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La consulenza finanziaria tra innovazione e tradizione : modelli regolatori e profili comportamentali
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Pubbl. Mar, 10 Giu 2025

La consulenza finanziaria tra innovazione e tradizione : modelli regolatori e profili comportamentali

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Giuseppe Scavino
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Messina



Il contributo si prefigge di esaminare l’evoluzione della consulenza finanziaria nell´ambito delle più recenti trasformazioni normative e tecnologiche, ponendo particolare attenzione ai robo-advisor. Partendo dalla centralità della tutela dell´investitore retail e dall’impianto regolatorio delineato dalla MiFID II, si analizza il ruolo della consulenza quale presidio fondamentale di tutela del risparmiatore, evidenziando i profili comportamentali e normativi. La riflessione si estende agli sviluppi più recenti della Retail Investment Strategy nonché ai limiti connessi alla consulenza automatizzata, con l’obiettivo di delineare una prospettiva unitaria che coniughi alfabetizzazione finanziaria, responsabilità dell’intermediario e adeguatezza dei modelli algoritmici impiegati.


ENG

Financial advisory between innovation and tradition: regulatory Models and behavioral profiles

The paper explores the evolution of financial advisory services amid recent regulatory and technological changes, with a focus on the emergence of robo-advisors. Starting from the centrality of investor protection under MiFID II, it analyses financial advice as a key safeguard for retail investors, considering both behavioral and regulatory aspects. The discussion also addresses developments in the Retail Investment Strategy and the limitations of automated advice, aiming to outline an integrated perspective based on financial literacy, intermediary responsibility, and algorithmic reliability.

Sommario: 1. Premessa; 2. Il ruolo della consulenza finanziaria nella behavioral finance; 3. Il servizio della consulenza finanziaria nell’ambito della Retail Investement Strategy; 4. I robo-advisor e le innovazioni della consulenza finanziaria; 5. Conclusioni.

1. Premessa

L’emersione di forme innovative di investimento, riconducibile all’espansione quantitativa e qualitativa dell’offerta di strumenti finanziari, in un contesto contraddistinto da mutamenti di matrice demografica, economica e socio-culturale, ha inciso in misura significativa sull’assetto tradizionale della gestione del risparmio, generando una riconfigurazione strutturale delle relazioni funzionali tra investitori e operatori del mercato.

Nel mutato scenario finanziario, la consulenza – un tempo considerata attività meramente accessoria e strumentale rispetto all’intermediazione – si pone oggi quale perno centrale nella tutela dell’investitore, assolvendo ad una funzione determinante nell’orientare, in modo consapevole, le scelte allocative del risparmiatore che si affaccia ai mercati finanziari.

In particolare, il progressivo ridimensionamento dei sistemi previdenziali pubblici di tipo tradizionale – strettamente annesso al progressivo invecchiamento della popolazione e al contestuale aggravamento della sostenibilità dei conti pubblici – ha condotto una profonda trasformazione nella gestione del rischio individuale, imponendo il ricorso a strumenti previdenziali complementari volti ad assicurare la continuità del tenore di vita lungo un orizzonte temporale significativamente esteso[1].

Parallelamente alla complessità di quanto prefigurato nei nuovi scenari finanziari, non si allinea un adeguato livello di competenze nella popolazione; difatti, l’immissione sul mercato di strumenti innovativi, potenziati da sistemi di Big data o apprendimento automatico (machine learning)[2], l’eterogeneità delle fonti informative nonché la rapida evoluzione tecnologica, si sono resi protagonisti della progressiva creazione di un gap in capo agli investitori, avente ad oggetto il livello delle conoscenze che sarebbero necessarie rispetto a quelle in concreto possedute.

Non di rado, il processo decisionale in materia di investimenti presenta una struttura connotata da asimmetrie informative, suggestioni mediatiche o consigli non professionali; tali dinamiche, ampiamente indagate dalla dottrina giuridica e dagli studi di economia comportamentale, sono state ricondotte a manifestazioni tipiche di un analfabetismo funzionale in ambito finanziario, suscettibile di incidere negativamente sull’effettività della tutela dell’investitore retail[3].

Gli studi empirici sul comportamento degli investitori al dettaglio hanno messo in luce una significativa fragilità decisionale, specialmente nella selezione di strumenti ad alto rischio, riconducibile a scelte di investimento non sempre razionali o consapevoli - lungi dall’essere razionali e pienamente informate - spesso dominate da bias cognitivi, come la rappresentatività, la disponibilità, l’avversione alle perdite, l’overconfidence e l’effetto framing, che alterano la percezione del rischio e dell’opportunità e portano a decisioni subottimali[4].

I comportamenti descritti, sebbene oggetto di studio dalla financial behaviour, trovano riscontro nelle analisi empiriche di numerosi campi del sapere, tanto che si assiste ad una conferma della figura di supporto esterno – come quello del consulente – divenuta essenziale per ridurre gli errori derivanti dall’analfabetismo finanziario e per ottimizzare l’allocazione dei patrimoni, con uno sguardo più attento alla clientela retail[5].

A tali complessità è stato posto rimedio con alcuni interventi regolatori, culminati nelle direttive MiFID, definitorie di un quadro organico finalizzato all’erogazione di servizi di investimento che trovano la loro maggiore espressione nella consulenza finanziaria.

La portata della MiFID I[6] apre le porte ad una forma di servizio al quale sono annessi obblighi di trasparenza, adeguatezza e personalizzazione, nonché un regime di vigilanza rigoroso.

La MiFID II[7] rafforza tale approccio mediante obblighi ancor più stringenti in merito all’individuazione del profilo del cliente ma, il cambiamento maggiormente rilevante si fonda nel gettare le basi per una consulenza indipendente, che promuove le regole sui conflitti di interesse e sulla remunerazione.

La portata della riforma si sostanzia in rilevanti implicazioni sia sul versante normativo che su quello applicativo, segnando l’emersione di un nuovo paradigma di responsabilità, fondato sulla personalizzazione dell’offerta e sulla necessaria coerenza tra le caratteristiche, i bisogni dell’investitore e la struttura dei prodotti finanziari proposti. Il servizio di consulenza si connota per un elevato grado di responsabilità, che impone all’intermediario un rigoroso rispetto degli obblighi di adeguatezza e un costante aggiornamento delle informazioni relative al profilo dell’investitore. La violazione di tali obblighi comporta una potenziale responsabilità risarcitoria in capo all’intermediario stesso e, in virtù del principio di responsabilità solidale, anche all’istituto mandante, qualora dal mancato rispetto derivi un pregiudizio patrimoniale per il risparmiatore[8].

In tale contesto, emerge la funzione educativa della consulenza, deputata a colmare il divario tra le dinamiche di mercato sempre più complesse e la modesta alfabetizzazione finanziaria dell’investitore medio. L’attitudine a riconoscere le caratteristiche dei potenziali clienti, il loro comportamento e gli errori più comuni, diviene cruciale per orientare le loro scelte in una logica di lungo periodo, con attenzione alla stabilità patrimoniale e alla protezione contro eventi avversi[9].

Le considerazioni esposte sono alla base di una accezione "olistica" del servizio consulenziale, che mira a superare una logica frammentata nella pianificazione finanziaria. Questo modello, con la sua visione integrata e multidisciplinare, offre un servizio completo di pianificazione patrimoniale, previdenziale e fiscale, con l'obiettivo chiaro di garantire il miglior investimento possibile, frutto di una conoscenza approfondita del cliente[10]. In tale contesto, la prospettiva di una professionalità rinnovata, centrata sull’integrità del servizio e sulla trasparenza delle condizioni operative, costituisce uno degli assi portanti della Retail Investment Strategy. La strategia di matrice europea in questione, ispirandosi ad una concezione avanzata della tutela dell’investitore, si pone a fondamento di un miglioramento qualitativo delle garanzie attraverso l’innalzamento degli standard informativi, la promozione dell’indipendenza della consulenza finanziaria e l’affermazione del principio del value for money.

Tali linee guida si intrecciano con la disciplina degli inducements, per garantire che ogni incentivo sia giustificato in funzione di un effettivo miglioramento qualitativo del servizio reso, in linea con il superiore interesse del cliente.

Accanto a tale proposta evolutiva, lo scenario globale contemporaneo registra l’emergere della consulenza automatizzata, nota come “robo-advisor”[11], fondata sull’impiego di algoritmi avanzati e sistemi di intelligenza artificiale applicati ai processi di profilazione dell’investitore e di formulazione delle raccomandazioni finanziarie.

Esaminando la dimensione operativa di tale consulenza innovativa, il rapporto tra intermediario fisico e cliente viene sostituito da un’interazione digitale che, attraverso questionari e analisi dei dati raccolti, genera portafogli personalizzati, potenzialmente esenti dai pregiudizi cognitivi che affliggono tanto l’investitore quanto l’intermediario.

In questa nuova era industriale, meglio nota come Fintech[12], sebbene sia teatro di innovazioni tecnologiche rispetto agli strumenti utilizzati dagli operatori tradizionali, permangono interrogativi sulla reale efficacia della profilazione algoritmica, sui rischi di scelte affrettate da parte dell’investitore e sui limiti della trasparenza dei servizi. Tutto ciò richiede un certo grado di approfondimento, considerando che i modelli automatizzati faticano ancora a soddisfare elevati livelli di garanzia, specie in presenza di soggetti con bassa alfabetizzazione finanziaria[13].

Sebbene la direttiva MiFID II non disciplini espressamente i robo-advisor, viene quindi l’esigenza di uno schema ordinatorio su cui si è espressa l’ESMA, dapprima con le Linee guida del 2018 e, più recentemente, con il documento del 2023 sull’intelligenza artificiale nei mercati europei. A ciò si aggiungono le prospettive aperte dall’AI Act[14] - che riconosce espressamente l’incidenza dell’intelligenza artificiale nei servizi finanziari – poste a salvaguardia dell’applicazione del diritto dell’Unione in materia.

Nel contesto sin qui delineato, una riflessione approfondita appare doverosa circa l’efficacia e i limiti della consulenza automatizzata, in considerazione delle evoluzioni normative e delle sfide comportamentali che essa pone in termini di adeguatezza, trasparenza e protezione dell’investitore al dettaglio.

Le prospettive presenti e future della consulenza finanziaria si pongono in un crocevia di settori quali la disciplina giuridica, comprensione psicologica e innovazione tecnologica. Assunta una funzione protettiva, educativa e strategica, necessaria per sostenere il risparmiatore nelle scelte complesse odierne, il servizio di consulenza promuove l’autonomia consapevole e garantisce livelli superiori di aderenza tra prodotti offerti e reali bisogni patrimoniali del cliente. In tale evoluzione, il ruolo del consulente, da semplice distributore di prodotti finanziari, assume le vesti di guida professionale nella costruzione di un benessere economico, rispettoso delle norme e dell’equilibrio tra tecnologia, etica e diritto.

Per concludere, è fondamentale sottolineare come l'approccio critico ai sistemi innovativi di consulenza finanziaria impone l'esigenza di una formazione continua degli operatori e di un chiaro quadro normativo, condizione preliminare per garantire una consulenza efficace alle sfide poste dalla rapida evoluzione del settore. La questione non riguarda esclusivamente l’adeguamento ai cambiamenti in atto, ma la promozione di un modello di intermediazione che si poggia sulla reale consapevolezza, una maggiore responsabilità e su un patto fiduciario tra intermediario e investitore rinnovato e connaturato da principi di trasparenza, competenza professionale e centralità dell'interesse del cliente.

2. Il ruolo della consulenza finanziaria nella behavioral finance

L'evoluzione tecnologica e le innovazioni appartenenti al financial sector verificatesi nel corso dell’ultimo decennio, poste a fondamento di una rivoluzione delle logiche di mercato, hanno contribuito ad un rapido incremento dell'offerta dei prodotti e strumenti finanziari. Nella gestione economica delle proprie risorse, i consumatori si vedono chiamati ad assumere quotidianamente importanti decisioni per i propri patrimoni: a tal proposito alcuni esempi sono rinvenibili nella stipulazione di contratti assicurativi, nell’adesione a forme di previdenza complementare, nella sottoscrizione di finanziamenti ipotecari, nonché nella definizione di strategie di risparmio e di pianificazione patrimoniale in una prospettiva long-terms.

In effetti, si pone l’interrogativo circa il grado di complessità effettiva delle scelte in materia di risparmio e investimento, soprattutto in relazione al livello di esposizione individuale alle dinamiche dei mercati finanziari, con l’obiettivo di assicurare un adeguato bilanciamento rispetto al patrimonio di conoscenze e competenze finanziarie effettivamente detenute dagli investitori retail. Queste contraddizioni sono accertate dal presente divario strutturale tra le conoscenze idonee ad una gestione adeguata delle scelte economiche e il livello richiesto di alfabetizzazione finanziaria della popolazione, da cui discendono possibili rischi di asimmetria informativa e limitazioni contrattuali.

Nel contesto delineato, i modelli di comportamento degli investitori all’interno dei mercati finanziari spesso presentano anomalie che viziano il processo decisionale; in tale prospettiva, assumono particolare rilevanza gli errori di natura cognitiva[15] ed emotiva, in quanto idonei ad incidere sulla componente razionale nella modalità selettiva d’investimento.

La riflessione che segue intende evidenziare come il processo decisionale dell’investitore non si fondi esclusivamente su valutazioni razionali o analisi tecniche, ma risulti frequentemente influenzato da euristiche cognitive e automatismi decisionali. Tali meccanismi, pur assolvendo in via preliminare ad una funzione semplificatrice di un’informativa sempre più complessa, si rivelano spesso forieri di distorsioni sistematiche in grado di compromettere la razionalità delle scelte e, conseguentemente, l’effettività della tutela dell’investitore. A ben vedere, l’individuo tende a formulare giudizi fondati su propri modelli empirici, situazioni familiari e stereotipi – c.d. regole della rappresentatività[16] -, volti a comprendere l’impiego di regole intuitive e approssimative, sicuramente idonee a ridurre lo sforzo cognitivo ma non prive di effetti pregiudizievoli nella dimensione d’accuratezza valutativa.

Tali fenomeni evidenziano un’incidenza tanto nei fattori psicologici di approccio a scelte compiute in condizioni di incertezza[17] – cui si riflette nelle modalità di selezione ed elaborazione delle informazioni, soprattutto con riguardo alle scelte in materia di investimento e risparmio -, quanto nella portata delle c.d. preferenze socialmente condizionate (social preferences), strettamente connesse alla dimensione motivazionale dei comportamenti del singolo individuo.  

Le contraddizioni descritte costituiscono oggetto di analisi della behavioral finance, la quale predispone strumenti idonei a correggere ovvero ad attenuare gli effetti distorsivi che tali fenomeni possono produrre sulle decisioni di natura finanziaria; tra questi, assumono un ruolo determinante talune misure correttive, adottabili sia in forma autonoma che in maniera integrata, finalizzate a limitare l’incidenza dei bias cognitivi ed emotivi sull’agire economico dei singoli. In tale prospettiva l’educazione finanziaria, la trasparenza delle informazioni e l’attività di consulenza specializzata, quali strumenti della finanza comportamentale - adottati dagli operatori dei mercati finanziari-, se opportunamente attuate, sono in grado di favorire una gestione più lucida, razionale e informata dei processi decisionali in ambito economico-finanziario da parte dei soggetti interessati.

In questo contesto, la trasparenza, intesa non soltanto come accessibilità ai contenuti informativi, ma anche come adeguatezza delle modalità di rappresentazione, sebbene assuma una funzione determinante nel contrastare le distorsioni cognitive che affliggono le decisioni degli investitori, può presentare aspetti inefficaci derivanti da motivi riconducibili a bias comportamentali e deficit cognitivi[18].

I limiti sin qui delineati si collocano prevalentemente nella dimensione operativa dell’educazione finanziaria e della consulenza professionale, le quali si prefiggono di individuare le caratteristiche comportamentali dei potenziali clienti, interpretare le strategie di investimento da essi adottate, nonché analizzare in modo critico le ricorrenti disfunzioni decisionali.

Pertanto, adeguati livelli di alfabetizzazione finanziaria, promotori di un’effettiva consapevolezza dell’investitore, sostengono la transizione verso modelli di consulenza indipendente; nella medesima prospettiva, il legislatore europeo, determinato ad innalzare il livello di financial capability[19], propone la valorizzazione del cliente come soggetto partecipe e attivo nella gestione del proprio patrimonio[20].

Tuttavia, non può sottacersi come tale impostazione presenti profili problematici: da un lato, essa rischia di tradursi in una occulta deresponsabilizzazione dell’intermediario finanziario, con il conseguente trasferimento in capo all’investitore di oneri informativi e valutativi che l’ordinamento aveva sino ad ora posto a carico del professionista[21]; dall’altro, si corre il pericolo di sopravvalutare la capacità del cliente di superare, per mezzo della sola formazione, i bias cognitivi e le distorsioni comportamentali che fisiologicamente connotano le decisioni di investimento.

Difatti, sebbene intesa quale strumento volto a promuovere l’autonomia del consumatore nel mercato, l’educazione finanziaria può generare effetti distorsivi rilevanti.

In tal modo, con un certa frequenza si assiste ad una sovrastima degli investitori riguardante le proprie capacità decisionali (overconfidence[22]), senza che a ciò faccia seguito un corrispettivo miglioramento delle competenze individuali di settore, esponendo l’investitore al rischio di scelte erronee e di sottovalutazione della complessità dei prodotti e delle operazioni, inoltre deve confrontarsi con profili di complessità derivanti dall’offerta e da una continua innovazione dei prodotti finanziari, che genera un sovraccarico informativo (information overload[23]). Si delinea in tal modo una prospettiva, nella quale l’educazione finanziaria può persino rafforzare i comportamenti irrazionali, anziché correggerli, qualora risulti inadeguata o inefficace. Per meglio cogliere la problematica, tra le principali ragioni riconducibili alle ipotesi di fallimento di mercato, deve annoverarsi questa nuova forma di asimmetria informativa derivante non solo dalla scarsità, ma altresì dall’eccessiva complessità e quantità delle informazioni fornite: una vera e propria <>[24], che ostacola i consumatori nel corretto processo decisionale, impedendo di fatto il superamento degli squilibri contrattuali tipici del mercato finanziario[25].

Di conseguenza, l’intervento di un’attività consulenziale qualificata, si configura quale strumento capace di orientare verso scelte efficienti di allocazione patrimoniale, risultando essenziale sia per incentivare una più ampia diversificazione del portafoglio e una più diffusa adesione agli strumenti di risparmio gestito, sia per il superamento delle criticità riconducibili ai limiti strutturali della trasparenza informativa e dell’investor education[26]. Tale approccio, innovativo per la sua intrinseca capacità di coniugare competenze tecniche e relazionali mediante strategie di debiasing through law[27], si caratterizza per una minore invasività e per un più elevato rispetto dell’autonomia decisionale dell’individuo, distinguendosi così dai tradizionali strumenti paternalistici e originando una risposta giuridica maggiormente efficace e democratica rispetto ai limiti cognitivi che condizionano l’agire umano.

Tuttavia, l’osservazione della realtà operativa dei servizi di consulenza mostra come, accanto alle violazioni degli obblighi informativi e alle possibili ipotesi di responsabilità dei professionisti[28], permangano significative difficoltà cognitive da parte degli investitori, imputabili sia ad una diffusa carenza della citata educazione finanziaria sia all’influenza di fattori soggettivi ed emotivi che alterano la corretta percezione del rischio. In questo quadro, la comprensione delle caratteristiche anche dei prodotti più semplici sono ostacolati dalle carenze precedentemente esaminate, impedendo una valutazione consapevole della convenienza rispetto ad alternative meno rischiose.

Ed è proprio in tale contesto che si propone, in una visione più ampia, la progressiva evoluzione della figura del consulente da mero gestore tecnico a guida relazionale e comportamentale, con l’obiettivo di assistere l’investitore nell’elaborazione di scelte finanziarie coerenti alle sue esigenze, pianificando strategie che sappiano affrontare situazioni di incertezza.

A tal riguardo, le recenti proposte di riforma contenute nella EU Retail Investement Strategy, ci consentono di individuare linee di intervento finalizzate ad un miglioramento della tutela degli investitori, mediante l’estensione dei presidi anche al settore assicurativo e la revisione di direttive rilevanti quali la Solvency II, la MiFID II stessa e la IDD.

In definitiva l’obiettivo è affrontare il persistente divario informativo tra intermediari e clientela retail, imponendo standard di trasparenza e completezza dell’informazione sempre più elevati.

3. Il Servizio della consulenza finanziaria nell’ambito della Retail Investement Strategy

Nell’ultimo decennio, il settore della consulenza finanziaria è stato teatro di un’evoluzione tanta silenziosa quanta inesorabile, culminata in una mutazione del rapporto tra intermediario e cliente. La consulenza finanziaria, nella sua forma “olistica”[29],trova espressione in un approccio non esclusivamente patrimoniale, ma orientato verso una visione globale della tutela dell’individuo. Partendo da questo presupposto, lungi dal formulare mere raccomandazioni riguardo i singoli strumenti finanziari, il consulente supporta il cliente a stilare un progetto di vita, integrato da profili finanziari, previdenziali e assicurative[30]. In tal senso, la visione olistica interpreta l’agere finanziario individuale, come elemento integrante di una complessa struttura connaturata da bisogni e aspirazioni, in cui il risparmio, l’investimento e la protezione del capitale divengo funzionali alla realizzazione di obiettivi superiori: il benessere personale e familiare, la sicurezza futura, la trasmissione del patrimonio.

La centralità dell’individuo riconosciuta da tale impostazione si è confrontata con la nascita di prodotti finanziari sempre più sofisticati, che hanno spinto ad una regolamentazione analitica dei doveri degli intermediari e a disciplinare in modo puntuale il servizio di consulenza.

Si addiviene in tal modo ad un approccio consulenziale che, oltre a includere un’accurata analisi dei profili di rischio e delle opportunità d’investimento, nonché un monitoraggio costante dell’adeguatezza delle scelte effettuate, si differenzia per una sostanziale indipendenza professionale. Detta considerazione stabilisce i presupposti di un modello che recede dalle tradizionali modalità di offerta “door to door”, e adotta una prestazione consulenziale di tipo “fee-only”, maggiormente qualificata e funzionalmente congrua alle esigenze di trasparenza e personalizzazione espresse da una clientela evoluta finanziariamente[31].

In questo contesto, la Direttiva 2014/65/UE (MiFID II) ha conferito alla consulenza finanziaria un ruolo autonomo rispetto alla mera intermediazione, introducendo un sistema organico di obblighi fondati su trasparenza, adeguatezza e gestione dei conflitti di interesse. La distinzione tra consulenza indipendente e non indipendente, recepita nell’ordinamento interno con l’art. 24-bis TUF, riflette l’impronta evolutiva del legislatore europeo[32].

Nonostante i progressi normativi richiamati dalla MiFID II, si legge comunque l’evidente divario tra le ambizioni normative e le reali esigenze di mercato, ascrivibile da una limitata partecipazione degli investitori ai mercati e da una crisi fiduciaria nei confronti degli intermediari non facile da superare. Per quanto sia difficile sopperire a tali lacune la Commissione Europea si pone l’obiettivo di rimodulare un quadro normativo del mercato finanziario per renderlo più inclusivo, trasparente e orientato alle esigenze dei risparmiatori.

La portata normativa della EU Retail investment strategy (RIS)[33] – che trova le più alte espressioni nella proposta di Direttiva Omnibus[34] e nella proposta di regolamento che aggiorna il quadro informativo dei PRIIPs - prevede modifiche sulle seguenti tematiche: governance dei prodotti, rafforzamento del principio di value for money[35], riforma del regime degli inducements e miglioramento della qualità dell’informazione precontrattuale.

Le promesse della RIS, hanno allargato gli ambiti al settore assicurativo prefiggendosi di modificare varie disposizioni tra cui l’accesso e l’esercizio dell’attività di assicurazione e riassicurazione (Direttiva Solvency II), la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID II), nonché il contenuto disciplinare della direttiva IDD[36].

Il persistente divario informativo che intercorre tra gli investitori, soprattutto retail, e intermediari - che nel contesto dell’implementazione della MiFID II si manifesta palesemente - ne costituisce una problematica centrale. Quanto detto trova riscontro nell’obbligo, per quest’ultimi, di comunicare in maniera completa le peculiarità degli strumenti d’investimento ai fini del rafforzamento della trasparenza informativa; tuttavia, emergono carenze contenutistiche, le quali impediscono di effettuare una valutazione approfondita del grado di consapevolezza del consumatore. Sicché, a conti fatti, esso presenta elementi insufficienti per colmare il divario informativo, inducendo l’investitore a fondare le proprie scelte su una percezione potenzialmente distorta rispetto ai dati messi a sua disposizione[37].

Benché la versione definitiva della c.d. "Direttiva Omnibus" non sia ancora stata formalmente adottata, si evince già una notevole estensione degli ambiti di intervento previsti dalla RIS.

In particolare, si osserva un quadro normativo relativo al Product Oversight and Governance – POG, finalizzato a garantire un adeguato rapporto tra costi e benefici e proporre una riforma concernente i conflitti di interesse e gli incentivi riconosciuti agli intermediari[38].

Nel solco di siffatte argomentazioni, il rapporto cliente-consulente evoca uno dei temi maggiormente sensibili oggetto di proposta della RSI: la disciplina degli inducements, quale elemento di raccordo tra l’interesse dell’intermediario e tutela del cliente al dettaglio. A tal proposito, la Direttiva MiFID I ha introdotto una prima impostazione normativa alla disciplina, superando la generica disclosure in materia di conflitti d’interesse - attuata secondo la logica obsoleta della “disclose or abstain[39]- inoltre individua i punti di partenza del settore e regolamenta in modo trasparente le primordiali formule di divieto riguardo i pagamenti degli incentivi, escludendo i casi consentiti richiamati dalla normativa[40].

Successivamente, la svolta contenutistica e normativa della Direttiva MiFID II (2014/65/UE), dimostratasi nella pratica insoddisfacente, ha stabilito un divieto assoluto di percezione di incentivi nei casi di consulenza su base indipendente e gestione di portafogli[41], stabilendo le condizioni di legittimità delle stesse per mezzo del Quality Enhancement Test, donde “la qualità del servizio” reso al cliente ne divine il parametro regolatore[42].  

Tuttavia, nonostante i progressi normativi, tale disciplina ha disatteso le aspettative ed è stato tra i temi rilevanti della Retail Investment Strategy, la quale si limita ad estendere il perimetro del divieto e propone una revisione strutturale del regime degli incentivi.

Difatti, l’astensione di una proibizione assoluta in materia di incentivi è strettamente dovuta ai livelli insufficienti di maturità dei mercati per concepire l’introduzione di un divieto generalizzato in materia, ragion per cui si è preferito privilegiare e adottare un approccio graduale, finalizzato alla progressiva risoluzione del persistente conflitto di interessi che si configura tra intermediario e cliente.

Al riguardo, la conferma del divieto di percepire incentivi connessi alla prestazione dei servizi di gestione di portafogli e di consulenza in materia di investimenti in forma indipendente, contenuta nella direttiva MIFID II , è integrata dal progetto di proposte della Commissione europea che estende il « divieto di pagare e ricevere inducement anche per i servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di esecuzione di ordini per conto dei clienti svolti in favore della clientela retail, salvo che tali servizi vengano prestati in abbinamento alla consulenza in materia di investimenti su base non indipendente »[43], ove elevati livelli di servizio di consulenza giustificano l’intermediario nel beneficiare e corrispondere legittimamente  gli inducement.

In questa prospettiva, delineati possibili margini di legittimità degli incentivi nell’attività di intermediazione, si afferma il principio secondo cui ogni raccomandazione deve rispondere al best interest del cliente, superando le mere logiche finanziarie, in modo tale da riavvicinare la consulenza alla sua vocazione originaria di servizio centrato sulla persona, con la consapevolezza che il rischio di possibili conflitti di interesse non possa essere completamente eliminato, ma solo gestito o eventualmente ridotto.

In tale contesto, la Retail Investment Strategy - nell’elaborazione di un modello evolutivo in materia - intende sostituire formalmente il quality enhancement test previsto dalla disciplina MiFID II, nonché il not detriment test introdotto dalla IDD, con l’adozione di nuovo parametro regolatore: il miglior interesse del cliente. Ciò giustifica gli incentivi non più in termini generici o formali, ma come corrispettivo di un innalzamento sostanziale degli standard minimi di servizio, in modo da soddisfare al meglio l’interesse dell’investitore[44].

Il potenziale della già menzionata proposta risiede nell’elaborazione di strategie volte a contrastare i risultati di svariati studi empirici, i quali illustrano, sebbene sussista un’elevata propensione al risparmio, uno scarso coinvolgimento nei mercati finanziari da parte della clientela al dettaglio[45].

Da siffatta osservazione è emerso un quadro contraddistinto da una pluralità di fattori che incidono negativamente sui risultati sperati: da un lato la persistente incertezza riguardo al raggiungimento del “miglior interesse del cliente” in sede di consulenza, che rafforza la sfiducia degli investitori nei confronti degli intermediari; dall’altro le carenze di prodotto nell’ottica value for money compromettono il rendimento netto per l’investitore, a causa di eccessivi costi , talvolta sproporzionati rispetto ai benefici attesi.

Parimenti, si aggiungono bassi livelli di alfabetizzazione finanziaria, i quali ostacolano la capacità di comprensione degli investitori e le loro competenza di gestione riguardo i prodotti finanziari.

In questa fase congiunturale, la Retail Investment Package[46] si colloca nella più ampia Retail Investment Strategy, nell’intento di una migliore e fattiva integrazione dei mercati dei capitali dell’UE; ciò mira a favorire un maggior incremento degli investimenti al dettaglio, ancora limitati rispetto alle risorse risparmiate realmente.

Il pacchetto di misure adottato dal Consiglio dell’Unione Europea, preordinato a colmare le persistenti lacune del quadro regolamentare, promuove livelli uniformi di tutela a prescindere dalla natura del prodotto o dal canale distributivo utilizzato, includendo tra l’altro, elevati livelli di trasparenza, la comparabilità dei costi, la protezione del cliente da pratiche scorrette e l’introduzione di meccanismi che favoriscano scelte di investimento più informate[47]. Attuando dei parallelismi rispetto alle proposte sinora esaminate – in particolare, la proposta della Commissione Europea del 2023 – emergono rilevanti convergenze e divergenze con riferimento alla citata disciplina degli inducements. Nelle novità della Retail Investment Package, è osservabile la posizione assunta dal Consiglio dell’Unione Europea, almeno in parte allineata a quella espressa dal Parlamento europeo, di eliminare il divieto - contenuto nella proposta della Commissione - di percezione di incentivi nell’ambito della prestazione dei servizi di ricezione e trasmissione di ordini, nonché di esecuzione di ordini per conto dei clienti. Analogo approccio viene adottato con riguardo alla distribuzione di prodotti assicurativi in assenza di consulenza, per la quale non viene confermato il divieto inizialmente proposto, privilegiando invece una regolamentazione più flessibile e fondata su principi generali[48].

La strategia d’intervento del Consiglio dell’Unione Europea in materia, propone l’introduzione di un vero e proprio “inducement test”, il quale contenuto prevede una serie di requisiti stringenti in capo agli intermediari, i quali sono chiamati a tenere in considerazione: « (i)criteri qualitativi, (ii) rispettare il criterio del quality enhancement test - presente nel regime di MiFID II2 ed eliminato, invece, nelle versioni della Commissione e del Parlamento europeo, (iii) provare che la struttura di costo del prodotto considera l’inducement nell’ambito della product governance, (iv) prevedere un meccanismo di reclamo da parte del cliente per ottenere l’inducement qualora l’intermediario violi le norme, (v) strutturare l’incentivo in modo che non preveda una componente variabile che dipenda dal volume di vendita, (vi) fondare l’inducement su un metodo di calcolo chiaro, trasparente e comprensibile, nonché (vi) consentire al cliente di identificare l’inducement separatamente da altri costi e commissioni (art. 24a(3) MiFID II Council) »[49] . La portata innovativa di tale impostazione presuppone un consolidamento significativo dei livelli di tutela riconosciuto all’investitore al dettaglio, ponendosi come obiettivo la mitigazione del rischio dei conflitti di interesse strutturali. In tal senso, vengono eliminate alcune configurazioni contrattuali ritenute particolarmente critiche – come la previsione di componenti variabili dell’incentivo – e vengono imposti requisiti organizzativi stringenti, tra cui l’obbligo di adottare meccanismi di calcolo chiari e trasparenti[50].

Benché sia stata pubblicata, nel giugno 2024, la posizione sulla direttiva omnibus da parte del Consiglio dell’Unione Europea - successiva tanto alla proposta originaria della Commissione quanto alla versione intermedia adottata dalla commissione ECON del Parlamento europeo[51]- si sarebbe dovuta avviare la fase di “trilogo” con Commissione e Parlamento per definire un testo definitivo della RIS. 

Sebbene le previsioni iniziali auspicassero una conclusione entro il primo semestre del 2025, l’iter negoziale risulta ancora in una fase di stasi procedurale, rendendo incerta l’effettiva adozione del provvedimento.

Nonostante l’ambizioso progetto normativo, la Retail Investment Strategy rappresenta un momento di snodo per la riflessione sulla consulenza finanziaria, nell’ambito della quale si possano invero enucleare due diverse direttrici: da un lato, si rafforza la figura del consulente indipendente come garante della tutela del cliente, dall’altro, si impone una riflessione sul bilanciamento tra protezione dell’investitore e sostenibilità economica del servizio.

In conclusione, a parere di chi scrive, la prospettiva da cui partire dovrebbe attribuire pieno riconoscimento al valore dell’investitore in quanto individuo, il quale, anche nel mercato finanziario, non può essere ridotto a consumatore passivo, ma deve essere posto nelle condizioni di agire in modo attivo e consapevole [52].  

 

4. I robo-advisor e le innovazioni della consulenza finanziaria

Il tavolo attorno al quale partecipano, con rinnovato interesse, istituzioni e comunità scientifiche è quello della potenzialità degli algoritmi che predispongono l’intelligenza artificiale, percepita ormai come un’entità capace di scardinare il dominio dell’essere umano da settori di enorme rilevanza[53].

Il panorama Fintech ha assistito ad una progressiva affermazione dei sistemi di intelligenza artificiale e dei nuovi strumenti tecnologici, i quali divengo oggetto di numerosi dibattiti in vari campi del sapere, tra questi anche in ambito consulenziale, ma con una netta differenza rispetto al passato. Difatti, le considerazioni precedenti riguardo la funzione esecutiva dell’automazione, di agevolare o coadiuvare i consulenti, costituivano un mero strumento accessorio di perfezionamento della loro attività e di ottimizzazione dei risultati; quanto detto adesso è ampiamente superato dalle evoluzioni di settore, le quali possono limitare o sostituire l’interazione con la figura professionale degli intermediari finanziari. Il consumatore potrebbe così usufruire di strumenti intelligenza artificiale per investire i propri risparmi, avvalendosi delle nuove forme di consulenza automatizzata o assistita, c.d. robo-advisor[54].

Al fine di garantire gli aspetti descritti, la consulenza automatizzata si conforma alla (KYC)know your costumer[55] - ossia conoscenza dell’identità del proprio cliente - con l’intenzione di prevenire rischi che possano derivare dal grado di automazione o assenza di una interazione umana diretta. La compilazione di questionari online[56], mediante la raccolta di vari dati della clientela, presentano quesiti necessari al fine di individuare la profilazione dell’investitore, tenendo conto, da un lato, dell’attuale situazione finanziaria e patrimoniale del cliente, dall’altro, dei suoi obiettivi futuri.

Sulla base di quanto raccolto il consulente “robotizzato” è in grado di creare in via del tutto automatica un portafoglio e al contempo suggerire al cliente eventuali possibilità di investimento e raccomandazione nell’attuazione della sua strategia finanziaria; inoltre, in determinati casi, il robot è in grado di effettuare rettifiche calibrate alle esigenze del cliente[57].

Tale assunto pone la seguente riflessione: la valutazione di adeguatezza fornita da una “entità automatica”, munita di capacità analitiche in merito ai dati raccolti e diretta a individuare più operazioni d’investimento adatte al profilo finanziario del cliente quale deriva può avere?

In tale prospettiva, l’ESMA ha individuato una serie di obblighi informativi che gli intermediari sono tenuti a rispettare nell’ambito della consulenza finanziaria automatizzata. In primo luogo, è necessario indicare in modo chiaro il grado di coinvolgimento umano nel rapporto con la clientela, esplicitare l’impatto delle risposte fornite da quest’ultimo sul processo di valutazione dell’idoneità, parimenti precisare le fonti informative impiegate unitamente ad una illustrazione chiara delle modalità e la frequenza con cui le informazioni del cliente vengono aggiornate, così da garantire un costante allineamento tra il profilo dell’investitore e le raccomandazioni fornite[58].

Da ciò si ricava la dimensione operativa dei Robo-Advisor nel campo dell’asset allocation, con un utilizzo esteso sia all’attività di “consulenza in materia di investimenti”[59] – erogata attraverso una serie di raccomandazioni personalizzate e un servizio di monitoraggio della strategia finanziaria adottata – sia all’espletamento di attività riservate, quali la gestione collettiva del risparmio. L’impiego di tali strumenti può realizzarsi tanto nella gestione del portafoglio del cliente, finalizzata al perseguimento degli obiettivi di investimento inizialmente prefissati (e suscettibili di aggiornamento), quanto mediante un utilizzo autonomo da parte dell’investitore stesso[60].

Quest’ultimo caso, definito come robo-advice puro, è caratterizzato da una completa automazione dei servizi e rappresenta il terzo livello dei gradi di automazione dei Robo-Advisor. A tale modello si affianca, da un lato, quello ibrido in cui si realizza una collaborazione tra l’intermediario umano e l’algoritmo, dall’altro, il cosiddetto Robo-for-advisor o Robo4advisor in cui la tecnologia viene utilizzata dal consulente come risorsa strumentale, integrata da un sistema di intelligenza artificiale, al fine di coadiuvare e ottimizzare l’attività consulenziale.

Risulta dunque evidente come l’impiego di tali soluzioni tecnologiche apporti vantaggi funzionali di rilevante impatto, traducendosi in un sensibile incremento dell’efficienza operativa, in un affinamento delle performance complessive e in una più reattiva capacità di gestione dei rischi. Parallelamente a questa analisi, un profilo di particolare rilievo nell’evoluzione tecnologica dei servizi finanziari è rappresentato dal consolidamento di una nuova formula di automatizzazione, maggiormente avanzata, della consulenza e dei processi gestionali, riconosciuta come la quarta generazione di Robo-Advisor (c.d. Robo-Advisor 4.0)[61], la quale, connotata da una struttura integrata di tecnologie di intelligenza artificiale e apprendimento automatico(machine learning), prevede l’utilizzo di strumenti che consentono non soltanto un monitoraggio continuo dei portafogli, nonché un ribilanciamento dinamico e preventivo degli stessi fondato su algoritmi di elevata complessità.

L’adattamento rapido e preciso tanto della mutabilità delle esigenze dei consumatori quanto alle dinamiche evolutive dei mercati finanziari divengono il risultato di un’immediata elaborazione  di un elevato quantitativo di dati reso possibile da  sistemi di machine learning ed intelligenza artificiale, sinonimo di un significativo innalzamento del livello qualitativo delle scelte allocative, nonché in una maggiore reattività nell’attuazione delle decisioni di investimento, in un’ottica di efficacia e tempestività operativa[62]. Per cogliere appieno le implicazioni e le connessioni legate al suddetto fenomeno, risulta d’obbligo un’analisi approfondita degli elementi che connaturano il rapporto sussistente tra la consulenza algoritmica e il comportamento degli investitori.

Pertanto, si assiste ad una consulenza robotizzata risultante oggetto di un procedimento evolutivo di “democraticità”, il cui obiettivo è rendere accessibile il servizio anche a categorie di risparmiatori solitamente esclusi, nonostante la persistenza di consolidate resistenze culturali. Di contro, in tale rapporto, le dinamiche comportamentali degli investitori risultano rilevanti al fine di una valutazione reale e idonea per affermare l’incidenza dell’interazione con tali strumenti in una prospettiva di benefici concreti riguardo i criteri fondamentali di selezione del portafoglio.  Tra detti criteri si annoverano: l’assunzione consapevole del rischio finanziario, la mitigazione dei pregiudizi cognitivi più comuni e l’orientamento positivo delle aspettative di rendimento.

La tipologia di consulenza sin qui esaminata è il risultato di una progressiva innovazione, la quale designa un upgrade nel rapporto con l’investitore, rendendo il servizio decisamente più accessibile ed immediato.

Volgendo ad una prima analisi sugli effetti e sugli impatti dell’utilizzo dei robo-advisor, è possibile menzionarne i benefici, sebbene accompagnati da alcune preoccupazioni e perplessità.

Quanto ai primi, ne emerge come l’utilizzo di questi strumenti di intelligenza artificiale consenta un’immediatezza informativa ai consumatori rispetto alle decisioni di investimento intraprese, i quali, rispetto all’attività di consulenza tradizionale, sono in grado con maggiore rapidità e trasparenza di fornire informazioni di dettaglio ai clienti circa la vasta selezione dei prodotti resi disponibili, con una notevole riduzione del costo dei servizi rispetto alla consulenza fisica[63].

Appare evidente come l’accesso ai robo-advisor sia decisamente più agevole per un numero più ampio di potenziali clienti, non solo per la mancanza di pregiudizi cognitivi nel loro utilizzo, ma anche perché vengono forniti ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quanto venga retribuita la consulenza non automatizzata. Inoltre, venendo meno la necessità di un’interazione umana, da un certo punto di vista può essere più semplice ricorrere a questi strumenti innovativi, senza vincoli d’orari e potenzialmente consultabili o attivabili in qualsiasi momento della giornata.

 Di contro, occorre rilevare come dall’analisi emergano profili di perplessità inerenti alla modalità compilativa autonoma dei questionari online in assenza di un intermediario umano, circostanza che potrebbe determinare possibili rischi di errore da parte degli investitori. Questi ultimi, infatti, potrebbero essere indotti a compiere scelte affrettate e poco accurate - c.d. too fast click decisions[64] -, determinate sia dalla mancata comprensione di alcune domande, sia dall’incapacità di coglierne la rilevanza ai fini della corretta definizione della propria strategia finanziaria.

Inoltre, tale neutralizzazione della figura del consulente, quale guida o semplice supporto all’investitore, rischia di generare una partecipazione passiva di quest’ultimo, il quale potrebbe con troppa leggerezza affidarsi alla capacità decisoria dei robo-advisor, con le potenziali conseguenze negative del caso.

In tal senso, gli elementi standardizzati della consulenza automatizzata[65] sollevano dubbi legittimi in merito all’effettiva portata degli algoritmi di operare in modo accurato e approfondito circa il momento decisorio del cliente, rivelandosi meno efficaci rispetto all’intervento degli intermediari fisici, i quali -armati di competenze trasversali e soprattutto  sensoriali – possono giungere ad una raccolta informativa più aderente alla realtà soggettiva dell’investitore e una lettura qualitativa più puntuale dei dati acquisiti.

Da un’altra angolazione, pur riconoscendo i vantaggi precedentemente evidenziati, emerge come i robo-advisor, nel processo di profilazione del rischio, tendano a formulare un numero ridotto di quesiti, talvolta poco pertinenti, rispetto a quelle che verrebbero poste da un consulente umano. Ciò conferma una possibile casistica di criticità connessa all’automatizzazione della consulenza, in quanto l’approccio descritto potrebbe attentare alla qualità dell’analisi individuale e di conseguenza, compromettere l’adeguatezza delle raccomandazioni fornite[66].

Nella disamina dei singoli contenuti descritti sembra porsi la necessità di un approccio comportamentale (financial behaviour) al questionario di profilazione, strutturato in modo da garantire previsioni idonee alle esigenze soggettive della clientela ed assicurare un’interazione efficace e mirata con i sistemi di consulenza automatizzata[67],

La necessità di dotare l’individuo di un’adeguata educazione finanziaria, potrebbe presentarsi come una delle soluzioni ai dubbi e alle insicurezze personali degli investitori, elevando la propria fiducia nelle proprie competenze finanziarie ed aumentando una cosciente adozione di tali servizi automatizzati.

D’altro canto, nel richiamare i fenomeni già citati nei precedenti paragrafi, - l’incapacità derivante da overconfidence, la difficile del information overload e l’insorgenza di distorsioni del campo cognitivo( c.d. framing effect) - essi rappresentano comunque dei rischi concreti attribuibili anche al settore della consulenza automatizzata per la clientela sprovvista di un’adeguata educazione finanziaria, sebbene l’accessibilità a tali strumenti per clienti  con livelli di esperienza quasi sufficienti e con una limitata disponibilità patrimoniale sia, in linea generale, da considerarsi un’evoluzione positiva[68].

La discussione in corso presenta delle differenze per le piattaforme di consulenza on-line, dove l’invasività dei robo-advisor è ridotta in virtù di un’automazione completa. In tali fattispecie, infatti, la piattaforma agisce con una limitata libertà di investimento, volta a guidare gli investitori nelle loro scelte, senza alcun carattere di imperatività. Ciò ha l’effetto di alleggerire la tensione emotiva del cliente, che si sente confortato dai suggerimenti della piattaforma, piuttosto che comandato dalla medesima. Questo consente all’investitore di ricevere una consulenza “robotica”, per poi decidere in totale autonomia che direzione dare ai propri investimenti.

Di fronte ad una potenziale lista di opzioni finanziarie, l’attività svolta dai robo-advisor si traduce, pertanto, in un supporto tecnico nei confronti del beneficiario, garantendo la sua partecipazione attività, nonché soddisfacendo un’esigenza di educazione finanziaria che oggi giorno risulta indispensabile. 

Detto ciò, nel definire i punti di forza e le criticità nell’applicazione di tali strumenti non vi è dubbio che i sistemi di intelligenza artificiale applicati alla consulenza finanziaria siano oggetto di progressivi aggiornamenti, in grado di aumentarne l’affidabilità e la precisione operativa. Tuttavia, nonostante una maggior consapevolezza dei consumatori ed un rilevante interesse nutrito da parte dei legislatori nazionali e sovranazionali, risulta evidente l’assenza di una precisa disciplina di settore.

Tale mancanza è stata accertata dall’ESMA- Artificial Intelligence in EU Securities Markets del 2023- dal fatto che le strategie dotate di IA, pur rappresentando soluzioni innovative, risultino particolarmente articolate e tutt’altro che semplificate, confermando le difficoltà nel realizzare un’effettiva armonizzazione normativa e nel garantire livelli adeguati di affidabilità operativa, con la necessità, al contempo, di affrontare in modo efficace le criticità che l’adozione di tali tecnologie avanzate comporta nei mercati finanziari[69].

Inoltre, sebbene i servizi descritti non siano espressamente menzionati nella direttiva MiFID II, solo alcuni attinenti ai robo-advisor fanno parte della dimensione applicativa della normativa nazionale di recepimento, come previsto per i servizi di consulenza e gestione di portafogli in materia di investimenti, ex art. 1, comma 5-septies del T.U.F., nel pieno rispetto del principio di neutralità tecnologica[70].

Di conseguenza, tali prestazioni sono soggette al rispetto degli obblighi informativi e delle regole di condotta agli intermediari imposti dalla direttiva citata e rafforzati dagli interventi delle Linee guida dell’ESMA del 2018, al fine di garantire elevati livelli di garanzia per gli investitori, «il che sembra trovare conferma nell’AI Act, che allude ripetutamente all’uso dei sistemi di IA nel campo dei financial services facendo in tali casi salva l’applicazione del “relevant Union financial services law”».[71]

La conclusione cui si perviene conferma l’evidenza come il modo di applicazione IA ai servizi di consulenza finanziaria funga da catalizzatore per un miglioramento del settore, accrescendo i benefici e contribuendo ulteriormente alla mitigazione delle problematiche già esistenti.

Tale constatazione rappresenta il punto di partenza di un’analisi tuttora in fase di definizione, che richiederà, in prospettiva, maggiore dettaglio nella fase di programmazione e maggior rigore nella successiva gestione di queste tecnologie, la cui efficacia dipenderà inevitabilmente da una pluralità di fattori, tra questi la financial behaviour e, in via prioritaria, la necessità di una disciplina normativa unitaria e coerente.

5.Conclusioni

L’analisi odierna condotta sui servizi di consulenza finanziaria, da una considerazione inizialmente accessoria, ne riconosce oggi la funzione centrale nella protezione dell’investitore retail, assolvendo a un ruolo sempre più articolato: educativo, relazionale e, soprattutto, correttivo delle distorsioni decisionali tipiche dell’agire economico che caratterizza lo scenario attuale.

Le reali carenze di alfabetizzazione finanziaria, unitamente alla crescente complessità dell’offerta e alle dinamiche demografiche e previdenziali, impongono infatti un ripensamento del ruolo consulenziale, che si candida quale strumento sostanziale nell’allocazione consapevole e razionale delle risorse individuali.

Alla luce dei risultati della behavioral finance, emergono con chiarezza le lacune degli investitori di operare decisioni realmente informate, influenzati da bias cognitivi che compromettono le scelte in materia di risparmio e investimento[72]. La consulenza, lungi dall’essere un mero supporto tecnico, diviene uno strumento di razionalizzazione del processo decisionale, capace di rispondere agli effetti del comportamento individuale.

Essa consente non solo di attenuare l’impatto di tali anomalie, ma anche di offrire una lettura critica dei comportamenti, configurandosi come un argine ai contenuti eccessivi e al rischio di deresponsabilizzazione dell’intermediario.

Questa riflessione trova un punto di consolidamento nelle recenti proposte normative dell’Unione Europea, che, attraverso la Retail Investment Strategy, pongono la consulenza al centro di un rinnovato sistema di tutele, promuovendone l’indipendenza e l’idoneità a realizzare una relazione fiduciaria autenticamente personalizzata. In tal senso, la strategia europea intende avvicinare la pianificazione patrimoniale prevista dalla consulenza al benessere dell’individuo e il pieno equilibrio tra rischio, costo e valore del servizio reso[73].

In questo scenario, l’introduzione di modelli automatizzati tramite robo-advisor, sebbene si riconoscano le ottime promesse di efficienza e inclusività, solleva ulteriori interrogativi giuridici circa la qualità della profilazione, la legittimità dell’automazione decisionale e la capacità di questi strumenti di sostituire l’intuizione relazionale del consulente umano. Nonostante il contributo in termini di accessibilità e contenimento dei costi, la standardizzazione algoritmica si espone al rischio di impoverire l’analisi soggettiva del profilo finanziario, con conseguenti deficit nella costruzione di un portafoglio realmente aderente agli obiettivi dell’investitore. Il diritto, in tale contesto, è chiamato a svolgere una funzione regolatoria e di garanzia, assicurando che l’impiego della tecnologia non comprometta il miglior interesse del cliente e non attenui gli standard di trasparenza e responsabilità richiesti nella prestazione del servizio[74].

Ci si interroga sulla reale portata dell’evoluzione normativa europea, culminata nell’adozione dell’AI Act, cui ha reso evidente l’esigenza di affiancare alla tutela informativa tradizionale nuove forme di protezione sostanziale, in grado di contrastare le asimmetrie cognitive e tecnologiche acuitesi nell’attuale contesto finanziario. In particolare, il riconoscimento dei profili di rischio nei sistemi automatizzati e la loro incidenza sulle scelte economiche pongono l’esigenza di un concreto affidamento ai servizi di consulenza al fine di coniugare garanzie individuali e innovazione, obiettivi del Regolamento[75].

In un simile contesto, le asimmetrie informative possono anche essere originate da distorsioni legate ai sistemi di intelligenza artificiale, mediante la diffusione automatizzata di informazioni fuorvianti, con effetti pregiudizievoli sull’integrità e sul corretto funzionamento del mercato. Tali condotte, sebbene non sempre intenzionali, compromettono l’efficienza informativa del mercato, alterando il processo competitivo di pricing[76], determinando la vulnerabilità del consumatore, la quale non dipende più solo da fattori soggettivi, ma viene generata dalle dinamiche -interne ed esterne - di mercato e dalle strategie digitali degli operatori[77].

Nell’ambito inerente le logiche di mercato, esaminando gli episodi di fake news diffusi via social network che non si possono qui puntualmente ripercorrere, si evidenziano le capacità dei sistemi di IA generativa di manipolare le informazioni in modo tanto pervasivo quanto rapido, con effetti distorsivi rilevanti ed impattando sensibilmente sulla volatilità degli strumenti finanziari, mentre l’opacità funzionale dei sistemi di intelligenza, ostacola l’accertamento del nesso causale tra la condotta, attiva o omissiva, dell’agente umano e l’evento lesivo[78].

Questa crescente complessità rende sempre più fragile il paradigma della trasparenza informativa come tutela sufficiente, sebbene il Regolamento, AI Act, introduca il divieto di immettere sul mercato o utilizzare sistemi di intelligenza artificiale che sfruttino vulnerabilità legate all’età, alla disabilità o alla condizione socio-economica dell’individuo con l’obiettivo o l’effetto di alterarne in modo significativo il comportamento[79].

Il contenuto normativo ,benché si proponga di salvaguardare l’autonomia decisionale dei soggetti più esposti – limitandosi a  tutelare forme di vulnerabilità “classiche” - non riesce ad espletare una funzione compensativa delle lacune riconducibili  tanto ad uno squilibrio informativo e contrattuale tra consumatore e professionista, quanto ad una genericità della formulazione e l’assenza di parametri operativi chiari che riducono l’effettiva portata precettiva, rendendo incerta la sua concreta applicabilità nei contesti di mercato digitale[80].

In definitiva, il carattere essenziale dei servizi di consulenza adeguati si confermano nell’attuale scenario normativo e tecnologico, in cui le tradizionali tutele informative risultano poco strutturate e talvolta inadeguate. Tuttavia, il necessario incremento dei processi di alfabetizzazione finanziaria, l’opacità funzionale dei sistemi di intelligenza artificiale e le distorsioni derivanti da asimmetrie contrattuali e cognitive rendono ancora l’intermediazione umana uno strumento utile per garantire la libertà negoziale dell’investitore. La consulenza, nella sua funzione educativa, relazionale e ricostruttiva, centralizza le esigenze di personalizzazione della clientela, vincoli regolatori e innovazione, tenendo in conto concretamente l’equilibrio tra rischio, valore e trasparenza.

Al di là della ricerca costante di soluzioni nel contesto dell’integrazione tecnologica nei processi decisionali, è possibile giungere alla conclusione della discussione odierna, nel riconoscere come la priorità dell’intervento umano nei procedimenti decisionali rivesta ancora un ruolo direttivo e critico nella delimitazione degli obiettivi affidati all’IA, attribuendo nuovi significati e responsabilità alle funzioni di controllo , con particolare riguardo a quelle di consulenza strategica affidate agli organi di gestione[81].

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] S.L. TENNYSON, Consumers’ insurance literacy, in Networks Financial Institute Policy Brief n. 2011-PB, 2011, 6 ss

[2] «In questa direzione in sede di vigilanza europea sul credito l’European Banking Authority ha provveduto con un Report del 2020 ad individuare una serie di principi che dovrebbero in ogni caso trovare applicazione al fine di garantire in termini di affidabilità le soluzioni basate sull’IA e sul machine learning, e cioè: a) l’etica, prevedendosi che i principi etici possono essere incorporati nell’algoritmo fin dal momento della progettazione; b) la spiegabilità e interpretabilità degli algoritmi, garantendo che la logica utilizzata per la decisione possa essere compresa dall’uomo al fine di evitare fenomeni di black box; c) l’equità, che presuppone l’assenza di pregiudizi (bias) e il divieto assoluto di discriminazione; d) la tracciabilità e la verificabilità dei criteri e delle scelte adottate durante tutte le fasi del processo di analisi dei dati; e) la protezione, la qualità e la sicurezza dei dati.» Cosi si esprime E. CAPOBIANCO, Intelligenza artificiale e rapporti bancari, in Rivista di diritto bancario, 2024, 1011.

[3] Sul tema mi sia consentito il richiamo a G. SCAVINO, Il paradigma della sostenibilità e nuove frontiere della finanza, in Cammino diritto, , https://rivista.camminodiritto.it/,  Estratto dal N. 1 anno 2025, 10 ss.

[4] M. COSSU, Delle scelte di investimento dei Post-Millennials, e del difficile rapporto tra analfabetismo finanziario, crisi economico-finanziaria e finanza sostenibile, in Rivista delle società, 2021, 7

[5] D. ANDRACCHIO, Regolazione basata sull’informazione, autorità europee di vigilanza e tutela degli investitori retail, in Rivista di diritto bancario, 2024, 745 . Il contributo, richiama le osservazioni sul tema della educazione finanziaria di M. PICCINNO, Retail Investment Strategy: consulenza, consulenza finanziaria indipendente e financial literacy del cliente, in Dialoghi di diritto dell’economia, 2024, II, 1 ss  «se è vero, infatti, che un basso livello di cultura finanziaria sembra scoraggiare il ricorso al servizio di consulenza, è altresì corretto sostenere che, al crescere della financial education, la maggiore sicurezza nelle proprie capacità aumenterebbe la tendenza del cliente a decidere in autonomia, ossia a discostarsi dalle raccomandazioni ricevute dall’intermediario preventivamente consultato. D’altra parte, una maggiore istruzione (intesa come proxy del livello di financial education) si associa a una maggiore propensione a detenere strumenti rischiosi e a investire con il supporto di un intermediario, ossia una maggior propensione a cedere i propri capitali “dormienti” al mercato, secondo quanto espressamente auspicato dalla Commissione UE. Per tale ragione, la riforma richiede agli Stati membri di promuovere misure a sostegno dell’educazione all’attività di investimento responsabile rivolta ai clienti al dettaglio e ai potenziali clienti al dettaglio quando accedono a servizi di investimento o servizi accessori (Tit. VI bis, art. 88 bis, per i prodotti assicurativi art. 16 bis). »

[6] Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, G.U. L 145 del 30 aprile 2004.

[7] La Direttiva 2014/65/UE (MiFID II), entrata in vigore il 3 gennaio 2018, ha introdotto una riforma strutturale del sistema europeo di regolazione dei servizi di investimento, con l’obiettivo di rafforzare la tutela degli investitori, la trasparenza e l’efficienza dei mercati finanziari. Il suo impianto si fonda su tre pilastri: la Product Governance, che impone obblighi di progettazione e distribuzione coerenti con il profilo della clientela target; la Product Intervention, che consente interventi regolatori su prodotti non adeguati; e la riforma della consulenza finanziaria, intesa come servizio basato su raccomandazioni personalizzate. La direttiva impone procedure volte a garantire l’adeguatezza dei prodotti e la gestione dei conflitti di interesse, applicandosi sia ai produttori sia ai distributori, inclusi i consulenti finanziari. In argomemto si rinvia al contributo di Luciano M. Quattrocchio , MiFID II e MiFIR. Il quadro europeo di riferimento, in Rivista Diritto ed Economia dell'Impresa, 2018.

[8] La fiducia degli investitori venuta meno da eclatanti illeciti che hanno coinvolto i consulenti appartenenti al mondo finanziario, ha sollecitato l’attenzione del legislatore e della giurisprudenza sul tema della responsabilità per i danni arrecati alla clientela. In risposta, il legislatore italiano ha introdotto, con l’art. 31, comma 3, TUF, la responsabilità solidale dell’intermediario per gli illeciti commessi dal consulente abilitato all’offerta fuori sede, anche in caso di responsabilità accertata in sede penale.

La giurisprudenza della Corte di cassazione ha qualificato tale responsabilità come oggettiva ex art. 2049 c.c., fondata sul rapporto organico e sulla possibilità di vigilanza da parte dell’intermediario. È sufficiente che sussista un nesso di “occasionalità necessaria” tra l’incarico conferito e l’illecito commesso, anche se al di fuori dei limiti formali del mandato (Cass. 17 gennaio 2020, n. 857; Cass. Sez. Un., 16 maggio 2019, n. 13246).

Quanto all’obbligo informativo, la Corte ha affermato la presunzione del nesso causale tra la sua violazione e il danno patrimoniale sofferto dall’investitore, salvo prova contraria dell’intermediario (Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 18293 del 27 giugno 2023). Inoltre, l’informazione sullo specifico strumento finanziario è dovuta anche in caso di mera negoziazione per conto del cliente, e non può ritenersi assolta con una semplice dichiarazione di inadeguatezza (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 14208 del 5 maggio 2022).

[9] Questa funzione pedagogica si riflette in modo particolare nella consulenza previdenziale e assicurativa. Le decisioni relative alla costruzione di una pensione integrativa o alla sottoscrizione di polizze richiedono competenze spesso assenti nella generalità dei cittadini, soprattutto tra le fasce più giovani. Si veda COVIP -Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione  - Relazione per l’anno 2020

[10] Sul concetto di consulenza olistica si rinvia al par. 2.

[11] La parola robo-advisor deriva dal connubio tra il vocabolo robo, il quale si riferisce un processo automatizzato che si serve di algoritmi per supportare le scelte di investimenti; la parola advisor, invece, indica servizi automatizzati di gestione patrimoniale, i quale vengono elargiti forniti attraverso alcuni canali on-line.

Il termine, introdotto per la prima volta dal Financial Planner Magazine, - come richiamato da A. VICECONTE, La digitalizzazione della consulenza finanziaria: i c.d. robo-advice in  Cammino Diritto, https://rivista.camminodiritto.it/, 2021, 3,- identifica un servizio di consulenza finanziaria automatizzato, erogato online, caratterizzato da minimo intervento umano, profilazione preliminare del cliente, gestione personalizzata del portafoglio e funzioni di monitoraggio, ribilanciamento e ottimizzazione fiscale.

[12] Sul significato di Fintech si è espresso inizialmente  il Parlamento Europeo mediante una PROPOSTA DI RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO sulla tecnologia finanziaria: l'influenza della tecnologia sul futuro del settore finanziario - 2016/2243(INI), www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2017-0176_IT.html-, chiarendo, inter alia,  che « la tecnologia finanziaria (FinTech) dovrebbe essere intesa come un'attività finanziaria resa possibile o offerta attraverso le nuove tecnologie, che interessa l'intero settore finanziario in tutte le sue componenti, dal settore bancario a quello assicurativo, i fondi pensione, la consulenza in materia di investimenti, i servizi di pagamento e le infrastrutture di mercato ….. che qualsiasi soggetto può svolgere la funzione di operatore FinTech, indipendentemente dalla sua natura giuridica; che la catena del valore nel settore dei servizi finanziari comprende in misura sempre maggiore soggetti alternativi come le start-up o i giganti della tecnologia; che questo termine, pertanto, include un'ampia gamma di imprese e servizi che sono estremamente diversi tra loro, che pongono sfide diverse e che richiedono un diverso trattamento normativo…. che un'ampia gamma di sviluppi in materia di FinTech è sostenuta dalle nuove tecnologie, come le applicazioni riguardanti la tecnologia di registro distribuito, i pagamenti innovativi, la consulenza automatizzata, i megadati, l'utilizzo del cloud computing, le soluzioni innovative per l'autenticazione/identificazione dei clienti, le piattaforme di finanziamento collettivo e molte altre… e la tecnologia finanziaria può condurre a notevoli benefici, tra cui servizi finanziari per i consumatori e le imprese migliori, più rapidi, meno costosi, più personalizzati, inclusivi, resilienti e trasparenti, e aprire la strada a molte nuove opportunità commerciali per gli imprenditori europei; che nell'ambito dei servizi finanziari al dettaglio l'esperienza dei consumatori è la forza trainante degli operatori del mercato; che i progressi e l'innovazione nel settore finanziario non dovrebbero escludere il contante quale mezzo di pagamento.. ».

[13] M. CARATELLI, C. GIANNOTTI, N. LINCIANO, P. SOCCORSO, in  Quaderni FinTech, Valore della consulenza finanziaria e robo advice nella percezione degli investitori  Evidenze da un’analisi qualitative, CONSOB, 2019, 15

[14] REGOLAMENTO (UE) 2024/1689 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 13 giugno 2024 che stabilisce regole armonizzate sull'intelligenza artificiale e modifica i regolamenti (CE) n, 300/2008, (UE) n, 167/2013, (UE) n, 168/2013, (UE) 2018/858, (UE) 2018/1139 e (UE) 2019/2144 e le direttive 2014/90/UE, (UE) 2016/797 e (UE) 2020/1828 (regolamento sull'intelligenza artificiale

[15]  N. LINCIANO, Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento dei risparmiatori retail, Consob, Quaderno di Finanza n. 66/2010, 1-56,  Muovendo dalla constatazione di una ridotta partecipazione degli investitori retail ai mercati azionari, l'autore riconduce tale fenomeno alla presenza di “anomalie comportamentali”, espressione di sistematiche deviazioni dalle logiche di piena razionalità presupposte dalla teoria economica. In questa prospettiva, viene sottolineato come la ricerca empirica abbia evidenziato che, nell'assumere decisioni finanziarie, gli investitori siano frequentemente soggetti a errori di ragionamento e di preferenze, tali da compromettere la coerenza e la razionalità delle loro scelte.

[16] N. LINCIANO , Errori cognitivi e instabilità delle preferenze nelle scelte di investimento dei risparmiatori retail, ibid. , 5.

[17] Con specifico riferimento all'influenza esercitata dalla dimensione psicologica sulle scelte di investimento, superando i limiti dell’impostazione teorica tradizionale, può farsi rinvio, in tempi più recenti, a E.M. Cervellati, Finanza comportamentale e investimenti, McGraw-Hill, 2014. Per una prospettiva storica, si richiamano inoltre i contributi fondamentali di J.B. Watson, Psychology as a Behaviorist View, in Psychological Review, vol. 20, n. 2/1913, pp. 158-177, e di R. Thaler, Irving Fisher. Modern Behavioural Economist, in American Economic Review, 2, 1997, pp. 12-17, opere che costituiscono punti di riferimento imprescindibili per l'approfondimento delle radici comportamentali nell'economia.

[18] N. LINCIANO, Le distorsioni comportamentali e la consulenza finanziaria, in Analisi Giuridica dell’Economia, n. 1/2012, 2 ss.

[19] M.PICCINNO, Retail Investment Strategy: consulenza, consulenza finanziaria indipendente e financial literacy del cliente, in Dialoghi di diritto dell’economia, 2024, 12

[20] RELAZIONE sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE e (UE) 2016/97 per quanto riguarda le norme dell'Unione a tutela degli investitori al dettaglio, si rinvia al considerando 37: Per attività d'investimento responsabile s'intende la capacità dell'investitore al dettaglio di prendere decisioni di investimento informate che siano consone ai suoi obiettivi personali e finanziari, a condizione che sia a conoscenza sia della gamma di prodotti e servizi di investimento disponibili, con le relative caratteristiche fondamentali, sia dei rischi e dei benefici connessi all'attività d'investimento, e a condizione che comprenda i consigli sull'investimento che riceve e sia in grado di rispondervi in modo adeguato. I futuri investitori al dettaglio dovrebbero poter accedere in qualsiasi momento al materiale di educazione finanziaria di ausilio alla loro alfabetizzazione nella materia; tale materiale dovrebbe in particolare tenere conto delle differenze di età, livello di istruzione e capacità tecnologica tra gli investitori al dettaglio. Questi aspetti sono particolarmente importanti per i clienti al dettaglio che si accostano per la prima volta a strumenti finanziari, servizi di investimento e prodotti di investimento assicurativi e per quelli che usano strumenti digitali.

[21] M.PICCINNO, Retail Investment Strategy: consulenza, consulenza finanziaria indipendente e financial literacy del cliente, op.cit., 10

[22]L.E. Willis, Against Consumer Financial Literacy Education, in «Iowa Law Review», 2008, n. 1,  203 ss.

[23] L.E. Willis, Against Consumer Financial Literacy Education, ibid., 213 ss.

[24] D. ANDRACCHIO, Regolazione basata sull’informazione, autorità europee di vigilanza e tutela degli investitori retail, op.cit.  753

[25] V. LEMMA , Informazione finanziaria e tutela dei risparmiatori, in F. Capriglione (a cura di), I contratti dei risparmiatori, Milano, 2013

[26]IOSCO, final report: “Strategic Framework for Investor Education and Financial Literacy”, 2014 , Il presente contributo descrive l'Investor Education come una strategia fondamentale per migliorare la protezione degli investitori, promuovere la fiducia nei mercati e favorire un coinvolgimento consapevole degli investitori nella pianificazione finanziaria e nei processi decisionali. Essa non si sostituisce agli strumenti tradizionali di regolamentazione, supervisione ed enforcement, ma si configura come complementare a essi.

[27]C. Jolls & R. Cass, Debiasing Through Law, NBER Working Paper No. 11738, p. 2 Working Paper 11738 http://www.nber.org/papers/w11738 NATIONAL BUREAU OF ECONOMIC RESEARCH 1050 Massachusetts Avenue ,Cambridge, 2005: «Sunstein A quite different possibility – one that has received much less attention in the existing literature – is that legal policy may respond best to problems of bounded rationality not by insulating legal outcomes from its effects, but instead by operating directly on the boundedly rational behavior and attempting to help people either to reduce or to eliminate it. We describe legal policy in this category as 'debiasing through law.' Such strategies are analytically distinct in important ways from the approach of insulation and […] often represent a less intrusive, more direct, and more democratic response to the problem of bounded rationality.»

[28] Nell’esercizio dell’attività consulenziale, la responsabilità del professionista si delinea - tanto contrattualmente quanto in relazione all’obbligatorietà informativa - qualora una formulazione di raccomandazioni personalizzate non garantiscano una concreta e reale comprensione del cliente riguardo alle caratteristiche e i rischi del prodotto finanziario proposto, In tale prospettiva si inserisce l’insegnamento fornito dalla Cassazione Civile, Sez. I, 27 giugno 2023, n. 18293, che ha ribadito l’obbligo per l’intermediario di prestare una consulenza tale da consentire all’investitore di acquisire una conoscenza concreta ed effettiva del prodotto finanziario, così da formare un consenso pienamente consapevole. La Suprema Corte ha altresì affermato che, in presenza di violazione degli obblighi informativi, opera una presunzione del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno subito dall’investitore, presunzione che l’intermediario può superare solo mediante una rigorosa prova contraria. Tale impostazione conferma la centralità della funzione protettiva dell’informazione corretta e completa, volta a riequilibrare le fisiologiche asimmetrie conoscitive che caratterizzano i mercati finanziari.

[29] Il termine olistico deriva dal vocabolo greco antico ὅλος che significa ‘tutto, intero, totale’. Principi cardine di tale consulenza sono, da un lato, la personalizzazione dell’attività, che viene svolta in base alle caratteristiche specifiche del cliente verso il quale viene elargita, dall’altro, una strategia che si fonda su una visione globale dei vari aspetti della sua realtà finanziaria.  Indispensabile, in tal senso, risulta un’analisi approfondita degli obiettivi del cliente, nonché del contesto finanziario in cui dovranno essere perseguiti. Sul tema le considerazioni di Mauro Maria Marino- Presidente dell’ Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari- nella Relazione per l’anno 2023, Roma 27 giugno 2024, afferma: «le  professionalità del consulente finanziario, in un approccio ormai “olistico”, vedono, in tal guisa, ampliare i propri orizzonti e sensibilità soprattutto a lungo termine e in una visione di supporto anche in ambito previdenziale per il cliente/risparmiatore. Il consulente dovrà al contempo conoscere appieno le esigenze personali del risparmiatore, scegliere un sistema di intelligenza artificiale a sostegno che sia il più idoneo possibile, conoscerne la portata − come i modelli o i valori di cui si fa portatore − e dunque non solo le potenzialità ma anche i limiti o più semplicemente la “vicinanza”, ovvero l’idoneità in concreto, alle necessità specifiche del risparmiatore, come, ad esempio, il rispetto della sostenibilità, sotto il profilo ambientale e sociale».

[30] L’approccio iniziale al cliente può definirsi “psicologico” poiché prende in considerazione molteplici sfumature della vita dell’assistito, tra cui le aspirazioni, i valori e il rapporto con il denaro. Questo aspetto psicologico rappresenta un’evoluzione rispetto al passato, in quanto volto ad instaurare un rapporto più stretto tra l’intermediario finanziario e cliente. Il suddetto rapporto si originerà mediante uno o più colloqui conoscitivi, durante i quali l’intermediario finanziario fornirà tutte le informazioni necessarie al cliente, affinché quest’ultimo possa prendere confidenza con il mondo della consulenza finanziaria. L’abilità del consulente dovrà, in tale fase, essere di dimostrare al cliente i vantaggi di concentrarsi su una strategia finanziaria omnicomprensiva, piuttosto che su una strategia incentrata su singoli aspetti. Inoltre, il consulente inizierà a essere reso edotto di alcuni aspetti della vita finanziaria dell’assistito, tra cui, ad esempio, il reddito di lavoro, eventuali proprietà e investimenti effettuati.

[31] M.PICCINNO, Retail Investment Strategy: consulenza, consulenza finanziaria indipendente e financial literacy del cliente, op.cit. , 9

[32]Con l’introduzione dell’art. 24-bis TUF, il legislatore nazionale ha recepito senza apprezzabili discostamenti la DIRETTIVA 2014/65/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, sezione 2, Art. 24 par. 7: «Quando l’impresa di investimento informa il cliente che la consulenza in materia di investimenti è fornita su base indipendente, essa: a) valuta una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, che devono essere sufficientemente diversificati in termini di tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti da garantire che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti e non devono essere limitati agli strumenti finanziari emessi o forniti i) dall’impresa di investimento stessa o da entità che hanno con essa stretti legami o ii) da altre entità che hanno con l’impresa di investimento stretti legami o rapporti legali o economici - come un rapporto contrattuale - tali da comportare il rischio di compromettere l’indipendenza della consulenza prestata; b) non accetta e trattiene onorari, commissioni o altri benefici monetari o non monetari pagati o forniti da terzi o da una persona che agisce per conto di terzi in relazione alla prestazione del servizio ai clienti. Occorre comunicare chiaramente i benefici non monetari di entità minima che possono migliorare la qualità del servizio offerto ai clienti e che, per la loro portata e natura, non possono essere considerati tali da pregiudicare il rispetto da parte delle imprese di investimento del dovere di agire nel migliore interesse dei clienti; tali benefici sono esclusi dalla presente disposizione.»

[33] Proposta di DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che modifica le direttive 2009/65/CE, 2009/138/CE, 2011/61/UE, 2014/65/UE e (UE) 2016/97 per quanto riguarda le norme dell'Unione a tutela degli investitori al dettaglio in  www.eur-lex.europa.eu

[34] La cui proposta modifica contestualmente MiFID II, IDD, UCITS, AIFMD e Solvency II.

[35] Tra le innovazioni di maggior rilievo si annovera l’introduzione di criteri vincolanti di value for money.  Tra questi, l’obbligo dei manufacturer dovrà garantire che i prodotti offerti presentino un equo rapporto tra costi sostenuti e benefici prospettici per l’investitore. Non più soltanto un obbligo di adeguatezza, dunque, ma una valutazione qualitativa della convenienza del prodotto, parametrata anche rispetto a benchmark di mercato. In argomento si veda F. DI CARLO, D. GOBBO, Retail investment package: il confronto su product governance, value for money e inducements, in Non solo diritto bancario, 2024, 4.

[36] In tema si v. G. BIAGIONI, Le nuove sfumature della vulnerabilità derivanti dallo sviluppo di prodotti finanziari sostenibili, in Dialoghi di diritto dell’economia, 2024, 14 ss.

[37]Per completezza si rinvia a “New rules for financial service providers, Retail Investment Strategy (RIS) is coming!”, in www.pwc.ch

[38] D. ANDRACCHIO, Regolazione basata sull’informazione, autorità europee di vigilanza e tutela degli investitori retail, op. cit., 742 ss.

[39] A. CHIEFFI, Gli inducements: la raccomandazione Cesr e i nuovi divieti, in F. DEL BENE (a cura di), Strumenti finanziari e regole MiFID,IPSOA, Milano, 2009, 439.

[40] Sul punto, F. MOCCI, La disciplina degli incentivi nella Retail Investment Strategy, in DB-Non solo diritto bancario, 2023, 2. Nel presente contributo si evince come «accanto alle regole in tema di conflitto di interessi, si stabiliva un divieto generale di pagamento / percezione degli incentivi, che subiva tuttavia tre grandi eccezioni, menzionate dall’art. 26 della direttiva di secondo livello (2006/73/CE) e, nel nostro Paese, dall’art. 52 dell’allora vigente Regolamento Intermediari della Consob (16190/2007). Erano infatti consentiti: gli incentivi pagati o forniti a o da un cliente; gli incentivi pagati o forniti a o da un terzo, se: (i) fosse stata effettuata la disclosure al cliente; (ii) vi fosse stato un accrescimento della qualità del servizio; (iii) non si fosse un ostacolo all’adempimento degli obblighi di servire al meglio gli interessi del cliente; le c.d. “proper fees”, ovvero le competenze necessarie alla prestazione del servizio (costi di custodia,di regolamento, etc.).»

[41]DIRETTIVA 2014/65/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE, sezione 2, Art. 24 c. 7 e 8

[42] La tematica è disciplinata dall’ Artt. 52 e ss. del Regolamento intermediari adottato con Delibera Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018 introdotti in attuazione all’art. 24, paragrafo 9, della direttiva (UE) 2014/65/UE e dell’art. 11 direttiva delegata (UE) 2017/593.

[43] P. LORENZI, Retail Investment Strategy: la riforma degli inducement e del value for money, in DB-Non solo diritto bancario, 2023, 7.

[44] P. LORENZI, Retail Investment Strategy: la riforma degli inducement e del value for money, ibid. 10. Sulla medesima questione, l’autore, F. MOCCI, La disciplina degli incentivi nella Retail Investment Strategy, op. cit, 18 , precisa che «” per servire al meglio gli interessi dei clienti” il nuovo comma 1 bis, che la proposta di direttiva vorrebbe introdurre all’art. 24 della direttiva MiFID II , prevede che gli intermediari che prestino consulenza ai clienti al dettaglio debbano:(a) valutare una gamma adeguata di strumenti finanziari;(b) raccomandare gli strumenti finanziari, tra quelli adeguati per il cliente, più efficienti in termini di costi con caratteristiche simili;(c) raccomandare, all’interno della gamma di strumenti finanziari adeguati per il cliente, uno o più prodotti privi delle caratteristiche supplementari che non sono funzionali al conseguimento degli obiettivi di investimento del cliente e che non comportano costi aggiuntivi.»

[45] Il confronto con i dati statunitensi è eloquente: solo il 17% del patrimonio delle famiglie europee è investito in strumenti finanziari, contro il 43% registrato negli Stati Uniti. In un contesto segnato da forti asimmetrie informative, gli investitori al dettaglio fanno frequentemente affidamento sugli intermediari, sebbene la fiducia in tali soggetti risulti fragile: il 45% degli investitori dichiara infatti di non essere convinto che le raccomandazioni ricevute siano formulate nel proprio interesse. Si richiama l’intervento di S. DE POLI, La EU Retail Investment Strategy - Profili di diritto del mercato assicurativo – IVASS- Roma, Convegno di Studi - Università La Sapienza, 22 febbraio 2024,2, il quale rinvia alla seguente analisi:  Eurobarometer survey on Retail Financial Services and Products, ottobre 2022.

[46]Il 12 giugno 2024 Il Consiglio dell’Unione Europea ha conseguito un ulteriore obiettivo per il potenziamento delle normative per la categoria retail . Proposal for a DIRECTIVE OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL amending Directives (EU) 2009/65/EC, 2009/138/EC, 2011/61/EU, 2014/65/EU and (EU) 2016/97 as regards the Union retail investor protection rules and the Proposal for a REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL amending Regulation (EU) No 1286/2014 as regards the modernisation of the key information document :  Disponibili al seguente link: https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2024/06/12/retail-investment-package-council-agrees-on-its-position/

[48] F. DI CARLO, D. GOBBO, Retail investment package: il confronto su product governance, value for money e inducements, ibid. , 17.

[49] M. ARRIGONI, A. SAVAZZI, Le novità MiFID II del Retail Investment Package nella versione del Consiglio UE, in Non solo diritto bancario, 2024, 10

[50] M. ARRIGONI, A. SAVAZZI, Le novità MiFID II del Retail Investment Package nella versione del Consiglio UE, ibidem, 12.

[51] , F. MOCCI, Retail Investment Strategy, la strada è ancora lunga in DB-Non solo diritto bancario, 2024, 2.

Nel contributo, l'autore dimostra chiaramente che, attualmente, coesistono due versioni della proposta di direttiva omnibus, rappresentative di momenti distinti del processo legislativo europeo. La prima, presentata dalla Commissione il 24 maggio 2023, introduce innovazioni normative di ampia portata rispetto all'assetto regolatorio vigente; la seconda, rappresentata dal parere espresso il 2 aprile 2024 dal Comitato per i problemi economici e monetari (ECON) del Parlamento europeo, risulta più moderata e cerca di attenuare l'impatto delle proposte originarie. Una volta approvata, la direttiva rivoluzionerà i mercati finanziari nel quadro della Retail Investment Strategy, con l'Unione Europea che mira a rafforzare significativamente le tutele degli investitori al dettaglio.

[52] D. ANDRACCHIO, Regolazione basata sull’informazione, autorità europee di vigilanza e tutela degli investitori retail,op.cit. 753. In tale prospettiva mi sia consentito il richiamo a G.SCAVINO, L‘inclusione dei criteri esg e nuove prospettive  del mercato assicurativo in  Cammino Diritto, https://rivista.camminodiritto.it/, 2025, 21. L’elaborato condivide l’opinione di una consapevolezza finanziaria rappresentiva non soltanto di un valore individuale, ma anche di un fattore strategico, capace di incidere in modo significativo sulle politiche delle istituzioni finanziarie e assicurative, contribuendo a orientare le strategie aziendali verso modelli innovativi e responsabili. La ratio di tale impostazione risiede nella considerazione per cui la progressiva riduzione della subordinazione contrattuale del consumatore costituisce, a pieno titolo, un indicatore della trasformazione del mercato, in cui innovazione tecnologica e regolazione sostenibile concorrono a ridefinire il rapporto tra imprese e utenti finali.

[53] Per un maggiore approfondimento si rinvia al contributo di  F. ANTONELLI, Tecnologia e democrazia. L’egemonia al tempo della società digitale, Roma, 2019, 1-189.

[54] Le quali operando tramite piattaforma online caratterizzate da processi innovativi e algoritmi personalizzati, consentono ad una platea ben numerosa di investitori di ottimizzare i propri investimenti, purché, ovviamente, tali strumenti vengano utilizzati con la giusta consapevolezza.

[55] R. LENER, La “digitalizzazione” della consulenza finanziaria. Appunti sul c.d. robo-advice, in Rivista di diritto bancario, 2020, I, 201 ss

[56]A. VICECONTE, La digitalizzazione della consulenza finanziaria: i c.d. robo-advice, op. cit, 4

[57] Per un’ampia dialettica sul tema si veda M.T. CAMPO, L’adeguatezza della consulenza finanziaria automatizzata nelle linee guida dell’ESMA tra algo-governance e nuovi poteri di supervisione, in Rivista di diritto bancario, 2018

[58] ESMA , DOC. 35-43-1163 IT, Orientamenti  su alcuni aspetti dei requisiti di adeguatezza della MiFID II, 2018

[59] Vedasi nota 7 per la definizione secondo il TUF di consulenza in materia di investimenti.

[60] P. GAGGERO, Innovazione tecnologica e ruolo della volontà negoziale nel mercato dei capitali, in Rivista di diritto bancario,2025, 12

[61] E. CAPOBIANCO, Intelligenza artificiale e rapporti bancari, in Rivista di diritto bancario, 2024, 1004

[62] R. LENER, Intelligenza artificiale e interazione umana nel robo-advice, in Rivista. Trimestale di  Diritto dell’economia., III, 2021, pag. 103. L’analisi risalta l’importanza di un elaborazione immediata di volumi elevati di operazioni, resa possibile dall’integrazione di tecnologie avanzate nei processi finanziari. Ciò costituisce un punto di partenza  per l’introduzione di nuove categorie di servizi e modelli di business, nonché per una nuova configurazione delle modalità di erogazione degli stessi, generando effetti consequenziali  come  il livellamento dei costi operativi, l’ottimizzazione dei margini di profitto e la possibilità di offrire consulenze tipologicamente uniformi.

[63] F. BICHIRI, Robo-Advisor e Responsabilità Civile : Un analisi Critica sulla proposta di Regolamento sull’intelligenza artificiale e sulla Proposta di Direttiva sulla responsabilità da intelligenza artificiale, in XV Convegno annuale dell’associazione italiana dei professori universitari di diritto commerciale “orizzonti del diritto commerciale “ impresa e mercati numeri e computer science “ Roma, 23- 24 febbraio 2024.

[64]CONSOB, Gruppo di lavoro Consob, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Università Bocconi, Università di Pavia, Università di Roma ‘Tor Vergata’, Università di Verona , La digitalizzazione della consulenza  in materia di investimenti finanziari, in Quaderni FinTech, 2019, 51

[65] F. SARTORI, La consulenza finanziaria automatizzata: problematiche e prospettive, in Rivista trimestrale di diritto dell'economia  n. 3/2018, 261

[66] M. TERTILT, P. SCHOLZ, To Advise, or Not to Advise. How Robo-Advisors Evaluate, the Risk Preferences of Private Investors, in The Journal of Wealth Management, n. 2/2018, 21

[67] R. LENER, Intelligenza artificiale e interazione umana nel robo-advice, op. cit. , 107

[68] R. LENER ibid. ,  102

[69] E. CAPOBIANCO, Intelligenza artificiale e rapporti bancari, op.cit., 1005 e ss . La presente riflessione richiama un’approfondita analisi sull’impiego dei Robo-Advisor, intrapresa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), la quale, a partire dal 2017, si è fatta promotrice di tali studi non soltanto nel settore finanziario in senso stretto, ma anche nei comparti assicurativo e previdenziale. Tra i principali contributi si annoverano gli studi intitolati Technology and Innovation in the Insurance Sector e Robo-Advice for Pensions, nei quali si esamina  il rapporto tra tali strumenti, l’intelligenza artificiale e il quadro regolatorio di riferimento, evidenziandone le probabilità di rischio.

[70]F.CANNELLA,  RoboAdvice e sostenibilità: come cambia la valutazione di adeguatezza , in Non solo diritto bancario, 2025, 4.

In riferimento a tale principio, l’autore illustra come non sia «necessario intervenire per definire una specifica normativa diretta a regolare le nuove fattispecie che sono state introdotte dal fenomeno del Fintech, ma si ritiene sufficiente una corretta applicazione delle tradizionali disposizioni del nostro ordinamento, anche per evitare di costruire un’impalcatura normative eccessivamente rigida che limiti lo sviluppo tecnologico. Per un’analisi del principio di neutralità tecnologica si rimanda a EU PARLIAMENT, Committee on Economic and Monetary Affairs, Report on Fin-Tech: the influence of technology on the future of the financial sector.»

[71]P. GAGGERO, Innovazione tecnologica e ruolo della volontà negoziale nel mercato dei capitali, in op.cit. , 13, nel quale si fa riferimento ai seguenti articoli  artt. 17, par. 4; 18, par. 3; 19, par. 2; 26, par. 5 e 6; 72, par. 4; 74, par. 6. del regolamento IA ACT.

[72]E. PRONIN et al., The Bias Blind Spot: perception of bias in self versus others, 2002, reperibile al sito https://doi.org/10.1177/0146167202286008

[73]  Si rinvia a F. MOCCI, Retail Investment Strategy, la strada è ancora lunga, op.cit. .

[74] A. DAVOLA, Algoritmi decisionali e trasparenza bancaria, Milano, 2020

[75] N. M. F. FARAONE, IA e vigilanza prudenziale: alla ricerca di un nuovo equilibrio tra presidio dei rischi e trasformazione digitale dell’impresa bancaria, in Rivista di diritto bancario, 2024, 191. Nel proprio contributo, l’autore evidenzia come la ricorrente interpretazione del Regolamento quale strumento di diffusione — anche sotto il profilo culturale — di un approccio orizzontale e basato sul rischio, rappresenti, in realtà, l’espressione concreta della dialettica tra due interessi contrapposti. Tali interessi, che nel settore finanziario trovano un ambito privilegiato di interazione, sono da un lato lo sviluppo tecnologico e, dall’altro, la tutela dei diritti fondamentali, strettamente connessa alla necessità di preservare la fiducia nei mercati finanziari e negli operatori che vi agiscono.

[76] M.ARRIGONI, Intelligenza artificiale e manipolazione informativa del mercato finanziario, in Rivista di diritto bancario, fascicolo IV supplement, 2024,61 .

[77] A.AMIDEI, La tutela del consumatore “profilato”: obblighi informative e asimmetrie negoziali, in Giurisprudenza Italiana, Dottrina e attualità giuridiche, UTET,  2025,464. Così si delinea una possibile condotta del professionista, responsabile di squilibri contrattuali, attribuite a tecniche come la <>.

[78] M.ARRIGONI, Intelligenza artificiale e manipolazione informativa del mercato finanziario, op.cit, 65 . L’analisi dell’autore fa emergere l’opacità operativa dei sistemi di intelligenza artificiale strutturati come black box, unita alla capacità di generare output in modo autonomo, rende complessa l’imputazione soggettiva della condotta – sia a titolo di dolo sia di colpa – in capo a programmatori o utilizzatori, salvo nei casi di malfunzionamento operativo o uso consapevole da parte umana.

[79] L’art. 5, par. 1, lett. b), DEL REGOLAMENTO (UE) 2024/1689 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 13 giugno 2024 che stabilisce regole armonizzate sull'intelligenza artificiale e modifica i regolamenti (CE) n, 300/2008, (UE) n, 167/2013, (UE) n, 168/2013, (UE) 2018/858, (UE) 2018/1139 e (UE) 2019/2144 e le direttive 2014/90/UE, (UE) 2016/797 e (UE) 2020/1828 (regolamento sull'intelligenza artificiale

[80] A. AMIDEI , La tutela del consumatore “profilato”: obblighi informativi e asimmetrie negoziali, op.cit. 463.

[81] N. M. F. FARAONE, IA e vigilanza prudenziale: alla ricerca di un nuovo equilibrio tra presidio dei rischi e trasformazione digitale dell’impresa bancaria, op.cit. , 201.