Pubbl. Gio, 15 Set 2022
Autotutela conservativa
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Cesare Valentino
Con il presente elaborato é offerta una panoramica generale sugli istituti riconducibili alla c.d. autotutela conservativa.
Conservative self-protection
With this paper is offered a general overview of the institutions attributable to conservative self-protection.Sommario: 1. Inquadramento generale dell’autotutela “conservativa”; 2. La convalida provvedimentale ; 3. La conferma e l’atto confermativo; 4. La conversione; 5. Altre fattispecie riconducibili all’autotutela conservativa.
1. Inquadramento generale dell’autotutela “conservativa”
In generale con l’espressione autotutela amministrativa[1] si intende l’insieme di provvedimenti assunti all’esito di procedimenti di secondo grado attraverso cui la p.a. interviene su precedenti determinazioni al fine di curare il pubblico interesse.
L’autotutela in generale può assumere una connotazione caducatoria[2] o conservativa, a seconda che il perseguimento di tale finalità richieda rispettivamente la rimozione o la manutenzione del provvedimento di primo grado.
In particolare, i diversi istituti costituenti proiezione dell’autotutela conservativa, pur presentando un diverso raggio operativo, si connotano per un fondamento comune, da ravvisare nel principio di conservazione[3], riconducibile al principio generale di buon andamento[4], cristallizzato anche nell’impianto costituzionale (art. 97 Cost.).
2. La convalida provvedimentale
La convalida provvedimentale[5] costituisce un provvedimento di secondo grado con cui la P.A. rimuove retroattivamente un vizio formale che rende illegittimo un precedente provvedimento.
A differenza dell’annullamento d’ufficio, che comporta la caducazione retroattiva del provvedimento di primo grado illegittimo, la convalida provvedimentale consente la conservazione di quest’ultimo, che viene emendato del vizio invalidante.
Costituendo la convalida un provvedimento di secondo grado “discrezionale”, l’ammissibilità della stessa poggia sulla prevalenza dell’interesse alla convalida rispetto agli interessi pubblici secondari o privati comunque coinvolti dall’esercizio del potere.
In ordine ai presupposti[6] di tale forma di sanatoria, vi è da rilevare che la stessa è ammessa a condizione che sussistano ragioni di pubblico interesse e che il provvedimento di convalida intervenga entro un “termine ragionevole”.
Passibili di convalida sono solo i provvedimenti annullabili, affetti da vizi di legittimità[7], con esclusione di provvedimenti nulli o inopportuni. Tra i vizi emendabili tramite convalida provvedimentale rientrano: l’incompetenza[8] relativa; i vizi formali, come l’insufficiente quorum[9] negli organi collegiali o l’adozione di un sistema di votazione non previsto dalla legge.
Non sono convalidabili i vizi sostanziali, ossia i vizi incidenti sul contenuto dell’atto, come l’eccesso di potere per sviamento.
Sul piano degli effetti, tale forma di sanatoria comporta la nascita di una fattispecie complessa modulata sul provvedimento di primo grado “convalidato[10]” e provvedimento di convalida di secondo grado. In ordine al regime giuridico, è stato rilevato che eventuali lacune nella disciplina dell’istituto possono essere colmate attraverso l’applicazione delle regole dettate in tema di annullamento d’ufficio, nei limiti della compatibilità[11].
Discussi sono i rapporti tra convalida provvedimentale e convalida del contratto annullabile[12], pur fondandosi ambedue sul principio di conservazione degli atti giuridici, giacché consolidano, stabilizzandoli, gli effetti dell’atto su cui incidono.
Al riguardo occorre rilevare anzitutto che i due istituti divergono in ordine alla dimensione effettuale, in quanto la rimozione retroattiva del vizio invalidante ha luogo solo in relazione alla convalida provvedimentale.
Ulteriore profilo distintivo attiene alla legittimazione, giacché mentre la convalida provvedimentale promana dalla parte del rapporto che ha interesse ad evitare una pronuncia di annullamento, l’attivazione della convalida contrattuale si ricollega all’iniziativa della parte che potrebbe agire tramite l’azione di annullamento. Inoltre, a differenza di quanto previsto in materia contrattuale, non è ammessa una convalida tacita, in quanto la volontà di sanare l’atto amministrativo illegittimo deve risultare da una dichiarazione espressa dell’autorità competente[13].
Controversa è anche la portata applicativa della convalida provvedimentale, essendo discussa al riguardo la possibilità di una rimozione, tramite tale rimedio, del vizio di motivazione[14], anche in corso di giudizio. Sul punto occorre dar atto che la più recente giurisprudenza[15] propende per la soluzione in senso affermativo del quesito, ma a condizione che tale vizio assuma connotazione formale e non già sostanziale. In particolare, un vizio formale sussisterebbe nell’ipotesi in cui la motivazione non è viziata nel contenuto bensì nella forma di esposizione dello stesso.
Trattandosi di un contenuto “legittimo”, non vi sarebbero ostacoli ad ammettere la convalida. Viceversa, un vizio motivazionale “sostanziale”, che preclude l’ammissibilità della convalida, ricorrerebbe allorquando la motivazione è viziata nel contenuto, ad esempio per irragionevolezza, non proporzionalità.
Questione connessa alla generale sanabilità tramite convalida del provvedimento affetto da vizio motivazionale formale è quella afferente all’attivazione di tale rimedio nel corso del giudizio instaurato per l’annullamento del provvedimento de quo.
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa più recente fornisce al quesito soluzione positiva, muovendo dall’assunto per cui, in base ai motivi aggiunti, il privato che agisce con l’azione di annullamento può impugnare tutti i provvedimenti “sopravvenuti” in corso di giudizio.
In applicazione di tale principio il privato può impugnare sia il provvedimento di convalida, in caso di sua illegittimità, sia l’atto convalidato, nel caso di sua persistente illegittimità.
Tale soluzione inoltre consentirebbe non solo l’attuazione dei principi di effettività e di concentrazione delle tutele innanzi allo stesso giudice ma anche di superare il rischio dei ricorsi “al buio”.
3. La conferma e l’atto confermativo
La conferma[16] costituisce una fattispecie di autotutela conservativa che può assumere in concreto 2 diverse configurazioni. In particolare, si distingue tra conferma propria[17] e impropria[18], che pur avendo comunanza funzionale, giacché ambedue dirette alla conferma di una precedente determinazione amministrativa, divergono sul versante strutturale.
E infatti solo nella prima figura la conferma del provvedimento di primo grado avviene all’esito di un nuovo procedimento implicante un’ulteriore attività istruttoria. Il che ha delle evidenti ripercussioni sul versante processuale, giacché la conferma propria, costituendo un autonomo provvedimento di secondo grado, è autonomamente impugnabile per qualsiasi vizio proprio[19], a differenza dell’atto meramente confermativo.
L’esclusione dell’autonoma impugnabilità di tale ultima figura si ricollega all’esigenza di evitare un’elusione dei termini di decadenza[20] entro cui impugnare il precedente provvedimento sfavorevole di cui la P.A. ha confermato il contenuto senza compiere una nuova istruttoria.
Purtuttavia la non impugnabilità del provvedimento meramente confermativo è stata sottoposta a critiche da parte della dottrina[21] giacché la stessa verrebbe a dipendere da una mera scelta della P.A., senza dare al privato la possibilità di far valere circostanze di fatto o di diritto sopravvenute.
4. La conversione
La conversione[22] è un provvedimento di secondo grado funzionale alla conservazione degli effetti di un provvedimento di primo grado affetto da nullità. In ordine ai presupposti, tale forma di sanatoria richiede anzitutto che il provvedimento abbia i requisiti di forma e di sostanza di un altro atto. In secondo luogo, è necessario che la P.A. avrebbe voluto l’atto diverso se avesse conosciuto il vizio invalidante.
Infine, è richiesta una omogeneità funzionale tra provvedimento soggetto a conversione e provvedimento diverso, dovendo gli stessi involgere interessi pubblici omogenei.
Discusso è l’ambito applicativo della conversione, sebbene una prima corrente interpretativa[23] nega cittadinanza giuridica alla figura. Una seconda tesi[24] invece ritiene che passibili di conversione siano i soli provvedimenti annullabili.
Al riguardo, sebbene l’ammissibilità della figura discenda dall’esser la stessa espressione del principio generale di conservazione, la lettera dell’art. 1424 cod. civ., contemplando un riferimento espresso alla nullità, induce a ritenere che l’istituto possa trovare applicazione solo in relazione ai provvedimenti nulli[25].
Dal punto di vista soggettivo, organo competente[26] in ordine alla conversione è lo stesso organo che ha emesso l’atto. In relazione agli effetti[27], vi è da rilevare che dalla natura dichiarativa della conversione discende l’efficacia ex tunc della stessa.
5. Altre fattispecie riconducibili all’autotutela conservativa
Nel perimetro dell’autotutela conservativa sono ricomprese altresì talune ulteriori fattispecie, come la ratifica, la sanatoria, la rettifica, la proroga, la rinnovazione, mentre maggiori dubbi sussistono in ordine all’acquiescenza.
In particolare, la ratifica[28] consiste nell’appropriazione dell’atto, emesso da un organo incompetente, ovvero fornito di una competenza temporanea e occasionale, da parte dell’Autorità che sarebbe stata competente.
Tale forma di sanatoria presuppone dunque un vizio di incompetenza e non va confusa con la ratifica “privatistica[29]” prevista in materia di rappresentanza, funzionale alla risoluzione della problematica afferente agli atti negoziali compiuti ultra vires[30].
È configurabile invece la c.d. sanatoria nelle ipotesi in cui l’atto è emanato in carenza di un presupposto e quest’ultimo si materializza in un momento successivo, oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo[31].
La rettifica[32] invece è una forma di autotutela conservativa avente ad oggetto provvedimenti non viziati ma irregolari[33], ed è funzionalmente diretta all’eliminazione retroattiva dell’errore materiale non invalidante[34].
All’autotutela conservativa è ricondotta finanche la proroga[35], attraverso cui è possibile protrarre gli effetti di un provvedimento ad efficacia temporale limitata oltre il termine di durata previsto dal provvedimento stesso.
Discussa è la portata dell’istituto, sebbene parte della dottrina[36] tende a delimitarla ammettendo la proroga nei soli casi previsti dalla legge. Con la scadenza del termine, che costituisce il limite temporale per l’ammissibilità della proroga, è comunque ammessa la rinnovazione[37] del provvedimento, che si concreta nell’emanazione di un nuovo atto, avente efficacia ex nunc, attraverso la ripetizione della procedura[38] a partire dall’atto endoprocedimentale viziato.
Purtuttavia, condizione di esercizio della rinnovazione, è che l’atto precedente non sia stato annullato per ragioni di ordine sostanziale[39].
Profilo comune a proroga e rinnovazione è la prosecuzione dell’originario rapporto, che tuttavia avviene nelle due fattispecie attraverso modalità differenti, giacché solo nella rinnovazione e non anche nella proroga, si realizza la ripetizione di tutte le fasi procedimentali, con conseguente nuova ponderazione degli interessi in gioco.
Discussa è la riconduzione all’autotutela conservativa dell’acquiescenza[40], consistente nell’accettazione spontanea e volontaria, da parte del soggetto legittimato all’impugnativa, delle conseguenze dell’atto e della situazione giuridica da esso determinata.
A differenza della convalida l’acquiescenza[41] non produce effetti erga omnes, giacché la stessa preclude la proposizione del ricorso amministrativo o giurisdizionale al solo soggetto che l’ha prestata.
In tale prospettiva, assumendo l’istituto in analisi connotazione meramente processuale e non già sostanziale, derivando da comportamenti anteriori al processo ma successivi al sorgere del diritto di azione[42], è da escludere la riconduzione dello stesso nel perimetro dell’autotutela (“sostanziale”) conservativa.
[1] D.U. GALETTA, I procedimenti di riesame, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, (a cura di) V. Cerulli Irelli, Napoli, 2006; M. RAGAZZO, L’autotutela amministrativa, Milano, 2006; A. CONTIERI, Il riesame del provvedimento amministrativo alla luce della legge n. 15 del 2005. Prime riflessioni, in La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino, 2005; G. BARONE, Autotutela amministrativa e decorso del tempo, in Diritto amministrativo, 2002, p. 689 e ss.; D. CORLETTO, Procedimenti di secondo grado e tutela dell’affidamento in Europa, Padova, 2007; G. CORSO, voce Autotutela (dir. amm.), in Dizionario di diritto pubblico, (a cura di) S. Cassese, Milano, 2006; G. CORAGGIO, voce Autotutela, in Enc. giur., Roma, 1988, p. 5; F. BENVENUTI, voce Autotutela (dir. amm.), in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 554; C. VALENTINO, Aututela amministrativa, in questa Rivista; M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 317 e ss.; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, (a cura di) F. Fracchia, Milano, 2018, p. 589.
[2] Tra i provvedimenti di secondo grado caducatori possono essere ricompresi l’annullamento d’ufficio, attraverso cui la pa rimuove con efficacia retroattiva un precedente provvedimento illegittimo, e la revoca, che a differenza dell’annullamento d’ufficio incide sugli effetti di un precedente provvedimento inopportuno e non già illegittimo, non più confacente al pubblico interesse, determinandone una caducazione non retroattiva. Sull’annullamento d’ufficio si vd. G. GHETTI, voce Annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1987, p. 268; C. DEODATO, L’annullamento d’ufficio, in Codice dell’azione amministrativa, (a cura di) M.A. Sandulli, Milano, 2011, p. 765 e ss. Sulla revoca sia consentito rinviare a: E. FERRARI, voce Revoca nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XIII, Torino, 1997, p. 334; A. ARDITO, Revoca e nuovi modelli di rivedibilità, Bari, 2008; V. DOMENICHELLI, La revoca del provvedimento, in Codice dell’azione amministrativa, (a cura di) M.A. Sandulli, p. 875 e ss.
[3] C. GRASSETTI, voce Conservazione (principio di), in Enc. dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 173.
[4] M. IMMORDINO, I provvedimenti amministrativi di secondo grado, cit., p. 321.
[5] G. MANNUCCI, Della convalida del provvedimento amministrativo, in Dir. pubbl., 2011, p. 201 e ss.; G. SANTANIELLO, voce Convalida (dir. amm.), in Enc. dir., vol. X, Milano, 1962, p. 504.
[6] M. D’ALBERTI, Lezioni, cit., p. 317; E. CASETTA, Manuale, cit., p. 598.
[7] M. IMMORDINO, I provvedimenti di secondo grado, in Diritto amministrativo6, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 323.
[8] A. PIOGGIA, La competenza amministrativa, Torino, 2001; S. MORO, L’incompetenza tra forma e sostanza, Padova, 2008.
[9] E. CASETTA, Manuale, cit., 598.
[10] Dall’atto convalidato va distinto l’atto inoppugnabile, giacché, sebbene l’inoppugnabilità comporta l’inattaccabilità dell’atto, tale figura opera solo sul piano giustiziale. Conseguentemente l’atto inoppugnabile è pur sempre annullabile d’ufficio e disapplicabile dal Giudice ordinario.
[11] M. IMMORDINO, op. cit., p. 323.
[12] Su cui sia consentito rinviare a C. VALENTINO, Il recupero del negozio invalido, in questa Rivista.
[13] Sul punto Cons. St., n. 7941/2004.
[14] Sulla motivazione sia consentito rinviare alle seguenti opere: M.S. GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., vol. XXVII, Milano, 1977, p. 257 e ss.; E. CANNADA - BARTOLI, In tema di motivazione degli atti a contenuto generale, in Foro amm., 1995, p. 1090 e ss.; A. ROMANO TASSONE, Motivazione nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XIII, Torino, 1997, p. 683 e ss; G. CORSO, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. dir., Aggiornamento, vol. V, Milano, 2001; G. MANNUCCI, Uno, nessuno, centomila. Le motivazioni del provvedimento amministrativo, in Dir. pubbl., 2012, p. 837 e ss.; ID., Il regime dei vizi formali - sostanziali alla prova del diritto europeo, in Dir. amm., 2017, p. 259 e ss.; M. RAMAIOLI, Il declino della decisione motivata, in Dir. proc. amm., 2017, p. 894 e ss.; A. CASSATELLA, Il dovere di motivazione nell’attività amministrativa, Padova, 2013.
[15] Cons. St., 27 Aprile 2021, n. 3385.
[16] E. CASETTA, Manuale, cit., p. 590.
[17] M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 325.
[18] Recentemente sulla distinzione si vd. Cons. St., 8 marzo 2022, n. 1667.
[19] M. IMMORDINO, op. cit., p. 326.
[20] M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 326.
[21] C. GUACCI, La tutela avverso l’inerzia della pubblica amministrazione secondo il codice del processo amministrativo, Torino, 2012, p. 215 – 216.
[22] S. CAPOZZI, Conversione dell’atto amministrativo, in Enc. giur., vol. IX, Roma, 1988, p. 1 e ss.; L. MUSELLI, La conversione dell’atto amministrativo, Milano, 2003; M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 327.
[23] M. BREGANZE, voce Sanatoria dell’atto amministrativo, in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 1991; M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1988, p. 571.
[24] A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 691.
[25] A. BARTOLINI, La nullità del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002, p. 330.
[26] M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 327.
[27] M. IMMORDINO, op. cit., p. 327.
[28] Al riguardo si vd. art. 42 e 175 del T.u.e.l.
[29] Sulla ratifica privatistica C.M. BIANCA, Il contratto, Milano, 2019, p. 96.
[30] M. IMMORDINO, op. cit., p. 325.
[31] Secondo M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 322, gli atti ad effetto sanante, pur avendo un effetto conservativo “non costituiscono provvedimenti di secondo grado”.
[32] E. CASETTA, Manuale, cit., p. 598.
[33] M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 324; G. GHETTI, voce Correzione, rettifica e regolarizzazione dell’atto amministrativo, in Dig. Disc. Pubbl., vol. IV, Torino, 1989, p. 198 e ss.
[34] Sul punto si vd. M. IMMORDINO, op. cit., p. 324.
[35] M. SANINO, voce Proroga, in Enc. dir., vol. XXXVII, Milano, 1988, p. 411 e ss.
[36] A. CORPACI, Proroga e rinnovazione dell’amministrazione, in Dig. Disc. Pubbl., Vol. XVII, Torino, 1997, p. 125 e ss.
[37] E. CASETTA, Manuale, cit., p. 601.
[38] M. IMMORDINO, I provvedimenti, cit., p. 322.
[39] E. CASETTA, Manuale, cit., p. 598.
[40] E. CASETTA, op. cit., p. 600.
[41] Parte della dottrina E. CASETTA, Manuale, cit., p. 600, dubita non solo circa la ricostruzione dell’acquiescenza in termini di accettazione degli effetti del provvedimento, giacché tale accettazione non incide sulla validità del provvedimento, ma anche in relazione ad un’eventuale inquadramento dell’istituto in termini di dismissione dell’interesse legittimo, stanti le incertezze circa la possibilità per la parte di disporre di tale situazione giuridica soggettiva.
[42] E. CASETTA, Manuale, cit., p. 598.