo. Ciò lascia intendere che il contribuente, dal momento in cui riceve la comunicazione di irregolarità sino a quando si consuma il reato, avrà sei mesi di tempo per aderire al piano rateizzato (inclusivo della sanzione amministrativa). Vi è, dunque, una elevata probabilità che il soggetto non giunga a subire una sanzione penale per omesso versamento beneficiando del piano rateizzato.

Il legislatore, ostentando accortezza, si è preoccupato di prevedere il caso in cui il contribuente manchi di diligenza nel rispetto del piano di rateizzazione. Nella prassi, difatti, accade che taluni soggetti versano un esiguo numero di rate al solo obiettivo di porre un freno alle misure dell’Agente della riscossione. La nuova lettera b), comma 1, articolo 10-bis prevede che il contribuente che decada dal beneficio della rateizzazione resta in ogni caso al di fuori dall’area penale se l’ammontare del debito residuo sia inferiore ai cinquanta mila euro per le ritenute e settantacinque mila euro per l’IVA.

La lettera b) però, così come è stata coniata, appare un’infruttuosa riconferma della presenza di soglie di punibilità, grazie alle quali, infatti, il contribuente già poteva sottrarsi alla sanzione penale semplicemente riducendo l’ammontare al di sotto di dette soglie di punibilità.

Da ultimo, prendendo in considerazione la fattispecie di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, comma 1 all’art. 13 del d.lgs. 74/2000, risulta una produzione normativa che non consente l’esimente(16), rientrando questa fattispecie «nei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento o comunque dal pagamento»(17).

4. Conflitto teorico tra prassi e giurisprudenza: l’inadempimento dei contribuenti e il “pugno duro” dei giudici

Dall’analisi delle caratteristiche strutturali richiamate, appare intuibile che i reati di versamento non necessariamente sono il riflesso di una “volontà evasiva” (rectius: fraudolenza), tuttalpiù̀ possono scaturire da una qualsiasi congiuntura economica negativa, da una crisi economica improvvisa (si pensi alla crisi pandemica da Covid-19) o da una mala gestio del contribuente, sia esso persona fisica o giuridica.

Nella realtà giudiziaria sono numerosi i contribuenti che, sottoposti alle indagini o già imputati, hanno cercato di evitare la condanna penale invocando la forza maggiore - tema sul quale si è discusso e si è scritto copiosamente - con l’obiettivo di godere dell’esimente di cui all’art. 45 C.p. in presenza di un omesso versamento collegato ad una crisi economica o di liquidità.

Sono state due le fasi della giurisprudenza che si sono avvicendate nel tempo, le quali hanno registrato un approccio prima più restio e dopo dal passo più garantista nei confronti della crisi aziendale, che può colpire il contribuente-imprenditore nel corso della sua vita d’impresa.

Intransigente si è mostrata sin da subito la suprema Corte, con particolare riferimento alla possibilità di ritenere non penalmente rilevante la condotta di omesso versamento di Iva e di ritenute fiscali, nel caso in cui tale inadempimento sia stato determinato da una crisi economica e, in particolare, dalla carenza di liquidità che connota la posizione del contribuente che svolga attività di impresa (18).

Difatti, per buona parte dell’ultimo decennio, è stato vittorioso l’orientamento volto a escludere qualsivoglia efficacia di esimente alla difficoltà finanziaria; in tal senso si è espressa la quasi totalità della giurisprudenza di legittimità(19), allegando in capo al soggetto tenuto al versamento dell’imposta un preciso “obbligo di accantonamento” delle risorse, in modo da poter garantire l'adempimento dell'obbligazione tributaria nel rispetto della scadenza ex lege prevista.

Questa inclinazione è certamente in linea con la qualificazione che la Corte di Cassazione(20) anzitempo ha fatto circa la “sopravvenuta crisi di liquidità dell’impresa”, ascrivibile, per l’appunto, alla mala gestio del contribuente imprenditore che, in quanto tale, non risulta capace di costituire causa scriminante della responsabilità.

Negli ultimi anni, però, in ragione della sempre più gravosa situazione economico finanziaria, si è assistito ad un graduale ripensamento rispetto all’indirizzo originario: salvo acclarate ipotesi sintomo di una intenzionata criminalità di impresa, si è avvertita la necessità di applicare la scusante della forza maggiore all’omesso versamento tributario, seppur limitandola al solo apparato sanzionatorio amministrativo.

La Corte di cassazione, tuttavia, ha specificato come la presenza di una grave crisi di liquidità non escluda tout court la punibilità del comportamento nelle ipotesi in cui «il mancato pagamento delle imposte dovute non sia stato adempiuto consapevolmente»(21).

Invero, per la suprema Corte, ai fini della non punibilità per forza maggiore, non è sufficiente la presenza di una “mera difficoltà” per porre in essere il comportamento omissivo (22). Occorre, piuttosto, la specifica dimostrazione che il mancato versamento «sia dipeso da fatti non imputabili al contribuente imprenditore»(23) e che a questi non sia stato possibile porre rimedio per cause indipendenti dalla propria volontà, avendo messo in atto tutte le azioni a tal fine necessarie, compreso il servirsi del proprio patrimonio personale (24).

5. Il legislatore in soccorso con il nuovo comma 3-bis

Da ultimo, il legislatore delegato è intervenuto sulla questione esposta cercando di chiarire una problematica comune a migliaia di contribuenti, in ossequio alla Legge delega n. 111/2023 che, tra i criteri direttivi, aveva previsto di attribuire specifico rilievo alla generale ipotesi di sopravvenuta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo non dipendente da fatti imputabili al soggetto contribuente.

Questo criterio, infatti, si è tradotto nell’inserimento del comma 3-bis all’art. 13, d.lgs. 74/2000 con il d.lgs. n. 87 del 29 giugno 2024. In tale nuovo riferimento normativo è specificatamente prevista la non punibilità per le fattispecie di omesso versamento di ritenute e di omesso versamento di IVA, di cui agli articoli 10-bis e 10-ter «se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto».

Nel secondo periodo del comma 3-bis il legislatore si lascia a talune individuazioni concrete di sopravvenienze involontarie e tra queste cita: «la crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi».

Alla luce del recentissimo dettato normativo, altrettanto recente è la prima pronuncia della Corte di cassazione con la quale è stata sancita la non punibilità per omesso versamento di IVA per un imprenditore trovatosi «in crisi di liquidità a causa del fallimento del mono-committente»(25).

È lampante il rilievo attribuito al profilo dell’impossibilità concreta di pagare le imposte, a seguito dell’introduzione nell’ordinamento di una causa di non punibilità per crisi di liquidità non transitoria.

6. Conclusioni

Con queste novità pare cristallizzato l’orientamento giurisprudenziale(26) che, in limitatissimi casi già dava luogo alla non punibilità per “forza maggiore”, ove l’inadempimento derivasse da fatti non imputabili all’imprenditore e «la crisi di liquidità fosse innescata dal mancato incasso di crediti da parte della Pubblica Amministrazione» o «dalla non esperibilità di azione idonee al superamento della crisi» (27).

Va qui considerato, però, che nell’eventualità in cui la crisi di liquidità non venga innescata dal mancato incasso di crediti, bensì da una crisi economica (28), il problema resta aperto; il rischio, dunque, è che nelle aule giudiziarie si tiri nuovamente in ballo “l’obbligo di accantonamento”, proseguendo per la strada della punibilità di quei contribuenti oggettivamente impossibilitati all’esborso di ingenti somme di denaro, seppur in un determinato periodo storico della loro attività.

In definitiva, le porte della giurisprudenza sul tema pare che continuino ad essere sprangate, salvo ipotesi sporadiche e colme di limiti.

Giustificabile è la ratio dell’unanime e tenace indirizzo descritto, il quale continua ad affondare le sue radici nella più ampia tutela richiesta dall’interesse statale, nonché unionale, alla puntuale ed effettiva percezione dei tributi. D’altro canto, a bussare a quelle stesse porte vi sono imprenditori che nelle difficoltà economiche si trovano a dover scegliere il male minore a cui soccombere tra il decreto ingiuntivo da parte di un creditore e l’informazione di garanzia da parte dell’amministrazione finanziaria, altro loro grande creditore.

L’auspicio è che laddove il legislatore nazionale continui a mostrarsi sordo alle necessità derivanti dalla naturale altalenante attività di impresa, possa parallelamente scaturire una più ampia sensibilità al tema della giurisprudenza in un contesto di evidente crisi economica e finanziaria.


Note e riferimenti bibliografici

(1) Così scrive con estrema lucidità F. CONSULICH, La lunga marcia del diritto penale tributario, dalla periferia al centro del sistema penale, in Cassazione Penale, fasc. 10, 1° ottobre 2023, pag. 3477.

(2) In questo senso recita la Relazione ministeriale al d.lgs. 74/2000, in Finanza e Fisco, 15, 2000, 2089: «in materia di criminalità economica, e tributaria in particolare - laddove vengono in giuoco interessi di natura prettamente patrimoniale - una simile soluzione (non punibilità o prescrizione del reato) finirebbe per frustrare la comminatoria di pena, se non anche per sortire un effetto 'criminogeno', in quanto consentirebbe ai contribuenti di “monetizzare” il rischio della responsabilità penale, barattando, sulla base di un freddo calcolo, la certezza del vantaggio presente con l'eventualità di un risarcimento futuro privo di stigma criminale».

(3) Cfr. Relazione Ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 158/2015, la quale prevede che «per taluni reati, l’introduzione di cause di non punibilità, trova la sua giustificazione politico-criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della condotta attraverso una piena soddisfazione della pretesa erariale purché ciò avvenga, evidentemente, prima del processo penale».

(4) Cfr. Relazione Ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 158/2015.

(5) Delinea in negativo la presenza di cause di non punibilità ai fini della responsabilità penale del contribuente M. LOGOZZO, Le cause di non punibilità, in Trattato di Diritto Sanzionatorio Tributario, Tomo I - Diritto Penale e Processuale – Giovannini A., Martino A., Marzaduri E. (a cura di), Giuffrè Editore, Milano, 2016, pag. 1463 ss.

(6) È doveroso precisare che la non punibilità dei reati dichiarativi di cui al comma 2 dell’art. 13 d.lgs. 74/2000 è di recente introduzione ed è da collocare ad opera dell'articolo 39, comma 1, lettera q-bis), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla Legge 19 dicembre 2019, n. 157.

(7) La non punibilità delle condotte fraudolente, introdotta a seguito delle riforme recate dal D.Lgs. n. 158/2015 e dal D.L. n. 124/2019, rivela la «volontà del legislatore di favorire il ravvedimento operoso, eliminando la rilevanza penale del fatto antigiuridico a fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso». Sul tema meritevole di attenzione risulta il contributo di M. ANTONINI, P. PIANTAVIGNA, Ravvedimento operoso: ripetibilità delle somme indebitamente versate tra violazioni sostanziali e formali, in Corriere Tributario, fasc. n. 5/2023, pag. 453 e ss.

(8) D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, “Revisione del sistema sanzionatorio tributario”, ai sensi dell'articolo 20 della legge 9 agosto 2023, n. 111. (24G00103), pubblicato in GU n.150 del 28-6-2024.

(9) Il Titolo III contiene disposizioni volte a favorire la revisione degli adempimenti tributari, concordato preventivo biennale per i contribuenti minori, rafforzamento della cooperative compliance per i contribuenti di grandi dimensioni; e ancora, di un procedimento di riscossione, contenzioso tributario e altre disposizioni finalizzate alla revisione e alla razionalizzazione del sistema sanzionatorio tributario.

(10) Cfr. art. 11, comma 1 del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

(11) Cfr. art. 39, commi 1, lettera q-bis, e 3 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157.

(12) Così A.F. URICCHIO, in Manuale di Diritto Tributario, Cacucci Editore, Bari, 2020, pag. 440, l’autore valorizza il concetto di “resipiscenza”, già protagonista indiscusso della scena penal tributaria nazionale e internazionale.

(13) Contemporanea e accurata è la riflessione sul tema di F. GRAGNOLI, La tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea e il c.d “VAT gap" - The protezione of the financial interests of the European Union and the so-called “VAT gap”, in Rivista della Corte dei Conti, 2023, fasc. 3, pag. 103 - 118.

(14) Decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q) , della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

(15) Cfr. Relazione Ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 158/2015, la quale prevede che «per taluni reati, l’introduzione di cause di non punibilità, trova la sua giustificazione politico-criminale nella scelta di concedere al contribuente la possibilità di eliminare la rilevanza penale della condotta attraverso una piena soddisfazione della pretesa erariale purché ciò avvenga, evidentemente, prima del processo penale».

(16) In questo senso G. TURRI, I reati penali tributari nella disciplina del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 - Parte terza, in Diritto e Pratica Tributaria 1/2024, pag. 322.

(17) Cass. pen., sez. III, 10 giugno 2020, n. 17806.

(18) C. SANTORIELLO, L'eterno pendolo della Cassazione fra severità e blandizie nei confronti del contribuente evasore, commento a Cassazione penale sez. III, 19/01/2016, n. 9936, in IUS Tributario, 6 maggio 2016.

(19) Ex multis, vd. Cassazione pen. Sez. III, 09/11/2017, n.11035, in Guida al diritto 2018, 15, pag. 88 (Omesso versamento IVA: la "crisi di liquidità" del debitore non è idonea a escludere la punibilità del reato); più recentemente vd. Cassazione pen., Sez. III, 18/10/2022, n.45427, in IUS Tributario 14 luglio 2023 (in caso di omesso versamento dell'IVA la crisi di liquidità non esclude la punibilità tributaria).

(20) Cass. pen., sez. III, 27 novembre 2013, n. 3124 21 Cass. civ., sez. V, 11 giugno 2021, n. 16517.

(21) Cass. civ., sez. V, 11 giugno 2021, n. 16517.

(22) Cass. pen., Sez. III, 13 marzo 2020, n. 9960.

(23) Cass. pen., Sez. III, 17 settembre 2019, n. 38482 24 Cass. pen., Sez. III, 21 marzo 2019 , n. 23796.

(24) Cass. pen., Sez. III, 21 marzo 2019 , n. 23796.

(25) Cass. pen., Sez. III, sent. n. 30532/2024.

(26) Ex multis, cfr. Cassazione penale sez. III, 13/12/2019, n.15218, in Diritto & Giustizia 2020, 18 maggio: «L’inadempimento agli obblighi tributari penalmente rilevanti può essere ricondotto all'art. 45 c.p. solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause imprevedibili, non dipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico».

(27) Cfr. Cass. civ., sez. V, 06/04/2022, n.11111, in Giustizia Civile Massimario 2022.