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Pubbl. Lun, 10 Ott 2022
Sottoposto a PEER REVIEW

Le potenzialità del fintech al servizio della transizione verde

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Benedetto Losacco



La crescente produttività manifestata dall’industria del “fintech” (termine che, traendo origine dalla crasi delle parole “finanza” e “tecnologia”, evoca l’impiego, nella pratica sempre più pregnante, delle innovazioni tecnologiche nelle attività bancarie e finanziarie), anche dettata dall’esigenza di limitare i contatti tra persone e, così, contrastare la pandemia da Covid-19, ha dimostrato di poter costituire, oltre che un settore altamente competitivo, un fattore trainante verso uno sviluppo economico sostenibile.


ENG

The potential of fintech at the service of the green transition

The growing productivity manifested by the “fintech” industry (a term that, deriving from the crasis of the words “finance” and “technology”, evokes the use, in increasingly meaningful practice, of technological innovations in banking and financial activities), also dictated by the need to limit contacts between people and, thus, to combat the Covid-19 pandemic, has shown that it can constitute, as well as a highly competi-tive sector, a driving factor towards sustainable economic development.

Sommario: 1. Inquadramento del tema e stato dell'arte; 2. I servizi di pagamento elettronico; 3. I servizi di moneta elettronica; 4. Il “crowdfunding”; 5. I contratti finanziari e assicurativi automatici; 6. I servizi collegati alla moneta virtuale e ai token; 7. La gestione di patrimoni e analisi finanziarie robotizzate; 8. Conclusioni

1. Inquadramento del tema e stato dell’arte

Per favorire la transizione digitale in campo bancario e finanziario, il Decreto 11 marzo 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 105 del 6 maggio 2022, ha attuato le disposizioni del PNRR in materia di “finanziamento delle startup” ed istituito il “Digital Transition Fund”1, destinato a sostenere imprese operanti nella filiera del fintech, come pure dell’intelligenza artificiale, della cybersicurezza, della tecnologia “blockchain”2 e della c.d. “Industria 4.0”3.

L’interesse verso la nascita e lo sviluppo di nuove fintech è stato rivelato anche dalla Banca d’Italia, la quale, in collaborazione con la “Innovation Hub” della Banca dei Regolamenti Internazionali (B.R.I.), ha indetto nel 2021 (proprio in concomitanza con la presidenza italiana nel G20) il “G20 TechSprint 2021”, una gara internazionale volta a stimolare, da parte di innovatori, startupper, sviluppatori, data scientist e designer, l’elaborazione di soluzioni tecnologiche innovative al fine di risolvere tre problemi operativi nell’ambito della finanza ambientale: 1) la contestuale raccolta, verifica e condivisione di dati; 2) l’analisi e la valutazione dei rischi di transizione e dei rischi fisici legati al clima; 3) il migliore collegamento fra progetti e investitori4.

Emerge e si distingue, pertanto, una nuova specie di impresa finanziaria innovativa, la c.d. “green fintech”: un’impresa in grado di offrire servizi finanziari e, al contempo, di contribuire alla creazione di un ambiente finanziario sostenibile, sensibilizzando i clienti ad assumere comportamenti responsabili sia in qualità di consumatori (stimolando all’acquisto di prodotti e servizi a limitato impatto ambientale), sia come risparmiatori (garantendo che i depositi vengano impiegati per finanziare attività imprenditoriali “green”), sia, da ultimo, come investitori (proponendo prodotti di investimento rispettosi dei cc.dd. “criteri E.S.G.”5).

Benché in Europa, solo nel 2018, gli investimenti nelle imprese fintech abbiano superato i 34 miliardi di dollari6, la regolamentazione della materia si presenta ancora piuttosto frammentaria, sia a livello nazionale che sovranazionale. Ad essa sono riconducibili attività di intermediazione finanziaria in senso stretto (quali i servizi di pagamento, di reperimento di risorse finanziarie e di investimento) e attività prettamente strumentali alle prime.

Tra i lavori più rilevanti compiuti dalle Istituzioni dell’U.E. in materia di fintech si rammentano: il “Libro Verde sui servizi finanziari al dettaglio” e il “Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali”, elaborati dalla Commissione UE nel 2015, nonché il “Piano d’azione riguardante i servizi finanziari destinati ai consumatori” e il “Piano d’azione per le tecnologie finanziarie”, predisposti dalla stessa Commissione rispettivamente nel 2017 e nel 2018.

Nello specifico, con il Piano d’azione fintech messo a punto dalla Commissione, si è inteso promuovere l’adozione di modelli di business innovativi (fra i quali, peculiare attenzione è dedicata al “crowdfunding”, con la predisposizione di un Regolamento finalizzato a munire gli operatori del mercato di un “passaporto” atto a consentire l’esercizio di tale attività nel territorio dell’U.E.7) e potenziare gli strumenti di “cybersecurity”.

Per disciplinare l’aspetto regolatorio della materia, il Piano d’azione fintech ha, inoltre, attribuito incarichi congiunti alle tre autorità di vigilanza comunitarie in materia (l’E.S.M.A. nel settore finanziario, l’E.B.A. nel settore bancario e l’E.I.O.P.A. nel settore assicurativo), così da giungere all’elaborazione di linee guida8.

2. I servizi di pagamento elettronico

La disciplina europea dei servizi di pagamento elettronico è contenuta nella Dir. 2015/2366/UE (meglio nota come “P.S.D.2”), recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 218/2017. Tale normativa fa riferimento a “tutti i servizi di pagamento elettronici”, individuati per contrapposizione a quelli connaturati dal trasferimento di fondi sotto forma di banconote e monete o basati sull’impiego di supporti cartacei, quali assegni, cambiali, pagherò, voucher o carte ad uso interno9. Essa rappresenta il frutto di un lungo percorso di armonizzazione europea delle regolamentazioni nazionali relative a servizi che, in quanto erogati per lo più online, ontologicamente non conoscono confini.

Il Legislatore europeo pare aver evitato volutamente una definizione positiva di pagamento elettronico, in ragione della forte connotazione ed esposizione tecnologica del fenomeno in oggetto10: così facendo, ha preservato la disciplina dal rischio di un’immediata obsolescenza del supporto tecnologico da definire. Alla luce della normativa in vigore, quindi, si ritengono pagamenti elettronici quelli effettuati tramite carte (di debito o credito), dispositivi mobili o internet: tutte operazioni eseguite a distanza, senza supporto cartaceo e, comunque, attraverso l’intervento di un intermediario.

Gli strumenti di pagamento elettronico, quali le carte di credito, di debito e le prepagate, consentono di effettuare transazioni presso esercizi commerciali dotati di P.O.S. Le carte di debito, in particolare, permettono di compiere ulteriori operazioni dispositive, quali ricariche telefoniche o di carte prepagate.

Per “pagamenti mobile” (“m-payments”) si intendono, invece, le transazioni effettuate mediante smartphone o altri dispositivi portatili (tablet o smart objects indossabili), collegati a carte di pagamento tramite app funzionanti come portafogli digitali (cfr. PayPal, Google Pay, ecc.). Si definiscono “internet payments”, da ultimo, i pagamenti effettuati mediante P.C. o specifiche app connesse alla rete, come i servizi di “home banking”.

La disciplina in commento si focalizza, innanzitutto, sulla sicurezza delle transazioni, elevando gli standard di autenticazione online degli utenti e le garanzie degli stessi verso gli intermediari che dovessero processare pagamenti errati. A tal proposito, è stato implementato l’istituto della “Strong Authentication”11 (disciplinato dall’art. 97 della P.S.D.2), basato sull’autenticazione del cliente attraverso l’uso di due o più codici (“credenziali a doppio fattore”), riconducibili alle categorie della conoscenza (qualcosa che solo l’utente conosce, come una password), del possesso (qualcosa che solo l’utente possiede, come un token, del quale si discorrerà oltre, o una password monouso12) e dell’inerenza (qualcosa che caratterizza l’utente, come elementi biometrici): elementi fra loro indipendenti, in modo che la violazione di uno non comprometta l’affidabilità degli altri.

Ai sensi dell’art. 97 P.S.D.2, l’autenticazione forte va applicata quando l’utente accede al conto online, dispone un pagamento elettronico e/o effettua qualsiasi azione, tramite un canale a distanza, che può comportare rischi di frode o altri abusi. Per evitare tali rischi, i prestatori dei servizi di pagamento devono garantire uno screening delle operazioni in tempo reale, rilevando anomalie negli schemi di spesa o nel comportamento del cliente-pagatore, accessi insoliti al dispositivo utilizzato da quest’ultimo, presenza di possibili malware, geolocalizzazione anomala del cliente-pagatore o ad alto rischio del beneficiario.

In caso di pagamento inesatto o non autorizzato, grava in capo all’utente l’onere di disconoscere tempestivamente l’operazione. Pervenuta tale contestazione, spetta poi all’istituto di radicamento di conto dimostrare le corrette autenticazione, registrazione e contabilizzazione dell’operazione e, in difetto, rimborsare al cliente l’importo in questione. Il prestatore dei servizi di pagamento che abbia disposto un’operazione non autorizzata è tenuto, poi, a rifondere subito all’istituto di radicamento del conto le somme rimborsate da quest’ultimo al cliente, laddove, a sua volta, non abbia dimostrato (ex art. 10, comma 1-bis, d.lgs. 11/2010) che l’operazione era stata correttamente autenticata e registrata e non aveva subito le conseguenze di guasti tecnici o disservizi.

La scansione degli obblighi dei soggetti coinvolti nell’operazione di pagamento si riflette sulla corretta applicazione delle norme in materia di mora del debitore13. Ad ogni modo, la normativa europea in materia tende a tenere indenni sia il debitore-pagatore che il creditore-beneficiario, ponendo in capo ai relativi prestatori di servizi di pagamento la responsabilità della non corretta esecuzione dell’operazione, salvo prova contraria.

Oltre ai servizi di pagamento in senso stretto, la disciplina prevede anche servizi collaterali, quali:

  • il “servizio di informazione sui conti” (“account information service”), consistente nel fornire informazioni relative a uno o più conti detenuti dall’utente presso altri istituti (art. 4, par. 16, P.S.D.2);
  • il “servizio di disposizione di ordini di pagamento” (“payment initiation service”) relativamente ad un conto detenuto dall’utente presso un altro istituto (art. 4, par. 15, e art. 66 PSD2; art. 5-ter, D.Lgs. 11/2010);
  • il servizio di conferma di disponibilità dell’importo richiesto per eseguire una transazione mediante una carta emessa (“card issuer service provider”: art, 65, P.S.D.2; art. 5-bis, D.Lgs. 11/2010).

In quest’ambito, si delinea lo scenario noto come “open banking”, incentrato sull’imposizione alle banche, da parte dello Stato, del dovere di condividere informazioni sui conti, prima detenute in regime di esclusività.

Le novità inerenti all’impiego delle carte di pagamento consistono nel perfezionamento degli standard di sicurezza, attuato mediante la sostituzione della banda magnetica con microchip basati su sistemi di protezione crittografici, idonei a ridurre i rischi di frode e di clonazione.

Attraverso sistemi a radio frequenza, inoltre, la carta consente anche il pagamento “contactless”, ossia in modalità offline, di piccole somme (attualmente 50,00 euro), accostando la carta al P.O.S. senza inserire il P.I.N. L’esecuzione del pagamento in modalità offline non richiede l’autorizzazione dell’emittente al momento della transazione: la verifica di capienza rispetto al plafond disponibile avviene successivamente al pagamento, in modalità online. L’insolvenza del titolare è fatta rientrare, dunque, nell’area di rischio dell’emittente la carta.

3. I servizi di moneta elettronica

La prima regolamentazione della moneta elettronica risiede nella Raccomandazione della Commissione U.E. del 30 luglio 1997, in materia di operazioni mediante strumenti di pagamento elettronico. La disciplina nazionale attualmente vigente in materia è contenuta nel Titolo V-bis del T.U.B., già espressione di due direttive comunitarie (la Dir. 2000/46/CE del 18 settembre 2000, anche nota come “Prima Direttiva I.M.E.L.” o “E.M.D.”, e la Dir. 2009/110/CE o “Seconda Direttiva I.M.E.L.” o “E.M.D.2”) e si declina unitamente alla citata P.S.D.214.

Per moneta elettronica si intende, nello specifico, il «valore monetario memorizzato elettronicamente (…) rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento (…) e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente»(cfr. art. 1, comma 2, lett. h-ter, T.U.B.).

A differenza del mezzo di pagamento elettronico, la moneta elettronica consiste in una disponibilità monetaria, quantitativamente determinata, registrata su un supporto elettronico (c.d. “e-wallet”) fornito dall’istituto emittente, che, a sua volta, può consistere in un microchip inserito in una smart card oppure in un file allocato nell’hard disk di un P.C. o di un server (c.d. “software money”)15. Tale disponibilità monetaria va caricata sul supporto di memorizzazione da parte dell’utente, a fronte del versamento di un quantitativo equivalente di fondi in favore dell’istituto emittente. In questo modo, il valore monetario risulta “prepagato”16.

A differenza della criptovaluta (relativamente alla quale si discorrerà successivamente), la moneta elettronica è espressa in unità di moneta legale, che, d’altronde, non può più identificarsi con i “pezzi monetari”, ma come “disponibilità monetaria”17. Inoltre, considerato che la tecnica di circolazione di tale moneta si basa sull’attività di intermediari finanziari, l’utilizzo della stessa presuppone l’esistenza di una rete di convenzioni.  

In primis, l’interessato all’acquisto della moneta elettronica deve stipulare con il relativo emittente una “convenzione di rilascio”, avente ad oggetto, per l’appunto, il rilascio di moneta elettronica in cambio del relativo controvalore in contanti o in moneta scritturale (corrispondente al saldo del relativo c/c bancario); inoltre, l’impresa o il professionista interessato a ricevere pagamenti in moneta elettronica deve stipulare una “convenzione di accettazione” con un emittente che gli consenta, tramite un apposito software, di essere riconosciuto quale nuovo detentore della moneta elettronica spesa e, quindi, di ottenerne il rimborso o di spenderla nuovamente18. A tali convenzioni si aggiungono quelle tra intermediari, atte a disciplinare i rispettivi rapporti di debito-credito derivanti dai pagamenti in moneta elettronica eseguiti dai relativi clienti.

È evidente che lo strumento di pagamento in esame, rispetto a quelli cartacei o elettronici, permette l’immediatezza dell’accredito (potendo la moneta elettronica essere trasferita immediatamente dal titolare-pagatore al beneficiario) e il contenimento dei rischi di perdite in caso di utilizzo non autorizzato.

L’emissione di moneta elettronica è oggetto di una riserva di attività a favore di banche e intermediari specializzati, denominati Istituti di Moneta Elettronica o I.M.E.L. (cfr. art. 114-bis, comma 1, T.U.B.), ai quali è fatto divieto concedere «interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica» (cfr. art. 114-bis, comma 3, T.U.B.).

L’emissione di moneta elettronica può avvenire soltanto dopo la immediata trasformazione di «fondi ricevuti dal cliente» (cfr. art. 114-quater, comma 2, T.U.B.). Ad ogni modo, l’utente ha sempre diritto al rimborso della moneta legale: diritto che si prescrive nei termini ordinari ex art. 2946 c.c. (cfr. art. 114-ter T.U.B.).

La disciplina degli I.M.E.L. è in larga parte compatibile con quella degli Istituti di Pagamento (I.P.), contenuta nel Titolo V-ter del T.U.B. Entrambi sono soggetti alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia, subordinata all’accertamento di determinati requisiti organizzativi (cfr. art. 114-quinquies T.U.B.). Analogamente agli I.P., gli I.M.E.L. sono soggetti ad un regime di separazione patrimoniale-contabile rispetto ai fondi raccolti a fronte dell’emissione di moneta elettronica, dovendo annotare tra le poste passive di bilancio le somme ricevute dai clienti per detta emissione.

4. Il “crowdfunding

Per crowdfunding si intende la raccolta di risorse monetarie tra il pubblico finalizzata a realizzare un singolo progetto o attività, tramite un portale online. Nel crowdfunding di tipo finanziario, diversamente che nelle varianti di natura altruistica (c.d. “donation-based crowdfunding”) ovvero compensativa (c.d. “reward-based crowdfunding”), i sostenitori ottengono un rendimento sulle risorse investite, la cui alea economica dipende dal tipo di operazione di investimento realizzata19.

Nel “lending-based crowdfunding” (anche noto come “social lending”, “crowdlending”, “peer-to-peer lending” o, in forma abbreviata, “P2P lending”), la piattaforma abbina raccoglitori e prestatori di fondi che stipulano fra loro contratti di prestito. Si distinguono da essa il “debt-based crowdfunding”, in cui gli investitori finanziano la società emittente sottoscrivendo obbligazioni o titoli di debito, e l’“equity-based crowdfunding”, in cui la piattaforma seleziona investitori interessati a diventare soci della società emittente, attraverso la sottoscrizione di partecipazioni al relativo capitale.

Il P2P lending, in particolare, rappresenta una forma di finanziamento idealmente disintermediato, poiché accessibile non attraverso il circuito bancario, bensì mediante piattaforme elettroniche aperte, le quali consentono ad una pluralità di soggetti di richiedere a una pluralità di potenziali finanziatori fondi rimborsabili per uso personale o per finanziare un determinato progetto20. L’obbligo di rimborso della somma mutuata dal prestatore-utente grava direttamente sul prenditore-utente della piattaforma (che svolge un ruolo di mediatrice e servicer di servizi connessi alla fase precontrattuale).

Assume forme simili al P2P lending il c.d. “invoice trading”, consistente nella realizzazione di un finanziamento attraverso operazioni di cessione o sconto di fatture commerciali, anche individualmente e non in massa (come nel più noto factoring). In Italia, tale attività resta riservata ad investitori professionali21.

Data la riconducibilità di tale attività al genus del finanziamento, è escluso che essa possa ritenersi estranea ai vincoli imposti dagli artt. 11, comma 2, e 106, comma 1, T.U.B. per l’esercizio, nei confronti del pubblico, sia della raccolta del risparmio ex art. 11, comma 1, T.U.B., sia della concessione di finanziamenti. Perciò, la maggior parte dei gestori attivi in Italia risulta già autorizzata alla prestazione di servizi di pagamento, mentre la restante parte è iscritta nell’albo degli intermediari finanziari ex art. 106 T.U.B. od opera per il tramite di una S.G.R.

L’autorizzazione alla gestione di conti di pagamento permette (senza arruolare una banca nella gestione del processo come nel P2P lending c.d. improprio) di non incorrere nella possibile violazione delle riserve di attività relative alla raccolta del risparmio presso il pubblico e/o alla concessione di finanziamenti.

D’altronde, dato che l’art. 11, comma 2-bis e ter, T.U.B. non reputa raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi «connessa all’emissione di moneta elettronica» o «da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento», l’autorizzazione a operare come istituto di pagamento (o di moneta elettronica) legittima il gestore ad operare la movimentazione automatizzata dei flussi di denaro connessi ai prestiti erogati.

Le somme destinate ad alimentare i conti di pagamento non entrano nella disponibilità del gestore-istituto di pagamento con effetto traslativo della relativa “proprietà”. Infatti, ai sensi dell’art. 114-duodecies, comma 2, T.U.B., tali somme costituiscono per ciascun prestatore-cliente un autonomo patrimonio separato. Compito del gestore è, quindi, detenere tali fondi e sub-depositarli per conto terzi presso le relative banche il primo giorno successivo alla ricezione. In questo l’attività del gestore-istituto di pagamento si differenzia da quella della banca, la quale è legittimata ad utilizzare i fondi raccolti a proprio rischio22.

Il prenditore del prestito può sollecitare, presso una cerchia di per sé indeterminata di soggetti, adesioni a richieste di finanziamento facendosi carico dell’obbligo di rimborso. Come osserva, al riguardo, la Banca d’Italia, «[p]er non incorrere nell’esercizio abusivo della raccolta del risparmio, i prenditori si avvalgono esclusivamente di piattaforme che assicurano il carattere personalizzato delle trattative e sono in grado di dimostrare il rispetto di tale condizione anche attraverso un’adeguata informativa pubblica»23.

Sempre la Banca d’Italia riflette, poi, sull’opportunità che il gestore della piattaforma preveda limiti massimi di importo dei prestiti ottenibili sulla stessa, sì da «impedire ai soggetti non bancari di raccogliere fondi per ammontare rilevante presso un numero indeterminato di risparmiatori»24.

Ai prestatori, i gestori chiedono di rendere una dichiarazione di non professionalità nell’esercizio del credito, posto che l’eventuale esercizio di attività creditizia non autorizzata determinerebbe la nullità dei contratti conclusi dal prestatore per violazione dell’art. 1418 c.c.25. Gli stessi rilievi valgono con riguardo all’invoice trading.

Quanto all’attività dei portali che veicolano l’offerta di quote sociali (equity-based) o di titoli di debito (debt-based), essa resterebbe coperta da riserva di legge e oggetto di disciplina imperativa: si pensi agli istituti di offerta al pubblico di prodotti rappresentativi di capitale di rischio o di raccolta del risparmio (cfr. art. 11 T.U.B.). Non essendoci norme che prevedano agevolazioni o esenzioni, al riguardo, neppure in ambito europeo, tali attività devono rispettare le riserve di legge previste dal nostro ordinamento.

In Italia esiste una disciplina dell’equity-based crowdfunding di rango primario (artt. 1, comma 5-novies e 50-quinquies, e 100-ter T.U.B.) e secondario (Reg. 18592/2013 in materia di raccolta di capitali tramite portali online, ampliato, a seguito della Delibera Consob n. 21110/2019, in modo da includere in essa anche il debt-based).

Alla luce di tale disciplina, l’attività di crowdfunding si presenta come offerta al pubblico di prodotti finanziari finalizzati agli scopi in parola, amministrata da appositi gestori (soggetti a specifici requisiti organizzativi e patrimoniali, regole di condotta e poteri di vigilanza, iscritti nella sezione ordinaria di un registro tenuto dalla Consob e, comunque, esonerati dal rispetto delle disposizioni in tema di servizi e attività di investimento e di promozione e collocamento a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari ex art. 50-quinquies, comma 2, T.U.B.) o da banche/altri intermediari finanziari.

Le offerte sui portali sono esenti dall’obbligo di pubblicazione del prospetto e dagli altri obblighi informativi (art. 94 ss. T.U.F.), altrimenti stabiliti per l’offerta al pubblico di prodotti finanziari (artt. 100-ter, comma 1, e 100, comma 1, lett. c, T.U.F.), e richiedono la pubblicazione di un più semplice documento informativo non soggetto ad approvazione da parte della Consob.

È, tuttavia, in corso di approvazione una proposta di regolamento per fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese: la Proposta COM 2018/0048. Se adottata, tale regolamentazione permetterebbe di qualificare come investitore su piattaforma crowdfunding ogni soggetto che concede prestiti o acquisisce valori mobiliari e consentirebbe al gestore del portale di offrire i propri servizi nel territorio dell’U.E., previa autorizzazione dell’Autorità di vigilanza valida per ogni Stato membro.

Il crowdfunding è oggi disponibile per tutte le P.M.I., fintantoché rispettino il requisito dimensionale, nonché per le imprese sociali, gli O.I.C.R. ed altre società di capitali che investono prevalentemente in P.M.I. e può avere ad oggetto azioni, quote, obbligazioni, titoli di debito.

Quanto agli investitori, la normativa in vigore impone che il 5% degli strumenti finanziari offerti sul portale dall’emittente sia sottoscritta da investitori professionali o da particolari categorie individuate dalla Consob (cfr. art. 100-ter, comma 2, T.U.F.), quali fondazioni bancarie o investitori a supporto di startup innovative o PMI.

Gli investitori non professionali beneficiano di particolari cautele, fra cui la ricezione di informazioni di “investor education” e la verifica delle relative conoscenze ed esperienze in materia, della coerenza delle stesse con l’investimento e della capacità di sostenere l’eventuale intera perdita dell’investimento medesimo.

Per i gestori autorizzati, l’esercizio professionale di portali per la raccolta di capitali è subordinato a un articolato regime di autorizzazione, di organizzazione e di condotta, secondo un impianto simile per struttura a quello per l’esercizio dei servizi di investimento. Essi devono essere autorizzati dalla Consob all’iscrizione del portale nell’apposito registro, all’esito della verifica di specifici requisiti patrimoniali, di onorabilità e di professionalità, indicati nel Reg. 18592/2013.

5. I contratti finanziari e assicurativi automatici

I contratti “a conformazione e esecuzione automatica” sono scritti in linguaggio informatico e possono entrare in esecuzione e fare rispettare le proprie clausole sistematicamente, ossia senza l’intervento umano26. Trattasi, dunque, dei cc.dd. “smart contracts”, disciplinati dal d.l. 135/2018, convertito con L. 12/2019.

Lo schema dello smart contract implica la gestione programmata di un accordo già concluso dalle parti. La disciplina del contratto intelligente riguarda la fase dell’adempimento, non quella della formazione del sinallagma27.

Quanto alla stipula, è necessario che sia anzitutto intervenuta «l’identificazione informatica delle parti interessate», ex art. 8-ter, d.l. 135/2018, in base ai criteri che dovranno essere definiti dalle Linee Guida dell’Agenzia per l’Italia Digitale (Ag.I.D.). Inoltre, si richiede che le clausole contrattuali siano riportate in modo comprensibile, senza limitarsi ad una rappresentazione informatica delle stesse.

L’accordo (debitamente sottoscritto, verosimilmente, con firma elettronica) deve, poi, essere scaricato dalle parti su supporto informatico, in conformità alla normativa dei contratti conclusi on line a distanza tra le parti.

Una volta formato in ambiente blockchain, lo smart contract si auto-esegue al compimento delle condizioni programmate, al verificarsi delle condizioni programmate dalle parti, secondo la funzione logica “if-then”, e può essere monitorato da soggetti terzi rispetto alle parti ed esterni alla blockchain (i cc.dd. “oracoli”).

Secondo una recente stima, l’impiego degli smart contract nel settore bancario potrebbe determinare una riduzione sensibile dei tempi necessari per la concessione delle linee di credito e dei costi di istruttoria. Anche nel settore assicurativo, tali contratti permetterebbero ai clienti di beneficiare di sostanziali risparmi attraverso una migliore gestione dei rischi ed una conseguente riduzione dei premi.

Tra i contro, le difficoltà di modificare i contratti, ove se ne presenti la necessità, dovendo ricorrere al programmatore informatico che ha predisposto il codice dello smart contract, il fatto che il contratto può risultare adempiuto in termini solo parziali rispetto a quanto concordato senza che ciò comporti un vero e proprio inadempimento. Per ovviare alle controversie correlate a tali criticità si è pensato all’istituzione di appositi organismi di “online dispute resolution”28.

6. I servizi collegati alla moneta virtuale e ai token

Una definizione di moneta virtuale è contenuta nella Dir. 2018/843/UE: «rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Al tale definizione, di origine comunitaria, si uniforma quella prevista dall’ordinamento italiano, contenuta nel d.lgs. 231/2007, come modificato dal d.lgs. 90/2017, all’art. 1, comma 2, lett. qq.

Le valute virtuali non sono denominate in unità di conto aventi corso legale. A differenza di quanto previsto per la moneta elettronica, inoltre, l’emittente di moneta virtuale non assume l’obbligo di rimborsare il corrispettivo della stessa in moneta legale, a fronte della relativa restituzione29.

Sottoinsieme delle valute virtuali sono le “criptovalute”, caratterizzate dal mancato riferimento ad un’Autorità centrale, in applicazione del principio di “decentralizzazione”30. L’infrastruttura tecnologica che ne governa l’origine e la distribuzione è la c.d. D.L.T. (“distributed ledger technology”, posta anche alla base della già menzionata blockchain), della quale l’art. 8-ter, d.l. 135/2018 (introdotto dalla Legge di conversione 12/2019) fornisce una definizione valevole per l’ordinamento italiano.

Le criptovalute (termine utilizzato impropriamente, atteso che la dottrina ancora assimila queste a beni immateriali31, piuttosto che a vere e proprie valute) costituiscono, a loro volta, sottoinsieme delle cc.dd. “criptoattività”, comprendenti i già menzionati “token”: rappresentazioni digitali di valore che si servono della crittografia per attribuire, al relativo titolare, determinate situazioni giuridiche attive32. Dal punto di vista tecnico, i token non costituiscono altro che scritturazioni informatiche in favore di determinati partecipanti alla D.L.T.

Un token può costituire, dunque, la rappresentazione digitale di un asset esistente nella realtà o riguardare un bene digitale nativo. Il “Non Fungible Token” (N.F.T.), per esempio, consiste in un bene digitale unico e riconoscibile o può rappresentare un oggetto esistente nel mondo reale.

Quanto alle attività correlate alla distribuzione di criptoattività, non si può non menzionare la “Initial Coin Offering” (I.C.O.): una forma di crowdfunding che consente ai promotori di una data iniziativa di raccogliere fondi a fronte dell’emissione di una moneta virtuale o di token. Essa si concretizza quale forma di offerta al pubblico gestita in ambiente blockchain33.

Le tipologie di token distribuibili da una I.C.O. (che, in tal caso, può anche definirsi “Initial Token Offering” o I.T.C.) appartengono a due categorie: gli “utility token” e gli “asset token”. Gli utility token permettono di accedere digitalmente a determinati servizi o di acquistare beni disponibili sulla D.L.T. Non essendo progettati come strumenti di investimento, essi sono esonerati dal rispetto delle norme dettate in materia finanziaria.

Gli asset token, invece, sono collegati a beni commerciabili, ragion per cui possono essere definiti quali rappresentazioni digitali di asset, come azioni, obbligazioni o strumenti finanziari derivati. Ne consegue che tale categoria di token, essendo assimilabile a titoli e/o prodotti finanziari necessita di essere sottoposta alle norme che disciplinano tale materia34.

A monte, la I.C.O. pubblica sul proprio sito internet un documento (c.d. “white paper”) con la descrizione del progetto imprenditoriale (di solito, riguardante una tecnologia distribuita) e la richiesta al mercato di finanziarne la realizzazione attraverso l’acquisto di token. Se, alla scadenza del termine prefissato, la raccolta avrà raggiunto la somma minima (“min cap”), i sottoscrittori riceveranno i relativi token mediante l’attivazione di uno smart contract; in caso contrario, la raccolta s’intenderà fallita e i sottoscrittori verranno rimborsati35.

La I.C.O., quindi, non prevede l’attribuzione di partecipazioni nel capitale della società emittente o di un titolo obbligazionario, ma solo di token, contenenti, come detto, un insieme di informazioni digitali, registrate in blockchain, in grado di conferire determinati diritti ai relativi titolari.

Diversamente dalla I.C.O., la S.T.O. (“Security Token Offering”) ha lo scopo precipuo di collocare token rappresentativi di partecipazioni a società di capitali: i cc.dd. “security token”36. Anche l’offerta di token da parte della S.T.O. avviene all’esito della pubblicazione di un whitepaper e, anche in tal caso, quando l’investitore aderisce all’offerta di sottoscrizione, l’attribuzione in suo favore del token di riferimento avviene automaticamente, mediante uno smart contract che trasferisce il ridetto token nel wallet del sottoscrittore.

Descritti i fenomeni della I.C.O. e della S.T.O., è bene a questo punto precisare che, in Italia come nell’U.E., l’assenza di una disciplina uniforme concernente tali attività ha indotto il Parlamento europeo e il Consiglio a presentare una proposta di regolamento dedicato all’emissione e all’ammissione alla negoziazione delle criptoattività, al fine di proteggere gli investitori da sistemi fraudolenti: la Proposta di Regolamento “Markets in Crypto-Assets” (“M.i.C.A.”), pubblicata dalla Commissione Europea lo scorso 24 settembre 2020 e della quale si prevede l’attuazione nel 2024.

La ravvisata esigenza di normare adeguatamente le attività in rassegna promana dall’assunto per cui, nell’ordinamento italiano, il trasferimento di una partecipazione di S.r.l. si perfeziona sì con il consenso delle parti, ma postula, per potere essere opposto all’emittente e ai terzi, il rispetto di formalità che richiedono l’intervento di un soggetto terzo: un notaio o un soggetto abilitato a trasmettere al registro delle imprese un atto originariamente formato come documento informatico sottoscritto con firme digitali (cfr. art. 2470 c.c.), con la necessità che venditore e compratore siano presenti al momento dell’atto e che il professionista venga remunerato per l’attività di intermediazione espletata.

Nell’interrogarsi sulla conciliabilità dello strumento del token con la circolazione delle partecipazioni sociali, è bene considerare, inoltre, che il registro delle imprese, quale sistema centralizzato di raccolta di informazioni gestito da organismi di natura pubblicistica, non può essere sostituito da un registro costruito con tecnologia D.L.T., dovendo tale registro essere necessariamente intermediato da professionisti abilitati per legge a trasmettere atti di trasferimento di partecipazioni sociali.

Con l’attribuzione del token da parte dell’intermediario, mediante l’attivazione di uno smart contract, il sottoscrittore si vedrebbe riconosciuto lo status di socio. Ma tale token finirebbe per avere la valenza di mera certificazione comprovante la titolarità delle quote, come previsto dall’art. 100-ter, comma 2-bis, lett. b, n. 2, T.U.F.

Ci si domanda, allora, se, quantomeno in tema di circolazione delle azioni, sia possibile applicare la tecnologia D.L.T. nei rapporti tra intermediari e azionisti. È oggetto di indagine l’ipotesi dell’emissione di titoli azionari nominativi attraverso la creazione di token dotati di smart contract in grado di indentificare il relativo titolare, anziché imprimendoli su carta o su altri supporti sinora considerati idonei. Anche in tal caso, però, si dubita che una rappresentazione “tokenizzata” delle azioni possa dar corso alla circolazione delle stesse in conformità alle norme di legge. La circolazione dell’azione tokenizzata impedirebbe, infatti, la girata della stessa, come pure il transfert, che richiede la consegna del titolo e il possesso dello stesso ai fini dell’esercizio dei relativi diritti.

7. La gestione di patrimoni e analisi finanziarie robotizzate

In materia di c.d. “robo-advice” (consulenza robotizzata), è doveroso compiere una distinzione fra robo-advice pura, robo-advice ibrida e robo for advice, a seconda che, nell’attività de qua, la componente umana (cioè l’addetto dell’intermediario all’attività di consulenza sostanziale) sia del tutto assente, sia presente in alcune fasi del servizio intervallandosi con l’automazione o sia l’unica ad interagire con il cliente, relegando l’automazione al ruolo di mero supporto dell’essere umano37.

Invero, sia in Italia che nei maggiori paesi europei, il modello del robo-advice puro non è ancora operativo. In U.S.A., invece, non mancano anche esempi di questo tipo. Quanto all’inquadramento normativo nel quale ricondurre l’attività in questione, si fa riferimento alla disciplina del servizio di gestione di portafogli, la quale, in ragione dell’ineludibile componente gestoria, attribuisce all’intermediario la facoltà di svolgere di atti di investimento e di disinvestimento per conto del cliente, su base discrezionale e individualizzata e in virtù del mandato conferitogli da quest’ultimo38. Proprio per questo, non sarebbe agevole immaginare una discrezionalità di scelta basata su un rapporto fiduciario in capo ad un algoritmo39.

Una D.A.O. (“Decentralized Autonomous Organization”) costituisce un’organizzazione di gestione dei servizi in commento capace di autogovernarsi, in quanto basata sull’impiego di smart contracts per dare esecuzione alle operazioni. Si tratta di un’organizzazione decentralizzata, perché non vi è una persona o un’entità che la controlla, tanto che le decisioni vengono assunte dagli stessi partecipanti alla rete organizzativa senza che vi sia un centro decisionale a coordinarli, e autonoma, perché non è gestita da un determinato soggetto, ma da un un’infrastruttura D.L.T. In Italia, un’organizzazione di questo tipo potrebbe essere assimilata ad una OICR di cui all’art. 1, comma 1, lett. k, T.U.F.

Sempre più rilevante è, poi, l’impiego di algoritmi e modelli (“automated financial tools”) nelle varie forme di consulenza finanziaria, dall’asset allocation, al monitoraggio del risparmio, alle raccomandazioni agli investitori. Anche in tali attività sono contemplate forme “pure”, nelle quali il processo decisionale è interamente robotizzato, e forme “ibride”, ove l’automazione interessa solo talune fasi.

Fra le forme pure, si distinguono le piattaforme digitali con cui gli utenti si interfacciano senza intermediazione (i cc.dd. “client facing tools”). In esse, il centro di imputazione del rapporto contrattuale è il service provider, ossia il titolare della piattaforma, che però non interferisce nello svolgimento della prestazione, la quale resta interamente automatizzata.

Non va trascurato, quale vantaggio derivante dal ricorso a queste forme di consulenza, un sostanziale ridimensionamento dei costi di transazione. Tuttavia, la prassi ha confermato che sistemi robotizzati non sono sempre in grado di fronteggiare situazioni anomale, che solo un operatore diligente sarebbe in grado di gestire. Non sono da tralasciare, poi, possibili errori di programmazione degli strumenti automatizzati.

Si discute, oggi, sull’imputazione della responsabilità derivante dall’azione dannosa di un procedimento basato su sistemi di A.I. (intelligenza artificiale)40. Ci si domanda, al riguardo, se la responsabilità di un eventuale danno occorso al cliente debba essere ascritta a chi ha programmato il sistema automatizzato, al professionista che lo utilizza come strumento per lo svolgimento della prestazione o all’algoritmo stesso. Ebbene, deve certamente escludersi l’istituzione di uno specifico “status giuridico” per i robot (già, invero, lumeggiato dal Parlamento Europeo41), che permetta di ritenerli responsabili in proprio, per mezzo di un patrimonio a loro imputato, per il danno cagionato per effetto della loro attività. Si ritiene, invece, che al programmatore possa addebitarsi una responsabilità di tipo aquiliana, mentre al professionista una responsabilità contrattuale.

8. Conclusioni

Esplorate le potenzialità degli strumenti e delle tecniche fintech, attraverso l’excursus che precede, e considerata la notevole attenzione dedicata a tale settore dalle Istituzioni, nazionali e comunitarie, a mente dei progetti di regolamentazione e dei piani d’azione elaborati da queste ultime sino ad oggi, è ragionevole confidare che un impiego “ecologicamente orientato” delle nuove tecnologie all’interno delle attività bancarie e finanziarie, al servizio delle imprese, possa effettivamente agevolare una transizione economica sostenibile: e tanto, non solo per effetto del, pur consistente, risparmio di carta derivabile dal ricorso a strumenti di pagamento elettronico da parte dell’utenza, ma soprattutto (a titolo esemplificativo e non esaustivo) grazie alla possibilità degli istituti di credito di correlare il merito creditizio dell’impresa cliente al relativo “ESG rating”, nel processo di affidamento/finanziamento.

Ad incoraggiare il rappresentato proposito sono i dati. Secondo uno studio svolto dall’“Osservatorio Fintech & Insurtech” del Politecnico di Milano, infatti, all’interno dell’ecosistema fintech, circa il 27% delle startup rientra nella categoria “green & social” e si rivolge, in maniera proattiva, ad almeno uno dei 17 “Sustainable Development Goals” posti dalla “Agenda 2030” dell’O.N.U.42.

È rilevante osservare, al riguardo, che, fra i temi ai quali le “green fintech” guardano con maggiore interesse, figura, oltre all’auspicata riduzione delle diseguaglianze, la crescita economica ecologicamente responsabile menzionato nell’incipit del presente articolo. Per dare impulso a tali obiettivi prescelti, le green fintech hanno elaborato tre diversi modelli di business:

  • i “microfinance models” (elaborati per offrire servizi finanziari in favore di popolazioni non servite dal sistema finanziario tradizionale);
  • i “behaviour-based models” (volti ad incentivare i consumatori all’adozione di condotte rispettose dell’ambiente);
  • i “sustainability data valorization models” (finalizzati alla valorizzazione di dati relativi alla sostenibilità utili per la misurazione del c.d. “E.S.G. rating” di un’azienda, sempre più importante ai fini dell’attribuzione di un merito creditizio elevato da parte degli istituti bancari).

Note e riferimenti bibliografici

1 Fondo istituito e gestito da C.D.P. Venture Capital S.G.R., previa stipula di un apposito accordo finanziario con il Ministero dello Sviluppo Economico. La S.G.R. destinerà un importo pari ad almeno il 40% delle risorse conferite nel Fondo (euro 300.000.000,00) al finanziamento di piani di sviluppo nei territori delle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Non sono ammissibili al sostegno del Fondo attività connesse i) all’impiego di combustibili fossili, ii) al sistema di scambio di quote di emissione dell’U.E. (E.T.S.) che generino emissioni di gas a effetto serra non inferiori ai pertinenti parametri di riferimento, iii) all’utilizzo di discariche, inceneritori e impianti di trattamento meccanico biologico, iv) allo smaltimento a lungo termine dei rifiuti potenzialmente lesivo per l’ambiente.

2 Tecnologia alla base di un registro digitale “distribuito”, composto da blocchi fra loro concatenati, all’interno dei quali è possibile iscrivere dati. La sua origine è ricollegata alla creazione della più nota criptovaluta, il “bitcoin”, risalente al 31 ottobre 2008: data in cui fu pubblicato, sul sito “www.metzdown.com”, il documento noto come “Bitcoin: a Peer-to-Peer Electronic Cash System”, a nome di Satoshi Nakamoto (pseudonimo della persona o del gruppo di persone al quale è convenzionalmente attribuita l’invenzione di tale criptovaluta).

3 Concetto che rievoca la “quarta rivoluzione industriale”, ritenuta attualmente in atto e caratterizzata dalla progressiva implementazione di nuove tecnologie, tra cui I.o.T. (“Internet of Things”), il “cloud computing” e l’A.I. (“Artificial Intelligence”) e il “Machine Learning”, negli impianti di produzione industriale e nelle relative operazioni (definizione reperita sul sito www.ibm.com/it-it/topics/industry-4-0).

4 Banca d'Italia - Presentazione del G20 TechSprint 2021 (bancaditalia.it).

5 I criteri E.S.G., elaborati dall’O.N.U. già nel 2005, permettono di misurare la sostenibilità di un’azienda e sono rappresentati dai fattori ambientali (“environmental”), social (“social”) e di “governance”.

6 Dato elaborato da K.P.M.G. il 13 febbraio 2019.

7 Cfr. “Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese”, nata dalla presa di coscienza che undici Stati membri, fra cui l’Italia, hanno adottato regimi in contrasto tra loro, sì da ostacolare lo sviluppo di un mercato unico dei servizi di crowdfunding.

8 M. BIANCHINI, L’approccio eurounitario ai nuovi modelli di business del fintech, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

9 Considerando nn. 16 e 17, art. 3, lett. a, c, d, e, f, g, P.S.D.2.

10 L. MIOTTO, M. SPERANZIN, I pagamenti elettronici, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

11 Il Reg. delegato 2018/389/UE (RTS) ha integrato, a tal riguardo, l’art. 98, par. 4, P.S.D.2.

12 Tipica è la “One Time Password” (O.T.P.), generata tramite token e inviata all’utente tramite sms.

13 Al riguardo, Cass. Civ., Sent. n. 1545 del 22.05.2015 in Foro.it nonché A. SCIARRONE ALIBRANDI, L’adempimento dell’obbligazione pecuniaria tra diritto vivente e portata regolatoria indiretta della Payment Service Directive, in Il nuovo quadro comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di M. Mancini e M. Perassi, Banca d’Italia, Roma, 2008, 61 ss.

14 M. CUOMO, La moneta elettronica, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

15 M. SELLA, La moneta elettronica nel sistema bancario italiano, in La moneta elettronica: profili giuridici e problematiche applicative, a cura di S. Sica, P. Stanzione, V. Zeno Zencovich, Milano, 2006.

16 Cfr. Considerando n. 7, E.M.D.2.

17 A. DI MAJO, Obbligazioni pecuniarie, Torino, 1996, 51.

18 G. GUERRIERI, La moneta elettronica, cit., 67.

19 N. CIOCCA, I portali per il crowdfunding, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

20 Cfr. Banca d’Italia, Delibera n. 584/2016, sez. IX.

21 G. BALP, P2P lending e invoice trading, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

22 V. SANTORO, I conti, cit., 826, 824.

23 Del. Banca d’Italia n. 584/2016, Sez. IX.

24 Del. Banca d’Italia n. 584/2016, Sez. IX.

25 R. FEDERICO, Commento all’art. 106, in Commentario breve al Testo Unico Bancario, a cura di R. COSTI e F. VELLA, cit., 596.

26 Cfr. Banca d’Italia, Fintech in Italia. Indagine conoscitiva sull’adozione delle innovazioni tecnologiche applicate ai servizi finanziari” 2017, in www.bancaditalia.it, 31.

27 L. PAROLA, P. MERATI, G. GAVOTTI, Blockchain, cit., 685.

28 A.J. SCHMITZ, C. RULE, Online dispute resolution for smart contracts, in J. disp. res., 2019, 103 ss.

29 V. DE STASIO, Le monete virtuali: natura giuridica e disciplina dei prestatori di servizi connessi, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

30 M. CIAN, La criptovaluta. Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, in “Banca, borsa, tit. cred., 2019, I, 315 ss.

31 M. CIAN, La criptovaluta. Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia: spunti preliminari, cit., 339.

32 Cfr. Tribunale di Firenze, Sent. n. 18 del 21.01.2019.

33 C. SANDEI, Initial Coin Offering e appello al pubblico risparmio, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

34 A. CINQUE. La blockchain: Smart contract - cripto-attività - applicazioni pratiche, Lucca, 2022.

35 F. ANNUNZIATA, Speak, if you can: what are you? An alternative approach to the qualification of tokens and Initial Coin Offerings, in Bocconi Legal Studies Research Paper Series, 2636561, 2019, 5 ss.

36 E. REED, Equity Tokens vs. Security Tokens: What’s the Difference?, in Bitcoin Market J., 2018, Bitcoin Market Journal: Analysis and Insights for Crypto Investors.

37 F. SARTORI, La consulenza finanziaria automatizzata: problematiche e prospettive, in Riv. trim. dir. econ., 2018, I, 258 ss.

38 F. CAPRIGLIONE, Le gestioni bancarie di patrimoni mobiliari, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, I, 280 ss.

39 F. ACCETTELLA, Gestione di patrimoni e di OICR robotizzata, in Diritto del fintech, a cura di M. CIAN e C. SANDEI, Padova, 2020.

40 R. ROMANO, Intelligenza artificiale, decisioni e responsabilità in ambito finanziario, cit., 325 ss.

41 Parlamento Europeo, Norme di diritto civile sulla robotica, cit., par. 59, lett. f.

42 Gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 O.N.U. sono: 1) combattere la povertà, 2) garantire l’approvvigionamento di cibo, 3) salvaguardare la salute, 4) migliorare l’istruzione, 5) garantire l’uguaglianza di genere, 6) garantire acqua pulita e igiene, 7) favorire l’accesso all’energia pulita e diminuire l’impiego di combustibili fossili, 8) favorire lo sviluppo economico assicurando condizioni di lavoro decorose, 9) migliorare le infrastrutture e incoraggiare l’innovazione, 10) ridurre le disuguaglianze, 11) rendere le città più sicure e sostenibili, 12) assicurare consumi sostenibili, 13) arginare i cambia-menti climatici e i relativi impatti, 14) tutelare le risorse di mari e oceani, 15) proteggere l’ecosistema terrestre, 16) promuovere società pacifiche ed inclusive, 17) rafforzare la collaborazione fra gli Stati all’insegna dello sviluppo sostenibile.