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Pubbl. Ven, 14 Ott 2022

I reati commessi sul web e bitcoin: truffe online e autoriciclaggio

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Annalisa Nocera
AvvocatoLUISS Guido Carli



Con sentenza nr. 27023 del 2022, la II Sez. Penale della Corte di Cassazione ha ribadito alcuni principi già espressi in passato in materia di reati contro il patrimonio commessi sul web. Ha chiarito come individuare la competenza e ha affermato che il web è luogo di minorata difesa perchè non consente l´individuazione dell´autore del reato.


ENG

Crimes committed on the web and bitcoin: online scams and self-laundering

In its Judgment nr. 27023 of 2022, the II Penal Section of the Supreme Court underlined some principles already established in the past about the crimes against property. The judges clarified the criteria to identify the territorial jurisdiction and affirmed that the web is a place of disabled defence because it does not allow to identify the offender.

Sommario: 1. Il fatto; 2. La competenza territoriale nel reato di autoriciclaggio; 3. Il web come luogo di minorata difesa nelle truffe contrattuali; 4. La configurabilità dell'autoriciclaggio tramite l'acquisto di bitcoin con denaro proveniente da attività delittuose; 5. Considerazioni conclusive.

1. Il fatto

Con sentenza nr. 27023 del 2022, la II Sez. Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso cautelare promosso dal ricorrente indagato per i reati di truffa e di autoriciclaggio.

Invero, all’imputato era stata applicata la misura cautelare custodiale per avere commesso molteplici truffe a danno di differenti soggetti per poi far confluire le somme percepite in acquisto di monete virtuali. Egli creava una realtà artificiosa convincendo le vittime di essere un legale preposto all’autorità giudiziaria operante nell’ambito delle aste giudiziarie, così facendosi versare diverse somme di denaro.

Dopo la percezione del profitto, lo investiva nel mercato virtuale acquistando moneta elettronica.

In fase investigativa emergevano gravi indizi di colpevolezza a carico dell'imputato e, nei suoi confronti, veniva emessa un'ordinanza di applicazione della misura cautelare personale custodiale, avverso la quale veniva proposta istanza di riesame.

I motivi di riesame articolati dall’imputato si fondavano sui seguenti punti:

a) Incompetenza territoriale;

b) Insussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n.5 c.p. richiamato dall’art. 640 comma II n.2 bis c.p. per le particolari condizioni di luogo (piattaforma on-line) che avevano favorito l’agente a discapito delle vittime, e ciò ai fini dell’applicazione quoad poenam della misura custodiale richiesta dal Pubblico Ministero;

c) Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione all’ipotesi di autoriciclaggio, atteso il reinvestimento dei proventi illeciti in operazioni finanziarie mediante l’acquisto di moneta virtuale;

d) Insussistenza dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari con conseguente pericolo di recidiva.

Il Tribunale del riesame rigettava l'istanza e l'imputato ricorreva in Cassazione, contestando ogni punto della pronuncia. 

Le peculiarità dei reati commessi sul web offrono interessanti spunti di riflessione sulle questioni sottoposte alla Corte e, in particolare, sui criteri per individuare la competenza territoriale nel reato di autoriciclaggio, sulla qualificazione del web come luogo di minorata difesa nelle truffe contrattuali nonché sulla configurabilità dell’autoriciclaggio tramite l’acquisto di bitcoin con denaro proveniente da attività delittuose.

2. La competenza territoriale nel reato di autoriciclaggio

La connessione tra i reati di truffa e di autoriciclaggio commessi dall’imputato impone di applicare le regole in materia, anche processuali, per ciò che concerne la competenza dell’autorità giudiziaria.

Nel caso di specie, viste le molteplici contestazioni al ricorrente, il reato più grave veniva individuato nel delitto di autoriciclaggio ed è in base a esso che deve individuarsi il radicamento della competenza.

L’autoriciclaggio è un reato di recente introduzione normativa, essendo stato inserito nel Codice penale con l’art. 3 comma 3 l. 15 dicembre 2014, n. 186.

Si tratta di un reato istantaneo che si consuma nel luogo e nel momento in cui la condotta illecita viene posta in essere.

Quando si tratta di condotte commesse tramite strumenti informatici, il locus commissi delicti viene individuato in base a un esame che può prescindere dal luogo fisico in cui si trovava il soggetto al momento della commissione della condotta.

E infatti, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente che sosteneva che il locus commissi delicti avrebbe dovuto identificarsi nel luogo fisico in cui aveva dato online l’ordine di pagamento dei bitcoin oppure, in via residuale, nel suo luogo di residenza, il Tribunale del riesame ha ritenuto che l’autoriciclaggio si fosse consumato nel luogo in cui era stato acceso il conto corrente on line utilizzato per ricevere i primi bonifici da parte dei truffati e per effettuare versamenti in favore di una società tedesca per l’acquisto di criptovaluta.

La Suprema Corte ha condiviso l'inciso del Tribunale del riesame e ha ribadito quanto affermato dalla giurisprudenza costante secondo cui il reato di autoriciclaggio ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui vengono poste in essere le condotte di impiego, sostituzione o trasformazione di beni costituenti l’oggetto materiale del delitto presupposto[1].

I bonifici effettuati con il denaro proveniente dalle truffe, partiti dal conto corrente dell’imputato e indirizzati ad una banca tedesca, rappresentano il momento a cui guardare per individuare la competenza.

Stante la natura istantanea del reato, e vista la modalità della condotta, ciò che rileva è il luogo di impiego del denaro.

Esso è identificabile nel conto corrente sul quale le somme sono confluite dalle persone offese vittime dei raggiri, e destinate al mercato estero, con la conseguenza che, ai fini della competenza per territorio, occorre fare riferimento al Tribunale del luogo in cui si trova l’istituto bancario in cui l’agente ha aperto quel conto corrente ed ha operato da remoto, dando disposizioni per immettere nel circuito finanziario il capitale illegittimamente acquisto.

3. Il web come luogo di minorata difesa nelle truffe contrattuali

La Cassazione si concentra, poi, sul precisare le motivazioni per le quali il web può essere aggravante della minorata difesa ai sensi dell’art. 61 nr.5) del Codice penale. Quest'aggravante si riferisce a una serie di situazioni, legate a fattori ambientali o personali, per effetto delle quali la vittima non può adeguatamente difendersi né essere difesa[2].

Le piattaforme informatiche e, più in generale il web, costituiscono terreno fertile per la proliferazione di incontri e relazioni virtuali con soggetti che riescono a celare agevolmente la propria identità e a sfruttare la distanza con l’interlocutore a proprio favore per carpirne la volontà e utilizzarla a proprio vantaggio.

La rete è un luogo in cui si svolgono la maggior parte degli scambi commerciali e in cui alienante e acquirente entrano in contatto attraverso strumenti informatici senza che, necessariamente, si siano mai incontrati o si incontrino in futuro.

Per tale ragione la giurisprudenza costante è dell’avviso che possono identificarsi «le condizioni della minorata difesa nella ‘costante’ distanza tra venditore e acquirente che gestiscono trattative che si svolgono interamente sulle piattaforme web: tale modalità di contrattazione pone l’acquirente in una situazione di debolezza in quanto è costretto ad affidarsi alle immagini che non consentono una verifica della qualità del prodotto; a ciò si aggiunge che la trattativa telematica consente di vendere (ed acquistare) sotto falso nome rendendo difficile anche l’identificazione del contraente e difficile il controllo sulla sua affidabilità» [3].

Questo principio di diritto è stato ribadito dalla Cassazione nella sentenza oggetto dell’odierna disamina ritenendo che, in tema di truffa online, è configurabile l’aggravante della minorata difesa, con riferimento all’approfittamento delle condizioni di luogo, quando l’autore abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete.

Nel caso di specie, l’imputato occultava la propria identità utilizzando indirizzi di posta elettronica falsi e fornendo false generalità senza mai dare seguito a tali contatti mediante incontri di persona, limitandosi bensì a sporadici e rari incontri telefonici che non si rivelavano sufficienti ad escludere l’aggravante.

L’imputato, peraltro, strumentalizzava gli istituti previsti dal Codice di procedura civile per la liquidazione giudiziale dei compendi immobiliari pignorati - offerta, partecipazione all’asta e vendita online - per schermare la propria e utilizzava siti web istituzionali dai quali i potenziali acquirenti potevano recuperare informazioni sui beni d’interesse e scaricare la modulistica di riferimento.

Dunque, quando l’attività manipolativa e fraudolenta avviene mediante l’utilizzo di piattaforme informatiche, senza che poi facciano seguito incontri personali tra la vittima e l’autore del reato, può certamente integrarsi l’aggravante della minorata difesa perché attraverso il web aumentano le distanze tra gli interlocutori la cui identità può agevolmente alterarsi.

4. La configurabilità dell’autoriciclaggio tramite l’acquisto di bitcoin con denaro proveniente da attività delittuose

Altro punto che è stato eviscerato dalla Cassazione è quello che riguarda la configurabilità dell'autoriciclaggio mediante l'acquisto di monete virtuali con denaro proveniente da attività delittuose. 

La Suprema Corte ha esaminato il contesto normativo in materia e, in particolare, quello italiano con il d.lgs. 231/2007 e successive modificazioni, nonché quello comunitario, con la Direttiva 2005/60/CE e con la V Direttiva Antiriciclaggio, che affiancano la disciplina penalistica di parte speciale.

Più precisamente, l’art. 1, comma 2, lett. qq) d.lgs. 231/2007, in seguito alle modifiche apportate con il d.lgs. 125/2019, definisce la valuta virtuale come “La rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

Alla luce di ciò, la Cassazione ha sottolineato quanto già affermato dal Tribunale del riesame e ne ha condiviso la considerazione secondo cui il bitcoin non può essere escluso dall’ambito degli strumenti finanziari e speculativi.

L’impossibilità di identificare chi re-immette il profitto del reato presupposto nel mercato e le specifiche caratteristiche della criptovaluta, ad avviso della Suprema Corte, non rendono possibile escludere la configurabilità del reato di autoriciclaggio.

Già in altri orientamenti la Cassazione aveva avuto un atteggiamento di particolare rigore nei confronti del bitcoin sottolineando che il reato di autoriciclaggio risulta integrato con la preliminare operazione di cambio della valuta servendosi di società estere, poiché tale condotta è concretamente idonea a ostacolare l’identificazione delittuosa dei proventi utilizzati per l’acquisto dei bitcoin.

Con questo precedente arresto, che riguardava il reimpiego di denaro proveniente dallo sfruttamento della prostituzione, la Cassazione affermava che ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio non occorre infatti che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento all’identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, ma che è sufficiente una qualsiasi attività concretamente idonea anche solo ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza[4].

5. Considerazioni conclusive

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ribadisce alcuni principi affermati già in alcuni precedenti della medesima sezione, sia in materia di truffe online che in materia di autoriciclaggio tramite l’acquisto di monete virtuali.

Le considerazioni che è possibile trarre riguardano la possibilità di applicare i principi generali del diritto penale, nati in un’epoca in cui la criminalità operava fisicamente, in un’epoca in cui il mondo virtuale sta sostituendo sempre più velocemente quello reale.

Invero, il web come luogo di minorata difesa si giustifica in considerazione delle caratteristiche che lo riguardano e della facilità con cui l’identità fisica di un dato soggetto può essere alterata.

Lo stesso vale per il bitcoin che, sebbene sia ormai uno strumento utilizzato negli scambi economici, presenta delle peculiarità quale la difficoltà di identificarne la provenienza.

In ragione di queste caratteristiche del mercato nel web, e del mercato sul web, si giustifica il rigore della Suprema Corte mostrato con la particolare attenzione riservata alle vittime dei reati consumati su piattaforme digitali.


Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass. Pen. Sez. II, Sent. N. 38838 del 20 settembre 2019.

[2] G. Marinucci, E. Dolcini, G. L. Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, 2020, 648 ss.

[3] Da ultimo Cass. Pen., Sez. II, Sent. N. 1085 del 13 gennaio 2021.

[4] Cass. Pen., Sez. II, N. 2868 del 25 Gennaio 2022,